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Autore: LilithJow    02/10/2011    3 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Passarono cinque giorni.
Ogni mattina, quando aprivo gli occhi, cercavo di convincermi del fatto che fosse tutto frutto della mia immaginazione. Daniel mi mancava così tanto che il mio inconscio creava il suo ritratto perfetto davanti a me. E la cosa funzionava finchè lui non cominciava a parlarmi e la sua voce nitida mi entrava in testa.
Era criptico. Provai più volte a chiedergli perchè fosse lì, perchè io lo vedevo, ma non rispondeva mai, o cambiava discorso.
Certe volte mi stendevo sul letto, per semplicemente guardarlo in piedi vicino alla finestra. I raggi del sole che passavano attraverso il vetro, non lo scalfivano. La sua pelle era ancor più bianca di quando era in vita e, se fosse stato possibile, i suoi occhi brillavano almeno il doppio.
Trascorrevo ore, solo a fissarlo. Lui non parlava, a meno che io non lo facessi. Ad un tratto scompariva, ma io continuavo a sentire la sua presenza nella stanza.
Tuttavia, non potevo resistere a lungo in quel modo. La mia vita non andava più avanti. Restavo a casa la maggior parte del tempo, non avevo rapporti con nessuno.. di vivo.
Se Daniel era lì, qualunque cosa fosse, un fantasma, uno spirito, c'era un motivo. Dovevo solo scoprire quale. Ovviamente non potevo scoprirlo da sola. Lo conoscevo, sì, ma non bene come faceva Lucas. Avevo bisogno del suo aiuto.
Mi avrebbe preso per pazza una volta detto tutto, ma era un rischio che ero disposta a correre.
Bussai alla porta di casa Monroe e passò almeno mezzo minuto prima che qualcuno venisse ad aprire. Per mia fortuna, o sfortuna, dipendeva dai punti di vista, fu proprio Lucas a farlo. Per un attimo avevo sperato fosse Haley. Strano, però mi sarei trovata più a mio agio a parlare con lei.
Sforzai palesemente un sorriso appena lo vidi, che servì a ben poco. Lucas fece per richiudere la porta e dovetti bloccarlo. Proprio in quel momento, Daniel apparve accanto a me. Sospirai di sollievo, vedendolo. In un certo senso, mi dava coraggio. “So che non vuoi vedermi, ma c'è una cosa che devi sapere” dissi.
Lucas mi fulminò con lo sguardo. Nei suoi occhi c'era una tristezza immensa e io mi sentii tremendamente in colpa. In fondo, ero stata io a ridurlo così.
“Io..”. Dopo solo quel pronome, la voce mi si bloccò in gola. Entrambi i fratelli Monroe mi stavano fissando e io, lentamente, stavo affogando nell'aria, diventata troppo pesante per me.
“Vedo Daniel”. Quella frase fu un sussurro, lieve, ma tagliente come vetro. Lucas abbozzò un sorriso amaro. “Vattene” sentenziò. “Ti sto dicendo la verità, Lucas. Lui è qui, è di fianco a te” esclamai. Non sembravo pazza, probabilmente lo ero. “Ti prego, diglielo che sei qui” implorai Daniel, ma restò immobile con le braccia incrociate. Non mi resi nemmeno conto che Lucas era rientrato in casa e aveva chiuso la porta.
Mi voltai allora verso l'altro fratello. Avevo gli occhi che mi bruciavano e sicuramente avrei pianto da un momento all'altro. “Mi ha chiuso la porta in faccia” dissi, passandomi una mano tra i capelli.
“Beh, se vai da una persona a dire 'hey, vedo tuo fratello morto'.. Che reazione ti aspetti?” replicò, con un sorriso, lo stesso che io gli avevo strappato via l'ultimo giorno della sua vita. “Da quando sei così.. Spiritoso?” esclamai. Scossi di poco il capo. Chiunque fosse passato di lì, mi avrebbe visto parlare con un muro, ma poco mi importava.
“Uhm, non lo so. Forse morire rende la gente più interessante” rispose.
Aveva ragione.
In quanti casi qualcuno è diventato di vitale importanza, solo dopo la sua morte?
Io credevo di poter fare a meno di Daniel, quando era vivo, e invece, in quel momento, avevo bisogno di lui solo per respirare.

Tornai a casa, desolata. Daniel mi seguì, pari passo, fino alla mia stanza. Mi sedetti sul letto e lui mi fissò, con le mani nelle tasche dei jeans. “Risponderai mai a qualche mia domanda?” mormorai.
“Dipende. Finchè continuerai a chiedermi che ci faccio qui.. No” replicò. Mi aspettavo una risposta del genere. Sospirai, stringendo i pugni. Amavo e odiavo quella situazione.
L'amavo, perchè avevo la possibilità di vederlo ogni giorno, al mio fianco.
L'odiavo, perchè, sebbene lui fosse lì.. Non lo era davvero. Non c'era il suo corpo, quello stava marcendo sottoterra già da un po'.
“Puoi dirmi almeno cosa sei?” dissi allora. Fece per rispondere, e sapevo già cosa stava per replicare: che non poteva, che qualche strana legge glielo vietata. Ma che legge era? E imposta da chi?
Mi alzai di scatto e mi ritrovai a pochi centimetri da lui.
“Io non..”.
“Non mi dire che non puoi.. Puoi.. Lo so che puoi. Dimmelo o.. O rischio di impazzire”.
Avrei seriamente rischiato di farlo e il modo in cui lui mi guardava, di certo non aiutava. Dedussi, tuttavia, che non mi avrebbe detto niente, non di spontanea volontà. Avrei dovuto andare per tentativi.
“Non sei un fantasma” dissi e Daniel fece cenno di no.
“Uno spirito, nemmeno. Non sei uno zombie o un vampiro, altrimenti avresti una vera e propria consistenza fisica” proseguii. Lo vidi ridere. “Hai guardato troppi film horror” esclamò.
“Sto per esaurire le opzioni.. Mi sto avvicinando, almeno?” replicai. Lui fece una smorfia. Sembrava lo divertisse vedermi così in bilico, senza nessuna certezza.
Alla fine non mi importava davvero cosa fosse, era tutta una questione psicologica.
“Sei lontana anni luce” disse, con un sorriso.
“Non aiuti”.
“Lo scoprirai, Sam. A tempo debito”.
A tempo debito? Quanto? Quanto doveva passare? Il nervoso mi stava consumando. Se non potevo avere delle risposte ed ero costretta ad aspettare, dovevo allora distrarmi. Decisi, il giorno dopo, di andare a lavoro. Mi buttai su tutti quei progetti che avevo lasciato indietro e ne iniziai altri che nemmeno erano in programma.
Si fece sera e Daniel non si era ancora fatto vedere.
Quando salii in auto, aspettai prima di mettere in moto, nella speranza che lui apparisse al mio fianco. Non successe, né lì, né a casa, per tre giorni.
Cominciavo ad essere in astinenza da lui. Il lavoro non era più una distrazione efficace.
La quarta sera, come quelle prima, rimasi ferma, in auto, in attesa. Quella volta, lui c'era, seduto dal lato passeggero.
“Pensavo non tornassi più” mormorai, guardandolo di sfuggita. “Avevo delle cose da fare” rispose, distrattamente.
“Che ovviamente, io non posso sapere”.
“Che ovviamente tu non puoi sapere. Sei troppo curiosa, Sam. A volte, solo a volte, essere all'oscuro di qualcosa è positivo”.
Abbozzai un sorriso, scuotendo di poco la testa. “Ci ho rinunciato a sapere le cose. Hai detto che me le dirai, io aspetterò” dissi. Lui si limitò ad annuire. “Non ti preoccupa il fatto che qualcuno possa vederti in questo momento parlare.. Da sola?” esclamò.
Risi quella volta. Era la mia principale preoccupazione,  dal punto di vista razionale. Ma dal punto di vista emotivo, del cuore, non mi importava. “Non c'è nessuno, mi pare” sussurrai, appoggiandomi allo schienale. Socchiusi gli occhi, sovrappensiero.
Misi in moto solo dopo qualche minuto. Avevo un posto preciso in mente, verso il quale dirigermi ed ero sicura che lui mi avrebbe seguito.
Così fu.
Parcheggiai davanti al piccolo cimitero della città. Quando scesi dall'auto, Daniel era fermo davanti al cancello cigolante. “Non entrerò qui dentro” disse. Cercava di bloccarmi la strada o di farmi cambiare idea, per chissà quale strano motivo. “Non ti costringo a farlo” replicai. Lo sorpassai.
La sua tomba era posta nella cappella della famiglia Monroe, una delle poche presenti lì. Era circondata da grossi abeti e pini che riempivano l'aria di un odore molto gradevole.
'Daniel Monroe, amato fratello'. Questo recitava la scritta color argento posta sopra il marmo. La conoscevo a memoria. A volte ci passavo giornate intere lì davanti, prima di vedere il suo spirito,si intende.
“Carina”. Ad un tratto, sentii la sua voce e sussultai, sebbene mi aspettassi che mi sarebbe stato accanto anche lì, nonostante la sua affermazione precedente. “Oddio, in quella foto sembro un'idiota, ma per il resto.. Uhm, sì. Carina”.
Il sarcasmo con cui commentò la sua lapide mi fece sorridere. Mi soffermai con lo sguardo sulla foto che aveva preso in considerazione: ritraeva lui, presumibilmente un anno prima che lo ebbi rivisto. Sorrideva, ma era quel sorriso finto e apatico che mi ero sforzata di levargli e poi gli avevo rigettato addosso. Sullo sfondo, si intravedeva quello che sembrava essere un lago o forse una spiaggia. “E' una foto bellissima” dissi, allora.
Anche da morto, la sua autostima scarseggiava. Possibile che non si rendesse conto di quanto fosse perfetto?
Lo vidi abbassare lo sguardo, sovrappensiero, se mai, qualunque cosa fosse stato, fosse in grado di pensare.
“Come è stato?” chiese, in sussurro. Ci misi un po' a capire a cosa si stesse rivolgendo: il suo funerale.
“Straziante” risposi. Per quanto mi fossi sforzata di descriverlo, quella parola riassumeva benissimo quel momento.
“Peccato. Avrei voluto tanti sorrisi e palloncini colorati” commentò. A volte finiva per irritarmi, come con quella frase. Non gli dispiaceva di essere morto? Non gli mancava la vita terrena?
Ovviamente, solo una persona viva come me poteva porsi quelle domande. Chissà che succedeva una volta arrivati dall'altra parte. Forse esisteva davvero un paradiso e l'Inferno era il mondo, dove noi viviamo.
Lasciai perdere ogni tipo di domanda e tornai a casa.
Anche lì, fui seguita da lui. Passai il resto della sera a osservare la sua espressione seria, ma a volte distratta.
Dovevo aspettare ancora per scoprire cosa fosse, ma non mi sarei arresa. Non così facilmente, come lui sperava.

  
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