Ognuno
a suo modo è un tossico vero
Di
pere, d’affetto, di sogni, di sesso o di idee
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Si ripromise mentalmente di non avere più nulla a che fare con lei e con qualsiasi cosa lo avesse portato a fare.
Cos’era che lo attirava poi di tutto quello che gli aveva mostrato, che lo aveva spinto a fare? Perché che lo attirasse era vero, poteva negarlo e non accettarlo quanto voleva che intanto quello rimaneva.
O forse non era il non accettarlo, ma tanto più il fatto di avvertire qualcosa di buono e, per esperienza, sapeva di fuggire da qualsiasi cosa buona gli accadesse: prova certa ne aveva avuto poco più di due mesi prima e perché, quindi, continuare a negare l’evidenza.
In ogni caso, si disse, perché proprio in quel momento doveva cedere? Perché proprio per quella cosa? Stava cedendo, questa era la verità, ma sicuramente ci avrebbe messo più tempo e avrebbe resistito di più senza il fattore Mizuki.
Invece, la ragazza quella mattina lo era andato a prendere e lo aveva obbligato a seguirla.
Una domanda riuscì a farsi largo e si impose tra tutte quelle che assillavano Kei.
Che cosa ci
andava a fare?
Ecco, era la
domanda che si era anche posto appena aveva parlato con Ryo,
nel suo tragitto verso casa, durante tutta la settimana e che si stava ponendo
anche in quel preciso istante.
Che cosa ci
andava a fare? Eppure era lì, davanti alla porta della palestra; aveva
affrontato un viaggio relativamente breve, si era ritrovato davanti al luogo
dove si sarebbe svolto il provino e lo stava guardando con l’aria più indifferente
che potesse mostrare. Non perché non voleva dare strane impressioni, ma proprio
perché gli era del tutto indifferente.
Era una
giornata assolata, per lui eccessivamente calda, e la sigaretta finì troppo
presto per i suoi gusti.
Si ritrovò a
rimuginare ancora una volta. Faceva ancora in tempo ad andarsene, già che c’era
avrebbe potuto fare un giro per la città e poi tornarsene a casa. Mizuki se ne era già andata, lasciandolo solo poiché non
poteva assolutamente saltare scuola. Nessuno avrebbe mai saputo né che c’era
andato, né che non fosse entrato. E, a dirla tutta, anche se qualcuno l’avesse
saputo, a lui non poteva fregare di meno.
Ecco lo
spirito dei tempi andati che ritornava, era di questo che aveva bisogno e di
cui sentiva la mancanza e si rincuorò di scoprire di non averlo perso del
tutto.
Fece per
girare i tacchi, ma qualcuno gli si parò davanti sorridente. Troppo sorridente
per i suoi standard.
-Ciao, anche
tu qui per l’audizione!?-
Provò a
rispondere, ma l’altro lo bloccò subito.
-Prima volta
eh?! Tranquillo, è più semplice di quel che sembra! Parli con uno che ha
esperienza da vendere!- Gli poggiò una mano sulla spalla e, con una lieve
pressione, lo fece avanzare insieme a lui oltrepassando la porta d’ingresso.
Perché tutti
gli idioti dovevano capitare a lui? Si sentiva come una calamita per le persone
sorridenti ed esuberanti. Conoscendosi si chiese come fosse possibile. Questo
qui sembrava anche peggio degli altri, perfino peggio di Takao. Non la smetteva
di sorridere e rivolgere la parola a tutte le persone che incontrava (tutte
perplesse al suo pari): era più basso di lui, con i capelli corti neri e la
pelle abbronzata esageratamente, frutto senz’altro di un numero spropositato di
lampade.
Kei cercò di
divincolarsi da quell’individuo irritante e cercò con lo sguardo l’uscita,
bramandola, mentre si faceva sempre più lontana e lui si addentrava sempre più
nell’edificio.
Ecco lo
spirito dei tempi andati che lo abbandonava nuovamente.
Arrivò in
una sala, sempre accompagnato dallo strano tizio che continuava a parlare a
ruota libera senza accorgersi di non essere per niente ascoltato, e vide
all’interno una ventina di ragazzi: ce n’era di tutti i tipi; bassi, alti,
biondi, castani, rossi, bianchi, neri. Una tale diversità che in periferia
avrebbe stonato, ma che nel centro della metropoli era più che naturale.
Solo quando
vi si ritrovò davanti, notò una scrivania alla quale due ragazze molto carine
distribuivano fogli e penne.
Una delle
due, una bella asiatica dagli occhi neri profondi, gli lanciò un’occhiata di
apprezzamento prima di consegnare anche a lui il foglio da compilare.
Completò
tutti gli spazi e lo restituì all’altra ragazza, che, come la vicina, lo guardò
con interesse per poi scattargli a sorpresa una fotografia istantanea: non
appena questa fuoriuscì dalla macchinetta, fu pinzata sul foglio che aveva
compilato. Si spostò e cercò di sparire dalla vista del tipo abbronzato che lo
aveva trascinato dentro, approfittando della discussione che aveva intrapreso con
la ragazza che aveva scattato la foto perché lasciasse che si mettesse in posa,
poiché in quella che gli aveva fatto, secondo lui, non venivano risaltati i
suoi bellissimi occhi.
Gli venne
assegnato un numero, il 43, e fu indirizzato verso una porta che scoprì portare
alla palestra vera e propria dove un altro gruppo di ragazzi stava aspettando
l’inizio del provino.
Desiderò di
non aver mai preso l’autobus per Tokio e di essere tornato indietro finchè era in tempo, si pentì di non essere riuscito a
bloccare Mizuki e si rese conto di quanto i suoi
sforzi erano stati deboli. Ma ormai era lì e doveva affrontare quella
sceneggiata: alla peggio lo avrebbero preso, cosa che sperava vivamente non
accadesse; in quel momento doveva solo ballare.
Posò la
giacca per terra e si sedette, appoggiando la schiena al muro, di fianco a due
ragazzi che parlavano riscaldandosi.
Non si curò
molto di quello che accadeva intorno a lui e ignorò di gran carriera coloro che
provavano a rivolgergli parola. Solo quando li fecero riunire al centro dalla
palestra per cominciare notò l’assetto della stanza.
Era molto
luminosa, tutte le pareti, tranne quella dove si era appoggiato lui, erano
ricoperte da specchi, il parquet era lucido e splendente.
Dovevano
essere una sessantina di persone o poco più e i posti disponibili solo due. Si
rivolsero verso colui che stava parlando: era un uomo sulla trentina che
spiegava come si sarebbe svolta l’audizione.
Ancora una volta
si chiese perché si trovasse lì in quel momento, ma tentò di ascoltare: prestò
attenzione alla presentazione delle tre persone che stavano al centro della
parete lunga, seduti ad una scrivania. Il più anziano era il regista del video,
un uomo stempiato con gli occhiali, poi al centro si trovava il cantante, il
classico rapper nero, tutto muscoli e tatuaggi, e infine il coreografo, anche
lui nero, muscoloso e l’espressione di uno che si appresta a divertirsi. Intorno
a loro un piccolo capannello di persone, tra cui le due ragazze dell’entrata
che reggevano la pila di fogli che dovevano essere le schede coi dati compilati
dai partecipanti.
Un’altra
ragazza spuntò dalle prime file e prese parola: era l’assistente del coreografo
e avrebbe insegnato lei la coreografia.
Kei si
chiuse, indifferente a tutto e tutti, ma si convinse a seguire quello che la
ragazza stava insegnando: ormai era lì e avrebbe fatto quello che gli piaceva
fare; non gli importava l’esito, ma avrebbe ballato, dimenticandosi di dove era
e che cosa si affrontava lì dentro. Avrebbe ballato. Ballato e nient’altro.
Si concentrò
sui movimenti della ragazza e li imitò. Si riscoprì uno dei primi a imparare la
sequenza, non trovandovi nessuna difficoltà. Dopo quindici minuti furono divisi
in tre gruppi per la prima scrematura. Kei era nel secondo, ma non si curò di
accaparrarsi i posti davanti, anzi si precipitò in fondo al gruppo. Da quella
posizione riusciva a malapena a guardarsi allo specchio e questo non gli faceva
altro che piacere. Lui stava benissimo senza e quando la musica iniziò si
rifugiò nel suo mondo fatto di note, movimenti, sensazioni sottili e
impercettibili, di vibrazioni e danza.
Non si rese
quasi conto delle persone che piano piano venivano scartate attorno a lui,
nemmeno delle proteste del ragazzo dell’entrata che vantava il suo grande
talento. Quando la musica si fermò delle venti persone che erano nel gruppo erano
rimasti in quattro.
La
scrematura del terzo gruppo rivelò solo tre persone: alla fine erano rimasti in
dodici. La musica ripartì e quando terminò Kei guardò di sfuggita le persone alla
scrivania; gli sembrò che il coreografo lo stesse guardando, ma non approfondì
la ricerca.
Altri due
ragazzi furono scartati dopo una piccola discussione tra i giudici: sembravano
in disaccordo su qualcosa.
Per
l’ennesima volta la musica riempì la stanza e i dieci rimasti ricominciarono a
danzare.
Gli fu
chiesto di ripeterla ancora due volte, prima di metterli in fila e annunciare i
due che ottennero il lavoro.
Kei riusciva
solo a pensare a quanto avesse bisogno di una sigaretta e rischiò anche di non
sentire l’esito per la sua distrazione.
Avevano
preso due ragazzi neri dal cipiglio abbastanza inquietante, sembravano usciti
da una banda di gangster. L’uomo che aveva parlato all’inizio congedò tutti gli
altri e si congratulò coi due ragazzi presi.
Kei si
diresse verso la sua giacca e se la infilò tranquillamente come se stesse
uscendo da scuola dopo una solita noiosa lezione di storia. Vide con la coda
dell’occhio alcuni tra quelli rimasti cercare di carpire informazioni sul
perché della loro esclusione, prima di imboccare il corridoio che portava
all’uscita.
Gli serviva
assolutamente un posto dove il fumo non fosse vietato e soprattutto aria.
Voleva aria e solitudine. Si sentì per un attimo come se quello che stesse
desiderando in quel momento fosse assolutamente anormale, forse avrebbe dovuto
provare dispiacere, non che si aspettasse di essere preso, ma perché
solitamente una persona normale ci sarebbe rimasta male, almeno un pochino, non
troppo, il giusto. Invece a lui niente. Non interessava niente. Ma in fondo lo
sapeva di non essere del tutto normale.
-Ehi!-
Lui era
tutto tranne che una persona normale e come faceva ad aspettarsi di provare un
sentimento normale come il dispiacere per non aver raggiunto un obiettivo.
-Ehi tu!-
Che poi non
era nemmeno un obiettivo, almeno non il suo. Quindi un po’ normale lo era. No,
impossibile. Però.. fumare. Voleva fumare.
-Kei!-
Solo al
pronunciare del suo nome si accorse che quel vociare in lontananza era rivolto
a lui.
Si voltò e
si ritrovò davanti il coreografo. Era leggermente più basso di lui, ma molto
più robusto.
-Kei giusto?
Sono Jermaine Crowde!-
Gli rivolse
un sorrisetto divertito e gli tese la mano.
Kei si
limitò a stringergliela aspettando che fosse lui a continuare.
-Ti volevo
fare i miei complimenti! Sei davvero molto bravo..- Perché voleva dirgli quella
cosa? Era a pochissimi metri dalla porta e dalla sua sigaretta e quello lì lo
fermava per complimentarsi.
-.. se fosse
stata mia la decisione finale ti avrei preso, ma purtroppo l’artista voleva
solo neri, avrai notato di essere l’unico bianco alla fine! Credimi è stato già
difficile convincerli a darti una possibilità!-
Era rimasto
l’unico bianco? No, non se n’era
accorto. La sua espressione rimase indecifrabile.
-Questi
rapper saranno anche bravi, ma in quanto a cervello..- Jermaine
roteò gli occhi -..sempre con questi pregiudizi, e poi dicono ai bianchi!-
Sigaretta,
fumo, sollievo; Kei desiderava solo quello.
-Comunque ti
volevo dire che il mese prossimo faccio un’altra audizione sempre qui e..-
Kei riprese
improvvisamente il filo del discorso e, prevedendo il resto della frase, cercò
di anticiparlo.
-No, senti
grazie, ma questa era la prima e ultima volta, io non voglio..-
-Ma non puoi
arrenderti al primo tentativo!- L’uomo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un
palmare.
-In verità
io non volevo venirci, diciamo che mi hanno costretto (non era proprio esatto
forse, ma quello che ne poteva sapere) e io non voglio.. fare questo!- Non sapeva nemmeno lui come definire ciò che
aveva appena fatto; osservò l’altro trascrivere su un foglietto le informazioni
che cercava sul palmare.
-Ecco questa
è la data e l’ora.. è sempre qui! C’è speranza che riesca a costringerti anche io? Davvero.. sarebbe
davvero un peccato se non riprovassi! La prossima volta avrò un po’ più
influenza sulla decisione, non ti posso assicurare nulla, ma se balli come hai
fatto oggi considera il lavoro già tuo!- Mantenne il ghigno divertito
porgendogli il foglietto.
Kei lo prese
titubante e prima che potesse rispondere qualcosa per declinare l’offerta
l’altro riprese.
-Almeno
pensaci! Ci conto eh!- Sparì oltre il corridoio.
Non era
possibile. Di nuovo. Gli era successo di nuovo.
Prima che
qualcun altro potesse fermarlo, parlargli o proporgli cose che non voleva
assolutamente fare, si precipitò verso l’uscita e, finalmente all’esterno, si
accese la sigaretta tanto bramata.
12 marzo alle 10. Osservò il biglietto e se lo infilò malamente in
tasca.
Non si
sarebbe fatto incastrare un’altra volta.
Si chiese
qual era il problema. Il suo problema. Come una persona estranea poteva avere
un effetto del genere su di lui. Come era possibile che fosse diventato così
convincibile in così poco tempo e con così poco. Ancora. Nemmeno gli avessero
offerto una montagna di soldi, o meglio un rifornimento a vita di sigarette, di
quelle buone, quelle russe che gli mancavano, quelle belle forti. Doveva essere
successo qualcosa di davvero strano in lui. Non se lo spiegava.
Gli sembrava
di vivere un dejavu. Quella scena l’aveva già vista.
Per forza:
l’aveva già vissuta. Poco meno di un mese prima era davanti allo stesso
edificio, più o meno alla stessa ora.
Quando la
volta precedente aveva lasciato quel posto, era sicuro che non ci avrebbe più
messo piede, sarebbe stato pronto a scommettere qualsiasi cosa, tutta l’eredità
di suo nonno, che avrebbe buttato quel biglietto che stava nella tasca della
giacca appena arrivato a casa. Invece sfortunatamente gli era caduto mentre
tirava fuori il cellulare. Davanti a Rei. Se lui non ci fosse stato,
sicuramente sarebbe andata come aveva progettato. Invece quell’infido di un
cinese aveva afferrato il foglietto e aveva chiesto spiegazioni e lui,
ovviamente, da bravo idiota, gliele aveva date.
Si era fatto
di nuovo convincere. Eppure lui non voleva diventare un.. un ballerino.. lui
ballava sì, ma solo per svagarsi, per non pensare a niente, per dimenticare
tutti i problemi, non era di certo sua intenzione trasformare quegli attimi di
libertà in un lavoro.
Ma si era
fatto di nuovo convincere. E come la volta precedente si ritrovò a ponderare
l’idea di restare con quella di tornare indietro.
Si decise a
girare i tacchi, ma non appena lo fece si bloccò di colpo. Si aspettava che ci
fosse un ragazzo abbronzato a bloccarlo e trascinarlo dentro parlandogli di
cose assolutamente inutili. Gli sembrò quasi di vederlo. Ma non era reale, non
c’era nessuno a parte lui in quella strada, davanti a quella porta. Nessuno lo
avrebbe bloccato, se ne sarebbe potuto andare tranquillamente.
Era arrivato
allora. Finalmente quello che aspettava da tanto era arrivato. Il momento della
pazzia assoluta lo aveva colpito. Sapeva che prima o poi sarebbe finito al
manicomio, che sarebbe diventato pazzo, ma a quanto pareva prima, per
dimostrare fino in fondo questo suo stato, avrebbe affrontato la seconda
audizione della sua vita. In fondo doveva esserci un segnale, un qualcosa che
convincesse tutti della sua malattia mentale. E quella era la situazione
giusta.
Entrò senza
quasi accorgersene nell’edificio e, come la volta precedente, percorse il
corridoio che lo portò davanti alle due ragazze che gli fecero compilare il
foglio e gli scattarono la foto a sorpresa.
Come l’altra
volta entrò nella sala ricoperta di specchi e aspettò.
Pazzo,
pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo, pazzo.
Più se lo
ripeteva, più se ne convinceva.
Tra le
persone che li avrebbero giudicati di sua conoscenza c’era solo Jermaine, che non appena lo vide non potè
fare a meno di sorridere. Ma perché la gente sorrideva in continuazione?
Quel giorno
Kei si sentiva più irritabile del solito, desiderava davvero che finisse tutto
al più presto per potersene tornare a casa e ripromettersi di non lasciarsi mai
più convincere da nessuno a fare niente. Niente di niente.
Di nuovo
l’assistente di Jermaine si apprestò a insegnare la
coreografia. Molto diversa dalla volta precedente. Il provino di questa volta
era per un artista molto più commerciale e soft del rapper della precedente.
Kei si ritrovò a preferirlo.
Rientrò
nell’ottica di idee di ballare e basta. Non pensare a nient’altro.
Questa volta
i posti disponibili erano quattro e alla tranche finale erano rimasti in sette.
Kei osservò
per la prima volta gli altri ragazzi, accertandosi che non fosse di nuovo
rimasto l’unico bianco, per non essere preso nuovamente in contropiede se
qualcuno avesse voluto farglielo notare.
Non notò
nessun importante dettaglio e tornò nella sua completa indifferenza. Era sempre
in fondo, cercando di non farsi troppe pene per essere notato, anche perché non
gli serviva: gli chiesero di venire avanti e mentre ripeteva la coreografia con
gli altri notò che Jermaine lo stava indicando alla
sua assistente che non gli tolse gli occhi di dosso per tutto il tempo.
Rimasero
senza far nulla per almeno 5 minuti, in silenzio ad aspettare mentre la
commissione si stava consultando. Sembravano in disaccordo su qualcosa; Kei si
convinse che per quella gente fosse normale non andare d’accordo. Si spazientì
leggermente. Aveva di nuovo voglia di fumare.
Stavano
sicuramente cercando un punto di contatto, uno iniziò a parlare al telefono, ma
il coreografo sembrava aver perso quel sorriso che da un’ora a quella parte
aveva sfoggiato allegramente.
Comunicarono
finalmente di essere indecisi e che per scegliere si sarebbero basati su chi
aveva maggiori capacità, che si tradusse in un’entrata di break: avrebbero
preso chi si dimostrava più versatile.
Era palese
che Jermaine si stesse preoccupando delle
potenzialità di Kei perché lo guardò leggermente dispiaciuto, come se fino a
quel momento fosse stato sicuro dell’esito positivo mentre ora aveva seri
dubbi.
Ma Kei come
al solito era troppo ossessionato dal pacchetto di sigarette nella tasca della
sua giacca per tranquillizzare il coreografo con un qualche sguardo;
sinceramente non si sentiva in dovere di tranquillizzare quel tipo che, chissà
come, lo aveva incastrato nuovamente in quella situazione, senza sigarette.
Partì la
musica e uno per volta dovettero eseguire un pezzo di freestyle (improvvisazione n.d.a.)a
terra.
Kei era il
quinto in ordine di entrata. Jermaine lo osservò
speranzoso che tirasse fuori qualche capacità nascosta, ma non ci contava
troppo.
Dei primi
quattro solo due si dimostrarono capaci di osare qualche move
di break, gli altri cercarono di riempire con qualche passo spettacolare in
piedi.
Mentre aspettava
il suo turno, che non sembrava arrivare mai, Kei sentiva crescere dentro di lui
sempre più impazienza. Lo stava colpendo uno dei suoi improvvisi sbalzi
d’umore; lo innervosivano quei buffoni prima di lui, quelli agitati dopo di
lui, lo sguardo speranzoso di Jermaine, la pacatezza
degli altri seduti a giudicarlo, l’impossibilità di accendere una sigaretta in
quel preciso momento. Sfogò tutti i suoi malesseri senza nemmeno rendersene
conto. Attivò la sua aria da sbruffone, si sentì improvvisamente in sfida
contro tutti i presenti, che pensassero qualsiasi cosa, che fossero impegnati a
guardarlo o a ripetersi a mente la lista della spesa.
Sentiva
comunque di non sopportarli e di doverli sfidare. Usò quasi ogni passo che era
servito per dare una lezione a Naoki alla fine
dell’estate e, quando si rialzò, era a pochi centimetri dalla scrivania,
davanti al punto in cui era seduto Jermaine. Gli
scoccò un’occhiata di sfida alzando le sopracciglia per poi tornare al suo
posto.
Ritornò
indifferente. Si era sfogato e ora l’unica cosa che lo indisponeva era la
mancanza di nicotina. Non si curò più delle persone attorno a lui. Non si
accorse nemmeno del sorriso che era spuntato di nuovo sul volto del coreografo.
Quasi si
perse la proclamazione dei quattro prescelti. E lui era tra quelli.
Aveva
ottenuto il lavoro. Solo in quel momento si accorse di non volerlo. L’aveva
ottenuto, ma non ne era poi così contento. Non sapeva che pensare.
Sì, era
pazzo. Se non lo voleva perché si era lasciato convincere a partecipare.
Si ridestò
dalle sue osservazioni sulla propria sanità mentale solo quando Jermaine gli strinse la mano e gli diede una potente pacca
sulla spalla.
-Tu sei un
genio!- Non credeva che qualcuno potesse sorridere così tanto -Tu non ti
libererai mai più di me lo sai vero?-
L’espressione
di Kei assunse un cipiglio alquanto perplesso. Uno dei suoi peggiori incubi si
stava avverando, o almeno, il suo ultimo peggiore incubo.
Era rimasto
solo con gli altri tre scelti e aspettava di ricevere il contratto per quel lavoro:
un video con un famoso cantante pop che sarebbe stato trasmesso su scala
internazionale.
Ecco, ancora
peggio. No, non voleva assolutamente farlo. Ma non riuscì a rifiutarsi, nessuno
gli lasciava nemmeno il tempo di elaborare un modo per rinunciare.
-Ecco devi
firmare qui e qui- Una delle ragazze gli fece vedere un foglio non ancora
compilato, mentre l’altra consultava la sua scheda.
-Aspetta, ma
tu sei ancora minorenne!- disse la seconda.
-Davvero sei
minorenne?- si introdusse Jermaine.
-Già-
-Allora devi
far firmare questo a un tuo genitore o chi per esso- continuò la ragazza.
Kei afferrò
il foglio e si chiese chi è che dovesse firmarlo tra quelli che si occupavano
di lui.
-Devi
riportarlo il giorno delle riprese, dopodomani.. iniziamo alle 9- Gli disse il
nome del posto e se ne andò per spiegare qualcos’altro a un altro ragazzo.
-Allora a
dopodomani geniaccio! Mi raccomando sii puntuale!- Anche Jermaine
si dileguò.
Si ritrovò
da solo con quei fogli in mano per la strada, dimentico della sua sigaretta.
Perché non
aveva fatto niente per fermare quella follia? Perché si era fatto incastrare in
tutta quella stramba faccenda? Era inutile: non riusciva a fare a meno di
attirare l’attenzione verso di sé. Eppure lui voleva sempre passare il più
possibile inosservato: non voleva tutte quelle attenzioni da tutti.
Vagò per il
resto del pomeriggio per le strade di Tokio rimuginando, fumando tutto il
pacchetto che aveva in tasca per rimediare alla dimenticanza che aveva avuto
appena uscito dalla palestra.
Se ne comprò
un altro e si sedette alla fermata dell’autobus più vicina.
Gli ci
sarebbero voluti altri 40 minuti prima di arrivare a casa, ma non voleva dire a
tutti che lo avevano preso. Non riusciva ad esserne felice e nemmeno la volta
prima si era dispiaciuto di essere stato scartato. Che cosa doveva fare per
provare qualcosa? Qualsiasi cosa. Un qualsiasi tipo di sensazione. Di
sentimento bello o brutto che fosse. Si ritrovò a pensare alla droga. Almeno
quando l’effetto finiva provava dolore, provava disprezzo per se stesso e la
sua condizione. Provava qualcosa. Cercò di levarsi dalla testa quello stupido,
deficiente, terribile, disgustoso pensiero dalla testa. Come era arrivato a
pensarci? Cercò di indirizzare i suoi pensieri verso qualche altro tipo di
sentimento. Gli venne in mente solo la danza. Subito dopo tutti quelle
osservazioni dolorose sulla droga ecco tutte quelle positive verso la danza, verso
quella sensazione di libertà e leggerezza che sentiva mentre ballava: si
ritrovò a paragonare l’inibizione dei sensi che gli portavano le sostanze
stupefacenti con quella che gli procurava ballare. Si stava drogando di danza
quindi? Non riusciva proprio a non essere dipendente da qualcosa? A quanto pareva
no.
-Sei ancora
in giro?- Si girò verso la voce che gli aveva rivolto la parola.
Non era
possibile. Lo stava seguendo: era l’unica spiegazione.
Una
sensazione finalmente fece capolino. Era scocciato. Ecco, provava qualcosa ora.
Non gli
rispose, ma ottenne l’effetto opposto a quello desiderato.
Invece che
andarsene, Jermaine si sedette accanto a lui sul
muretto della fermata dell’autobus.
-Mi stai
seguendo?-
-Direi che
le nostre strade sono destinate ad incrociarsi più spesso di quanto pensassi.-
L’altro non
gli diede risposta, ma continuò a guardare dritto davanti a sé.
-Ho un
appuntamento qua vicino tra poco e ho parcheggiato qui dietro.. Non ci
crederai, ma ci siamo incontrati per puro caso!-
Kei non
aveva intenzione di rispondere. Si accese una sigaretta.
-Non
dovresti fumare.. Può comprometterti i polmoni..- Maledetto autobus che non
arrivava - .. e per un ballerino respirare bene è importante!-
-Smettere di
fumare è proprio l’ultimo dei miei pensieri e poi.. e poi io non sono un
ballerino- come al solito le parole gli uscirono tanto dure quanto il suo tono
era piatto.
-Ho visto
persone ballare peggio di te e dichiararsi comunque dei ballerini..-
-Non è un
problema mio..-
-Se non sei
un ballerino e non è la cosa che vuoi fare perché ti sei presentato
all’audizione?-
-Questa è
un’ottima domanda.. sarebbe bello avere anche un’ottima risposta-
-Non ti
conosco, ma se sei davvero ancora minorenne e balli a quel modo.. credo che tu
sia uno dei ballerini più bravi che io abbia mai visto negli ultimi dieci
anni!-
-Non sono
un.. un ballerino-
-Verrai vero
a registrare il video?-
-Non lo
so..-
-Dovresti
provare.. che ne sai.. magari ti potrebbe piacere! E se così non fosse, non
perderai più tempo a chiederti se è quello che vuoi fare..-
Calò il
silenzio per un minuto interminabile.
-Considerala
come una prova.. nient’altro che una prova-
L’autobus
spuntò in fondo alla strada e Kei si alzò per alzare una mano e fermarlo.
-Pensaci!-
Le porte
automatiche si richiusero dietro al ragazzo e la vettura ripartì.
Arrivò a
casa quando tutto si era già fatto buio. Peccato che però fosse ancora troppo
presto per passare inosservato.
-Bentornato
a casa! Era tosto l’ora!- lo accolse Takao come temeva.
-Vado a
farmi una doccia-
Si liberò
velocemente degli altri e si rintanò in bagno cercando di metterci il più possibile.
Quando gli
urlarono per la terza volta che era pronto dovette scendere per forza. Non
aveva molta fame, ma dirlo agli altri sarebbe stato un suicidio. Mille domande
sulla sua salute si sarebbero unite a quelle che cercava di evitare da quando
era entrato.
Si sedette
al tavolo insieme agli altri. Notò solo quando se la ritrovò davanti che c’era
anche Hilary, ma cercò di non unire lo sguardo con lei.
Ci vollero
due portate prima che qualcuno prendesse finalmente il coraggio di chiedergli
come fosse andata quella mattina.
-Allora
Kei.. ehm.. com’è andata oggi?- Rei riaffondò il viso nel bicchiere.
Kei, che
stava finendo di addentare l’ultimo pezzo del suo pollo, temporeggiò qualche
secondo prima di parlare. Ma Rei lo anticipò pensando di aver posto la domanda
sbagliata e inappropriata.
-Cioè non è
poi una cosa importante, se non ce lo vuoi dire, cioè ti capiamo, noi..-
-Mi hanno
preso- Alzò lo sguardo al cielo prima di rimettersi a bere dal suo bicchiere
come se non fosse stato lui a parlare.
- Co-cosa?
Bello.. ehm complimenti! E’ una bellissima notizia!- Rei si sentì libero di
raddrizzare la schiena e mostrare una faccia compiaciuta e un largo sorriso.
Kei si alzò
all’improvviso e fece per lasciare la stanza.
-Ma dove
vai?- Lo fermò Takao - ..dobbiamo festeggiare!- Kei lo guardò scettico in modo
molto convincente.
-Ma che
festeggiare! Che mi è saltato in mente! Vai pure!- Si corresse Takao
risedendosi.
Kei lasciò
definitivamente la cucina scuotendo la testa esasperato.
-Ma che ho
detto!- Takao affondò nella sedia affranto.
Si era
diretto in giardino per fumare la sua ennesima sigaretta della giornata, ma
sicuramente non ancora l’ultima. E come al solito qualcuno era arrivato in quel
suo unico momento di pace della giornata, al buio da solo con la sua sigaretta.
-Tutto a
posto?- chiese Rei.
Rispose
facendo spallucce.
-Non mi
sembri felice di essere stato preso-
-Credi
davvero che io possa essere felice per qualcosa?-
-Ma certo
che sì! Che domande sono?-
Altre
spallucce.
-Quindi non
sei.. contento.. di essere stato preso?-
-Mi è del
tutto indifferente.. Non so nemmeno se voglio davvero fare questa cosa-
-Non hai
intenzione di andare?-
-Non so..
Penso che se rinunciassi ora li metterei nei casini..- In effetti l’unico suo
scrupolo era quello.
-Magari..
che ne sai.. potrebbe essere divertente..-
-Questa me
l’hanno già detta-
-Perché
forse è vera!-
Non gli
rispose e terminò la sigaretta ricordandosi in quell’istante di un particolare.
Salì le
scale fino in camera sua per poi tornare nella cucina finalmente poco affollata.
-Nonno J?!-
-Sì
figliolo?-
-Dovrei far
firmare questi fogli per quel lavoro.. lo puoi fare tu giusto?-
-Immagino di
sì.. fammi vedere!- Si asciugò le mani e si sedette al tavolo.
Compilarono
i documenti dopo aver appurato che rientrava tra i compiti dell’uomo firmare.
-Beh..
Complimenti davvero Kei.. è davvero una bella opportunità!-
Meno male
che tutti lo pensavano, avrebbe finito per crederci anche lui se qualcun altro
glielo avesse ripetuto.
Per fortuna
nessuno ebbe intenzione di rivolgergli la parola per il resto della serata e
poté rifugiarsi in camera finalmente solo e nella penombra.
Prese il
cellulare per vedere se qualcuno l’aveva cercato. C’era solo un messaggio del
suo operatore telefonico che gli ricordava l’importo del suo credito e uno di Mizuki che gli chiedeva come fosse andato il provino.
Non le
rispose per molte ore, solo quando era sicuro che non avrebbe potuto
rispondergli le inviò l’sms con quella che doveva
essere la “bella notizia”.
Si chiese se
fosse il caso di avvertire Yuri e gli altri di quello che stava facendo. Glielo
avrebbe detto, ma in futuro, quando avrebbe avuto le idee più chiare.
Non faticò
ad addormentarsi, era abbastanza stanco per abbandonarsi a una notte senza
sogni.
Il giorno
dopo dovette andare a scuola, più per far contento Nonno J che per altro, gli
doveva molto e non sapeva come dirgli di no.
Scoprì solo
alla seconda ora che avrebbero avuto tema in classe quel giorno, ma non se ne
preoccupò minimamente. Intanto non sarebbe andato bene in ogni caso; per fortuna
stava simpatico al professore e non avrebbe avuto un brutto voto comunque.
Il resto
della giornata fu invece assolutamente monotono e il giorno dopo arrivò
abbastanza presto.
Avrebbe
potuto dormire di più, ma si affrettò a uscire prima degli altri perché non
voleva sentire i loro mezzi discorsi che gli avrebbero fatto velocemente
cambiare idea sul presentarsi.
Arrivò a
destinazione in anticipo e si sedette fuori dal grande hangar in cui si sarebbe
girato il video fumandosi una sigaretta: immaginava che non avrebbe potuto
fumare per diverse ore e ne approfittò prima che potesse essere troppo tardi.
Appena
lasciò cadere la cicca a terra e la calpestò per spegnerla, la persona che in
quel periodo lo urtava di più gli si parò davanti.
-Pronto?!-
Lo guardò
sconcertato dalla perenne presenza del sorriso su quel viso.
-Lo
considererò come un sì! Dai entriamo!-
Kei seguì Jermaine all’interno dell’hangar che era già pieno di gente
che si spostava da una parte all’altra e trasportava attrezzature, la metà delle
quali Kei non sapeva nemmeno a cosa potessero servire. L’immenso spazio era
stato diviso da delle paratie alte poco più di due metri, formando diverse
stanze minori e una enorme in cui era montato una scenografia illuminata da
diverse luci e puntata da parecchie telecamere. Il set riproduceva un locale
provvisto di pista, tavolini e bancone.
Si fermarono
in una delle stanzette create dalle paratie che fungeva da sala prove.
-Allora..
Hai fatto firmare l’autorizzazione?-
Kei gli
consegnò il foglio firmato da Nonno J, che il coreografo sfogliò velocemente
soffermandosi solo sulla firma e sulle caselle che indicavano se il firmatario
fosse il padre, la madre, o chi ne faceva le veci notando marcata la terza
casella e la discordanza dei cognomi, ma non fece domande.
-A questo ci
penso io!-
Jermaine, con grande sollievo di Kei, fu
intercettato subito da diverse persone che gli davano indicazioni sul programma
e su quello che avrebbe dovuto fare e non ebbe più l’opportunità di stare da
solo con Kei.
Arrivarono
gli altri tre che avevano passato il provino con lui e altri ragazzi e ragazze
che già facevano parte del corpo di ballo dell’artista.
Per tutta la
mattinata fecero le prove della coreografia, la quale era spezzettata in
diverse scene, in diversi luoghi del set e in diversi punti della canzone.
Solo verso
mezzogiorno arrivò il cantante (un tipo tanto bello quanto erano le arie che si
dava) per provare il suo pezzo di coreografia.
Il catering
portò da mangiare prima di iniziare a girare. Finito di pranzare entrarono
nella stanza guardaroba nella quale una miriade di vestiti aspettavano solo il
proprio proprietario.
Le
costumiste non dovettero far fatica a trovare qualcosa che stesse bene a Kei,
poiché a lui stava bene proprio tutto.
Per girare,
tra un ciak e l’altro, impiegarono tutto il pomeriggio.
Riuscì
nell’aria fresca di marzo che gli faceva solo che piacere verso sera. Come
aveva previsto non era riuscito a fumare per tutta la giornata, tranne una
volta subito dopo pranzo quando si era imboscato con una delle ballerine in una
porta esterna laterale per cinque minuti.
Non aveva
tanto patito per la mancanza; era stato tanto occupato da non avere il tempo di
pensare al fumo, tranne nella pausa pranzo nella quale aveva liberato la testa
dal lavoro.
Beh,
certamente la giornata si era rivelata più interessante di una qualsiasi
mattinata passata a scuola e alla fine non si sentì pentito di essersi fatto
convincere.
Ecco, lo
stava ammettendo, anche se solo nella sua testa, che si era divertito; cioè non
proprio divertito, forse svagato era la parola giusta. Era stato impegnato a
scoprire tutte le cose nuove di quel mondo che aveva quasi dimenticato
qualsiasi suo problema.
Era riuscito
a estendere quel piacere che provava quando ballava a tutto il resto della
giornata, ed era stata una sensazione piacevole.
Con gli
altri non aveva scambiato più di due parole, cioè aveva annuito o risposto a
monosillabi alle due parole che gli rivolgevano gli altri.
Tranne la
ragazza con cui aveva fumato la sigaretta: lei ora stava camminando in silenzio
di fianco a lui, con l’aria rilassata e compiaciuta.
Dovevano
entrambi andare verso la fermata dell’autobus e lei, scoperta per puro miracolo
quest’informazione, si era subito premurata di accompagnarlo.
Dentro
all’hangar avrebbero continuato ancora a girare le scene in cui il cantante era
da solo e questo aveva tenuto lontano Jermaine da
Kei, nonostante fosse chiaro che volesse dirgli qualcosa prima che il ragazzo
andasse via. Ma il russo si era defilato non appena gli era stato possibile con
successo.
-Devi andare
subito a casa?- chiese la ragazza mentre si appoggiavano al gabbiotto della
fermata.
-Probabilmente-
-E’ vero tu
sei quello piccino! Si staranno preoccupando!-
La guardò
perplesso.
-Sei
minorenne no?-
-Le voci
girano- tornò a guardare la strada chiedendosi che cosa ci fosse di così
rilevante nella sua età.
-Già! Dovrai
farci l’abitudine, in questo ambiente non si può sperare di tenere un segreto!-
Ritornò per
la seconda volta a guardarla perplesso.
-Non credo
che farò questa cosa ancora-
-Perché? Mi
sembravi a tuo agio.. e poi sarebbe davvero un peccato!-
-Sì, cioè
non è andata male, ma..- fece spallucce prima di continuare - ..non so se è
quello che voglio fare-
-E come
pensi di scoprirlo?-
L’aveva
preso in contropiede: come pensava di scoprirlo? Contava che provando una volta
le idee si sarebbero fatte chiare, ma non era così, se possibile era ancora più
confuso di prima.
-Non lo so-
Kei si sentì di ripetere quella frase troppe volte nell’ultimo periodo. E non
gli piaceva.
-Beh..- la
ragazza era indecisa se continuare -..tra qualche settimana se non sbaglio, Jermaine lavora con Lauren Bright
e credo che debbano ancora fare le audizioni, secondo me sarebbe felice se ci
andassi anche tu!-
-No no no..
ferma.. Non ho intenzione di farmi incastrare per l’ennesima volta- disse
portando le mani avanti, mentre le immagini di tutte le persone che nelle
ultime settimane lo avevano spinto a presentarsi a quelle audizioni, da Ryo fino a Rei, gli passavano davanti.
-Ma non ti voglio
incastrare!-
-Anche se
non vuoi, lo stai per fare-
-Facciamo
così.. se ti presenti alle audizioni e Jay ti prende,
e se prende anche me ovviamente, ti concedo di uscire con me!-
A Kei scappò
una risata per la situazione che si era creata.
-E chi ti dice
che io vorrei uscire con te-
-Beh, come
fai a resistere a una come me?- Ridendo si passò una mano tra i lunghi capelli
castani mettendo su un’espressione da sostenuta.
Carina era
molto carina. Sì, forse anche un po’ più di carina.
Scosse la
testa esasperato anche per i suoi improvvisi pensieri.
-Allora
affare fatto?-
Kei alzò le
braccia in segno di resa; ormai non era più padrone delle proprie azioni.
-Perfetto!-
Rubò il cellulare dalla tasca della giacca di Kei e salvò il suo numero nella
rubrica. Poi si fece uno squillo e salvò quello di Kei sul suo.
-Ti scrivo
un messaggio per i dettagli allora! Appena lo dirò a Jay
sarà entusiasta!-
-Cosa? Te
l’ha chiesto lui?-
Lei fece la
faccia da santarellina.
-Ma certo
che no! E’ tutta una mia idea! Solo che Jay mi ha
parlato di te come un bambino parla del suo dolce preferito e penso che in
questo modo saremmo tutti contenti.. lui avrà il suo ballerino, io il mio
appuntamento e te..-
-..e io?-
-Beh.. – si
spremette le meningi per trovare qualcosa di convincente -..tu le tue
risposte!-
-Ma lo sai
che potrebbero arrestarti se esci con me?-
-Non ci
avevo pensato.. vabbè correrò il rischio!- Gli sorrise genuinamente.
Ed eccoci qui.. il cerchio si è chiuso.. o almeno il
mio cerchio! Infatti questo capitolo, come i prossimi due, erano già stati
scritti almeno due anni fa, poco dopo il pezzo della Russia u.u
ebbene, questa è la conferma che tutto era già deciso e che avrebbe portato
qui. Rileggendolo, comunque si nota la somiglianza con i primi capitoli, anche
se ho corretto un po’ di cose qua e là!
Insomma.. quanta danza! Se la odiate me ne dolgo molto
u.u
Ma vabbè.. annuncio anche che questo è l’ultimo
capitolo che mando dall’Italia.. dal prossimo si diventa international!
Sperando bene per la connessione che avrò :O ma non fasciamoci la testa prima
di essercela rotta!
Nel frattempo recensite bimbe belle e fatemi sapere quanto
mi lovvate o quanto mi odiate u.u
Un bacione :)