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Autore: beesp    13/09/2011    0 recensioni
La vita si sfilaccia come una corda, si consuma, svanisce.
Nel frattempo gli esseri umani cadono in ginocchio sui loro stessi campi di battaglia di sabbia.
Storie tristi e malinconiche. Come d'abitudine.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You’re in the wrong place, my friend, you better leave!'
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1. Il mare e la bambina
Una piccola raccolta di riflessioni accumunate tra loro dallo stesso protagonista. Questi brevi capitoli sono nati tutti insieme durante una serata estiva particolare e significano molto per me. Mi piacciono quasi, ma non li reputo le mie opere migliori comunque. E' una storia con un finale triste - siete avvisati - ed è un po' senza speranza. Buona lettura.



Jest let us






1. Il mare e la bambina









Il sole tramonta. Giorno dopo giorno, si avvicina sempre più all’isola, ben presto scenderà verso il mare alle sue spalle. L’acqua si tinge di rosa, e così il cielo, fino a virare verso il viola, e poi il blu della notte in cui sfuma la fine della giornata.
Ci si rimpinza più che si può, si scacciano le vespe richiamate dall’odore di cibo; sembra di essere un branco di animali affamati, per i primi due minuti quasi non si alza il viso dal piatto e sono sufficienti a ripulirlo del suo contenuto. Si acchiappano le bottiglie di birra, di coca-cola, d’acqua.
È una comune cena della seconda metà d’agosto, già s’immagina di percepire la brezza settembrina dell’autunno che saluta l’estate – si abbracciano, prima che quest’ultima si congedi.

La ragazza ha sentito gli occhi mutare, fissi nello sguardo verde bottiglia del mare in cui si riflettono le nuvole che coprono il sole delle poco-più-che-quattro del pomeriggio. Ha sentito le sue iridi virare il proprio colore verso un’oscurità simile a quella delle profondità sotto la superficie del Mediterraneo a pochi metri da lei. Ha pensato – e ne era sicura, forse in un impeto di voglia di essere speciale – di poter comunicare attraverso il corpo con l’acqua, che ballarci dentro fosse stabilire un’unione indistruttibile. Si è illusa che il mare ricordasse i suoi canti da bambina – stupide canzonette e sigle dei cartoni amati – e le ore trascorse tra i flutti. Magari il mare, d’improvviso, può renderla sua figlia, potrebbe percepire il suo disappunto nel veder spuntare bottiglie di plastica e altri rifiuti e rimembrare quando con un corpo più giovane ripuliva quella grande distesa con un lavoro semplice, ingenuo, pieno di fiducia. Il mare potrebbe accoglierla e rispondere alle sue domande: cosa mi appesantisce, cosa mi ruba la forza?
E allora si fissano il mare e la ragazza. Ha dimenticato i suoi quesiti – messi da parte – c’è il vento fra i capelli e la barca che accelera la velocità e l’imponente – infinita? - pietra dell’isola invincibile e misteriosa. C’è il silenzio innaturale creato dall’acqua contro i fianchi della barca. C’è l’odore di mare, quello che d’inverno s’infiltra nelle sue narici anche se lontanissimo.

Dal terrazzo con lo sguardo si può abbracciare una piccola porzione del golfo, le luci dei paesi vicini e lontani, i fari delle auto sulle strade costiere.
Non fa male fissare il sole tramontare per un istante.
La cena è un rito, tutto sommato. Potrebbe sembrare che sia sempre uguale, ma sono i particolari a modificare tutto – come la vita. (Ha mentito, non c’è mai alcuna differenza).
Si prepara il caffè, alla fine. Proprio un attimo prima, la sensazione di tranquillità di una vita ’normale’, uno stomaco pieno – quasi troppo – e rimanere in famiglia. Poi arriva. Arriva sempre, a un certo punto. È una sorta d’allarme. Quando le cose vanno bene, o ci si vuole adeguare al comportamento giusto, credere di essere al proprio posto. È una morsa al cuore, neanche troppo dolorosa, sono le riflessioni, dopo, che fanno male. Dissanguano. Si cerca di aggrapparsi alla precedente quietezza, ma è già lontana, anni luce. “Il fumo esce dalla sigaretta, ma non torna mai indietro”*. Il disagio arriva, ma non va mai via.
“Non c’è bisogno di drammatizzare tutto” - lo ricorda, l’ha detto ad alta voce nella sua testa poche ore prima ed è ricaduta nel tranello. Sono piccoli suoni e piccole lettere e piccoli sapori: lacerano tutto. Non sta bene, non è felice. Prega che gli altri non ne facciano una gran tragedia – come poi lei fa, però – perché non saprebbe come spiegarlo. È vedere il mondo crollare, le persone stare male, avere sotto mano delle meraviglie luccicanti e bellissime e non poterne fare parte (voler essere inglobati nel mare, sciogliersi tra le onde e il sale ed essere particelle di un tutto gigantesco e malinconico e nostalgico e infinito, che l’uomo mai potrà domare – distruggere, sì, ma corrompere come i suoi simili no) (leggere, e vedere dipinti e non essere in grado di eguagliarli – non riuscire a esprimere la sensazione di casa e di piccolo dolore fanciullesco e potente che certe cose provocano).
Si continua a discutere, sopraffacendo – almeno provvisoriamente – il frastuono dentro l’anima.


















* Citazione da "Mr. Nobody", film del 2009.
   
 
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