DICHIARAZIONE
L'universo di Star Wars, i suoi personaggi e le vicende sono di proprietà di Lucas. Ho scritto questa fiction solo per divertimento Ho preso i nomi Yimot, Athor, Dovim e Theremon dal bellissimo romanzo "Notturno" di Asimov e Silverberg. Tuttavia in questa storia non hanno alcuna relazione con i personaggi, le situazioni e i luoghi del libro. Sono solo un omaggio.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare Chiara per avermi fatto da beta-reader.
Grazie anche a Chaosreborn e Malkcontent per le recensioni.
PADRE E FIGLIO - CAPITOLO 3
Anakin passeggiava sui Terrazzi di Meditazione, osservando
distrattamente il paesaggio di Coruscant. Più partecipava alle riunioni
del Consiglio, più si convinceva dell’inutilità di convocarle. Che
ironia pensare quanto aveva desiderato farne parte! Ma, dopo anni di
permanenza, era veramente stanco dei discorsi vuoti che non portavano
mai a niente e iniziava a pensare che l’Ordine dei Jedi soffrisse
esattamente dello stesso male della Repubblica: l’eccesso di parola
soffocava qualsiasi intento di azione.
La riunione di quella mattina era stata particolarmente surreale con i
reverendi Maestri che continuavano a ripetere la necessità di indagare
dove si fossero rifugiati gli ultimi capi Separatisti e di come fosse
difficile trovarli ora che, sconfitti, non attentavano più nessuna mossa
da una decina di anni. Tutti annuivano, tutti confermavano, ma nessuno
proponeva. Quando finalmente aveva avuto la possibilità di dire la sua,
aveva subito puntualizzato come l’unico modo fosse iniziare a setacciare
accuratamente la Galassia tramite sonde e interrogatori approfonditi.
Tutti avevano prima concordato che così fosse possibile ottenere dei
risultati, ma poi avevano cominciato a tirar fuori le solite scuse per
non agire, parlando di diritti civili, diritto di non ingerenza nei
Sistemi e mille altri concetti troppo astratti per le sue idee concrete.
Così erano usciti di nuovo con niente di fatto e lui iniziava a sentirsi
veramente stanco e deluso.
Questo era il tipico giorno in cui la tentazione di andarsene appariva
troppo forte. Si trastullò immaginandosi mentre prendeva suo figlio,
andava a prelevare dal suo conto segreto la cospicua eredità lasciatagli
dalla moglie e se ne partiva per la sua strada. Ma per andare dove?
Si svegliò dal suo sogno ad occhi aperti, quando sentì un picchiettio
dietro lui. Si voltò e abbassando lo sguardo vide il Maestro Yoda
cercare la sua attenzione, battendo il bastone sul pavimento. Non
faticava ad immaginare di cosa volesse discutere, ma fece il finto tonto
e lasciò al troll la prima parola.
“A quindici anni l’addestramento di volo cominciare dovrebbe”.
Per un attimo Anakin accarezzò l’idea di dirgli che se ne voleva andare,
poi l'accantonò come ridicola e si preparò ad affrontare la lavata di
capo. “Il mio Padawan si è dimostrato molto in gamba ieri durante
l’addestramento”, si difese.
“Non molta importanza questo ha. Nemmeno lì lui essere dovuto avrebbe”,
puntualizzò Yoda.
“Maestro, io ho iniziato a guidare ben più giovane di Luke”
Il troll meditò un attimo. I suoi occhi divennero sottili come una lama
mentre squadrava il Jedi. “Sfortunatamente, in circostanze particolari
la tua infanzia si è svolta”. Il suo tono era quasi disgustato.
Anakin rimase incredulo un istante, prima di afferrare davvero quello
che sentiva. Circostanze particolari! Vivere con sua madre era stata una
“circostanza particolare”?! Novecento anni dentro il Tempio
evidentemente causavano dei seri problemi mentali. Disdegnò di
rispondere ad una simile assurdità.
“Immediatamente le lezioni di volo interrompere devi”, Yoda stava
proseguendo inesorabile.
“Ma, a questo punto, Luke ne rimarrà molto deluso”, sottolineò il Jedi.
Il troll scosse il capo e puntò il bastone in direzione di Anakin con
tono accusatorio: “Qui per divertirsi i Padawan non sono. Sentito io
avevo che troppo il tuo viziavi. Crederci non volevo”.
A questo il Jedi si risentì vivamente. “In che senso?!”.
Yoda non si fece pregare: “Troppo protetto sempre lo tieni. Di chiedere
la sua opinione troppo ti preoccupi”.
Anakin pensò un attimo, riconoscendo che seppur esagerate, le accuse del
Maestro avevano un fondamento. “Io voglio solo che Luke sia felice”,
tentò di spiegare in tutta onestà.
“Far felice l’apprendista il tuo scopo essere non deve”, puntualizzò il
troll.
Il Jedi non sapeva più cosa rispondere senza rivelare il suo segreto.
Fiaccamente rispose: “Il risultato non mi sembra malvagio”
Ma Yoda non era d’accordo: “Si dice che molto distratto il tuo Padawan
sia”.
Anakin si incupì: questo era semplicemente ingiusto! “Si dice anche che
sia molto bravo con la spada laser?”, chiese con tono più polemico di
quello che intendesse.
Le orecchie del troll si abbassarono impercettibilmente e un muscolo
teso tremò un istante sul suo mento. “Sì. Il suo naturale talento
ringraziare dobbiamo, suppongo”.
Il Jedi distolse lo sguardo verso il paesaggio, accigliandosi. Critiche,
critiche e solo critiche. Possibile che a questa creatura non uscisse
mai niente altro dalla bocca? Quanto avrebbe dato per sapere perché gli
si accaniva sempre così contro.
Ringraziò mentalmente il com-link che si mise a suonare, liberandolo per
il momento dall’obbligo di rispondere. Lo accostò alla bocca: “Sì?!”
“Maestro Skywalker”, la voce di Windu risuonò abbastanza forte da essere
udita anche da Yoda, “dovresti venire in biblioteca”. Il tono era
chiaramente nervoso.
“C’è qualche problema?”. Una vaga sensazione di malessere aveva invaso
Anakin senza una ragione chiara.
“Diciamo che il tuo Padawan ha diverse spiegazioni da dare” fu la
risposta criptica.
“Arrivo”, assicurò il Jedi, imbarazzato davanti a Yoda che, come
prevedibile, si offrì molto gentilmente di accompagnarlo.
Nonostante le dimensioni della biblioteca, non fu difficile per i due
Maestri individuare il crocchio di cinque, sei ragazzini vicino uno dei
tavoli in fondo alla prima sala. Il gruppetto era incredibilmente
tranquillo, anche per un assembramento composto da disciplinati Padawan
del Tempio. Il motivo era facilmente individuabile nel Maestro Windu che
troneggiava in mezzo al gruppo con l’aria più cupa del solito.
Quando la presenza di Skywalker e Yoda venne avvertita il cerchio si
aprì naturalmente e gli apprendisti si disposero su due ali, una a
destra e una a sinistra, per accogliere i nuovi arrivati.
Anakin non poté fare a meno di notare che non erano presenti i Maestri
degli altri Padawan… e che non sembravano nemmeno attesi. D’altronde
vicino al korun, tutta la sagoma minuta di Luke, tesa, pallida e
incapace di sostenere uno sguardo, non lasciava molto spazio ai dubbi su
chi fosse considerato il colpevole della situazione. Anakin, il padre,
più che il Maestro, ne ebbe compassione prima ancora di sapere quale
fosse il capo di imputazione.
Il Jedi nero riservò il primo saluto al più anziano: “Maestro Yoda”.
Quindi, con affettata cortesia si inchinò leggermente anche a lui:
“Maestro Skywalker. Grazie della vostra sollecitudine”. Poi indicò il
discepolo di Plo Koon: “Yimot, ripeti quello che hai detto a me”.
Anakin trasalì e si rese conto che il giorno prima aveva sottovalutato
le parole di Luke, liquidando come semplici maldicenze quelle che in
realtà erano probabilmente le manifestazioni di una guerra silenziosa
fra Padawan. Succedeva più spesso di quanto ai Jedi piacesse
riconoscere. Orgoglio e la mancanza di qualsiasi sfogo al di fuori delle
strettissime regole trasformavano l’apprendistato in una gara senza
tregua nell’unica attività concessa a quei ragazzi: compiacere i Maestri
e venir considerati modelli di virtù.
Con questi foschi pensieri, si aprì alla Forza per tentare di capire
cosa nascondesse sotto la mite parvenza quel apprendista che già per il
secondo giorno di seguito sembrava scontrarsi con suo figlio. Ma trovò
delle barriere sorprendentemente forti per un quattordicenne e non
avrebbe potuto scavalcarle con la necessaria discrezione. Così si limitò
a captare una cupa soddisfazione e sotto sotto un’invidia sorda. Invidia
di che?
“Ero venuto qui per cercare informazioni su Nomi Sunrider per la mia
ricerca di storia”, stava intanto dicendo Yimot, dopo aver fatto un
plateale passo in avanti, “quando ho visto Luke che tirava fuori da
sotto la tunica quel pendaglio”.
Solo allora Anakin si accorse che Windu aveva tenuto il pugno chiuso
fino a quel momento. Lo aprì a conferma delle parole del ragazzo,
mostrando la piccola corona di Padmé, e in un momento fu tutto chiaro.
Infatti Yimot proseguì: “Nessun Jedi può possedere un oggetto del
genere, perciò ho capito che doveva essere rubato”. Il suo viso si
riempì di scrupoli ipocriti. “Sapevo che un’infrazione così grave va
immediatamente riferita ad un Maestro”.
“E così essere deve”, confermò Yoda e il ragazzo sorrise leggermente
all’approvazione del capo dell’Ordine e con un breve inchino ritornò al
suo posto.
Anakin non riuscì a decidere a quale dei due avrebbe preferito sputare
in faccia e prese nota di andare a far presto una chiacchierata a
quattrocchi con Plo Koon.
“Quale spiegazione il giovane Luke dà?”, si informò Yoda pronto ad
emettere sentenze non richieste, dato che non era nemmeno stato
interpellato.
“Che l’ha trovato per strada, ma senza saper dire precisamente né dove,
né come”, rispose Windu al posto del ragazzo, al quale in effetti non
era stata ancora rivolta la parola.
“Non te lo ricordi proprio dove l’hai trovato?”, sollecitò Anakin
rivolto a Luke.
“Non crederai davvero a questa storia?”, lo guardò incredulo Windu.
Anakin strinse le spalle con l’aria più innocente che gli riuscì di
recitare. “Perché no? Non gli hai mica provato il pensiero”. Altrimenti
sapresti già che la verità è ben diversa.
“A questo provvedere si può”, sottolineò Yoda con interesse.
Anakin vide la situazione prendere una gran brutta piega e cercò di
guadagnare tempo per accordare una scusa con suo figlio. “Non sarebbe il
caso di discutere questa faccenda in luogo più riservato e senza…
spettatori?”, indicò quasi sprezzante il piccolo gruppo di apprendisti
che stavano assistendo alla pantomima con malcelato divertimento e alla
sempre più numerosa folla di presenti che si era riunita a una distanza
maggiore, curiosa del perché una questione di Padawan richiedesse
l’attenzione dei tre maggiori esponenti dell’Ordine.
“Perché? Comunque, la cosa risaputa sarebbe”, Yoda dimise l’idea.
Anakin capì che la posizione del ritrovamento casuale era semplicemente
insostenibile. Osservò un istante suo figlio sconsolato, chiedendosi con
stizza come diavolo avesse fatto a cacciarsi in quel pasticcio. Ma
questa era una faccenda che avrebbero poi discusso tra di loro. Ora il
problema era arrivare a quel poi. Si arrese controvoglia a cambiare
strategia: Luke era un Padawan molto giovane, le sue responsabilità
ancora limitate…
“Luke”, richiamò la sua attenzione con molta più comprensione nel tono
di quanto gli astanti si potessero aspettare, “Luke, è vero che l’hai
rubato?”.
Per la prima volta durante tutta la discussione, il ragazzo alzò lo
sguardo e il suo Maestro vi vide l’incredulità e il tradimento per
quella domanda.
“E’ vero che l’hai rubato?”, ripeté Anakin, tentando di comunicare nello
sguardo diretto fiducia. Anche nella Forza, sollecitò a rispondere
affermativamente con tutta la delicatezza necessaria affinché la
percezione fosse sentita solo, e soltanto, al diretto interessato.
Il Padawan capì. Con un soffio di voce appena udibile rispose “Sì… Sì,
l’ho rubato”, prima di abbassare la testa di nuovo e coprirsi la faccia
con entrambe le mani per la vergogna di un crimine mai commesso.
Il viso di Yoda si indurì per la tensione, squadrando incredulo Luke.
Poi batté più volte il suo bastone sul pavimento, prima di far regnare
di nuovo il silenzio nella sala dove ora echeggiavano i commenti di
disapprovazione. “Nella riunione di domani, il Consiglio del tuo destino
deciderà”.
No, non era così che doveva andare! Non potevano essere così duri con un
ragazzo! …O potevano? Anakin capì improvvisamente l’errore commesso.
“Maestro Yoda, io sono il suo Maestro, io penserò a sistemare la
faccenda”
“Quello che è successo è troppo grave per essere risolto senza un
intervento del Consiglio”, intervenne Windu.
“Lo punirò molto severamente”, quasi supplicò Anakin, non avendo la più
pallida idea di cosa si sarebbe poi dovuto inventare per dare la
parvenza di averlo fatto.
Ma né Yoda, né Windu erano convinti. “L’unica punizione adatta al furto
è l’espulsione”, stava dicendo il Maestro korun, mentre l’altro annuiva.
Anakin scosse la testa incredulo, senza sapere se per la propria
ingenuità o per la durezza dei suoi interlocutori. “Luke è solo un
Padawan!”, protestò.
“Questo nessuna differenza fa”, rispose senza minimamente scomporsi
Yoda.
Sembrava che il caso fosse chiuso e che si dovesse solo aspettare la
sentenza definitiva dell’indomani. L’attenzione degli astanti stava già
scemando.
“Io!”, quasi urlò Anakin perché tutti sentissero bene. “Glielo ho
regalato io!”, confermò di nuovo, godendosi per un attimo lo sconcerto e
l’incapacità di reazione dei due infallibili Maestri.
Incerto Windu scrutò cupo prima lui e poi il figlio. “E’ vero, Luke?”
L’apprendista annuì.
“Un attimo fa un furto confessato tu hai”, intervenne Yoda.
“Avresti lasciato che il tuo Padawan si prendesse la colpa?”, ancora più
incredulo Mace aggiunse rivolgendosi ora al Jedi.
Anakin strinse le spalle. Cosa dire? “Pensavo che foste più clementi”?
Gli sguardi che Windu e Yoda si scambiavano spiegavano con eloquenza
come non sapessero più a cosa credere. Silenziosamente arrivarono ad una
decisione, perché il Maestro korun dichiarò in tutta la sua solennità:
“Bene, credo che in mezzo a tanta falsità”, si assicurò che tutti i
presenti sentissero il disgusto nella sua voce, “l’unico mezzo di
assicurarci del vero sia una breve indagine mentale”. E si girò verso
Luke.
Il ragazzo iniziò a tremare vistosamente, ma, senza che fosse aggiunta
altra parola, sottomesso abbassò tutte le difese.
I due Maestri entrarono subito nella sua mente in maniera molto
invasiva. Ma Anakin percepì molte altre presenze avventarsi sul Padawan.
La porta della sua intimità era spalancata e praticamente tutti i
presenti si ritennero autorizzati ad affacciarvisi per gettare uno
sguardo curioso.
Dopo appena pochi secondi, Skywalker era l’unico Jedi della stanza a non
essere dentro la testa di suo figlio. Disgustato, Anakin si chiuse alla
Forza, ma questo non gli impediva di capire la sofferenza che stava
facendo singhiozzare il ragazzo a calde lacrime e di non leggere nei
suoi occhi sbarrati l’orrore di essere penetrato da estranei nel
profondo dell’animo. Strinse le mascelle e i pugni, tentando di
controllare la rabbia furibonda che cresceva dentro lui, rabbia verso il
suo apprendista per essersi fatto scoprire, rabbia verso gli spettatori
divertiti, rabbia alla durezza dei più anziani Maestri dell’Ordine, ma
soprattutto rabbia verso sé stesso per essere finito in quella
situazione e per non essere capace ora di impedire che suo figlio
venisse violentato in quel modo sotto i suoi stessi occhi.
Quando dopo pochi minuti durati un’eternità l’indagine finì, il mormorio
era tornato a crescere nella stanza. Alcuni degli spettatori iniziarono
ad andarsene, avendo già avuto modo di godere abbastanza del diversivo
dentro la mente di Luke.
Il ragazzo dolorosamente rialzò a fatica le sue difese e si strinse tra
le sue stesse braccia, cercando conforto e protezione, mentre dai suoi
occhi scivolavano ancora dei silenziosi rigagnoli salati.
Windu e Yoda si scambiavano sguardi significativi. Nella scena che
doveva essere stata svolta e risvolta dentro l’anima del ragazzo, Anakin
sapeva che erano contenute almeno quattro infrazioni gravi al codice
Jedi da parte propria. I due anziani ne avrebbero contate sicuramente di
più.
“Nel Consiglio di domani, da discutere molto avremo, Maestro Skywalker”,
gli preannunciò infatti il troll.
L’interessato si limitò ad annuire e si inchinò leggermente per salutare
i due aguzzini.
La folla si diradò velocemente tra le chiacchiere. Quella faccenda
avrebbe sicuramente tenuto occupate le bocche e le orecchie dei Jedi per
le settimane a venire. Ora che non c’era più la guerra dovevano pur
distrarsi in qualche modo.
Anakin si limitò ad aspettare che un’apparente normalità tornasse nella
sala e poi si avvicinò a Luke che, ancora in evidente stato di shock,
non diede neanche segno di aver notato il movimento. Si chinò ad
abbracciare il figlio, accarezzandogli i capelli, indifferente se
qualcuno avrebbe poi mormorato che era troppo protettivo.
Improvvisamente era così disarmato il suo ragazzo! Ad Anakin parve di
riavere tra le braccia il neonato indifeso che tredici anni prima aveva
accudito per pochi giorni, prima di doverlo a malincuore lasciare come
un trovatello ai piedi delle grandi colonne di ingresso del Tempio.
“Mi dispiace” fu tutto quello che riuscì a mormorargli. Poi gli appoggiò
il braccio sulle spalle, stringendolo vicino come una chioccia tiene il
suo pulcino sotto le ali e lo condusse fuori.
La boccata d’aria fresca dei giardini del Tempio ebbe qualche effetto
sul Padawan che sembrò ritornare presente. Ma per un po’ continuarono a
camminare così, senza una meta, senza aprire bocca. Quando furono in
prossimità del laghetto, si sedettero su una panca. Anakin si aprì
nuovamente alla Forza e con molta cautela tentò di ispezionare lo stato
del figlio. Appena la presenza di Luke gli divenne minimamente
tangibile, la sentì ritirarsi impaurita, nello stesso modo in cui si
ritrae un arto ferito e dolorante dal tocco di un estraneo.
“Ssh! Non ti faccio niente.”, sussurrò il Maestro.
Il Padawan annuì debolmente. I suoi occhi si incantarono un attimo a
studiare il dondolio delle onde, prima che con voce colpevole trovasse
la forza per parlare: “Scusami Maestro”.
Anakin non aveva l’intenzione di infierire su di lui con alcun tipo di
rimprovero. “Non ti preoccupare delle scuse. Prendi quello che è
successo come una dura lezione”.
Il ragazzo inghiottì vistosamente. “Ma domani in Consiglio cosa farai…?”
“Non ti preoccupare di questo”, lo interruppe immediatamente il Maestro,
“E’ meno grave di quello che sembra”. Sollevò il braccio destro sullo
schienale della panchina e si adagiò indietro comodamente, in una posa
che trasmettesse più sicurezza di quella che in realtà provava.
Dopotutto lui era il Prescelto e sapeva che nella testa di Luke i
Prescelti erano onnipotenti.
E infatti suo figlio annuì. Poi sorprendentemente proseguì: “Avevo
nascosto il pendaglio bene, non volevo disobbedirti, e sono andato in
biblioteca solo con l’intenzione di fare la mia ricerca sulla vita di
Palpatine”
Anakin ascoltò in silenzio. Non gli interessavano le spiegazioni, né
sapere perché il Padawan non avesse tenuto il segreto. Qualunque cosa
fossa accaduta prima del suo arrivo non poteva essere sufficiente a
giustificare la violenza che era stata inflitta al ragazzo.
Ma evidentemente per il suo apprendista era importante quella
confessione non richiesta, perché man mano che raccontava le parole
iniziavano ad uscirgli come un fiume in piena con un’incredibile dovizia
di particolari: “…mi ero ricordato di ieri e avevo deciso di
concentrarmi solo sul mio lavoro senza neanche guardare chi fosse o non
fosse nella stanza. Avevo aperto il dischetto dei Trattati e mentre
percorrevo i file, ho notato una foto in cui il cancelliere e la regina
di Naboo si stringevano la mano. La regina portava un pendaglio proprio
simile a quello che mi hai regalato…”
L’attenzione di Anakin si risvegliò involontariamente, mentre i ricordi
iniziavano a fluire dentro di lui: Tieni. Come mio segno d’amore in
cambio del japor. Desidero che tu lo abbia. E’ un ricordo del periodo in
cui ci siamo incontrati: quel simbolo viene usato solo dalle Regine.
Ignaro Luke proseguiva senza sosta: “…ho letto la didascalia, ma diceva
soltanto: La Regina di Naboo, Padmé Amidala, e il Cancelliere, Cos
Palpatine, firmano il Trattato di Athor”
Improvvisamente, il Jedi intervenne bruscamente: “Ripeti?!”
Preso alla sprovvista, il ragazzo ebbe un attimo di esitazione prima di
riuscir a riavvolgere il nastro del suo stesso discorso. “La Regina di Naboo, Padmé Amidala, e il Cancelliere, Cos Palpatine, firmano il
Trattato di Athor”.
L’ultima volta che lo usai fu quando concessi al Cancelliere l’usufrutto
di un pianetino disabitato per quando necessita di ritirarsi in un luogo
tranquillo.
Un’idea colpì Anakin. No, non un’idea, un’intuizione.
“…Allora, senza pensare, ho tirato fuori il mio per confrontarlo con
quello della foto”, stava dicendo Luke. A questo punto, ebbe un attimo
di pausa e poi sospirò, prima di proseguire: “E Yimot mi ha visto”.
Ma il Maestro non lo stava più seguendo, la sua mente era totalmente
concentrata su altro. Possibile che fosse sempre stato lì sotto il loro
naso?
Quando finalmente divenne consapevole del silenzio, Anakin vide Luke
studiarlo.
“Ti senti meglio, adesso?”, chiese spiccio al figlio.
Il ragazzo annuì un po’ stupito al rapido cambio di tono.
Ma senza tante spiegazioni il Jedi si alzò in piedi e, dopo aver
rassicurato il figlio con una pacchetta sulle spalle, si limitò a
dirgli: “Bene! Ti lascio in libertà per il resto della giornata”. Poi
aggiunse criptico: “Scusa ma devo andare urgentemente a verificare una
cosa”. Si girò e prese il viottolo che portava all’interno del Tempio.
Dopo pochi passi, esitò un istante e, rivolgendosi velocemente indietro
al Padawan che ancora sedeva sulla panca, lo esortò: “E non ti
preoccupare troppo per domani: il mio istinto mi dice che avrò ottimi
argomenti da mettere in tavola”. Detto questo, sparì.