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Autore: Remedios la Bella    15/09/2011    2 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate il grandissimo ritardo della pubblicazione, ma tra l'inizio della scuola e tutto sono riuscita a malapena a scrivere questo ( non a caso ci ho messo due giorni D:)
Bene! Godetevi il capitolo!
Remedios la Bella

Capitolo 23

 
Come mi aveva detto Mark, poco distante dal punto in cui avevo salutato Deborah vedemmo una macchina, simile a quella di Mark e ad aspettarci un uomo alto, sulla quarantina, occhi infossati e mascella enorme, ma faccia da brava persona. Non so come, ma riuscii a fidarmi di lui all’istante.
“ Salite pure.” Disse vedendoci arrivare e aprendo la portiera dell’auto. Mia madre salì davanti e io dietro. La macchina partì silenziosa e durante il viaggio non spiccicai parola, ero stanco, triste e non avevo voglia di stare a rimuginare su quanto successo poco prima. Mi tolsi il pigiama di dosso così da disfare le prove della mia intrusione.
Arrivammo a casa, e di corsa filai in camera mia, senza però far troppo rumore. Non volevo che mio padre si svegliasse … specialmente ora che tutti erano in allarme per l’evasione di 15674. C’era il pericolo che Xavier avesse saputo della fuga della condannata e che ora la stesse cercando in lungo e in largo per darle una lezione.
Prima di salire in camera però, mia madre mi chiese sulle scale se stessi bene.
“ più o meno madre … ma voi come farete adesso? Io partirò, ma voi dovrete rimanere qui e subire ogni genere di angheria per aver interferito …”
“ tesoro … non preoccuparti di tua madre, ma pensa a te stesso per una volta. Ciò che probabilmente passerò io non è niente in confronto a cosa tu proverai e vedrai. Non rammaricarti per me. Io starò bene.” Mi rispose lei, stendendo i muscoli della faccia in un sorriso rassicurante. Si avvicinò a me fermo sulla gradinata un po’ confuso e mi diede un bacio sulla fronte delicatamente:” Riposa ora … ne hai bisogno.”
“ Va bene …” sussurrai io, senza muovermi. Non riuscivo a reagire davanti a quella calma di cui mia madre era dotata, oltre a un sangue freddo mai sentito prima.
Dunque mi recai in camera mia e chiusi lentamente la porta per poi coricarmi sul letto e addormentarmi di colpo, troppo pieno di pensieri per poterli catalogare e esaminare uno a uno.
E passai così la notte, senza sogni, ma alla fine constatando che un enorme peso sul cuore mi opprimeva e mi mozzava il respiro tanto da farmi girare la testa una volta che aprii gli occhi all’alba per partire.
Erano le cinque, e io mi precipitai giù con il mio borsone, mentre l’auto per accompagnarmi verso il luogo d’addestramento era ferma ma in moto.
Mia madre si era svegliata per salutarmi prima di partire, insieme a mio padre, che però non mi disse niente e stette a guardarmi con fare astioso e disprezzante.
Prima di salire, mia madre mi si avvicinò di nuovo:” Torna a casa. Vivo.”
“ Lo farò … lo prometto. Arrivederci … o … ad …”
“ Non dire “ addio” se non sei sicuro che lo sarà. Arrivederci … e buona fortuna.” Detto questo, mi baciò le guance calorosamente e infine anche la fronte, mentre intravedevo sul suo volto le lacrime.
Sorrisi, trattenendo le mie di lacrime e poi entrai in auto, senza volgermi verso mio padre.
In fondo lo odiavo, di vederlo in quel momento non ne avevo punto voglia.
Chiusi la portiera, mettendo il sacco accanto a me, poi la macchina partì, lasciando dietro di sé la scia del tubo di scappamento.
E anche stavolta non spiccicai parola con l’autista, ma mi limitai a osservare il cielo che insieme agli alberi correva dalla parte opposta alla mia, quasi a voler scappare dalla guerra. Cosa che io avrei fatto volentieri se ne avessi avuto la possibilità.
Deborah … chissà come stava ….
 
La luna accompagnava il mio sguardo che divagava nella foresta, che correva veloce dalla  parte opposta alla mia, quasi non volesse seguirmi. Elly mi era accanto, e anche lei faceva la stessa mia cosa, con aria assorta.
C’era uno strano silenzio, non assoluto, dato che la macchina faceva un baccano infernale mentre faceva scricchiolare sotto le sue ruote i vari ramoscelli nel bosco e il motore di certo non era silenzioso. Ma decisi comunque di rompere quel silenzio che mi stava opprimendo sin troppo.
“ Mark, dove stiamo andando di preciso?” chiesi all’autista, che guidava stando attento al percorso. Lo vidi squadrarmi dallo specchietto retrovisore con aria seria: “ Andrete entrambe dai signori Mendel. Sono una famiglia tollerante  tedesca, ho chiesto loro di potervi accogliere fino a che non avrete campo libero … per poi poter scappare in Svizzera.”
“ Davvero?” disse Elly alquanto sorpresa:” Dovremo quindi scappare in Svizzera? Ma perché dite “ quando avrete campo libero”?
“ I controlli ai confini sono intensificati, e anche se la Svizzera è neutrale alla guerra, non sarà una passeggiata raggiungerla … quindi, fino a che le cose si saranno calmate, voi resterete in quella casa. Dopo io vi aiuterò a fuggire. Da lì potrete dire a Max che state bene e che vi raggiunga, sempre che tutto vada per il verso giusto.”
Per un attimo il cuore balzò in petto. Al pensiero di Max che partiva per la guerra mi venne da singhiozzare flebilmente. Ma non piansi, e voltai il viso di nuovo verso il finestrino per distrarmi.
Del resto, ero soddisfatta. Avrei vissuto all’oscuro, per poi scappare. Beh, sempre meglio che morire. E sarei anche riuscita a terminare la mia sfortunata gestazione senza dover correre da un punto all’altro della nazione. Ma poi mi sorse un dubbio: di certo il mio viso non era passato inosservato al campo, dunque ero una latitante. E … se le forze dell’ordine fossero giunte anche dove avrei stabilito la mia dimora per quei mesi? Per il camice sarebbe bastato bruciarlo, i capelli li avrei potuti tranquillamente tagliare … ma il tatuaggio di 15674 … come avrei fatto a nasconderlo? In estate non potevo morire di caldo solo per evitare di far vedere il mio simbolo a fuoco sul braccio. E di certo non avevo i mezzi per toglierlo senza lasciar tracce. L’ansia a un tratto mi assalì.
“ Ci sarebbe un piccolo problema …” dissi debolmente, quasi che me ne vergognassi.
“ Cosa?” Mi squadrò Elly dubbiosa. Presi la manica del grembiule e la alzai fino a mostrare il numero impresso sul mio esile e diafano braccio: “ Questo …”
Anche Mark osservò dallo specchietto e aggrottò le sopracciglia. Da quanto potevo capire anche lui aveva capito il grattacapo da risolvere.
“ Giusto, dobbiamo disfare le prove … d’accordo … fermiamoci qui un attimo.” D’improvviso svoltò verso una radura deserta e ben nascosta da alcuni cespugli piuttosto alti e parcheggiò, lasciando però accesi i fari.
“ Scendiamo …” disse, seriamente, per poi aprire la sua portiera. Io e Elly lo seguimmo a ruota, perplesse.
“ Che intendi fare?” lo vedemmo intento a togliere dal bagagliaio quello che ai miei occhi sembrò una piccola catasta di legna da ardere.
“ Ragazze, toglietevi il grembiule e cambiatevi.” Disse, accatastando i rami in un piccolo mucchio, e afferrando dalla sua tasca un accendino:” Facciamo presto però.”
Io e Elly capimmo finalmente le sue intenzioni e ci fiondammo in macchina. Nel borsone di Elly c’era il cambio per entrambe, e senza pudore, visto che eravamo ragazze, ci togliemmo il pigiama per poi poter indossare i nuovi abiti. Il nuovo vestito estivo e le calze lunghe mi stavano più comode dei miei sudici indumenti di poco tempo fa. Ma il problema del tatuaggio restava.
Non poteva passare inosservata quella chiazza nera sul mio braccio, così osservandolo preoccupata, pensai a in che modo sbarazzarmene. Ma alla fine mi venne solo una cosa da fare … e non era tra le più piacevoli. Ma tentar non nuoce.
Appena anche Elly si cambiò, demmo i nostri vestiti a Mark, che li buttò sul fuoco ben alimentato che nel mentre aveva acceso. Il tessuto bruciò meravigliosamente,anche se l’odore era insopportabile. Mentre osservavamo il falò distruggere i vestiti, esclamai a bruciapelo:” Mark … hai delle fasce o una cassetta del pronto soccorso in quella macchina?”
“ S – si …” dal suo tono supposi la sorpresa in quella richiesta.
“ E un coltello?” continuai a chiedere, stentando a spiccicare le parole. Mi faceva paura ciò che stavo escogitando fino in fondo. Elly si volse verso di me preoccupata:” Deborah! Che diavolo vuoi fare?”
“ Niente di preoccupante … ora portami la cassetta e il coltello …” risposi duramente. Mark esitò un attimo prima di eseguire, ma vedendomi come determinata, andò a prendere ciò che gli avevo chiesto. Dalla sua tasca estrasse un coltellino, piccolo ma affilato, e dal bagagliaio la cassettina, munita di fasce e disinfettante.
Presi il coltello, per poi alzarmi la manica del vestito fino a far vedere il tatuaggio alla luce dl fuoco.
“ Non avrai mica intenzione …” Elly cercò di slanciarsi verso di me per impedirmi di fare ciò che stavo per fare, ma io la trattenni a parole:” non abbiamo tempo, a mali estremi, estremi rimedi.”
Lentamente accostai la lama pelo a pelo con la pelle, fino a creare una striscia di sangue sopra il marchio nero. Le urla non attesero a farsi strada nella mia gola, ma nonostante il dolore continuai a raschiare la pelle, mentre il sangue inondava il mio braccio e la pelle veniva come tranciata dalla lama di quel coltello.
Elly E Mark guardavano allibiti il mio gesto. Ma non esitai e continuare. Era in gioco la mia libertà dopotutto. E nonostante i conati, sfregiai il mio povero braccio fino a far sparire quel maledetto segno. 

   
 
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