Beatrice si dondolava
sull'altalena situata nel giardino della sua casa.
Volteggiava avanti e
indietro, sentendo il vento che le inondava il delicato viso
infantile.
Quella sensazione di
librarsi nel vuoto e avere comunque la certezza di non poter cadere
le dava sicurezza e la rasserenava. Ricordava quanto amasse i
pomeriggi trascorsi con la madre che la spingeva sulla schiena per
darle velocità e lei prendeva il volo. Le sembrava di poter toccare
lembi di cielo solo con la punta delle dita.
“Bea! Cosa fai lì?”.
L'esclamazione della nonna
incrinò lo specchio dei suoi ricordi e la riportò sulla terra.
Beatrice puntò i piedi e l'altalena smise di ciondolare.
“Piccola, cosa fai qui
da sola?” le domandò la nonna, avvicinandosi.
Beatrice, dopo esserle
andata incontro, si limitò a guardarla dal basso, coi suoi grandi
occhi grigi, senza riuscire a dirle nulla perché le sembrava palese
quello che stesse facendo: si stava semplicemente dondolando.
“Non vorresti giocare un
po' con le tue cuginette? Sono venute apposta a trovarti”.
Beatrice squittì un
debole “no”, tornando a sedersi sull'altalena.
Il profumo della mamma
le ricordava quello della lavanda che cresceva a grappoli sopra il
balconcino della sua cameretta. Le piaceva annusarne il profumo tra i
suoi capelli corvini quando la prendeva al volo dall'altalena, dopo
averle detto:”Forza, salta! Non avere paura, la mamma è qui!”
“Elena,
cosa fa lì la bimba? Perché non l'hai portata in casa?”.
La
voce tonante del papà rimbombava anche se tentava di parlare
sottovoce.
“Guardala,
piccina, non riesce a staccarsene” mormorò la nonna dopo essersi
accostata a lui.
“Non
capisci che farla stare qui non fa che peggiorare le cose?”
“Fabio,
cerca di capire... Oggi c'è stato il funerale di sua madre, di mia
figlia, non possiamo...”
“Cosa
credi? Non era forse anche mia moglie? Non può stare dove passava i
pomeriggi con Cristina!”.
La
voce del papà era stata sempre troppo grave e cavernosa, e lo era
anche in quel momento, forse più degli altri giorni. Beatrice non
voleva ascoltarla, si tappava le orecchie e tentava di rievocare
quella della mamma, che sembrava il canto di un usignolo, dolce e
amorevole come una carezza eppure sicura, non c'erano incrinature
quando parlava, non c'erano tentennamenti.
Quella
voce le trasmetteva protezione.
“Tu sei la mia
piccola rondine” le sussurrava arricciandole le nuvole d'oro dei
capelli,“una rondinella che un giorno volerà da sola perché non
avrà più bisogno di Mamma rondine, sarà così coraggiosa che
solcherà i cieli con le sue piccole ali ancora indecise ma tenaci, e
allora non ci sarà nuvola che tenga, neanche un temporale fermerà
la piccola rondine.”
Le
sembrava di essere stata catapultata davvero in quel temporale, ma
non era ancora pronta per affrontare il cielo: era troppo vasto,
troppo per lei, la stava inghiottendo nelle sue nere fauci.
“Smettila
di pensare che possa avere le stesse reazioni di un adulto, è ancora
una bambina!”
“Ma
è mia figlia! Ho il diritto e il dovere di proteggerla dal male e
dal dolore!”
“Non
capisci che così la stai ferendo più di quanto non abbiano già
fatto le circostanze?”.
Quando
si è bambini, in certi momenti manca la capacità di ribellarsi al
dolore, di sfogarlo, di oggettivarlo. I bambini lo tengono dentro,
lasciano che si propaghi come un'epidemia nel loro corpo che plasma i
pensieri e le emozioni, soggiogandoli.
Beatrice
avrebbe voluto ribellarsi all'affronto verbale che stava avvenendo
fra la nonna e il padre, incuranti della sua presenza, ma non ci
riusciva. Non capiva ancora che si sarebbe dovuta ribellare per farli
smettere di gridare, perché tutto ciò che desiderava in quel
momento era immaginarsi la madre al suo fianco, che la cullava come
se non l'avesse mai abbandonata, come se non fosse mai volata via
senza di lei.
Si
aggrappò alle robuste corde dell'altalena, ma questa volta non
riuscì a darsi la spinta e a lasciarsi trasportare dal solito
dondolìo, perché si sentiva vorticare dentro.
Sola,
non più capace di percepire altro che il vento che fendeva le pieghe
del suo abitino nero, capì che nessuno le avrebbe dato più lo
slancio per farla volare.
Nota: questa storia forse si sarebbe dovuta intitolare “l'indifferenza”, perché è questo il messaggio che volevo trasmettere: la completa indifferenza che a volte gli adulti dimostrano nei confronti dei bambini, perché non li sanno ascoltare anche se loro parlano con i gesti, con le espressioni, con il silenzio. Questa storia ha una grandissima importanza per me, perciò mi piacerebbe avere il vostro parere. Grazie a tutti!