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Autore: adamantina    06/09/2011    2 recensioni
Sono passati tre anni da quando Vanessa, Damien, Lily, Charlotte, Blake, Arthur e Jonathan si sono separati con l’intenzione di tornare alla loro vita normale. Ma cosa significa normale per chi è dotato di poteri che potrebbero cambiare il mondo? Blake non si è arreso e continua a lottare. Ma anche chi ha da tempo rinunciato a combattere per un mondo più giusto dovrà tornare in campo quando le persone a lui più care saranno minacciate …
«Non puoi biasimarci per averne voluto restare fuori, Blake. Quello che tu stai facendo è fingere di essere ancora al Queen Victoria’s, e ti rifiuti di andare avanti con la tua vita. […]»
«Stavo cercando di impedire un omicidio!»
«Sei un idealista» taglio corto, incrociando le braccia. «Ammettilo, lo sei sempre stato. E credo che il tuo vero scopo sia riportare Lily sulla retta via. Ammettilo, ancora ci speri […].»
Genere: Dark, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Queen Victoria's College'
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~NOTHING I CAN DO~

 

[Arthur]

 

Passano tre giorni.
La routine è più o meno sempre la stessa: continuo ad andare al lavoro –abitudine acquisita solo dopo aver ri-incontrato Damien, che disapprovava fortemente il fatto che mi teletrasportassi fuori dai negozi senza pagare- ma, a fine giornata, invece di tornare a casa vado a Baltimora, in ospedale.
Damien non sembra migliorare. La febbre va e viene, la tosse non smette, mangia pochissimo e continua a perdere peso.
L’unica cosa che mi fa sentire sollevato è saperlo nelle migliori mani possibili … anche se sono quelle piccole,  smaltate e dotate di artigli di quella stronza di Charlotte.
La terza sera, dopo una doccia veloce, chiudo casa e mi teletrasporto nella camera di Damien. Lui non si scompone troppo –all’inizio mi malediceva ogni volta che lo coglievo di sorpresa, ma poi ci si è abituato.
«Ciao. Com’è andata al lavoro?» mi chiede con naturalezza, come se fossimo a casa e dovessimo semplicemente raccontarci di un giorno qualunque.
«Tutto bene» rispondo automaticamente, chinandomi a baciarlo, anche se non è vero. Il mio capo, infatti, ha notato quanto ero assente e mi ha convocato nel suo ufficio, minacciandomi con il licenziamento. Ma questo non posso dirlo a Damien, visto che lui è attualmente in malattia e, se dovessi perdere il lavoro, resteremmo senza entrate. «E tu?»
«Niente di nuovo.»
Mi siedo sulla solita sedia di plastica e lo osservo con attenzione. Le occhiaie sul suo viso sono ancora più profonde, e se gli sollevassi la maglietta potrei contare le costole. Mi fa male il cuore a vederlo così, ma continuo a ripetermi che è solo questione di giorni prima che Charlotte trovi una cura.
«Hai finito?» mi domanda, irritato.
«Di fare cosa?»
«Di fissarmi.»
«Perché dovrei? Sei bellissimo.»
«Almeno non prendermi in giro.»
Il suo tono ferito mi fa sussultare.
«Sto dicendo sul serio, Damien.»
Lui borbotta qualcosa di indistinto che suona un po’ come “cazzate”.
«Per me sei bello sempre e comunque, Dam. Smettila di fare il finto modesto, lo sai anche tu.»
Gli strappo un mezzo sorriso insieme ad un bacio, e in quel momento si apre la porta.
«Scusate» dice Charlotte «Vi ho interrotti?»
Ho già la risposta sulle labbra: un freddo “sì, vattene, per favore”, ma due cose mi fermano. Primo: la gomitata di Damien nelle costole. Secondo: l’espressione sul viso di quella vipera … cioè, di Charlotte.
«No» rispondo. «Che succede?»
«Ho esaminato i risultati dei test.»
Mi drizzo subito sulla sedia, istintivamente. Osservo Charlotte con più attenzione, e noto le sue mani tremanti che stringono con forza una cartellina, gli occhi sfuggenti, le labbra strette.
«Credo … anzi, sono praticamente certa di aver capito di cosa si tratta.»
«Cos’è?» chiede Damien, e il suo tono è talmente deciso che Charlotte non può fare a meno di rispondere senza giri di parole.
Si morde il labbro, abbassa gli occhi.
«AIDS» risponde.
Ecco. Quattro lettere che hanno più potere di una bomba atomica.
I miei occhi saettano automaticamente verso Damien, prima ancora che il mio cervello faccia qualunque deduzione o elabori un pensiero razionale.
Damien fa un respiro profondo e improvviso, come se l’avessero colpito con un proiettile. Non incrocia il mio sguardo, ma abbassa gli occhi sulle lenzuola.
E io … io rimango lì immobile, guardando tutto come se fossi all’interno di una bolla. Vedo Charlotte muovere le labbra, ma non sento cosa dice. Ho bisogno d’aria. Ho bisogno di risposte. Ho bisogno di Damien.
Non riesco neanche a pensare. Tutto quello che ricordo su quella malattia è qualche immagine vista alla TV.
«Cosa vuol dire?» domando, interrompendo qualunque cosa stia dicendo Charlotte.
Lei mi guarda per un momento prima di rispondere, infilando nel discorso talmente tanti termini medici che non riesco a seguirla per più di venti secondi.
«C’è una cura?» chiedo, interrompendola ancora.
Quando comincia a blaterare di medicinali e cure sperimentali, capisco in fretta il nocciolo della questione.
La verità è che non c’è.
Guardo Damien come in trance. È ancora nella stessa posizione di prima, lo sguardo fisso sulle lenzuola, perso nel nulla.
E, del tutto inaspettatamente, sento un bisogno urgente di restare da solo con lui.
«Charlotte, vattene» le chiedo, ma suona più come un ordine.
Lei non obietta: annuisce e se ne va in silenzio.
Non appena la porta si chiude, mi volto verso Damien. Vorrei dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma ho un nodo in gola e la sensazione che, se parlassi, mi metterei a piangere.
Mi siedo sul bordo del letto e lo guardo. Quando finalmente riesco ad incrociare il suo sguardo, non vedo altro che una cupa rassegnazione. Ed è questo che mi fa crollare. Serro gli occhi, ma non sono abbastanza rapido da impedire alle lacrime di uscire.
Damien spalanca gli occhi, incredulo.
«No» mormora «Ti prego, Art, non piangere.»
Ma, anche se accontentarlo è tutto ciò che vorrei, non riesco ad impedirmelo.
Mi mordo il labbro e mi volto, lottando con furia per recuperare il controllo. So che non è di questo che ha bisogno, adesso. Ha solo bisogno che io sia forte e sorrida e gli dica che andrà tutto bene.
Anche se non è così.
E allora stringo i pugni, respingendo le lacrime, ma è semplicemente troppo e non ce la faccio.
Sento che Damien mi appoggia le mani sulle spalle, ma ancora non riesco a girarmi per guardarlo negli occhi. Restiamo così a lungo, in silenzio, finché non riesco finalmente a ricacciare tutte le emozioni dentro di me e soffocarle.
Allora, dopo essermi asciugato gli occhi quasi con rabbia, mi volto verso Damien.
«Mi dispiace» dico.
Lui scuote la testa. Non riesco a capire cosa prova, la sua espressione è impenetrabile.
«Andrà tutto bene» sussurra.
«Dovrei essere io a consolare te» gli faccio notare.
«Non è scritto da nessuna parte.»
«Probabilmente in qualche rivista psicologica che legge solo Charlotte.»
Sorride e torna ad appoggiare la testa sul cuscino, stanco.
«Sai cosa significa questo, Art?» domanda dopo qualche secondo di silenzio.
«Cosa?»
«Che potrei davvero morire.»
Stringo gli occhi.
«Non dirlo» sibilo.
Lui sospira.
«È la verità» mormora, la voce bassa, gli occhi chiusi.
«Puoi combatterla» dico a denti stretti. «Non lascerò che tu … non succederà. Farò qualunque cosa … qualunque, hai capito? Non dire più una cosa del genere.»
Damien non aggiunge altro e in breve tempo si addormenta.
Lo osservo a lungo, in silenzio, finché non sento dischiudersi la porta. È Charlotte. Le faccio segno di fare silenzio ed esco con lei chiudendomi la porta alle spalle.
«Allora?» chiedo, diretto. «Quanto gli resta?»
La domanda mi brucia la gola, lasciandomi un desiderio di spaccare qualcosa. Guardo Charlotte, perfetta nella sua tenuta da medico-migliore-del-mondo, e sento tutto l’odio che provo accrescersi e invadermi.
«Il fatto è» mi spiega lei «Che il nostro corpo funziona in modo diverso da quello degli altri. Ne è prova che, a quanto pare, la malattia ha raggiunto lo stato conclamato in circa tre anni, mentre di solito non ne impiega meno di sei, e una media di dieci.»
«E … normalmente, quanto ci impiega a … per … »
«Dipende.» La voce di Charlotte e così dolce e comprensiva che mi viene voglia di tirarle un pugno. «L’AIDS abbassa le barriere del sistema immunitario e rende più soggetti ad altri tipi di malattie, come i tumori. Varia da caso a caso.»
«E non possiamo fare niente?»
«Possiamo provare con alcune medicine che possono rallentare i sintomi, ma … onestamente, non so quanto possano essere efficaci. Sembra che il nostro corpo assorba e smaltisca più in fretta i medicinali, abituandosi subito ad essi e creando dipendenza. Quando Damien prendeva quelle pastiglie contro le visioni, ad esempio … »
«Insomma» la interrompo, furioso «Siamo nell’ospedale migliore degli Stati Uniti, con la cosiddetta dottoressa più intelligente del mondo, e tutto quello che riesci a dirmi è probabilmente non possiamo fare nulla?!»
«Arthur, ascolta … »
«Non ho intenzione di farlo! Non se vuoi continuare a parlare di medicine inutili e terapie che forse potrebbero rallentare la malattia. Ho bisogno di sicurezze. Damien ne ha bisogno!»
Ho alzato la voce, tanto che un’infermiera si avvicina a Charlotte per chiederle se ha bisogno d’aiuto –ma lei scuote la testa.
«Non è vero che non c’è niente che puoi fare» dice con voce più ferma e più fredda di prima. «Puoi stare vicino a Damien e rassicurarlo, tenergli compagnia e lasciare che io faccia il mio lavoro. Credi che lo lascerei morire senza aver fatto tutto il possibile
Mi rimette subito al mio posto, e taccio per qualche momento, riflettendo sulle sue parole e sentendo la rabbia che sbollisce lentamente.
«Gliel’ho trasmessa io?» chiedo improvvisamente, trafitto da quest’ultimo pensiero doloroso.
«Beh» comincia Charlotte, e non è mai un buon inizio «Ho controllato anche i tuoi, di esami, e … credo di sì, Arthur. Forse l’hai ereditata dai tuoi genitori, o … non lo so, potrebbero essere diverse le cause.»
«Quindi è tutta colpa mia» riassumo cupamente.
«Non dire così. Non è vero, non hai nessuna colpa.»
«Non siamo negli anni Sessanta, Miller. Avrei dovuto informarmi! Internet è stato inventato per questo.»
«Va bene, ma questo non significa che tu sia la causa della malattia di Damien. Dopotutto tu, per qualche ragione, non ti sei ammalato.»
«Certo che no» sbuffo «Sono invulnerabile, ricordi?»
E per un  momento, per la prima volta nella mia vita, vorrei non avere questo potere. Certo, è piuttosto utile –non ricordo di aver mai preso la febbre, o di essermi tagliato, o qualunque altra cosa- ma vorrei poter cedere l’invulnerabilità a Damien. Ne ha più bisogno di me.
Peccato che non possa farlo.
L’intuizione arriva senza preavviso, lasciandomi senza fiato.
«Oh, Dio» mormoro, guardando Charlotte con occhi sbarrati.
«Cosa c’è?»
Scuoto la testa, troppo sconcertato.
«Devo andare, ma tornerò presto» prometto. «Dì a Damien che non tarderò.»
E, prima di lasciarle il tempo di dire qualunque cosa, mi teletrasporto a casa, dove sono certo che nessuno possa sentirmi. Prendo il cellulare e compongo un numero che mai e poi mai avrei pensato di dover chiamare –meno ancora di quello di Charlotte.
«Sono Arthur» dico sbrigativamente. «Dove sei? Ti devo parlare.»
E, ricevuta l’informazione, mi teletrasporto subito al Queen Victoria’s College.
 
Piove. Normalmente andrei a prendere un ombrello, ma questo momento è davvero troppo importante.
Guardo la sagoma familiare del vecchio edificio in mattoni con il prato verde che lo circonda e le recinzioni, apparentemente innocue. Mi sento immediatamente soffocare.
Ho odiato questo posto più ancora di casa mia. O forse … beh, diciamo che potrebbe essere un pari merito. L’unica cosa che rendeva sopportabile il tempo passato qui erano i ragazzi –Damien, naturalmente, ma anche Blake, Lily e Vanessa. Con Jonathan non ho mai avuto un grande feeling, e Charlotte … beh, non è neanche necessario nominarla. Ma il Queen Victoria’s mi è sempre sembrata più una prigione che una scuola, fin da quando i miei genitori mi ci hanno mandato dicendomi che era “un posto per persone speciali come te”, il che mi aveva subito fatto pensare ad un manicomio o ad un riformatorio.
Quando hanno cominciato a fioccare i divieti –vietato uscire, vietato correre, vietato fumare, vietato spegnere la luce dopo le undici e così via- è diventato sempre più difficile resistere. Ho capito in fretta che l’ultimo desiderio di Hermann era farci sviluppare i nostri poteri, come ufficialmente sosteneva: voleva solo reprimerli, nasconderci per tenerci lontani dalla società.
Me ne sono andato quando avevo quindici anni, tanti ideali e altrettanti stupidi sogni. Las Vegas è stata una scelta premeditata –con i trucchi nel gioco d’azzardo ho imparato a far sorvolare gli altri sulla mia minore età, e ho guadagnato abbastanza da mantenermi autonomamente.
E il Queen Victoria’s … l’ho relegato in un angolo della mia mente, sepolto accanto ai ricordi, buoni e cattivi, di quel periodo.
Trovarmi di nuovo qui, adesso, non è affatto una bella sensazione.
Vedo arrivare la persona che stavo aspettando da lontano. Non appena i suoi tratti si fanno visibili attraverso l’acqua scrosciante, la avverto:
«Non fare niente di stupido o me ne andrò immediatamente.»
Lei mi raggiunge, le mani sepolte nelle tasche dello spolverino scuro, i capelli rossi un po’ gonfi per l’umidità.
«Non ho intenzione di correre il rischio, dopo tre anni passati a cercarti» replica Lily, un mezzo sorriso sul volto. «A cosa devo il piacere, Arthur?»
«Ho bisogno di te e di Vahel» dico a malincuore.
«Oh, meraviglioso. E per cosa, di grazia?»
Il suo tono leggermente sarcastico non mi tocca nemmeno.
«Voglio che replichiate i miei poteri.»
«E perché mai?»
«Ne ho bisogno. Per … una persona. Non importa.»
«E noi cosa ne ricaviamo?»
«Non è quello che volevate? I miei poteri? Li potrete prendere anche voi, se la cosa è possibile.»
«Molto bene. Se ne sei convinto, vieni. Ti accompagno da Vahel.»
«Aspetta. Quanto … quanto tempo ci vorrà?»
«Difficile dirlo, non sono io l’esperta. Comunque, considerato che bisognerà fare tutto due volte … non so, una settimana? Due?»
«Così tanto?» sbuffo, innervosito.
«Scusami, ma hai avuto tre anni di tempo e ti lamenti perché ci vuole una settimana?»
«Ho solo avuto l’occasione di rivedere le mie priorità, di recente.»
«Quello che vuoi. Vieni?»
Esito, quindi annuisco.
«D’accordo.»
E, anche se solo ieri mi sarei messo a ridere se mi avessero detto che l’avrei fatto, seguo Lily all’interno del Queen Victoria’s College.
 
   
 
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