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Autore: Rota    03/10/2011    3 recensioni
Le mani, rosse per il freddo pungente, si sporsero in avanti, prendendo tra le dita rigide e quasi totalmente insensibili altra neve bianca; con dovizia, l’aggiunsero al mucchio già considerevole, cercando allo stesso tempo di dare la forma voluta a tutta la quantità. Vicino, il bambino stava facendo lo stesso con una palla più piccola, ridendo di tanto in tanto e saltellando da una parte all’altra, in presa alla gioia più pura.
Sopra le loro teste, cadevano ancora gocce di ghiaccio bianco, rendendo il resto del mondo solo silenzio.

[Russia + Finalndia/ SuFin inplicito]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Finlandia/ Tino Väinämöinen, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A northen tale '
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*Autore: margherota
*Titolo: Pupazzo di neve – Fine del sogno
*Fandom: Axis Powers Hetalia
*Personaggi: Ivan Braginski (Russia), Tino Väinämöinen (Finlandia).
*Generi: Introspettivo, Drammatico
*Avvertimenti: Shonen ai, Missing Moment, One shot
*Rating: verde
*Prompt COW-T: Neve
*Prompt fanfic100_ita: 03. Fine
*Parole: 834
*Note: era da tanto che volevo fare una RussiaFinlandia. Ora ci sono riuscita, per cui va bene così XD
Riprendo, come dire, un tema storico e lo riadatto al tutto. Per la precisione, nel 1809, con la pace di Hamina (Frederikshavn), che seguiva alla sconfitta dell'esercito svedese, la Svezia cedeva tutta la Finlandia alla Russia e poneva così termine all'unione finno-svedese durata quasi sei secoli.
Fondamentalmente, la mia fan fic è SuFin, dove Finlandia è tolto – strappato, oserei dire – dalle braccia di Svezia da Russia. Il “pupazzo” che da origine al mio titolo non è altro che la felicità di una vita tranquilla, familiare e rilassante con Svezia che, inesorabilmente, svanisce e si dissolve per colpa di Ivan. Come al solito sono abbastanza tragica, sì XD




Le mani, rosse per il freddo pungente, si sporsero in avanti, prendendo tra le dita rigide e quasi totalmente insensibili altra neve bianca; con dovizia, l’aggiunsero al mucchio già considerevole, cercando allo stesso tempo di dare la forma voluta a tutta la quantità. Vicino, il bambino stava facendo lo stesso con una palla più piccola, ridendo di tanto in tanto e saltellando da una parte all’altra, in presa alla gioia più pura.
Sopra le loro teste, cadevano ancora gocce di ghiaccio bianco, rendendo il resto del mondo solo silenzio.
Tino sorrideva, incessantemente, benché le mani gli facessero male e sentisse il freddo lungo tutte le braccia. Sorrideva, felice, nell’arrotolare quella grande palla bianca e nel farla crescere sempre di più. Aveva portato da casa una scopa e una sciarpa, mentre nel tragitto aveva raccolto dalla strada alcuni sassi dalle forme e dalle dimensioni differenti.
Sarebbe stato un pupazzo di neve bellissimo, alla fine.
Tino diede l’ennesima spinta alla palla, cercando di far aderire altra neve. Poi la fermò in un punto e cominciò a levigarla piano, togliendo le protuberanze e riempiendo i buchi che si erano creati. Si fermò quando vide, vicino al viso, un paio di guanti scuri. Alzò il viso con un sorriso, incrociando lo sguardo di Berwald a mezz’aria. Lo svedese, senza dire una sola parola, gli stava offrendo un riparo per le mani.
Una domanda – spontanea quanto genuina, affettuosa – gli scivolò rapida sulla lingua, qualcosa che assomigliava tanto a un “E tu?”, ma prima che potesse spiccare il balzo e diventare parola, lo svedese rispose alla cortesia con un’altra un po’ burbera, rude ma sincera cortesia.
-Ho le tasche…-
Allora, Tino gli sorrise ancora, prendendo i guanti dalle sue mani e indossandoli.
Erano grandi, ed erano caldissimi.
-Grazie…-
Si sgranchì le dita, tornando al proprio lavoro.
A quel punto Peter chiamò Berwald per farsi aiutare con la propria palla, e l’uomo si allontanò lentamente dal finlandese per tornare subito col suo carico.
Lo depositò proprio sopra il mucchio di Tino, creando così un abbozzo di corpo simil- umanoide.
Peter strillò, felice, correndo attorno al pupazzo.
Fu quando Tino fece per rimettere un’altra volta le mani sul mucchio che una voce autoritaria, fintamente gentile, lo riprese e lo immobilizzò sul posto, cogliendolo di sorpresa e quindi facendogli fare un balzo.
-Tino…-
Il finlandese si voltò, intravedendo nel grigio una figura alta e familiare, incombente.
Si alzò dalla sua posizione accucciata, cercando nella memoria qualche ricordo che identificasse meglio quella persona. Fece un passo solo nella sua direzione – ma ancora nulla.
L’uomo si ripeté, con pazienza e una gentilezza che sapevano di finto.
-Tino, vieni via da lì…-
Tino tornò sui suoi passi, sorridendo alla figura lontana – persino Berwald si era esposto un poco per intendere meglio chi mai quello fosse, scrutando con severità davanti a sé.
Eppure, il finlandese sentì sulla propria pelle qualcosa di molto simile alla fretta, tutto d’un botto.
-Solo un altro minuto!-
Lo voce suonò ancora nelle sue orecchie, ora più distinta e vicina. Ma Tino non si voltò nella sua direzione, non questa volta: il pupazzo aveva bisogno solo di qualche altro ritocco e sarebbe stato pronto.
-Tino, vieni via da lì!-
Il finlandese andò da Berwald, prendendogli dalla testa il cappello scuro con un bel sorriso – e lo svedese non disse proprio nulla quando lui, con grazia, lo pose sopra la testa del pupazzo, guardando invece la strana figura che così si era creata.
-Un solo secondo!-
Ma la persona si faceva sempre più incombente, dietro le spalle.
E distinta la voce era diventata dura e imperiosa, come quella di chi è abituato a comandare e a non sentire rifiuti in risposta.
-Tino!-
Tino allora si voltò verso Ivan, dimenando le braccia come a richiamare pazienza.
Gli sorrise, nervoso, avvicinandosi a lui con un passo – e benché nella corporatura il russo ricordava Berwald, nello sguardo si faceva mille volte in più glaciale.
-Dobbiamo finire il pupazzo, signore! Il pupazzo!-
Ivan gli sorrise a sua volta, accomodante, come si fa con i ritardati e gli stupidi.
-Tu e chi dovete finire il pupazzo, Tino?-
Il finlandese indicò, con un braccio ritto, dietro di sé e si voltò nella stessa direzione direzione, mentre masticava parole veloci e accorate.
-Io e…-
Poi però si bloccò, con il fiato che gli moriva nella gola – l’aria all’improvviso tornò fredda, fischiando rapace nelle orecchie, e il cuore, gravato, pompava il sangue con fatica.
Non c’era nessuno, oltre a quel pupazzo di neve.
Non c’era Peter che saltella allegro da una parte all’altra, facendo divenire rumorosa persino la caduta discreta dei fiocchi di ghiaccio.
Non c’era Berwald che lo guardava e aspettava in silenzio di poter ammirare la sua opera ultimata.
C’erano solo due palle di neve abbozzate, un mucchio bianco scomposto in un punto, e nient’altro.
Tino si guardò le mani, sconsolato, nel tentativo di trovare nella realtà pezzi di speranza fantastica.
Ma quelle erano rosse ed erano nude, freddissime.
-Io e…-
Una mano gli si poggiò sopra la spalla, quasi intenerita.
Decretando la fine del sogno.
-Vieni, Tino. Andiamo a casa…-
In un silenzio di tomba e con lo sguardo basso, Tino si voltò per un ultima volta e seguì Ivan, senza aggiungere una sola parola.
   
 
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