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Autore: LarcheeX    16/09/2011    4 recensioni
Dopo la morte di Xemnas, le istanze dittatoriali di un certo Re cominciarono a farsi troppo ambiziose e avide di potere, portando quello che era un universo che aveva faticosamente guadagnato la pace e la serenità a diventare un oscura distorsione di sé stesso.
Ma come ogni dittatura porta consensi, volenti o nolenti, e dissensi, un gruppo di Ribelli ritornati in vita capitanati dai traditori traditi dal loro migliore amico è pronto a sorgere dalle macerie dei ricordi e farsi avanti per distruggere il Re.
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Tornata in vita non si sa come, LarcheeX torna alla carica dopo un imbarazzante numero di mesi: qualcuno la seguirà? Boh. Vedremo.
Penumbra is back.
Genere: Avventura, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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L’Heartless della discordia.

 

Caverna nascosta all’ingresso dell’oltretomba, ore 23.30.

 

“Non abbiamo un piano d’attacco.” Sentenziò Larxene, con aria annoiata, appoggiandosi al muro roccioso della caverna. Già il fatto di non poter usare il proprio potere a causa della maledizione dell’oltretomba le dava fastidio, inoltre c’era una puzza terrificante di cadavere. In quel momento stava rimpiangendo Lexaeus, ancora svenuto e adagiato su un materasso del loro covo, che non aveva preso parte alla spedizione.

“Il fatto di non averlo non ci impedisce di organizzarlo adesso.” Disse Xemnas: “D’altronde non potevamo certo stabilire granché senza sondare il campo di battaglia.” Valutò, cercando di delineare una mappa approssimativa dei cunicoli sotterranei.

“Mi pare che Ade abbia fatto scavare altre gallerie, perché prima ce n’erano tre principali e poche di collegamento.” Disse Demyx: “E ora ce ne sono almeno sette principali e un labirinto di cunicoli e trappole.”

Quello era il mondo in cui Demyx era il più esperto, tanti erano stati i giri di perlustrazione ai quali Il Superiore l’aveva costretto prima di fargli sfidare il cerbero. Anche se il paesaggio era cambiato di molto, riusciva quanto meno a orientarsi per uscire.

“E come se non bastasse non possiamo usare i nostri poteri per la maledizione dell’oltretomba.” Aggiunse. Il medaglione, però ce l’aveva Sora.

Saïx rifletté: avevano un membro in meno, dato che Lexaeus era stato esentato, per quella volta, dalla battaglia, e di sicuro Kairi e Naminé non potevano essere valutate come combattenti valide. Kairi, inoltre, serviva unicamente allo scopo di aprire la serratura che, tra l’altro, situata in un luogo ignoto e probabilmente molto protetto.

Notò che Axel lo stava osservando, ma lo ignorò, simulando tutta la sua finta rabbia dietro la sua quotidiana maschera fredda. Non poteva certo andare ancora in bersek per quel membro in prova.

“Penso che sia utile dividerci per cercare la serratura.” Disse: “Almeno così riusciremmo a farci un’idea del posto.”

Riku annuì: “Bene, io prendo Kairi e Naminé.”

“Xigbar, Vexen, Saïx, Axel, Jack e Cloud verranno con te.” Decise Xemnas, stando ovviamente attento a non riunire i traditori, e soprattutto costringendo Marluxia e Larxene a stare nel proprio gruppo proprio per essere controllati.

Marluxia, più del fatto di essere stato messo ‘sotto controllo’, sembrava essere irritato dal fatto di essere allontanato da Naminé, ancora sua preda per la sua vendetta.

Ma quello che voleva da lei, ovviamente, non era solo l’umiliazione di essere stata sconfitta davanti a tutti, no, pretendeva anche di avere il ricordo del proprio nome da umano, perché, ora che l’aveva avuto praticamente sotto al naso, smaniava per riaverlo.

“Bene.” Disse Riku: “Noi andiamo di qua.” E detto ciò, si inoltrò per di un cunicolo in discesa, stando attento a scansarsi dai puntini bianchi delle anime dei morti.

“Bene” ripeté Xemnas, guardando Xaldin, Zexion, Demyx, Luxord, Larxene e Marluxia uno per uno: “Allora noi prenderemo il cunicolo di sinistra.”

 

Stanza di Ade, ore 23.30.

 

Si insinuò con passo felino nella stanza, producendo solo quei rumori non rilevabili dall’orecchio umano, rumori che però furono percepiti benissimo dagli Heartless di guardia, che si riscossero dal loro torpore e attaccarono.

Inutile dire che dopo tre balzi e due shuriken ben piazzati, le due creature si dissolsero in una nuvoletta di fumo.

Non era lì di certo per battersi con avversari di così infimo livello, aveva ben più alti obiettivi. Come per esempio neutralizzare la serratura per evitare che interferisse con il suo piano. Certo che, però, ce ne aveva messo di tempo prima di giungere in quella stanza, dalla quale provenivano di sicuro le vibrazioni magiche causate dal sigillo appena attivato.

Non appena mosse il primo passo verso il centro della stanza, nella sua visuale apparve l’ultima persona che aveva previsto di incontrare. “Léon…” mormorò, mentre l’uomo sfoderava la propria gunblade per attaccare. Schivò il colpo, incapace di ribattere all’offesa e, prima che potesse finire col perdere la propria vita, si smaterializzò con un balzo e una piroetta e sparì dalla visuale del suo amico che non la riconosceva più.

 

Cunicolo dalla collocazione ignota, ore 23.40

 

“Certo che qui fa freddo, eh?” disse Jack, strofinandosi le braccia per crearsi un po’ di confortante calore che, però, a causa della fantomatica maledizione, si spense velocemente. Cloud annuì, con un’aria grave che non lasciava prevedere nulla di buono.

“E ovviamente Xemnas si è preso l’unico membro con qualche ricordo sul luogo.” Si lamentò Vexen, mentre Xigbar, avvicinandosi a Naminé, le disse: “Avrai capito con quali manovre Marluxia deciderà di attaccarti, vero dolcezza?” lei, piccata per essere stata provocata da Xigbar, tirò una steccata ai suoi ricordi, facendogli da promemoria sul fatto che avrebbe tranquillamente potuto attaccare anche lui. Il numero II, sorpreso, si ritrasse da lei, tornando indietro di almeno tre passi.

Poi, non serviva ricordarglielo, Naminé ormai aveva messo in conto il fatto di poter essere attaccata dall’ormai numero XI in prova e aveva già preparato la propria difesa. Aveva ovviamente capito che Marluxia non mirava solo alla vendetta, ma anche ai propri ricordi, e avrebbe di sicuro provato ad estorcerli con la forza.

Solo in quel momento Naminé si rese conto del guaio in cui si era cacciata: Il Leggiadro Sicario avrebbe di sicuro provato per tutta la durata della sua vita da nessuno a farla fuori o a umiliarla e, dato che non era proprio un fenomeno in ottimismo, aveva l’impressione che quell’agonia sarebbe durata in eterno.

Certo che fare la cattiva era proprio faticoso.

Lo aveva messo nel suo stesso gruppo per tenerlo sotto controllo, lo sapeva. Axel ormai aveva capito che Xemnas lo avrebbe fatto marcare stretto dal suo secondo in comando. Infatti Saïx, dietro a tutti, non faceva altro che scoccare occhiate gelide e rancorose al suo sottoposto dai capelli rossi. Vexen, intanto, stava cercando di trovare dei punti di riferimento per tornare indietro – quel ragazzino sprovveduto sta pensando solo all’andata! – ma in quel fottuto cunicolo tutto era uguale a sé stesso, anzi, avrebbe potuto scommettere sul fatto che quelle anime stessero creando una falsa luce per fuorviare il suo senso dell’orientamento.

A causa di questa operazione di analisi dei luoghi era rimasto parecchio indietro rispetto agli altri, tanto che non riusciva a vedere nemmeno la capigliatura assurda di Axel. Fantastico.

All’improvviso, una risatina alquanto fuori luogo interruppe i suoi calcoli e i suoi lugubri pensieri a riguardo delle anime. Una risatina.

Sentendo di nuovo quel suono inquietante, il numero IV si girò di scatto, lanciando un blizzard per cercare di congelare un eventuale nemico, ma, con quel goffo tentativo di sfida, la risatina si ripeté ancora una volta, accompagnata, però, da un suono sibilato: “Lentooosisisi.

Senza pensarci troppo evocò “Orgoglio Gelido” e si mise in posizione di attacco, anche se non si mosse oltre. Aspettava che il suo avversario venisse fuori da sé, in modo da poter studiare i suoi movimenti e partire al contrattacco.

Le risa si fecero più forti e scroscianti, e il numero IV sentì un tonfo sordo dietro di sé. Girandosi, sempre più fintamente nervoso, scorse un ragazzino che, uscito alla scoperto, cercava di tornare dentro il proprio nascondiglio, ma fu più rapido di lui e gli si avvinghiò alla caviglia, inchiodandolo al suolo. Lui, dopo aver spostato dagli occhi i riccioli biondi che gli cadevano fino alle spalle, e quindi dopo averlo visto, cominciò a starnazzare: “Oh, no, e ora mi prendono, stupida Fanny che non fai altro che fare scherzi idioti, oh, no, ora mi prendono e Ade mi farà mangiare dal Fido a tre teste, il Fido a tre teste è cattivo perché ha i denti scuri e sanguinolenti e gli occhi iniettati, oh, no, ora mi prendono e-”

“Vuoi tacere!?” tuonò Vexen, dopo essersi avvicinato. “Oh, lo sapevo che mi avrebbero preso e io allora cosa faccio? Cosa faccio?” Il Freddo Accademico cercò qualche battuta antipatica per far zittire quel dannato moccioso, ma prima che potesse aprir bocca quello, con un ghigno, gli tirò un calcio in mezzo alle gambe e, ridendo, filò via in un canale.

Si trattenne dall’imprecare e inseguì quella maledizione almeno per ricambiare il gentile favore.

“Preso!” gridò, dopo averlo acciuffato per i capelli, dopo una corsa lunga quasi mezz’ora che era finita con il moccioso, se possibile ancora pieno di energia, che era tornato indietro per sfotterlo adeguatamente riguardo la sua fiacchezza, ma lui gli si era avventato contro immobilizzandogli braccia e piedi. “Sarò un po’ vecchio, ma mica tanto.” Mugugnò, più a sé stesso che a quella peste che si dimenava ancora. In quel momento pensò che quella ridicola quanto infruttuosa lotta fosse finita. Beato lui.

“Lasciami, lasciami!” il ragazzino, nel vano tentativo di liberarsi, rotolò pericolosamente vicino ad un dirupo e cadde quasi giù.

Accaddero poi le seguenti cose: Vexen, che era freddo e accademico ma che non voleva marmocchi sulla “coscienza” si sbilanciò per riacchiapparlo, ma quello, invece di farsi prendere, gli morse un polpaccio – dannato moccioso! – e si buttò giù. Ovviamente fu così gentile da portare giù anche lui.

Nel momento in cui stava precipitando verso il molto basso avrebbe potuto pensare mille cose, ma gli uscì naturale epilogare con un: “Che morte ridicola.”

 

Altro cunicolo dalla collocazione ignota, ore 00.45.

 

Gli occhi di Xemnas lampeggiavano in tutto il loro austero arancione ora verso Larxene, ora verso Marluxia, osservando con un’attenzione particolare i cenni che si facevano durante la marcia.

Stavano camminando da circa un’ora e mezza, e il paesaggio non era mai cambiato: sempre e solo un cunicolo buio e appestato di maledizione e anime anelanti alla pace. Ne stava giusto scansando una con la mano quando Zexion gli si avvicinò: “Superiore, avverto uno strano odore.” Annunciò.

“Oscurità?” chiese lui fermandosi. Il numero VI scosse la testa: “No, è qualcosa di indefinito, come un ammassarsi di tonalità differenti di odori.” Disse: “E poi c’è odore di morte.”

Xemnas rifletté: un luogo dove potevano trovarsi molti odori differenti tra loro e anche quello di morte. Beh, poteva essere un campo di battaglia o, meglio, una prigione.

Una prigione pareva più probabile, e inoltre in quel tempo, chi era che non avesse un luogo adeguato in cui  carcerare i traditori e gli individui scomodi?

“Se non sbaglio ora dovremmo prendere quel cunicolo laggiù.” Disse Demyx, indicando il corridoio più stretto, buio e soffocante. “Secondo me sbagli.” Ribatté acidamente Larxene, decisamente contrariata dal fatto di doversi muovere a gattoni in quel dannato vicolo.

Il numero IX dissentì: “No, guarda, lassù c’è la torre di Ade e questo punta dritto verso di quella.” E indicò una specie di torrione di nuova forgia, perché di sicuro non se lo ricordava, sopra il quale spiccava una torcia dall’instabile fuoco blu. Larxene, per quanto riluttante, fu costretta ad inginocchiarsi e gattonare in fila con gli altri colleghi.

“Certo che questa puzza fa a concorrenza con una taverna a Port Royal” brontolò Luxord: “Ed è tutto dire.”

Demyx era il primo della coda inchinata e procedeva tastando il terreno e tirando in avanti i sassi troppo grossi che le sue ginocchia incontravano con una fitta di protesta, anche se poi, rincontrandoli, era costretto a rilanciarli qualche passo più in là. Anche se era lievemente faticoso, per Demyx era un metodo per controllare il tempo che stavano impiegando ad attraversare quello stretto passaggio. In quel momento erano entrati da dodici lanci.

Probabilmente quello più in difficoltà risultava Xaldin che, con le spalle larghe e massicce che si ritrovava, era costretto talvolta a demolire un piccolo pezzo di muro. Zexion, dietro di lui, gli ordinò di smetterla perché gli stava facendo franare il basso soffitto sulla testa.

Quattordici lanci.

Ad un certo punto, i sette sentirono un rumore simile ad un inquietante crack che lasciava presagire poco e niente di buono. “Dimmi che non è quello che penso io.” Mormorò Marluxia, allarmato. “A cosa stai pensando?” gli chiese Larxene, davanti a lui.

“Ad una trappola.”

Ma Il Leggiadro Sicario non fece in tempo a finire la frase che il terreno sotto di loro franò rovinosamente, e l’unica cosa chiara poi fu semplicemente qualcosa gridata da Larxene a proposito dell’imbecillità di Demyx.

 

Buca nei pressi del fiume di morti, ore 00.27

 

“Ehi, guardate, è vivo!”

Con una protesta mugugnata, Vexen si alzò a sedere, scombussolato. La prima cosa che mise a fuoco fu una ragazzina dai capelli rossi e così ricci da sembrare una nuvola sanguinolenta, gli occhi verdi e una lieve coroncina pericolosamente in bilico sulla matassa di riccioli. “Ciao.” Disse lei, porgendogli un bussolotto pieno d’acqua. La respinse, diffidente, e lei ne parve offesa.

“Fanny lascialo stare, sarà stanco e indebolito, dato che Rial lo ha strapazzato per bene!” disse una voce di donna, querula eppure gentile, tipica delle nonnine tutte trine, e nella sua visuale affaticata apparve una donna non troppo vecchia, dai lineamenti duri e severi e corpo robusto, stranamente muscoloso.

“Sei un emissario di Ade?” grugnì, con la sua voce querula. Vexen assottigliò gli occhi, sospettoso. Nessuno gli garantiva che quella non fosse un Heartless. Si alzò, sulla difensiva, ma ricadde subito a terra quando vide la propria caviglia incespicare in una catena.

“Non mi hai ancora risposto!” esclamò lei, con un tono più minaccioso, esibendo un gladio da arena contro la sua gola. “No.” Rispose lui, secco, evocando Orgoglio Gelido e tranciando la sua costrizione con una delle punte.

La donna fece per attaccarlo con la piccola spada, ma trovò la resistenza dello scudo del Freddo Accademico  che, non volendo altre rogne, la spinse per terra con la forza di entrambe le braccia e si defilò al di fuori della piccola stanza in cui era stato riposto.

Si ritrovò in un’enorme arena sotterranea, tanto che cominciò a chiedersi, a ragione, dove fosse finito con quella caduta assurda. In quel grande spazio c’era gente di tutti i tipi e tutte le età che si allenava a combattere, a fare magie e a schivare i colpi.

C’era anche il ragazzino pestifero che lo aveva trascinato lì, e si stava dando da fare con un bastone lungo il doppio di lui contro un gigante dalla pelle bronzea.

Usò il bastone per percuotere il suo avversario sulla spalla, ma ovviamente il colpo non riuscì nemmeno a smussarne l’equilibrio, tanto che quello prese la pertica per un’estremità e la lanciò lontano, con tanto di ragazzino appeso, che volò dritto dritto dentro una fossa piena di fango.

Il gigante si guardò intorno, spaesato, totalmente ignaro di aver fracassato un suo avversario, e poi puntò gli occhi su di lui. Vexen ebbe uno spasmo di freddo che gli impose di correre a gambe levate, ma fu costretto ad avvicinarglisi, pronto alla battaglia, quando quello puntò un tozzo dito contro di lui, muggendo: “Tu combatti!”

La donna di prima gli si avvicinò in fretta e furia con fare concitato, balbettando: “Acconsenti prima che ti faccia a fettine.”

Oh, fantastico! Mai che si potesse rimanere più di due secondi tranquillo. Lui era uno scienziato, diamine!, non poteva certo stare a correre qua e là come un cretino ad aspettare che qualcun altro pensasse a porre una fine ai suoi giorni come tanto piaceva ai numeri XI e XII! La scienza era esatta per obbligo, e come tale richiedeva calma e silenzio.

“No.” Ribatté, secco, e fece per andarsene quando una mano della portata di un bue lo sbatté tre metri più avanti.

“TU COMBATTI!” muggì quello, brandendo una mazza rubata ad un altro combattente. Tutti i presenti si girarono verso di lui, ansiosi di vedere come avrebbe risposto a quella aperta provocazione. Si girò, con fare scocciato, e gelò il suo probabile avversario con uno sguardo freddo. “Io dico di no.” Sibilò, girando i tacchi e allontanandosi a grandi passi.

La donna che lo aveva accolto al risveglio si avvicinò, ma il gigante la superò e si abbatté sul Freddo Accademico, pronto allo scontro e sicuro che quell’uomo mingherlino avrebbe risposto all’attacco.

Vexen credeva che la sua risoluta freddezza avrebbe spento i bollenti spiriti di quell’ammasso di muscoli senza cervello, invece si ritrovò schiacciato tra il suo scudo oppresso dal quel gigantesco peso e il pavimento di pietra dell’arena. Un coro di spavento si levò dagli altri atleti, che si mobilitarono a dividerli, più che altro per evitare un omicidio.

Un po’ per riflesso, un po’ per istinto di sopravvivenza, Vexen fece leva sui reni per alzare il busto e infilargli un pezzo di ghiaccio tra le costole.

Quello, trafitto dal dolore, si scostò rotolando e cominciò ad agonizzare con mugolii e muggiti, tipici del suo cervello di gallina.

Si rialzò un po’ a fatica, esausto, e fece sparire lo scudo, per allontanarsi, un po’ zoppicante, in un angolo dell’arena al riparo dagli sguardi di quel pubblico fastidioso.

 

Gallerie della discordia, ore 00.30.

 

“Dov’è il numero IV?” chiese Saïx, dopo qualche minuto che Vexen fu sparito tra i corridoi di quel labirintico Aldilà. Si girarono tutti, compresi Cloud e Jack. “Beh…” disse Axel: “Se è morto non è un proble-” ma si zittì nell’essere squadrato con odio da tutti i suoi compagni.

“Se cominciamo a perdere membri alla prima missione non possiamo certo pensare di sopravvivere!” esclamò Xigbar, sbuffando. Riku annuì, deciso: “Esatto, non possiamo assolutamente permetterci certi lussi.”

“Allora che facciamo?” chiese Naminé, guardandosi intorno: “Possiamo dividerci per cercarlo o…” provò a proporre, anche se fu immediatamente interrotta da Saïx: “Andremo io e il numero II.” Decise. “Nah, ci va Axel al posto mio.” Borbottò Xigbar, sventolando una mano per sviare l’oneroso compito. Saïx mantenne un’espressione neutra e, girando i tacchi, si avventurò nel buio del percorso già fatto, illuminato solamente dalla cupa luce delle disperate anime dei morti.

Axel, dopo un attimo di imbabolamento, si riscosse e seguì la chioma azzurrina del suo superiore.

Camminarono per ancora un’ora, brancolando nel buio, almeno finché non si ritrovarono davanti ad un bivio a più tunnel. Ce n’erano dodici, e nessuno di loro sembrava particolarmente deciso a svoltare in uno di essi.

“Prendiamo quello dell’estrema destra!” esclamò Kairi, dopo qualche minuto di smarrito silenzio, ma fu subito smentita da Xigbar: “Scusami dolcezza, ma, venendo da destra, rischieremmo di ritrovarci al punto di partenza.”

“Ma non è vero!” esclamò lei: “Ci potrebbe essere una svolta!”

“Tacete.” Disse Riku, secco: “Quello lì.” E indicò il terzo tunnel da sinistra.

“Percepisco una strana aura…” borbottò Cloud, mettendo mano alla sua spada, ma, stranamente, in quel momento fu Naminé a contraddirlo, e anche abbastanza maleducatamente: “Oh, beh, per uno che è stato in prigione due anni anche uno spiffero di vento è una strana aura.”

Ma nessuno si accorse della risposta della piccola bionda, perché Kairi, Riku e Xigbar erano troppo impegnati a prendersi ad improperi e minacce riguardo la strada da prendere. Cloud, offeso, minacciò il Nessuno dall’abito bianco con la sua arma: “Ripetilo se hai il coraggio!” ringhiò a bassa voce.

Jack rimaneva più sconvolto ogni minuto che passava tra insulti e risposte acide, sempre più crudeli nei confronti dei compagni. Cosa stava succedendo? Anche lui avvertiva quella strana aura che il suo amico aveva nominato poco prima di cadere nella ragnatela.

Ragnatela?

Istintivamente, il pirata guardò verso l’alto, e vide un enorme Heartless a forma di ragno ergersi sopra i suoi compagni, tessendo i fili che scorrevano tra le braccia di Riku, Kairi, Xigbar, Cloud e Naminé, tenendoli stretti, avvolgendoli, mangiandoli. Possibile che non li vedessero?

Vide l’Heartless posare i suoi occhi gialli e misteriosi su di lui, cominciando a tessere una corda di ragnatela anche per lui. “Oh, oh…” mormorò, cercando di sfoderare la sua cara spada.

Quella dannata! Si era incastrata nel fodero! Tirò con tutte le forze che aveva, ma quella non ne voleva sapere di venirne fuori. Cambiò mano, slegò la custodia dalla cintura e la infisse per terra, per poi far leva sui piedi e combattere la maledetta. “Porc’” imprecò, quando il fodero scattò in avanti verso di lui a causa della troppa forza impiegata, facendolo rotolare tra i piedi di Xigbar.

Il numero II lo guardò con il suo unico, inquietante occhio, come a cercare un segnale della sua sanità mentale, ma poi continuò a discutere con Riku a riguardo dalle direzioni.

L’Heartless aveva artigliato il braccio del Capitano, che cercò di opporre qualche resistenza. Cominciò a correre con la sua tipica corsa zampettata, sperando che i movimenti bruschi rompessero la ragnatela, con l’unico risultato di arrotolarsi con i fili dei compagni.

Gli sembrò di essere mangiato da quella enorme creatura, quando sentì uno sparo.

Due spari.

Una serie infinita di spari.

Xigbar, dimentico dei litigi che aveva intrapreso, aveva sfoderato le sue pistole e stava crivellando di colpi quel subdolo avversario, tanto che, dopo qualche lungo secondo, l’Heartless crollò a terra con un tonfo da scuotere tutta la galleria, dissolvendosi dopo qualche secondo.

Caddero tutti a terra.

“Che mal di testa…” mormorò Kairi.

Il numero II li squadrò con un’espressione stranamente seria, totalmente incoerente al suo carattere sbruffone e ironico, per poi avviarsi nel corridoio centrale.

Gli altri si affrettarono a seguirlo, turbati.

Fu Naminé a rompere il silenzio: “Xigbar, cosa è successo?” il numero II ci mise un po’ per rispondere, come se qualcuno lo avesse costretto a parlare. Il fatto era che, per un momento, vedendo l’unico Heartless in grado di far litigare le persone, si era illuso di poter provare un’altra volta la rabbia, come se quell’essere potesse restituirgli per un tempo limitato una delle emozioni perdute. Inutile dire che, anche avvolto nelle spire della ragnatela, continuava a essere immerso nel vuoto più totale. Si sarebbe potuto definire deluso.

“Quell’Heartless è in grado di instillare zizzania anche tra i più cari amici.” Disse, con voce piatta. “Pensavo di ingannarlo finché se ne stava sul soffitto e poi ucciderlo, come ho fatto.”

“Ma…” provò a dire Naminé, che si era ritrovata stranamente coinvolta in quel battibecco nonostante fosse anche lei un Nessuno, cercando spiegazioni, ma Xigbar la interruppe: “Tu hai un cuore posticcio, che è stato comunque influenzato dalla ragnatela.”

Kairi, con le lacrime agli occhi per aver insultato Riku, il suo più caro amico, quello che si stava facendo in quattro per aiutare tutti, quello che anche con un braccio rotto riusciva a rimanere energico e positivo, si tratteneva dal piangere, cercando di scusarsi. Riku le passò un braccio sulle spalle, cercando di consolarla. “Anche tu sembravi molto preso dal litigio.” Affermò, dopo averle dato qualche pacca sulla spalla.

Xigbar assunse un’espressione amara ma non disse nulla.

 

Trappola dei ribelli nell’oltretomba, ore 01.09.

 

“Bene, bene, bene.” Ridacchiò Ade, appoggiandosi al muro di fronte a quella cella tanto affollata, squadrando uno ad uno i nuovi arrivati. “Abbiamo… qualcuno che è tornato a farci visita.” Mormorò, squadrando Demyx da cima a fondo: “E qualche allegro compare!” esclamò, battendo le sue fredde mani violacee, come un bambino felice.

Poi posò gli occhi su Xemnas, con aria fintamente lusingata: “Oho, abbiamo addirittura ricevuto la visita dal capo dell’Organizzazione XIII! A cosa devo questo onore?”

Il Superiore, che era stato legato più stretto e più degli altri, alzò il viso e guardò il suo aguzzino con aria di sfida, ringhiando qualcosa di indefinito.

Ade, dopo quell’antipatico discorso di benvenuto, si affacciò attraverso le sbarre della cella: “Scommetto che vi hanno chiamato quel gruppo di ribelli da strapazzo, vero?” sussurrò, suadente, come se stesse parlando di ben più amati argomenti.

I Nessuno, stupiti, rimasero in silenzio. Erano totalmente ignari di quello che succedeva in quel mondo, come potevano avere contatti con un gruppo di ribelli che, lo ammettevano, avrebbe fatto loro molto comodo ma che a conti fatti non conoscevano?

“Rispondete.” Mormorò.

“Tzè.” Esclamò Larxene, sprezzante nonostante la situazione tutt’altro che vantaggiosa. Il dio degli inferi si girò di scatto verso di lei, supponendo che sapesse qualcosa ma che non volesse rivelarlo.

Un ghigno si dipinse sul suo volto violaceo: “Tu sai qualcosa, non è vero?”

Il numero XII ricambiò il suo sguardo con un sorrisino dolce e minaccioso: “Può darsi.”

Zexion, allarmato, tirò una gomitata alla Ninfa Selvaggia, intimandole prudenza. Lei sembrò ignorarlo.

“Oh, il tuo amichetto sembra essere spaventato dalle tue parole…” valutò Ade.

Xaldin, capendo il gioco di Larxene, decise di recitare la sua parte: “Non lo dire.” Larxene sbuffò, ammiccando a Luxord di fare la stessa cosa: “E cosa cambia?” esclamò, fingendo davvero bene un moto di disperazione: “Oramai è tutto perduto!” e fece, nascondendo il viso tra le mani, fingendo di nascondere le lacrime. Xemnas era allibito. Non poteva essere un tradimento, no? Gettò uno sguardo a Marluxia, ancora semisvenuto e appoggiato alla spalla del Feroce Lanciere. Aveva combattuto strenuamente, appena finiti in prigione, e Ade era stato costretto a colpirlo sulla nuca con una roccia appuntita. Non ricordava di aver provato – se sempre così si può dire – così tanto dolore fisico per un’altra persona.

Si chiese cosa avrebbe potuto dire in quel momento il numero XI, vedendo la sua collega più fidata comportarsi in un così strano modo. Forse avrebbe preso le redini della situazione.

Merda. Era lui il capo, non poteva permettersi certi pensieri!

Fortunatamente Ade non conosceva i Nessuno sul serio, perché chiese a Larxene se volesse confessarle tutto quanto, quasi con dolcezza, e lei annuì, nascondendo un ghigno di soddisfazione.

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Era un venerdì buio e tempestoso e LarcheeX decise che era ora di aggiornare Penumbra.

beh, capitolo nuovo, non ho molte spiegazioni da fare... mmhh... spero vi piaccia e a presto! ^^

  
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