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Autore: Remedios la Bella    01/09/2011    2 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21
 
“ Ricordate; i prigionieri verranno portati al forno tra meno di un’ora … avete tempo fino ad allora per portarla fuori, poi si accorgeranno della sua assenza e scatteranno gli allarmi. Quindi dovrete essere fuori e lontani. Capito?” Mark ci riassunse il piano in quattro e quattr’otto, mentre io e Elly annuimmo decisi sotto lo sguardo preoccupato di mia madre.
“ D’accordo … ora muoviamoci.” Dissi, iniziando ad avviarmi seguito da mia sorella.
Acquattati, ci avvicinammo alla fessura della rete che ci aveva indicato Mark prima. Constatammo che era abbastanza grande per farci entrare un ragazzo di media statura insieme a una ragazza lata senza problemi.
“ Vai, prima tu …” Alzai poco poco la rete per permettere il passaggio a mia sorella, che silenziosamente entrò dentro. Fortunatamente per noi, la rete non era munita di sistema di conduttura a scosse. E il contatto non mi procurò ustioni di alcun genere.
Dopo che Elly fu dentro, fu il mio turno. Lei mi sorresse il lembo di rete in alto, mentre io a carponi mi intrufolai dentro con lei. Dopodiché, ci potemmo considerare dentro il campo.
A quell’ora erano accese la alte lampade per illuminare il circondario, insieme ad alcune lampade a petrolio appese alle capanne, pericolosamente a contatto con il legno assai infiammabile di alcune.
“ E ora andiamo …” dissi io guardandomi intorno in cerca del forno crematorio. Lo vidi, lontano una decina di metri, e poco distante potei distinguere la sagoma di una capanna. Per nostra fortuna non era sorvegliata.
“ Max! Lì dentro si trova 15674.” Fece mia sorella avanzando cauta rasente i muri delle varie capanne che ci separavano dalla destinazione.
“ Si chiama Deborah …” piagnucolai. Per tutto questo tempo non aveva ancora afferrato il suo vero nome! Quanto avrei voluto fargliela pagare in qualche modo.
“ Si, si … ora andiamo però …” alzò gli occhi al cielo, come scocciata, mentre eravamo sempre più vicini all’obiettivo.
La capanna si ergeva inquietante sotto il cielo puntellato delle prima stelle della sera. La porta era aperta, e si poteva sentire il tossire insistente di qualcuno, misto al russare di qualcun altro.
“ è questa … di solito ci stipano i malati o quelli che non possono più lavorare … o semplicemente, se non si ha più spazio nel campo, ne bruciano.” Spiegò mia sorella, con voce piatta. Io rabbrividii alla sola idea di tutti gli innocenti morti a causa di un piccolo colpo di tosse sfuggito davanti alle guardie. Tutto ciò era deplorevole.
“ Mio dio … presto … “ ero in ansia per la sorte della mia piccola Deborah. Acquattati alla parete, superammo la soglia e l’oscurità si impadronì dei nostri occhi che già strizzavano per la scarsa luce lì dentro.
Tutti dormivano, si potevano sentire i loro respiri pesanti, interrotti a volte da colpi di tosse, e tenevano la schiena voltata a noi, quindi avrebbero visto la parete se avessero aperto gli occhi.
“ Chissà dov’è …” fece mia sorella, che ogni tanto si sporgeva su un prigioniero per poter vedere se fosse Deborah, ma rimanendo delusa da quello che invece trovava.
“ Cerchiamo il suo numero .. o una ragazza con i capelli neri.” Dissi io, che nel mentre guardavo i grembiuli delle persone, per controllare il numero.
“ Cosa ti fa pensare che abbia ancora i capelli? Può darsi che l’abbiano rasata prima di farla venire qui.”
“ Non penso che si possano essere curati di questo particolare … cerca.” Ero fermamente deciso a trovarla, mentre però sembrava che la speranza non mi volesse aiutare. Ormai avevo esplorato la capanna per tutto il suo perimetro, e ancora nessuna sua traccia. Che non fosse lì? No, doveva essere lì, per forza. Non c’erano altre capanne nella zona, quindi  … ma sembrava che tutto mi volesse impedire di volerla trovare.
“ Elly … l’hai trovata?”
“ No … mi dispiace …” sentivo la voce delusa di mia sorella. Poi … qualcosa come un sussurro.
Qualcosa dentro di me si risvegliò, potei sentire un “Max …” sussurrato debolmente.
“ Elly … mi hai chiamato?” chiesi titubante.
“ No … non ho detto niente.” Fece lei dubbiosa.
Lo risentii, stavolta più limpido … “ Max …” e stavolta, non era la voce di mia sorella.
“ Deborah ….” Stavo sognando o era lei che mi chiamava? Cominciai a cercare dappertutto ossessivamente, e i miei sforzi vennero ripagati: una lunga chioma corvina pendeva da poco meno di un  metro dalla mia testa, e prima non me ne ero nemmeno accorta.
Mi sporsi in punta di piedi su quella persona e guardai il suo grembiule: 15674.
“ Finalmente … ti ho trovata!” gioii come non mai a quella scoperta. Era lì sopra di me, su quel ripiano di legno, e ringraziai il cielo così tanto per averla trovata lì dentro che nel vento, mista all’odore di altre persone e a quello del fumo di una ciminiera.
 
Sentii una leggera pressione alla spalla nel bel mezzo del mio sonno. Era un tocco lieve, e non era nuovo. Sapeva di … lui.
“Max?” sussurrai istintivamente, pensando subito a lui. Ma poi riflettei; che non fosse semplicemente la mia mente a volermi giocare un brutto scherzo con quel segnale di nostalgia? Forse ero solo io che mi toccavo la spalla per ricreare il suo tocco. Socchiusi lentamente le palpebre per vedere la posizione delle mie mani e se una di loro stesse toccandomi la spalla.
Ne trovai una sul fianco, una sotto la testa, e che io avessi tre mani era improbabile.
“ No …” pensai, presa un po’ dal panico. Sentii, insieme alla pressione, una leggera scossa e sbarrai gli occhi.
“ Deborah ?” la sua voce. La sua meravigliosa voce.
 Feci per voltarmi lentamente, chiudendo gli occhi per poi riaprirli davanti al mio ormai ovvio interlocutore. Voltatami completamente sul fianco sinistro, li aprii lentamente, e incontrai due occhi verdi, bellissimi, che mi sorridevano speranzosi.
“ Oh mio dio … Max sei qui …” trattenevo a stento le lacrime dalla gioia, mentre mi alzavo sui gomiti per osservarlo meglio.  Sveva una divisa da prigioniero anche lui, e portava il numero 76548 che potevo intravedere nonostante il buio nella stanza.
“ Si … ti porto fuori da qui …”
“ Ma anche tu sei stato catturato?” chiesi istintivamente.
“ Ti spiego più tardi come sono le cose .. ora però andiamo … abbiamo poco tempo …” mi porse la mano come per  farmi scendere dal mio giaciglio.
La presi titubante e con un leggero salto che lui attutì mettendomi le mani sui fianchi scesi a terra, a pochi centimetri da lui e dal suo viso.
“ Quanto ho sperato il tuo arrivo …” ero felicissimo di rivederlo. Mi aggrappai a lui abbracciandolo con tutte le mie forze, lo avvolsi con le mie esili braccia e finalmente sfogai le mie lacrime tanto custodite prima di allora.
“ Sono qui …” mi consolava accarezzandomi i capelli delicatamente. Si scostò un po’ e mi alzò il viso ponendomi un dito sotto il mento:” Andiamo?”
“ Si …” lo guardai intensamente negli occhi prima di lasciarlo andare. Solo allora mi accorsi della presenza di sua sorella.
“ Elly … sono felice di vederti …” le dissi gentile. Lei si limitò a sorridermi in modo piuttosto astioso:” Usciamo di qui, tutti questi malati mi danno leggermente sui nervi.”
“ la solita schizzinosa …” disse Max scherzoso.
La risposta di Elly fu una risata sarcastica alquanto infastidita. Sorrisi divertita, ma poi quel sorriso mi sparì dal volto.
“ Ce la faremo, vero?” chiesi io, mentre uscivamo piano dalla capanna.
“ Conta su di me …” fu l’unica cosa che riuscii a dirmi Max. Lo vidi tirare fuori la testa dalla capanna per perlustrare. Voltò la testa a sinistra e destra e poi ci fece un gesto con la mano come di avanzare.
“ Via libera … presto!” A quel punto mi afferrò il polso e mi ritrovai a correre insieme a lui, seguita da Elly che cercava di non inciampare nel camice.
Continuavo a correre, collegata a lui solo dalla sua stretta al mio braccio, mentre la strada della nostra fuga sembrava spianata e senza ostacoli.
Ma forse, avevo cantato troppo presto.
Un rumore assordante. La sirena d’allarme evasione era scattata d’improvviso.
L’uscita lì, a pochi metri di distanza, e mancava solo qualche passo alla libertà.
Guardai verso Max, che si volse verso di me e sorrise:” Tranquilla, non ci prenderanno comunque …” Aumentai la velocità di corsa, confortata da quelle parole.
Niente doveva andare storto, non con lui, non poteva andare niente per il verso sbagliato con lui. 

   
 
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