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Autore: lucinda91    31/08/2011    1 recensioni
Spesso le vere emozioni stanno nascoste tra le righe di un libro, nelle parole mai dette o nelle scene mai viste. A volte si manifestano in sorriso, in uno sguardo o semplicemente in un gesto. Ho pensato di ripercorrere quella che potrebbe essere stata la storia di Lucius e Narcissa dai tempi di Hogwarts alla fine della guerra.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy | Coppie: Lucius/Narcissa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il loro destino

 

A chi le diceva che Lucius Malfoy la stava guardando dal fondo del lungo tavolo dove abitualmente sedeva con i suoi amici, rispondeva scuotendo la testa e sorrideva con  leggerezza, come quando si asseconda un’osservazione già sentita, senza prestarci troppa attenzione. 

“Vedeste come la guarda Malfoy” Aveva detto Bellatrix compiaciuta, durante una cena in cui i loro genitori si erano rivelati particolarmente avidi di confidenze.
“La smetti!”
Narcissa era stizzita. Aveva gettato lo sguardo di fronte a sé come faceva sempre per cercare sostegno, o un semplice sorriso incoraggiante, ma il vedere quel posto vuoto l’aveva rattristata ancora di più. 
 Aveva poi incontrato gli occhi di sua madre che la stava osservando attentamente per decidere se l’affermazione precedente avesse delle fondamenta o fosse soltanto frutto dell’usuale malignità della figlia maggiore.
Al suo abbassare la testa, lei era rimasta pensosa tutta la sera.

 
Più di una volta però Narcissa aveva incrociato quello sguardo gelido e forte, rivolto nella sua direzione, ma si voltava subito, nella speranza che le sue guance non tradissero lo strano brivido che aveva provato. In queste occasioni si sentiva una sciocca oltre misura perché sapeva di non essere la sola ad arrossire sotto il giogo di quegli occhi di ghiaccio.
Intelligente, affascinante e di modi garbati, oltre che di buona famiglia, Lucius Malfoy era costantemente circondato da attenzioni, principalmente femminili e il fatto che ne fosse consapevole dipingeva, sul suo nobile volto, una sicurezza che a Narcissa pareva quasi sfacciata.
Anche lei, dal canto suo, era piuttosto popolare. Avvenente, bene educata e riservata nella giusta misura in cui si suscita interesse e mai disagio, Narcissa era cresciuta tra le lodi del padre e gli sguardi d’intesa della madre, abituata a essere desiderata piuttosto che a desiderare.

Non avrebbe mai e poi mai permesso che il suo sguardo cadesse nuovamente verso il fondo del tavolo, dove sedeva Lucius Malfoy.

 
Ma sembrava che il destino si fosse risentito per questo suo audace e azzardato proposito e la sua tronfia vendetta aveva preso forma durante un pomeriggio di Aprile quando lui le si era avvicinato per dirle che con quel manico di scopa stava sbagliando tutto.
“Black, è una scopa, non un troll”
Le aveva allungato la mano per aiutarla ad alzarsi da terra. La tenuta da Quidditch, impeccabile, era baciata dai raggi del sole.
“Menomale che ci sei tu a ricordarmelo, Malfoy”
Gli aveva risposto lei, distrattamente, mettendosi in piedi e riprendendo la scopa.
Allora lui, divertito, aveva appoggiato una mano sull’impugnatura perché non oscillasse in modo che Narcissa non cadesse di nuovo.
Un grido improvviso gli fece allontanare il braccio; dal campo di Quidditch qualcuno lo stava chiamando.
"Ci vediamo domani, allora?”"
"Per cosa?"
Aveva chiesto lei, irrigidendosi.
"Per delle lezioni di volo, che altro!”
E se n’era andato via sorridendo.


Da allora ogni volta che la incrociava ad Hogwarts le sorrideva, abbozzando un saluto con un cenno rivolto verso di lei, anche quando era impegnato a parlare con i suoi amici. Lei rispondeva muovendo impercettibilmente la testa.
Se all’inizio accelerava, quasi correva, lungo il corridoio, perché le sembrava che il suo cuore facesse troppo rumore;  successivamente la malizia di giovane donna le insegnò a dosare i passi sul lucido pavimento, consapevole del fatto che lui si sarebbe voltato a guardarla finché non fosse sparita dietro l’angolo.

 
Con la fine della scuola si erano persi di vista, lui in giro per il mondo a imparare a vivere, lei in Francia da una zia, continuava a studiare serena, lontana dai venti che annunciavano tempesta. Nella mente le labbra di lui e quel bacio che non erano riusciti a darsi.

Soltanto quando vide che il suo fiore più bello era sbocciato, Cygnus Black la fece tornare in Inghilterra.
Come in lui l’ammirazione per questa sua figlia serviva a colmare un vuoto profondo che il tempo non aveva curato, il suo ritorno aveva acquietato le vecchie chiacchiere sul conto dei Black, tanto che, per strada, Narcissa sentiva pronunciare il suo nome, non con maligna pietà o avide risate, ma con una punta di invidia che conferiva al suo incedere fiero una superbia quasi regale.

Era stato proprio pochi giorni dopo il suo ritorno che l’aveva incontrato mentre camminava per Diagon Alley. In quell’attimo aveva riscoperto tutto insieme cosa volesse dire avere le gambe che tremano, ma ormai aveva imparato la naturalezza del non darlo a vedere. Un cappotto che si stringeva all’altezza della vita, lungo fino al ginocchio, dei guanti scuri di pelle, i capelli raccolti da un prezioso fermaglio e un sottile strato rosso sulle labbra come a dire sono una donna; parlava più lentamente, soppesando ogni parola, con un’espressività nuova e seducente.
La sicurezza aveva preso il posto di quella goffa timidezza che lui ricordava teneramente.
Ne fu spiazzato.
Ne fu spiazzato e non riuscì a parlare.
Soltanto quando si era allontanata di qualche passo, a testa bassa per nascondere il volto bagnato,  lo sentì pronunciare il suo nome.
“Narcissa”
Una voce familiare, accompagnata da una virilità autentica, non più ostentazione nel tono sforzato di un ragazzo impaziente, aveva trafitto il suo orgoglio.
L’aveva pietrificata senza nemmeno pronunciare una sillaba magica.
Lei sapeva che doveva voltarsi, le regole erano chiare al riguardo. Con la mano spazzò via velocemente qualche lacrima e si girò
“Sei l’unica persona che avrei voluto incontrare”

 
Ed era rimasta la sola nel suo cuore, per più di venti anni. Con il tempo avevano imparato ad interpretare i reciproci silenzi, mitigare i loro difetti. La superba freddezza di lui le appariva come un tratto divino concesso al mondo terreno; mentre la tempra ribelle di lei, non del tutto assopita, che caratterizzava i Black da generazioni,  gli scaldava il sangue nelle vene più di una scossa elettrica.

A volte capitava che queste estremità collidessero, e, in questi casi, l’esplosione che ne seguiva sembrava spazzare via l’intero universo, come due forze, uguali e contrarie, che distruggono tutto quello che si trova in mezzo e si avvicinano e si allontanano, nell’affannata ricerca del loro equilibrio.
La reticenza nel manifestare i loro sentimenti non era sintomo di una riprovevole mancanza di amore, ostentata fino alla rassegnazione, ma dell’intimità del loro legame, puro e elementare, racchiuso dalle mura più preziose d’Inghilterra.

Il destino, però, ancora una volta, li aveva trovati, ansioso di metterli alla prova. E lei non era stata abbastanza forte da opporsi all’ambizione di lui che li aveva trascinati nell’ombra, su una giostra che non sembrava intenzionata a fermarsi.
Unica luce concessagli nella sua esistenza che diventava sempre più buia, da lei ritornava ogni volta e, solo guardandola, riusciva a liberare i suoi occhi dal male che avevano visto. Piangendo.
Tornava da lei che gli ricordava come amare, nel modo in cui lui, da maestro paziente, le aveva insegnato.
Nel suo amore incondizionato Narcissa era stata capace di dividerlo con la dannazione, rimanendogli accanto anche quando tutto era perduto, sottomessa non a lui, ma con lui, come il più leale dei compagni dopo una clamorosa disfatta, e aveva sopportato di vederselo portare via a poco a poco, non dalle mani di altre donne, ma dalla follia di quel suo stesso ideale che l’aveva già ferita una volta.
Fianco a fianco, avevano condiviso la paura della morte e il dolore di una punizione, quando nemmeno Azkaban sembrava troppo lontana.

 

Anche tra le macerie della loro vita Lucius andava cercando lei, lei e suo figlio.
Quel figlio disperatamente atteso che era il simbolo del loro ripetuto amarsi.
Quell’unico figlio per cui lei aveva sopportato tutto, nel suo assoluto amore di madre e a cui lui, invece, avrebbe adesso voluto dare un abbraccio per la prima volta.
Cercava loro perché erano l’unica cosa che contasse davvero.
Più del suo sangue. Più di se stesso.

Senza pace aveva iniziato a vagare per il castello fino a quando non li aveva visti, in fondo al corridoio, vivi entrambi.
Sentiva i singhiozzi di Narcissa mentre abbracciava teneramente Draco, stando in ginocchio per terra, accarezzandogli il volto. Rimase immobile come un pittore che ha paura di rovinare un quadro perfetto anche con un solo respiro.
Furono loro a voltarsi verso di lui e Lucius vide quello che ormai non vedeva da tempo: la sua famiglia.







Note dell'autrice: oddio, qui ci posso mettere anche la lista della spesa, vero? xD
Vabè, un grazie speciale a chi passa a dare un'occhiata, spero che non se ne penta!

   
 
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