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Autore: L_Fy    05/09/2011    1 recensioni
Cosa riserva il futuro all'umanità? La Terra sta lentamente scivolando verso l’autodistruzione e prima o poi le risorse primarie si esauriranno. Per tali motivi, in un futuro non troppo lontano, l'umanità si è vista costretta a partire verso le volte dell'universo, alla ricerca di un altro pianeta abitabile. E’ quindi questo il compito delle 4 enorme navi spaziali chiamate Orion che dopo essere uscite dal sistema solare hanno perso contatto con il loro pianeta madre.
Genere: Azione, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Elijah si butto frustrato contro la spalliera del sedile: davanti a lui, il computer continuava a macinare ininterrottamente numeri su numeri, emettendo un "bip" ogni tanto quando scadeva il timer per ogni tentativo fallito. Erano ore che provavano a decifrare la maledetta password che serviva per violare le DDW segrete della Corp. e ancora non era successo niente. Ogni minuto che passava la tensione cresceva sulla navicella sparata alla velocità della luce nello spazio buio e ostile. Damon si era ritirato ai comandi anche se col pilota automatico non ce ne sarebbe stato bisogno: Elijah sospettava che il suo senso di colpa non gli permettesse di entrare nel vivo dell’azione. Alicia era crollata addormentata ed ora era in preda ad un sonno agitato che l’avrebbe portata a svegliarsi ancora più stanca di prima. Morales era l’unico che sembrava guadagnare forze man mano che passava il tempo: una profonda ruga di concentrazione gli solcava la fronte mentre gli occhi blu si facevano sempre più combattivi e decisi. Elijah lo ammirò per come aveva preso la situazione: lui, di solito così flemmatico, era partito lancia in resta, convinto di poter salvare i propri compagni. Elijah invece non era più così sicuro. Il tempo gli scorreva addosso lasciandogli una specie di febbre, spossandolo nell’attesa e il pensiero di Jude in pericolo gli faceva torcere le budella dalla frustrazione. Elijah sapeva bene che Cardinale non era propriamente la classica donzella in pericolo, ma lo stesso sentiva di doverla proteggere, di volerla proteggere, e il fatto di non essere con lei lo faceva impazzire. Morales gli lanciò uno sguardo inquisitore mentre il computer continuava la sua deprimente cantilena di "bip" a vuoto.
"Capo, è inutile che continui ad agitarti come un serpente cubano" lo apostrofò ad un tratto, scherzosamente severo "Fosse qui Pat ti avrebbe già sculacciato con una sua spaccatimpani"
"E chi s’è visto s’è visto" terminò per lui Elijah con un mesto sorriso sulle labbra "Non so dove trovi tutta quella calma tibetana, io mi sento come se avessi le palle sulla graticola"
"Sarà colpa del tuo pattugliamento prolungato" sorrise Morales "Forse non lo sai, ma l’astinenza ti aiuta a raggiungere il Nirvana. Guarda e impara dai tuoi colleghi, Casanova"
Elijah provò un’improvvisa gratitudine per il suo compagno che riusciva a placarlo con la sua sola, pacata presenza.
"Sei un grande, Eric" gli disse tra il serio e il faceto "Non so cosa farei senza le tue perle di saggezza"
"Già. Il vero saggio è colui che non capisce un tubo della situazione e si rende conto della verità solo a cose fatte" rispose Morales con un fondo di amarezza nella voce.
"Andiamo, cosa pretendi da quel povero neurone costretto a fare il lavoro tutto da solo? Se ti fossi anche tu rifiutato di de-digitalizzarti probabilmente saremmo a fare compagnia ai nostri compagni invece che essere qui a tentare di aiutarli"
La faccia di Morales era cupa e tormentata.
"Chissà che non fosse meglio così…" mormorò pensieroso ed Elijah non ebbe il fegato di contraddirlo poiché era esattamente quello che pensava anche lui. Fece comunque per aprire la bocca per dire qualcosa (qualsiasi cosa sarebbe andata bene), quando il computer si mise a strombazzare impazzito, svegliando anche Alicia che si tirò su veloce come un razzo.
"Che succede?" dissero quasi contemporaneamente Elijah ed Alicia. Morales ebbe una sorta di scatto epilettico e si mise a pestare impazzito sui tasti. Poi si girò verso le due facce bianche e ansiose che aspettavano dietro di lui e sorrise esultante.
"Password trovata" disse scoprendo i candidi denti in un ghigno di vittoria.
*          *         *
Al Mattatoio era ora di pranzo: l’inserviente che doveva portare i vassoi di cibo ai prigionieri stava vivacemente litigando con il capo carceriere che lo ascoltava stranamente imbarazzato grattandosi la nuca sudata.
"Io da quella non ci vado!" strepitava l’inserviente, sinceramente spaventato "Ho sentito che ha sgozzato George come un maiale solo perché l’aveva palpata quando è entrata. Ha rotto tutte le telecamere che c’erano nella stanza, persino quelle a soffitto, e nessuno ha il coraggio di entrare in quella cella, nemmeno armato. Secondo te io dovrei entrare tutto tranquillo con il mio vassoio di plastica? Scordatelo"
Il carceriere aprì e richiuse la bocca un paio di volte: la morte di George, riposi in pace, aveva fatto sballare gli orari di lavoro a tutti i carcerieri rimasti, cosicché lui si era ritrovato ad essere di colpo di grado superiore ed a dover fare il doppio turno tutto in una volta. Era stanco e scombussolato e in più c’era quella maledetta Runner che piantava più grane di quanto avessero fatto i prigionieri precedenti in tutta la sua onorata carriera di carceriere. Sentiva i suoi strepiti anche adesso, intervallati dai rumori sordi di qualcosa buttato contro il muro. Ad ogni colpo l’inserviente diventava più piccolo e i suoi occhi più grandi. Come dargli torto? Quella pazza scatenata spaventava a morte anche lui. Sospirando, gli posò una mano sulla spalla protettivo.
"Va bene, useremo il condotto" lo rassicurò ma la sua voce era incerta.
Insieme si avvicinarono alle sbarre della cella 9. Il carceriere digitò una serie di numeri sulla piccola tastiera numerica a fianco delle sbarre e il muro si aprì di un metro buono. Immediatamente i rumori si zittirono: dal nulla si materializzò la figura esile di una ragazza coi capelli arruffati, le ginocchia sbucciate e lo sguardo selvatico di una volpe che annusa l’odore dei cani da caccia. In mano brandiva un pitale ormai irrimediabilmente sbeccato come fosse una scimitarra. L’inserviente pensò fuggevolmente che sarebbe stata tremendamente carina se non avesse avuto quella fastidiosa abitudine di uccidere i carcerieri.
"Pranzo" squittì poi rapidamente infilando il vassoio che gli tremava in mano in un pertugio sul fondo delle sbarre tanto stretto da far passare a mala pena un topo. La donna scattò in avanti e nella foga di allontanarsi l’inserviente inciampò all’indietro sui propri piedi, terrorizzato. Vedendo la sua espressione terrorizzata la ragazza scoppiò in una risata cristallina e crudele.
"Paura, caccola?" lo apostrofò guardandolo dritto negli occhi con uno sguardo di brace "Fai bene ad averne. Voglio parlare con il capo di questo porcaio, altrimenti mi arrabbierò e comincerò a diventare pericolosa. Capito?"
"Io…non c’entro niente…sono solo l’inserviente…" balbettò l’ometto, spaventato. Il carceriere si affrettò a richiudere la parete senza rispondere, mettendo più muro possibile tra lui e quegli occhi da pazza.
"Voglio parlare con il vostro capo!" ruggì Cardinale aggrappandosi alle sbarre e scuotendole con forza. Il carceriere guardò da un ‘altra parte, sperando che la parete si chiudesse alla svelta. Ma anche quando solido muro fu di nuovo al suo posto e l’inserviente di nuovo in piedi, le urla della ragazza filtravano martellanti.
"Fa davvero paura quella psicopatica" disse l’inserviente con una risatina tremolante mentre si allontanavano sollevati dalla cella 9 "Pensi che sia diventata davvero pazza?"
"Non lo so…ma sarà un lungo turno di guardia" rispose lugubremente il carceriere.
*          *         *
Il Mattatoio approdò senza problemi al ponte 5 di Orion 4 W e raccolse i suoi carcerati incapsulati senza nessun problema. Poco tempo dopo era già in viaggio verso la prossima Orion per eseguire l’ultimo carico. Al centro smistamento, un soldato della Corp. studiava dubbioso la scheda del carcerato da controllare: la classe del prigioniero era di livello 1, cioè considerato altamente pericoloso. Oltretutto, il suo nome non gli giungeva nuovo. Patterson. Non era quel Runner che era stato in prigione per detenzione illegale di esplosivo?
"Da un po’ di tempo ci mandano solo dei maledetti delinquenti" protestò con il suo compagno medico che controllava le funzioni vitali del prigioniero "Secondo me hanno intenzione di trasformarci in un carcere per malati di mente. Guarda questo che faccia!"
Il sangue gli si fermò nelle vene quando vide due fessure d’occhi aprirsi leggermente sul viso sfregiato del prigioniero.
"Sarai bello tu" esalò questi con voce cavernosa mente il soldato rimaneva cristallizzato dalla sorpresa.
"Diamine, questo è già sveglio! Presto, fagli una flebo di seda…" la voce gli si blocco in gola quando una mano grossa come un prosciutto e con una stretta micidiale scattò dal lettino e gli afferrò la gola bloccandogli il respiro e la circolazione.
Il medico, rimasto pietrificato dalla sorpresa anche lui, si sbloccò quando vide la faccia del soldato diventare cianotica: riempì con mani tremanti una siringa di sedativo e la sparò senza tante cerimonie nel collo taurino del prigioniero che rivolse su di lui uno sguardo liquido e offeso.
"Ha detto che sono brutto" sibilò a titolo di spiegazione. La forza lo abbandonò di schianto e la mano del prigioniero ricadde inerte sul lettino mentre il soldato si allontanava in tutta fretta respirando grosse boccate d’aria e massaggiandosi la gola escoriata. Il medico non riusciva a smettere di fissare il prigioniero che dormiva con l’espressione innocente di un cherubino.
"Quel…maledetto…lo …ammazzo…" balbettò il soldato riprendendosi dallo spavento a poco a poco.
Un suono sordo e vibrante che sembrava provenire dal prigioniero li rimise entrambi in allerta per qualche secondo.
"Cos’è?" chiese il soldato di nuovo in ansia.
Il medico lo guardò , ricomponendosi nel suo solito aspetto flemmatico.
"Non lo vedo molto preoccupato" dichiarò atono "Il prigioniero sta russando"
*          *         *
Scott sapeva che sarebbe arrivato quel momento: lo aspettava, quasi lo anelava per dare finalmente una svolta all’intera faccenda. Masterson lo aveva convocato.
Scortato da sue guardie armate, entrò nella sede della Corp. su Orion 3W (un tripudio di cristalli, immagini olografiche e segretarie bellissime e sorridenti), attraversò l’atrio immenso lastricato di marmo (e questo non era un’immagine olografica) e salì sull’ascensore verso l’inarrivabile attico della presidenza. Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Scott rimase sinceramente esterrefatto dall’opulenza e la squisita eleganza dell’ufficio. Solo la scrivania al centro della stanza era grande come un monolocale: di marmo venato assolutamente naturale sicuramente non era uno di quei pietosi surrogati che producevano su Orion 2W. Scott fece di tutto per non farsi intimorire, ma dovette ammettere che la figura rilassata e sorridente di Masterson, avvolta dentro un abito di squisita fattura artigianale, trasudava magnetismo e potere come nessuno su tutte le Orion.
"Generale Scott" esordì Masterson affabile girando intorno alla scrivania per andargli incontro "Sono lieto che abbia accettato il mio invito. Prego, si sieda"
Scott rimase impalato davanti alla scrivania, le braccia dietro la schiena nella sua solita posizione militare.
"Preferisco stare in piedi, se non le dispiace" rispose con lo stesso tono salottiero e premuroso "E comunque quello che ho ricevuto sembrava più un ordine che un invito"
"Davvero ha avuto questa impressione?" chiese Masterson sorridendo: in quel momento stava sondando il generale per verificare fino a che punto quell’uomo era realmente un osso duro come si diceva in giro. Dovette ammettere che quel tipo sembrava genuinamente tutto d’un pezzo, per il momento.
Visto che Scott non rispondeva, Masterson tornò alla sua postazione dietro alla scrivania e si sedette sulla poltrona di pelle sintetica nera.
"Volevo discutere con lei sull’increscioso problema sorto durante la cattura dei Runner della squadra Tau Centauri" iniziò senza preamboli ma con la voce ancora amabilmente salottiera "A quanto pare i due Runners residenti su Orion 3W sono riusciti a fuggire. Certo, è difficile pensare che il direttore del CDI, un generale pluridecorato, si sia fatto sfuggire quattro persone di cui due in condizioni fisiche precarie. Eppure, questi quattro super eroi sono riusciti ad uscire indenni da un reparto che doveva essere controllato e presidiato, facente parte di un settore che doveva essere controllato e presidiato ed hanno rubato un caccia a pieno carico che doveva essere controllato e presidiato. Se questo non è un indice di negligenza da parte del CDI mi dica lei cos’è"
Scott si sorbì il discorsetto senza cedere di un millimetro dalla posizione di altera diffidenza.
"Non la chiamerei negligenza, signor Masterson" rispose infine, flemmatico "Visto che la fuga dei Runners era sotto la mia diretta supervisione"
Masterson sembrò al contempo sorpreso, compiaciuto e irritato: non si aspettava una confessione così sincera e immediata e ne era contento, ma allo stesso tempo gli venne il sospetto che il generale avesse qualche asso nella manica da esibire.
"Oh" commentò rigirandosi una elegante penna di acciaio tra le dita "Si rende conto che ha trasgredito a tutte le regole del CDI? Potrei farla sbattere in galera immediatamente"
"Non credo, signore" ribatté Scott con quella sua snervante espressione granitica "Il CDI è un reparto militare e l’unico ente in grado di giudicare il direttore del CDI è il consiglio delle Orion. E’ scritto nella costituzione, mi sembra. Quindi, al massimo posso essere messo agli arresti domiciliari finché il consiglio non si riunisce e delibera una decisione in proposito. Lei da solo non ha il potere di giudicarmi. Signore"
Man mano che il discorso di Scott procedeva, le guance di Masterson si coloravano leggermente mentre i suoi occhi prendevano un pericoloso scintillio irato. Rimasero in silenzio a lungo, soppesandosi a vicenda, mentre una crescente irritazione aggrottava le sopracciglia di Masterson.
"Molto bene" disse questi infine, alzandosi bruscamente "E’ già la seconda volta che lei si fa beffe di me sventolandomi sotto il naso la costituzione delle Orion. In realtà le dirò che io me ne sbatto della costituzione. Sono il presidente della Ars Space Corp. e tengo le sue palle e quelle del consiglio nelle mie graziose mani. Stia attento a non farmi arrabbiare più di tanto, altrimenti si troverà a raggiungere i suoi amati Runners prima ancora di poter sfogliare di nuovo la costituzione che lei ama tanto"
Scott non rispose, ma non sembrava turbato e questo fece irritare ancora di più Masterson.
"Lei è agli arresti domiciliari da questo momento fino alla riunione del consiglio delle Orion, che provvederò immediatamente a convocare" disse sbrigativo girando le spalle a Scott "Adesso può andare"
Scott fece schioccare i tacchi e si girò per essere scortato fuori dalle guardie che erano entrate silenziosamente. Stava per uscire dall’ufficio quando sentì Masterson pronunciare poche, raggelanti parole con un tono di voce che non lasciava scampo.
"Le sue palle, generale: se lo tenga in mente"
*          *         *
Avevano rimosso il cadavere del carceriere usando la vecchia tecnica delle bombole narcotizzanti, così che quando si risvegliò Cardinale aveva un mal di testa terribile e una voglia matta di spaccare qualcosa. Se la prese con tutte le crepe dei muri, staccando interi brani di calcinacci polverosi, finché non ripiombò ansante sul lettino, il pitale ancora miracolosamente intero quando le leggi della fisica lo davano da tempo ridotto in mille tristi pezzettini. Non contenta, poco dopo cercò più volte di scardinare il letto dal pavimento con l’unico risultato di ferirsi le mani e spezzarsi due unghie. Allora passò al lavoro di concetto: prese a tastare i muri dal pavimento alla massima altezza raggiunta a braccia tese, auscultando con l’orecchio qualsiasi rumore sordo che indicasse la presenza di un vuoto nella parete. Tutto invano: le pareti erano spesse e solide sotto la friabile intonacatura ormai marcia. Frustrata, ritornò nel lettino e si nascose completamente sotto la striminzita coperta, e nemmeno così si sentì completamente al sicuro dai mille occhi del Mattatoio. Si tolse l’orologio da polso di Madame Desirèe e lo studiò a lungo: il minuscolo chip nascosto nella cassa era di nuovo bloccato, ma con un cacciavite avrebbe potuto rimetterlo a posto. E poi? Per fare cosa? Cardinale pensò febbrilmente, ma tutte le ipotesi che formulò le sembrarono deboli o impraticabili. Si rimise l’orologio al polso, decidendo di studiarlo più tardi, e si alzò dal letto impugnando di nuovo il pitale con un sorrisetto satanico: era ormai ora di cena e lei aveva in lavoretto da compiere.
*          *         *
Il capo carceriere di turno era un ometto piccolo e nervoso e l’inserviente, che era sempre lo stesso della mattina, capì immediatamente che sarebbe successo qualcosa di brutto. Quando arrivò con i suoi vassoi della cena, si rifiutò categoricamente di servire la cella 9, punto e basta. Il capo carceriere passò i successivi dieci minuti a tentare bovinamente di convincerlo, senza riuscirci, e quando finalmente perse la pazienza e si decise a consegnare personalmente il vassoio al prigioniero della cella 9, il suo interfono pigolò insistente.
"Centrale comunica trasferimento in corso: prigioniero da infermeria a cella punitiva"
"Quando?" chiese il carceriere irritato mentre l’inserviente diventava ancora più nervoso.
"In corso" rispose l’interfono, chiudendo la comunicazione.
Il carceriere snocciolò qualche fiacco improperio e si avviò verso la cella 9 per consegnare il vassoio con il pasto.
"Ricordati che questo ti costerà caro, inserviente dei miei stivali" disse il carceriere digitando il codice di apertura della cella la cui parete di pietra scivolò silenziosamente mostrando al di là delle sbarre un silenzioso vuoto sospetto. Il carceriere si chinò con un sospiro e infilò il vassoio nella fessura in basso.
"Visto, fifone? Il prigioniero non ha neanche…"
La sua voce querula si interruppe bruscamente quando una mano sporca e insanguinata sbucò da un lato e, infilandosi fra due strette sbarre della cella, afferrò la nuca del carceriere e fece sbattere con forza la sua faccia contro la grata metallica. Il naso del carceriere si ruppe con un violento spruzzo di sangue, ma l’uomo non svenne: cercò di spingersi lontano, puntellandosi e annaspando con le mani, ma un nuovo strattone lo portò a pochi millimetri dalle sbarre oltre cui una femmina dagli occhi spiritati gli sorrise con aria angelica.
"Adesso ascolta, bastardo, perché mi sono stufata di dirtelo: voglio-parlare-con-il-direttore" disse la donna con voce tranquilla, rendendo, se possibile, ancora più surreale la situazione. Il carceriere boccheggiava, la gola inondata dal suo stesso sangue mentre il naso cominciava a gonfiarsi come un cavolfiore; l’inserviente se ne stava contro la parete, i pugni stretti premuti sulle guance come un bambino spaventato dai fantasmi, quando un soldato uscì dall’ascensore blindato, spingendo svogliatamente una lettiga.
"Trasferimento prigioniero da infermeria" disse con voce annoiata, leggendo la targhetta olografica appesa alla testata della lettiga. Lo accolse un silenzio attonito, spezzato solo dal rumore del corpo del carceriere che urtava contro le sbarre in preda a convulsioni da soffocamento. Il soldato non si era ancora accorto di niente, quando la voce della donna nella cella 9 esplose come una bomba nell’asettico locale.
"PAT!!"
Il corpo sulla lettiga vibrò e si agitò debolmente: il soldato, che aveva fatto un salto di due metri dallo spavento, si guardò intorno smarrito, rendendosi conto solo in quel momento della reale situazione in cui era incappato.
"..iu..to.." boccheggiò il carceriere ormai cianotico ancora trattenuto dalla presa di acciaio di Cardinale che però aveva perso qualsiasi interesse nei suoi confronti e premeva il viso raggiante contro le sbarre, lo sguardo fisso sulla figura sulla lettiga. Il soldato finalmente si sbloccò dalla sua momentanea paralisi e annaspò alla ricerca della pistola sul fianco.
"Tutti fermi!" strillò con voce incerta, ma il prigioniero sulla lettiga si alzò a sedere lentamente, tenendosi stretta la testa con le mani.
"Oh…che mal di testa…cosa diavolo ho bevuto per ridurmi così…?" biascicò verso nessuno in particolare.
"Pat!! Sono io, Jude!" gridò di nuovo la ragazza mentre, assurdamente, grosse lacrime di felicità le rigavano le guance sporche.
Il prigioniero sulla lettiga girò la testa verso di lei, lentamente.
"Jude…?" domandò Patterson, perplesso.
Il soldato era finalmente riuscito ad estrarre la pistola che gli venne immediatamente presa e sbattuta in faccia dall’enorme mano del prigioniero che si era mosso fiaccamente ma con micidiale mira senza quasi accorgersene, mosso più dall’istinto che dalla ragione. Il soldato cadde a terra, lamentandosi debolmente. Patterson invece tentò di alzarsi in piedi e per poco non stramazzò a terra, legato com’era alla lettiga da pesanti cinghie di cuoio. Rinunciò all’impresa e girò lo sguardo ancora vacuo verso Cardinale al di là delle sbarre.
"Hei…bertuccia…"
"Hei, bisonte" rispose Cardinale cominciando a singhiozzare.
"Che hai fatto ai capelli?" domandò Patterson con voce sognante.
"Qui non c’è un parrucchiere nemmeno a pagarlo oro" rispose Cardinale scrollando senza nemmeno pensarci il carceriere che si muoveva sempre più debolmente.
"Dove siamo?" mormorò Patterson
"Nel Mattatoio" rispose Cardinale dopo un breve silenzio "In una DDW"
"Oh. E come te la passi?"
"La stanza è spaziosa ma il servizio fa schifo. Volevo protestare col direttore, ma non vuole parlarmi"
"Se li tratti tutti come stai trattando quel povero Cristo, li capisco" disse Patterson indicando il carceriere. Cardinale allora si ricordò di avere per le mani la gola di un uomo e mollò la presa. Il carceriere cadde a terra come un silenzioso sacco di patate.
"Garrie?" chiese Patterson e Cardinale scosse la testa.
"Non lo so. Forse lo devono ancora portare qui"
"Oh…allora aspettiamo la rimpatriata completa prima di festeggiare vuotando il frigo bar" sussurrò Patterson chiudendo gli occhi esausto.
Cardinale annuì, incurante del soldato che si era faticosamente alzato in piedi, aveva di nuovo brandito la pistola e blaterando minacce e improperi, si era avventato sulla tastierina di fianco alla cella 9, digitando come un pazzo i numeri del codice di chiusura.
"E’ stato bello vederti, Pat. Non sai quanto" disse Cardinale aggrappata alle sbarre mentre la parete di roccia si richiudeva silenziosamente coprendole la visuale dell’amico legato alla lettiga. Patterson alzò una mano fiaccamente in segno di saluto, poi svenne, piegando dolcemente la testa da un lato.
Il soldato, ansimante, si guardò intorno, incredulo: il carceriere, sdraiato a terra, boccheggiava e rantolava imbrattando il pavimento di sangue come un maiale sgozzato; l’inserviente se ne stava ancora premuto contro la parete, muto e con gli occhi sbarrati; il prigioniero dormiva come un bambino, russando leggermente.
"Cosa cavolo è successo qui?" gridò rivolto al soffitto mentre, con tempismo perfetto, iniziavano a squillare le sirene d’allarme.
  
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