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Autore: L_Fy    05/09/2011    1 recensioni
Cosa riserva il futuro all'umanità? La Terra sta lentamente scivolando verso l’autodistruzione e prima o poi le risorse primarie si esauriranno. Per tali motivi, in un futuro non troppo lontano, l'umanità si è vista costretta a partire verso le volte dell'universo, alla ricerca di un altro pianeta abitabile. E’ quindi questo il compito delle 4 enorme navi spaziali chiamate Orion che dopo essere uscite dal sistema solare hanno perso contatto con il loro pianeta madre.
Genere: Azione, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il segretario del signor Masterson vide comparire il Runner Benedict sullo schermo dell’olo-visore. In un crescendo di panico ed orrore, lo sentì spiattellare alla nazione tutto quello che sapeva sulla Fabbrica, sul Mattatoio, sui Runners nati e morti per la causa della Corp. e decise che era ora di tagliare la corda. Al diavolo il signor Masterson, pensò agitato mentre buttava qualche indumento in una piccola valigia di emergenza. Ma dove? Dove andava la gente sulle Orion che non voleva essere trovata? Da nessuna parte, maledizione, da nessuna maledettissima parte. Una delle leggende metropolitane diceva che sotto alle Orion esisteva un sottobosco di umanità, gente fuggita in qualche modo dalla struttura vivibile delle navi spaziali che viveva, anzi, sopravviveva malamente, attorno ai motori e alle sale macchine delle Orion. Ma lui non sapeva se esistevano davvero questi posti, né come arrivarci. E poi, non era fatto per sopravvivere all’ombra della vita vera. Mollò depresso la valigia sul letto e si sedette sospirando. Presto lo sarebbero venuti a prendere, lo sapeva. Non aveva nessuna possibilità di scamparla, ne era perfettamente cosciente. L’unica vaga soddisfazione era di sapere che a finire nei guai per primo sarebbe stato il caro, generosissimo signor Masterson.
*          *          * 
Damon faticava a mantenere il caccia in rotta: il Mattatoio aveva attivato il dispositivo di repulsione magnetica e , nonostante il caccia fosse già al di qua della barriera, il campo magnetico destabilizzava tutto gli strumenti che infatti sibilavano impazziti.
“Tieniti forte, Alicia!” gridò Damon aggrappato alla cloche che vibrava come la criniera di un cavallo imbizzarrito. Alicia si attaccò ancora più saldamente ai comandi del mitragliatore.
“Stiamo finendo contro il Mattatoio!” urlò di rimando con la voce piena di panico.
Damon cercò di correggere la rotta, inutilmente. Il suo sguardo febbrile scrutava la parete liscia del Mattatoio in cerca di un punto debole, di un appiglio per non schiantarsi contro la massiccia fiancata, quando vide il ponte da cui erano partiti i caccia che li avevano attaccati. Con una brusca virata lasciò che la navicella si impennasse a tutta velocità e puntò il muso verso il ponte. Dal Mattatoio continuavano a sparargli contro all’impazzata, ma ormai erano troppo vicini per essere colpiti senza produrre danni anche al Mattatoio stesso.
“Che diavolo fai!” balbettò Alicia in un singhiozzo disperato, mentre l’ala del caccia sfiorava la parete di titanio della nave spaziale con un suono raccapricciante, come gesso sulla lavagna.
Damon non rispose: tutti i suoi sensi erano tesi a comandare al caccia di non schiantarsi prima di essere arrivato al  ponte. Per qualche miracolosa alchimia, andò proprio così: sotto gli occhi stupefatti degli operatori sul ponte, il caccia si infilò dentro al Mattatoio a velocità folle.
*          *          *
Il dottor Jones e l’infermiere smisero di darsi da fare con flebo e sensori quando videro sullo schermo olografico la morte di Cardinale. Il dottor Jones si sedette di schianto sulla sedia, affranto dall’ennesimo insuccesso. L’infermiere si passò la mano sul viso, diventato di colpo più vecchio. Inutile: per quanto potessero essere professionali, alla morte non ci si abitua…Quasi non si accorsero che improvvisamente si erano messi a strombazzare gli allarmi generali. Un brusio sorpreso si propagò tra gli abitanti del Mattatoio mentre la voce impersonale dell’interfono attirava la loro stupefatta attenzione.
“A tutto il personale: attacco nemico in corso. Ripetiamo, attacco nemico in corso. Siete pregati di raggiungere le postazioni di emergenza. Ripetiamo, attacco nemico in corso. Siete pregati…”
Jones e l’infermiere ignorarono l’interfono. Col fiato sospeso puntarono gli occhi sull’ ECG, che mandava deboli, lenti singulti di morte. Aspettarono avviliti che il tratto irregolare diventasse una lunga, deprimente linea continua , ad indicare la morte reale del corpo agonizzante della giovane donna.
Aspettarono.
E aspettarono. 
*          *          *
Elijah e Morales si trovarono nel bel mezzo di un gruppo di Runners senza nemmeno accorgersene. Un attimo prima stavano correndo come pazzi per questo corridoio infinito, un attimo dopo dal buio erano sbucati quattro Runners che chiacchieravano rilassati. Uno fumava una sigaretta appoggiato mollemente al muro, due discutevano animatamente e per fare questo avevano appoggiato le armi a terra, l’ultimo si era seduto sui talloni e controllava lo stato del suo caricatore, pensoso. Elijah e Morales piombarono silenziosi in mezzo a loro che rimasero pietrificati dalla sorpresa. A dire il vero, anche Elijah per poco non si stampò contro la parete, sbalordito. Morales, mantenendo il suo sangue freddo, fu il più lesto di tutti: imbracciato il mitragliatore, sventagliò una salva di proiettili contro i quattro ignari Runners che crollarono a terra prima ancora di rendersi conto di essere moribondi. Il rumore degli spari sembrò fortissimo: dopo il silenzio ovattato del corridoio, Elijah si sentì scuotere dentro alla testa dal suono improvviso. Lui e Morales si guardarono per un attimo, attoniti. Poi si spostarono guardinghi poco più avanti nel buio, dove c’era una porta semiaperta. Entrarono senza esitazione, in allerta e pronti a qualsiasi evenienza. Erano in una stanza polverosa e piena di cianfrusaglie, quasi sicuramente uno spogliatoio e uno sgabuzzino. Giungevano attutite ma decisamente più forti che nel corridoio, le voci e i rumori di gente concitata. Stavano per gettarsi da quella parte quando scattarono le sirene dell’allarme generale, facendo prendere un mezzo infarto ad entrambi dallo spavento.
“A tutto il personale: attacco nemico in corso. Ripetiamo, attacco nemico in corso. Siete pregati di raggiungere le postazioni di emergenza”
Elijah pensò subito a Damon, e Morales annuì, sorridendo.
“Credo che sia opera del nostro salvatore” disse salottiero “Che ne dici di inserirlo nella Tau Centauri quando ci ritroveremo in paradiso, cioè tra poco?”
Elijah non lo sentiva neanche: stava correndo verso l’Arena e dentro aveva un bruttissimo presentimento…                    
*          *          *
Nell’Arena, la scena sembrava essersi assurdamente congelata: Cerberus se ne stava in piedi a gambe divaricate, immobile, senza quasi respirare, il braccio sollevato a sostenere il corpo di Cardinale che ciondolava come vecchia bambola di pezza. Sul palco, gli spettatori si gustavano il loro momento da sanguisughe di adrenalina, gli occhi sbarrati dall’orrore che avevano tanto agognato. Nella gabbia Garrie e Patterson erano cristallizzati sul posto e pregavano, pregavano che quel momento non finisse mai. Nemmeno respiravano, per non rendere reale quello che avevano appena visto. Ma il tempo, inclemente, strattonò inesorabile la realtà verso il suo corso e anche quel momento passò. Cerberus abbassò lentamente il braccio, guardandosi attorno con aria smarrita. Prese ad ansimare velocemente mentre si guardava le mani, come stupito di trovarsele attaccate al resto del corpo. Fissò il corpo di Cardinale tra le sua braccia, la testa bruna reclinata sulla spalla, gli occhi spalancati in una espressione di eterna sorpresa e, lasciando tutti di sasso, iniziò a sghignazzare istericamente. La sua risata gutturale si fece sempre più forte, fino a rimbombare in tutti gli angoli dell’Arena, ghiacciando il sangue nelle vene di tutti i presenti. I soldati si lanciarono sguardi perplessi e si allontanarono di qualche passo, disgustati. Gli spettatori sul palco ripresero il loro brusio, vagamente vergognosi di trovarsi lì. Garrie scivolò lentamente in ginocchio, muto, con le mani aggrappate alle sbarre. Chiuse gli occhi mentre una smorfia di indescrivibile dolore gli deformava il viso. Patterson, invece, si era fatto di colpo attento: con gli occhi sbarrati, fissava Cerberus con una assurda espressione sorpresa sulla faccia, gli occhi brillanti di inconsapevole speranza.
“Non può essere…” mormorò a se stesso a fior di labbra.
Ad un tratto, Cerberus afferrò il corpo senza vita di Cardinale e lo sollevò in alto sulle braccia, emettendo un feroce ruggito di vittoria che fece incassare la testa nelle spalle a tutti i presenti. Con un poderoso sforzo delle braccia, gettò il cadavere contro il palco da cui si alzarono spaventati schiamazzi di disgusto e di sorpresa . Poi scattò sulle gambe, incredibilmente più fluido e leggero di quanto fosse mai stato: in un lampo Cerberus fu addosso al soldato più vicino, gli aveva spezzato la testa con un gesto fulmineo delle mani e si era impossessato del suo mitragliatore che ora puntava con decisione verso gli altri increduli soldati. Garrie, al trambusto, aveva riaperto gli occhi e osservava la scena con un’espressione assente. Patterson, invece, aveva gli occhi sempre più sbarrati mentre un lento, incredulo sorriso gli saliva lentamente alle labbra.
“Non può essere…” ripeté, questa volta un po’ più convinto.
Cerberus intanto, approfittando del momento di confusione e di immobilità dei soldati, aveva strappato le chiavi della cella dalla mano di uno di loro, prima di tramortirlo con una manata micidiale. Svelto come un ratto, si girò verso Patterson e gli lanciò le chiavi che l’uomo prese al volo più per riflesso incondizionato che per bravura. Per un attimo, Cerberus e Patterson si guardarono negli occhi. Poi Cerberus sorrise, un ghigno orribile che gli arricciò le labbra sui denti guasti. Sollevò un braccio davanti al viso e Patterson vide con chiarezza l’orologio di madame Desirée malamente agganciato al suo enorme polso e il suo cuore volò in alto, così in alto che quasi lo sentì scoppiare.
“E chi s’è visto s’è visto, nonnina!” urlò Cerberus con un vocione cavernoso e arrugginito.
*          *          *
Il dottor Jones quasi non credeva ai propri occhi: girava lo sguardo dall’ECG che lentamente riprendeva a segnalare un battito regolare, all’olo-schermo, dove la ragazza nelle mani di Cerberus era inequivocabilmente morta.
“Che succede…?” mormorava tramortito l’infermiere, attonito.
Non fecero in tempo a parlarne: la porta stagna si aprì, silenziosa, lasciando passare tre soldati che brandivano le armi e sembravano piuttosto concitati.
“Maledizione, non avete sentito l’interfono?” strepitò il primo che era chiaramente il capo.
Il dottor Jones girò su di lui uno sguardo sorpreso ma anche un po’ assente.
“Lei non capisce” disse con voce misurata “Stiamo assistendo ad un miracolo della scienza. Siamo riusciti a …”
“Non me ne frega niente, nemmeno se avete trovato l’elisir di eterna giovinezza” tagliò corto rude il Runner, afferrando Jones e l’infermiere per un braccio e strattonandoli verso l’uscita “Conoscete bene le regole: allarme generale vuol dire tutti verso le aree di sfollamento, subito. E voi siete ancora qui”
“Dottore, vedo attività motoria nel cadavere” disse l’infermiere eccitato che controllava ancora gli strumenti.
Jones guardò l’olo-schermo e vide il cadavere della ragazza immobile ai piedi del palco, accartocciato in una posizione impossibile. Poi vide gli strumenti che segnalavano una chiara attività fisica.
“Come fa a muoversi se sta fermo?” borbottò stupefatto, mentre i Runners lo trascinavano di nuovo verso l’uscita. D’un tratto, fu colto da illuminazione e strattonò il braccio liberandosi dalla presa del soldato.
“Ho capito!! La ragazza non è più nel suo corpo!! Ha cambiato digi-alias e adesso è dentro a Cerberus!!”
In quel momento, la stanza vibrò violentemente e per poco il dottor Jones non finì a terra lungo disteso.
“Maledizione, lo vuoi capire o no che stiamo subendo un attacco nemico?” sbraitò il Runner, più spaventato che arrabbiato “Dobbiamo andare tutti verso le aree di sfollamento, adesso!!”
“Ma dobbiamo avvisare…” protestò Jones, ma fu interrotto da una nuova vibrazione sorda, seguita da una sirena fortissima.
“Ponte 10 in avaria. Ponte 10 in avaria..” blaterava la voce all’interfono, assurdamente tranquilla nella baraonda che si stava creando. Il dottor Jones intuì finalmente che poteva anche stare per rimetterci al pelle. Così chiuse di scatto la bocca e smise di fare resistenza ai soldati.
“Andiamo” disse, pensando fuggevolmente che gli alti papaveri della Corp. erano benissimo in grado di cavarsela da soli.
*          *          *
Per un attimo, Damon credette davvero di aver esaurito il suo tempo su questa terra: il caccia entrò sparato dentro all’angusta apertura del ponte 10 proprio mentre questo si stava chiudendo. L’ala del caccia cozzò violentemente contro l’orlo del ponte scatenando una luminosa esplosione dal rumore spaventoso. Il caccia proseguì la sua folle corsa tutto inclinato a causa dell’urto, strisciando la carlinga del veicolo contro la pista di atterraggio con una marea di scintille. Gli operatori sul ponte schizzarono via schiamazzando mentre il veicolo danneggiato gli arrivava addosso circondato da un alone di fuoco. Ancora aggrappato alla cloche dei comandi, Damon vide fuggevolmente Alicia che si copriva la testa con le braccia mentre tutto intorno gli strumenti di bordo esplodevano in nubi di scintille roventi. Il caccia arrivò sul fondo del ponte e si schiantò con una nuova esplosione contro le porte stagne, che si ammaccarono lasciando uscire con un sibilo l’aria contenuta al di là di esse. Altri allarmi scattarono e il ponte 10 fu immediatamente isolato mentre le fiamme che avvolgevano il caccia si spegnevano in una nuvola di fumo denso e acre. Per qualche secondo, la scena si cristallizzò in una nube grigiastra mentre il silenzio, improvviso ed inatteso, veniva accompagnato dal discreto ticchettio della lamiera che si raffreddava. All’interno del caccia, Damon inalò un primo, tremulo respiro, accorgendosi che già da un po’ gli mancava l’aria. Cercò di staccare le mani dalla cloche e non fu troppo sorpreso di scoprire che non ci riusciva. Alicia si azzardò appena a muovere le spalle, scrollandosi leggermente di dosso i pezzi di strumenti e armi che la avevano quasi sommersa durante l’atterraggio.
“Alicia?” gracchiò Damon che sentiva arrivare la voce più o meno dal fondo dei piedi.
Alicia si scrollò ancora e sollevò leggermente la testa scostandosi dal viso la matassa di capelli arruffati. Guardò Damon con occhi ancora increduli e pieni di terrore.
“Che succede?” fiatò senza voce.
Damon cercò di nuovo di parlare, ma non ci riuscì: una risata strozzata lo squassava da dentro come una tosse stizzosa e gli uscì dalle labbra come il raglio di un asino. Alicia lo seguì poco dopo, ridacchiando istericamente mentre gli occhi sbarrati giravano tutto intorno all’abitacolo, incapaci di credere a quello che vedevano.
“Siamo ancora vivi, Licie” ansimò Damon, incredulo.
Alicia annuì mentre grosse lacrime silenziose le rigavano le guance. Si alzò barcollante, facendo una smorfia di dolore quando cercò di muovere un braccio che, ferito, perdeva copiosamente sangue. Si avvicinò ai lettini su cui erano sdraiati immobili Elijah e Morales e, dopo una fuggevole occhiata agli strumenti, sospirò di sollievo.
“Sono ancora vivi anche questi due disgraziati” mugugnò scatenando una nuova selva di risatine da parte di Damon. Un leggero raspare li mise di nuovo all’erta: sentirono chiaramente le voci concitate dei Runners della sicurezza che stavano per forzare l’apertura del caccia e catturarli. Come mossi da un unico pensiero, Damon e Alicia si alzarono barcollanti e doloranti e afferrarono le prime armi che trovarono in giro.
“Andrà tutto bene” disse Damon con un sorriso fiducioso “Se siamo sopravvissuti fino ad ora, stai certa che non saranno quattro stupidi pivelli della Corp. a farci fuori”
“Vedremo, compare” mormorò Alicia ed insieme si prepararono a ricevere gli ospiti.
*          *          *
Nell’Arena, la gente presente era ancora completamente in stato confusionale. Fu un attimo per Cerberus falciare la prima fila di Runners armati che se ne stava in piedi con aria imbambolata a guardare mentre Patterson apriva la porta della cella e usciva con un urlo poderoso. Quando il primo sangue rosso colorò la terra dell’Arena, tutto sembrò subire una lenta e inesorabile accelerazione.
I Runners iniziarono a correre fuori dall’ingresso dell’Arena, cominciando a sparare più in aria che ai prigionieri.
Garrie si era coperto la testa con le braccia, ma quando una raffica di mitragliatrice gli sfiorò i piedi, si sollevò di scatto con gli occhi turchini che brillavano di autentica ira.
“Adesso mi avete proprio rotto!” disse con un tono di rimprovero che non ammetteva repliche: schivò un’altra raffica e stese con un pugno ben piazzato il Runner che tentava di richiudere la porta della cella. Gli afferrò il fucile laser con un ottuso mormorio di ringraziamento e cominciò anche lui a sparare, seguendo la scia di Patterson che si era allontanato verso il centro dell’Arena.
Cerberus, che aveva approfittato fino all’ultimo della confusione iniziale per far fuori quanti più Runners poteva, agitò un braccio per attirare la loro attenzione.
“Garrie, Pat!! Il palco!” ululò con il suo vocione cavernoso.
Senza attendere risposta girò loro le spalle e iniziò a correre verso il Palco su cui era in atto un vero e proprio attacco di panico collettivo. Gli ospiti illustri erano stati gli ultimi a sbloccarsi dall’immobilità che aveva avvolto l’Arena: ancora non avevano capito niente di cos’era successo, tranne che erano in pericolo. Si stavano spintonando selvaggiamente per raggiungere per primi il de-digitalizzatore quando Cerberus arrivò ai piedi del palco dove giaceva ancora riverso il cadavere di Cardinale in una pozza di sangue. Con un grido di vittoria, Cerberus fece per sparare ma dopo aver sputato due brevi raffiche l’arma si scaricò del tutto.
“Accidenti!” strepitò il colosso “Masterson! Figlio di un cane, vieni fuori se hai il coraggio!”
La gente sul palco, stretti vicini come un gregge di pecore, ondeggiò all’unisono mentre si guardavano l’un l’altro, in cerca di Masterson. Lo avrebbero consegnato su un piatto d’argento, pur di cavarci salva la pelle. Ma Masterson non saltò fuori.
Con un grido rabbioso di frustrazione, Cerberus gettò via il fucile e si girò di scatto per cercare un’arma alternativa.
Fu così che si trovò faccia a faccia con Elijah e Morales.
*          *          *
Dal corridoio buio erano passati attraverso lo spogliatoio senza quasi essere fermati: poi, all’improvviso, Morales gridò ed Elijah si trovò circondato da una pioggia di proiettili roventi che sibilavano intorno alla sua testa come mosche impazzite. Rotolando a terra e sparando alla cieca, riuscì a percorrere i metri che lo separavano dalla porta. Morales lo seguì e nella manovra fu colpito alla gamba. Cadde a terra di schianto ed Elijah lo afferrò per un braccio trascinandolo al sicuro e, contemporaneamente, strappandosi dolorosamente i muscoli del braccio. La faccia di Morales era una maschera di dolore ed Elijah strappò freneticamente la stoffa del pantalone all’altezza della ferita, tirando subito dopo un inconsapevole respiro di sollievo.
“E’ solo un graffio, hijo” borbottò ansimante stendendo due Runners che gli erano arrivati quasi addosso.
Morales annuì e si rialzò in piedi, zoppicando.
“Di là” disse lanciandosi verso quello che sembrava l’ingresso principale di qualcosa, da cui arrivava tutta la luce ed il rumore. Arrivarono nell’Arena lanciatissimi e fotografarono la scena surreale che gli si presentò bloccandosi di colpo sul posto.
La terra battuta dell’Arena era coperta di cadaveri e feriti rantolanti. Il sangue sembrava essere spruzzato dappertutto rendendo anche la luce stessa un velo rosso che copriva tutte le cose. Sulla destra, una gabbia aperta. Al centro dell’Arena, Garrie  e Patterson, armati e miracolosamente illesi. Sul palco, una frotta di gente spaventata e starnazzante. Ai piedi del palco, un energumeno urlante che sparava verso il palco. Ai suoi piedi, accartocciato e buttato lì come un inutile sacco vuoto, il cadavere di Cardinale.
Il tempo si fermò di nuovo. Almeno per Elijah. Tutto intorno divenne un’accozzaglia di rumori attutiti coperti da un pesante panno rosso. I contorni della figura di Cardinale divennero nitidi, i particolari risaltarono come perle sul fondo del mare: il groviglio di capelli scuri che copriva pietosamente la faccia; le unghie della mano destra tutte sporche di sangue e strappate quasi fino all’osso; le piante dei piedi sporche di terra rossa; la striscia umida di urina che le era corsa lungo la coscia quando le avevano ceduto i visceri. Elijah sentì qualcosa di rovente pugnalargli il petto all’altezza del cuore. Non riusciva a distogliere gli occhi dal cadavere e non riusciva a pensare a nient’altro che non fosse “Perché l’hanno lasciata lì in mezzo, abbandonata e scomposta come una bambola di pezza…?”. Lei non poteva starsene in disparte, ignorata e sola. Lei non poteva essere quell’inutile mucchietto di stracci. Lei non poteva…lei non era morta.
Confusamente sentì che qualcuno vicino a lui urlava con quanto fiato aveva in gola e si accorse, blandamente sorpreso, di essere lui stesso.
In quel momento, il gigante che sovrastava Cardinale gettò via la sua arma scarica con un ruggito rabbioso. Si girò verso l’ingresso e vide Elijah.
Elijah vide l’energumeno bloccarsi sul posto, trasecolato. Alzò il fucile, meccanicamente, mentre da lontano sentiva le voci concitate di Patterson e Garrie. Puntò il fucile verso il gigante che era diventato improvvisamente una statua di sale.
*          *          *
Garrie stava sparando, senza prendere troppo la mira, sul branco di Runners che usciva dall’ingresso. In mezzo alla bolgia di tute argentate dei soldati, scorse due figure uscire dall’ombra, circondate da una selvaggia pioggerella di proiettili tutto intorno. Li riconobbe con un tuffo al cuore che credeva di non poter più provare: Elijah e Morales.
“Hei!” cercò di gridare, ma la gola si era stretta in una morsa che, dopo tutte le emozioni degli ultimi minuti, era certo di non riuscire a gestire.
Anche Patterson li vide e, assurdamente, scoppiò a ridere allegro come un folletto ubriaco.
“Che il diavolo vi porti!” tuonò senza smettere di sparare “Elijah e Morales!!”
Ovviamente, nessuno dei due lo sentì. Tenevano gli occhi inchiodati sul cadavere di Cardinale e Patterson sentì l’allegria abbandonarlo di colpo per far posto a una fredda, dilagante angoscia. Con orrore, vide la faccia di Elijah trasformarsi in una maschera di gesso mentre il suo braccio si alzava lentamente, puntando il fucile contro Cerberus.
“Fermo, Elijah!!” gridò disperato.
Ma Elijah non lo stava ascoltando.
*          *          *
Damon e Alicia aspettavano, ansimanti e rassegnati, che i Runners riuscissero a forzare il portellone del caccia e invadessero l’abitacolo. Erano stanchi e demotivati, ma ancora convinti di mettercela tutta fino in fondo. Si strinsero uno accanto all’altro, inconsapevolmente bisognosi della reciproca presenza. Quasi non si accorsero che il tramestio fuori dalla porta era cessato all’improvviso. Saggiarono il silenzio per alcuni secondi, sospettosi, prima che la voce di un potentissimo interfono li facesse sobbalzare dalla sorpresa.
“Qui parla la squadra Delta Centauri: la navetta H1WJ9 e tutti i suoi abitanti sono in immediato stato di fermo per ordine del consiglio supremo delle Orion. Deponete subito le armi e non vi sarà fatto alcun male”
Il comunicato fu ripetuto ancora e Damon si azzardò a sbirciare al di fuori del vetro scheggiato della plancia del caccia: sul ponte 10 tutti i Runners della Corp. ed i tecnici del Mattatoio se ne stavano a braccia alzate, guardandosi intorno con le facce attonite di chi non sa come uscire da un incubo spaventoso. Erano circondati da Runners armati con la divisa color oro della guardia speciale del consiglio delle Orion che continuavano a sbarcare a frotte da una navetta atterrata silenziosamente di fianco al caccia demolito di Damon e Alicia. I due guardarono per un bel po’ la scena, cercando di assimilarne il concetto. Quando ci riuscirono si scambiarono uno sguardo speranzoso mentre l’interfono continuava a decretare la resa del Mattatoio. Dopo un lungo silenzio, Damon allungò un braccio e Alicia gli volò al collo, stringendosi a lui fino a fargli quasi male.
“Ce l’abbiamo fatta” mormorò Damon sui suoi capelli, incredulo e stordito. Rimasero a lungo così, incuranti di tutto e di tutti, ringraziando con quell’abbraccio Dio di essere ancora vivi.
*          *          *
Elijah si sentiva completamente intorpidito, come se si fosse svegliato nel bel mezzo di un sogno in cui era sonnambulo. Vide Cerberus alzare lentamente le mani, con movimenti appesantiti come se si muovesse dentro l’acqua. Non tentava di attaccarlo: si riparava semplicemente, come una vittima sacrificale che aspetta l’inevitabile colpo di grazia. Ma tutti si muovevano nell’acqua: anche Patterson che aveva mollato il suo fucile e stava correndo verso di lui, urlando parole incomprensibili che non scalfivano nemmeno il guscio di orrore che si era costruito intorno ad Elijah. Anche le pallottole che sibilavano tutto intorno, si poteva vederne la scia luminosa che fendeva l’aria, come mille lucciole impazzite. Anche Morales che guardava ora Elijah ora Patterson con uno sguardo smarrito.
“Fermo, capo!! E’ Cardinale!! Non sparare!!” urlava Patterson.
Elijah non lo sentiva. Aveva stampato sulla retina il fagotto informe del corpo di Cardinale e la testa stava per scoppiargli, incapace di contenere l’enormità di quell’immagine. Alzò ancora di più il fucile fino ad avere il gigante sotto tiro.
“NO!!” ruggì Patterson.
“Noooo!” gridò Garrie ignorando le pallottole che gli sibilavano intorno.
“No…” mormorò Morales, incerto, quasi nello stesso momento.
“No” sillabarono le labbra mute di Cerberus.
Elijah sparò.
  
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