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Autore: xNewYorker__    16/09/2011    1 recensioni
Quell’equilibrio precario che aveva mantenuto per così tanto tempo sembrava voler cedere da un momento all’altro, mentre conservava il tutto ficcandolo in una cartellina di un colore giallo acceso che faceva male ai pensieri, li accecava.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raccolse quei fogli, pesavano come macigni sulle già fragili spalle della sua anima in bilico su di un filo.
Quell’equilibrio precario che aveva mantenuto per così tanto tempo sembrava voler cedere da un momento all’altro, mentre conservava il tutto ficcandolo in una cartellina di un colore giallo acceso che faceva male ai pensieri, li accecava.
Raccoglieva quei fogli e s’incamminava verso un futuro così lontano dai suoi occhi ma così vicino al suo cuore da farla tremare nel bel mezzo della notte in preda ad idee folli e progetti assurdi, ma realizzabili. Portava quel velo di malinconia addosso che sembrava dover essere eterno.
Lei non era una ragazza perfetta. Non era la ragazza che tutti notavano in mezzo ai corridoi, non era la ragazza che chiunque avrebbe desiderato come amica, non era quella che avrebbero pagato per assicurarsi il posto al suo fianco.
Era una persona come tante altre, così anonima e così invisibile, che racchiudeva dentro di sé un dolore represso da anni.
Probabilmente quel dolore non l’aveva mai esternato a nessuno, neanche alla sua famiglia, sempre così presente, così presente da sembrare asfissiante, con una storia insolita alle spalle.
Da sempre aveva vissuto all’ombra d’un fratello perfetto e d’una sorella anarchica e anticonformista, e quel giorno aveva deciso che non si sarebbe più fatta mettere i piedi in testa da lei. Non sarebbe più stata la sorella di suo fratello, né la figlia di suo padre, né la nipote di suo zio.
Sarebbe stata lei, solo lei. Sarebbe stata sé stessa, una volta per tutte, per sempre.
Si ripeteva “per sempre” mentre avanzava facendo passi ritmici a non più di cinque centimetri dai binari del treno.
Quando quello le si fermò accanto si sentì libera. Libera di fare quello che voleva, libera di scappare.
Sarebbe salita lassù, e nessuno le avrebbe più ordinato di essere la figlia, la studentessa, la sorella, la cugina perfetta.
Sarebbe stata unicamente una ragazzina con un sogno più grande di lei, così come tante altre ragazzine allo stesso modo anonime e allo stesso modo leggermente sfigate, quelle ragazzine asociali e diverse, escluse dalla società perché considerate esseri troppo insoliti per appartenere alla generazione dei balli da discoteca e del trucco ad undici anni. Lei era soltanto una studentessa di terza media con una valigia di sapere troppo grande.
Certe volte tutto quel che c’era dentro le si piazzava sullo stomaco, e lei si rigirava, continuando a sentire quel peso in qualsiasi posizione si trovasse.
S’imponeva di lavorare di fantasia, e si piazzava fin troppi paletti intorno per monitorare ogni suo minimo passo.
Era una studentessa tranquilla ed introversa, di quelle che non parlano mai e che rischiano il collasso durante una lezione d’algebra.
L’unica cosa che in quel momento riuscì ad udire fu soltanto l’ultimo fischio che richiamava i passeggeri e l’invitava a salire ordinatamente, a prendere posto e ad andare avanti.
Vedeva quel treno dalle cabine verdi, macchiate di ruggine, come una nuova opportunità di vivere la sua vita.
Sarebbe stata una scelta avventata a quell’età così giovane, ma tutto quello a cui aveva pensato era la voglia di scappare e di trovare la sua strada. La sua strada…quella l’aveva già trovata da tempo. Chissà dove sarebbe andata a finire.
Si ritrovò su un sedile sporco, ricoperto di sintetica pelle animale che nella maggior parte dei punti era lacerata, strappata, graffiata in qualsiasi modo, però rimaneva imprigionata, legata a quel sedile grazie a dei pezzi d’ingombrante ed invadente nastro chiaro, che spiccava tra il marrone della pelle e le pesanti macchie nere tra i vari buchi.
Si sentiva in un certo senso come la pelle di quel sedile, perennemente legata ad un’ancora di cui voleva liberarsi, staccandosi e proseguendo per la propria strada. Riusciva ad ispirarsi osservando anche la foglia d’un albero cadere lentamente e sfiorare il suolo, l’avrebbe senz’altro vista come un bambino che compie i suoi primi passi. Se avesse visto un fiore sbocciare, vi avrebbe letto dentro l’insicurezza di qualcuno di bellissimo che non se ne rendeva conto.
Gli occhi azzurri smisero d’osservare il mondo, mentre lei s’accucciava in quel misero giaciglio e cercava d’addormentarsi, in sincronia col calar del sole dietro alle montagne dalle punte d’un bianco candido, morbido e leggero, che avrebbe infuso in chiunque il desiderio di sfiorarlo per un istante.
Si strinse nella giacca di lana blu, ormai l’unico conforto proveniente da amici perduti.
Tra le mani reggeva un quaderno e una penna, quelli che erano i suoi compagni di vita da quando aveva compiuto nove anni e aveva scoperto quella che sarebbe stata la sua più grande passione. Sulla pagina bianca, all’inizio, si scorgeva appena qualche parola, qualche riflessione sull’abbandono della vecchia vita e sull’imprevedibilità degli avvenimenti futuri. Chissà cosa le sarebbe successo.
 
Le gambe le tremarono, dopo otto ore di viaggio. Scese, ed era notte fonda, ma era arrivata all’altro capo della nazione.
Si sentiva lontana da tutto: lì poteva ricominciare. Era così lontana da non poter riuscire più a sentire la pressione di quei macigni farle peso sulle spalle, così lontana da non sentire più l’odore dei campi nei suoi pensieri: s’era dissolto anche in essi, era diventato troppo distante per poterlo ricordare. Il suo cuore si ritrovò chiuso in una scatola di latta per i giorni che seguirono, e la sua mano non produsse nulla, finché non affiorò il sentimento della nostalgia, vivo all’interno di lei, così vivo da poterlo sentire masticarle le viscere ed attaccarla come un drago in quelle battaglie di fantasia che sognava appena addormentata quando aveva cinque anni.
Seduta al tavolo d’una biblioteca vuota, iniziò a scrivere come mai aveva fatto prima.
Riuscì ad esprimere tutte le cose che aveva nascosto in quegli anni, e allora si rese conto che era il momento di tornare indietro, il suo infinito l’aspettava a casa.
   
 
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