Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Puglio    05/10/2011    5 recensioni
Il capitolo finale del mio seguito di "Nadia: il mistero della pietra azzurra". Nadia è partita alla volta di Atlantide. Jean, in un ultimo disperato tentativo di ritrovarla, decide di rivolgersi all'unica persona che conosce abbastanza la cultura di Atlantide per aiutarlo... ma non è un'impresa facile. Ora è solo, e non può fare affidamento che sulle sue forze. Intanto, Winston scopre che la sua missione si fa sempre più complicata...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le vecchie campane della Marktkirche risuonarono improvvisamente, squarciando con un solo rintocco il velo di quella notte fredda e senza stelle. Lisa rabbrividì, stringendosi nello scialle, mentre scendeva a passo svelto lungo le strette vie che dal Mitte, l'antico quartiere del centro, si dipanavano fino a raggiungere la riva sinistra del fiume.

Un altro rintocco, stavolta però più di un tono più alto. Mezzanotte. Inclemente, l'antico campanile continuava a sancire lo scorrere delle ore. Lisa si affrettò, inseguita dal cupo rimbombo delle campane che si propagava tutt'attorno a lei, spalmandosi lento sui muri per poi svanire improvviso, rapito dal denso gorgogliare del fiume.

Era inquieta. Erano ormai diversi mesi che si trovava ad Hannover, al diretto servizio – se così si poteva dire – del barone Wiesbaden; tuttavia, non era ancora riuscita ad abituarsi a quell'idea. A conti fatti, riuscire ad avvicinare il barone era stato per lei un semplice colpo di fortuna, nulla di più, reso possibile dalle conoscenze – il più delle volte discutibili – che aveva acquisito grazie agli anni di gavetta passati a sfacchinare per altri nelle retrovie del Times. Quindi per lei, che non era un agente segreto, né una spia, scoprire che Wiesbaden avrebbe preso parte a una grande festa di beneficenza, organizzata a Hampton Court dal primo ministro inglese, fu un risultato a dir poco insperato, un'informazione del tutto inaspettata che avrebbe però rischiato di rivelarsi del tutto inutile, vista l'assoluta mancanza di possibilità, per una della sua condizione, di farsi accreditare tra gli ospiti.

Certo, se allora avesse potuto contare sull'aiuto di Winston, tutto sarebbe stato più semplice. Probabilmente, lui sarebbe riuscito a procurarsi un invito, o qualcosa di simile; e insieme avrebbero potuto mischiarsi tra gli ospiti senza troppi problemi. In fondo, Winston si era sempre dimostrato bravissimo, in cose come quelle. Peccato che fosse così bravo anche nel mentire alle persone. E che per questa ragione, lei non volesse più averci nulla a che fare.

Fu solo merito di Hunter, quindi, se Lisa riuscì a introdursi a quella festa. Grazie a qualche pressione esercitata sulle persone giuste, il direttore del Times riuscì a procurare a Lisa un incarico come cameriera. Per lei fu più che sufficiente. Una volta dentro, avvicinare il barone con una scusa qualsiasi si rivelò un gioco da ragazzi, proprio come fargli scivolare all'orecchio il nome di Nadia, sussurrandolo mentre gli versava con disinvoltura dell'ottimo champagne da duecento sterline al litro in una elegante flûte di cristallo decorato. Il barone represse a stento lo stupore, rischiando di mandare di traverso la tartina al salmone che ancora stava finendo di masticare. Ma da allora, grazie a quell'azzardo di cui lei stessa non mancò di stupirsi, la ''carriera'' di Lisa subì una decisa quanto rapida impennata, passando in una sola sera da semplice cameriera a consulente personale di Ludwig von Wiesbaden, barone della casata di Hannover.

Però...

Però, per quanto una carica del genere fosse un'assoluta garanzia per i suoi piani, Lisa non si sentiva tranquilla. La paura che al minimo passo falso Wiesbaden avrebbe potuto scoprirla e venire a conoscenza delle sue reali intenzioni, era per lei un incubo ricorrente. Certo, era stata furba. Aveva preso tutte le precauzioni del caso, infiorettando ad arte una storia sulla sua amicizia con Nadia a cui il barone non avrebbe potuto non credere. Aveva trascorso notti intere a idearla in tutti i particolari, cucendoli insieme per poi disfarli e ricucirli ogni volta in ordine differente, mettendoli e rimettendoli alla prova. Finché non era riuscita a ricreare una realtà alternativa, del tutto verosimile ma assolutamente fasulla, che le consentiva di mantenere una certa sicurezza di fondo per sé e per le altre persone coinvolte. Attirato dalla conoscenza che Lisa poteva vantare nei confronti di Nadia e della sua vita, il barone aveva creduto in tutto e per tutto a quello che lei gli aveva raccontato, e pian piano aveva preso a concederle una fiducia quasi imbarazzante. Non si muoveva se non l'aveva al fianco, non c'era pratica a cui lei non avesse accesso, e ogni volta che il barone era impegnato in un incontro, lei e Hofmann – il banchiere – erano gli unici che desiderava avere attorno. In quelle condizioni, riuscire a venire a conoscenza di un modo per aiutare Nadia sarebbe stata solo questione di tempo, e di pazienza.

Certo, questo finché Winston non si era rimesso in mezzo, complicando enormemente le cose.

Lisa sospirò, scuotendo la testa. Non c'era nulla da fare. Per quanto desiderasse odiarlo dal più profondo del cuore, dal momento in cui aveva rivisto Winston, tutto per lei era diventato improvvisamente confuso e i sentimenti che credeva di aver seppellito una volta per tutte erano ritornati prepotentemente a galla. Per quanto provasse a lottare, per quanto avesse tentato di rispondere a quei sentimenti con il disprezzo e l'odio che aveva provato di fronte al suo tradimento, Lisa non riusciva a dimenticare la malinconia che aveva letto per così tante volte nello sguardo di lui, momenti in cui le era sembrato che i loro cuori fossero così vicini da potersi perfino toccare. Ed era proprio quella malinconia, quel suo dolore segreto e così fieramente trattenuto, che lei ricordava ancora così bene e che la costringeva nonostante tutto ad amarlo, anche se avrebbe preferito in assoluto il contrario.

In preda a un vago senso di malessere, Lisa tornò a guardarsi intorno. Il silenzio era di nuovo calato attorno a lei, rotto solo dal borbottio confuso di un ubriaco che indugiava all'angolo della strada. Lisa lo osservò percorrere a passo ondeggiante lo stretto marciapiede fangoso, il cappello calcato in testa e il volto affondato nel bavero del cappotto. Quando lei gli passò accanto, lui si voltò a guardarla, gli occhi sbarrati, seguendola nel suo avanzare con quello che al buio le parve un sorriso fin troppo sinistro, e a cui lei reagì chinando subito il volto, imbarazzata.

Stupida. È tutta colpa tua.

Sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi lì da sola, a quell'ora di notte. Ma quella sera aveva sentito l'impellente bisogno di riflettere. Perciò aveva deciso di andare alla vecchia Marktkirche, per starsene un po' da sola.

Peccato che, da vera incosciente, si fosse trattenuta più del dovuto.

Improvvisamente, dei passi risuonarono decisi alle sue spalle. Lisa trattenne il fiato, che per un attimo smise di raggrumarsi davanti al suo volto in una nuvola di vapore. Il volto pallido, continuò a camminare, cercando di trovare il coraggio per non voltarsi e mettersi a correre. Dietro di sé, sentiva i passi farsi via via più vicini.

Poteva trattarsi dell'ubriaco. Sì, si trattava sicuramente di lui, non c'era nessun altro lì intorno. Con apprensione, Lisa si voltò di poco, cercando di individuare con la coda dell'occhio chi la stesse seguendo. Con stupore, si accorse che chiunque fosse, era sparito. Non c'era più nessuno. Del tutto incredula si guardò intorno, le labbra socchiuse, gli occhi tesi a scrutare nel buio.

Niente.

Evidentemente, doveva essersi ingannata.

Buon dio, si disse, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore, sto davvero impazzendo...

«Ehi, tesoro. Che ne dici di farti un giro?»

Lisa trasalì. Si voltò sgomenta, giusto in tempo per sentirsi strattonata per un braccio. Con il cuore in gola, cominciò a dimenarsi, nel vano tentativo di liberarsi dalla presa dell'uomo che la stava letteralmente trascinando nel buio di un vicolo, tappandole la bocca con la mano.

«Stai buona! Ehi!»

«Mi lasci, farabutto...» gridò lei, riuscendo a liberarsi per un attimo. Ma l'uomo la riagguantò in pochi istanti, spingendola contro il muro e prendendole il viso tra le mani, per costringerla a guardarlo.

«Zitta, stupida. O ti farai sentire da mezza città».

Non appena riconobbe il suono di quella voce, il volto di Lisa passò da un'espressione di stupore a un sorriso raggiante, che però si trasformò quasi subito in una smorfia di dispetto.

«Lei!» ringhiò. «Ma che diavolo le salta in mene? Mi ha fatto davvero paura».

Il volto di Winston spuntò dal bavero del cappotto, illuminato per un istante dal debole chiarore dei lampioni. Le sorrise, ammiccante.

«Mi spiace» si scusò. «Ma non le ha detto nessuno, che una ragazza non deve andare in giro da sola, di notte?»

«Ciò che faccio non sono affari suoi» scattò lei, divincolandosi. Winston restò a guardarla sogghignando, mentre lei cercava di ricomporsi senza troppo successo, fissandolo fiera.

«Cosa vuole da me?» chiese, in tono per nulla amichevole. «Vuole farci tutti ammazzare? Se Wiesbaden dovesse vedermi mentre parlo con lei...»

«Wiesbaden non lo saprà» tagliò corto Winston, con un sorriso ambiguo. «Se non sarà lei a dirglielo».

Lisa impallidì.

«E con questo, che cosa vorrebbe insinuare?»

«Niente» fece lui, con una smorfia. «Dimentichi quello che ho detto. Andiamo, mi segua».

Lisa si lasciò condurre suo malgrado attraverso il buio del vicolo, mentre continuava a lanciare tutt'attorno occhiate impaurite. Winston avanzava sicuro, sospingendola per il braccio, sul volto un'espressione di assoluta tranquillità.

«Non faccia così, cerchi di rilassarsi. O tutti penseranno che ha qualcosa da nascondere» le mormorò a denti stretti, fissando sempre dritto davanti a sé. «Provi ad essere naturale, se le riesce».

«Naturale?» obiettò lei. «E come pensa che sia possibile?»

«Siamo una semplice coppia che si sta recando da qualche parte in carrozza» disse lui, fermandosi all'uscita del vicolo. Lisa gli lanciò uno sguardo stupito. Sotto il vecchio soprabito che indossava fino a qualche minuto prima, e di cui si era prontamente liberato, Winston nascondeva un elegante completo da sera, che lo fasciava alla perfezione. Lei non poté fare a meno di lanciarsi un'occhiata smarrita, a causa del vestito semplicissimo che indossava.

«Non si preoccupi» fece lui, alzando un braccio a fermare una carrozza. «Sta divinamente».

Lisa arrossì, mentre lui le apriva la portiera per farla salire. Quando furono a bordo, il cocchiere fece schioccare la frusta e la carrozza prese a muoversi, ondeggiando.

«Cerchi di rilassarsi» fece Winston, non appena si fu richiuso lo sportello della vettura alle spalle. «Va tutto bene. Tutto procede secondo i miei piani; e finché farà come le dico, non avrà nulla da temere».

«Non sono tranquilla» fece lei, gettando preoccupata uno sguardo al finestrino. Ai suoi occhi, le persone che camminavano lungo la strada sembravano lanciare alla carrozza occhiate sospettose e cariche di minacce, quasi fossero in grado di scorgere al suo interno.

«Se Wiesbaden...»

«Le ripeto che va tutto bene».

Lisa osservò in silenzio Winston mentre si accendeva un sigaro, abbandonato sul sedile in una posa del tutto tranquilla e rilassata. Con un movimento elegante della mano, lui spense il cerino, sporgendosi a gettarlo dal finestrino appena socchiuso. Quindi trasse una profonda boccata di fumo, per poi soffiarlo lentamente verso l'alto.

«Per qualche strana ragione, Wiesbaden sembra fidarsi di lei. Ancora non mi è chiaro il perché, ma questo può giocare a nostro favore. Ciò che le chiedo, ora, è solo di non perdere la calma e di continuare a fare ciò che ha sempre fatto fino a questo momento».

«Parla bene, lei. Ma non è che...»

«Ciò di cui ho bisogno» la interruppe Winston, senza darle il tempo di finire la frase «è che lei scopra tutto quello che può sul progetto Deus. Wiesbaden deve pur avere qualche documento, qualche informazione riservata. Noi dobbiamo entrarne assolutamente in possesso».

«Ciò di cui lei ha bisogno?» scattò improvvisamente Lisa, con un tono che Winston non trovò per nulla piacevole. «Non mi interessa nulla di ciò che lei ha bisogno, signor Churchill. Io ho altre priorità, al momento, priorità che...»

«Ma davvero? E quali, trovare Nadia Ra Arwol, per esempio?»

«Sì» esclamò Lisa, dura. «Questa è sicuramente la mia priorità, al momento».

Winston annuì.

«Già» fece, fissando assorto il fumo che dal suo sigaro saliva avvolgendosi lento in una spirale, per poi condensarsi sopra la sua testa. «Peccato che Nadia Ra Arwol non sia più qui».

«Questo lo so benissimo» ammise Lisa, confusa. «Ma...»

«No, lei non capisce» la interruppe lui. «Quando dico che non è più qui, intendo dire che non si trova più sulla Terra».

Lisa sbiancò. Per un attimo sembrò non capire. Quindi con le mani cercò qualcosa a cui aggrapparsi, deglutendo stentatamente.

«Lei... intende...»

«È ritornata sul suo pianeta di origine, insieme ai suoi rapitori. Lo abbiamo saputo solo poco tempo fa, in modo del tutto casuale. Un colpo del caso, una vera fortuna. Quando ho ricevuto questa notizia, ne sono rimasto sorpreso anche io, esattamente come lei».

«E chi...»

«Jean Luc Lartigue» rispose Winston, con tono piatto. «È stato lui a dirmelo. Era là con lei, quando è successo. Strano che Wiesbaden non gliene abbia ancora parlato» fece lui, stringendo gli occhi a fissarla «dal momento che ne è sicuramente al corrente».

Lisa scosse la testa. Improvvisamente, si sentiva del tutto inutile. Tutto quello che aveva fatto, tutti gli sforzi compiuti fino a quel momento, le parvero un inutile spreco di tempo. Aveva cercato di aiutare Nadia, di fare qualcosa per lei, per evitare che dovesse soffrire, invece...

...Invece tutto quello che era riuscita a fare, era stato abbandonarla al suo destino.

Improvvisamente, scoppiò in lacrime. Winston la fissò sorpreso, e per un momento non seppe come reagire, limitandosi a fissarla imbarazzato. Quindi, con una smorfia, gettò via il sigaro, spazzandosi le mani dalla cenere che vi era caduta sopra.

«Non faccia così» disse, sporgendosi verso di lei. «Ehi, mi ha sentito? Guardi che non è ancora finito nulla, sa? Non c'è niente, che sia perduto».

«Ma come può dire una cosa del genere?» singhiozzò Lisa. «Nadia è partita, e...»

«Stiamo studiando un modo per riuscire a raggiungerla» le confessò Winston. «Non sarà facile, ma ci riusciremo. Abbiamo già pensato a qualcosa».

Lisa alzò gli occhi su di lui, incredula, e lo trovò che le sorrideva.

«Dico sul serio» riprese Winston, posando dolcemente una mano sopra la sua. «Andremo a prenderla, e lo faremo per proteggerla. È la verità, non le sto mentendo. Non ora, non più».

«E io come posso crederle?» mormorò lei. Winston si fece serio.

«Perché glielo sto dicendo» affermò. «E perché non voglio più farlo. Io non voglio più mentirle, Lisa».

Lisa lo fissò incerta, tra le lacrime che ancora le imperlavano la punta delle ciglia. Fece per dire qualcosa, ma poi si morse forte le labbra, distogliendo lo sguardo.

«Può credermi?» le chiese lui. A quel punto, lei scosse la testa, accennando a un sorriso.

«Lei è solo uno stupido» mormorò. Lui rise.

«Sì, è vero. Ma le prometto che migliorerò».

«In questo caso» fece lei, asciugandosi le lacrime dagli occhi «mi ripeta che cosa vuole che faccia».

 

 

*

 

 

La carrozza si arrestò proprio davanti al palazzo in cui Lisa abitava. Quando lei fece per scendere, Winston la precedette, alzandosi per aprire lo sportello. Lisa lo fissò sorpresa mentre le tendeva una mano, che lei accettò con un lieve cenno del capo.

«Grazie» disse, arrossendo compiaciuta.

«Di nulla. Allora, crede di aver capito tutto?»

Lisa annuì, seria. Ciò che doveva fare era piuttosto chiaro, anche se per nulla semplice.

«Faro del mio meglio» sospirò.

«Sono sicuro che sarà così» fece lui. «Ma cerchi di sbrigarsi. Non abbiamo più molto tempo. Ogni giorno che passa, l'Ordine è sempre più vicino a realizzare i suoi piani. E questo, non possiamo assolutamente permetterlo».

«La situazione è davvero tanto grave?» chiese lei, avvolgendosi stretta nello scialle. Winston annuì, guardandosi attorno distrattamente.

«Non lo sappiamo con esattezza, ma le notizie che ci sono giunte non lasciano molto in cui sperare. Quello che lei deve avere ben chiaro, è che in questa storia non è coinvolta solo la sua amica, ma l'intera umanità. Se qualcosa dovesse andare storto, il risultato sarebbe una catastrofe».

Lisa si strinse nelle spalle, rabbrividendo. Winston restò a guardarla a lungo, come se fosse incerto se chiederle o meno qualcosa.

«Che c'è?» fece lei, curiosa, fissandolo di sottecchi. Lui scrollò le spalle.

«Adesso vorrebbe dirmi come c'è riuscita?» chiese. «A contattare Wiesbaden, intendo».

Lisa assunse un'espressione stupita. Quindi alzò il mento, con aria di sfida.

«No» fece. «Credo che preferirò lasciarla rodere nell'incertezza, ancora per un po'».

Winston scoppiò a ridere. Quindi si voltò senza aggiungere una parola, richiamando con un gesto l'attenzione del cocchiere. L'uomo annuì, riscuotendosi dal torpore con un cenno sonnacchioso del capo. Non appena Winston fu salito a bordo, il vetturino fece schioccare le redini e la carrozza ripartì, allontanandosi lenta fino a che non scomparve, inghiottita dal buio. Lisa restò a guardare la carrozza per tutto il tempo; quindi sospirò profondamente, stringendosi nelle spalle.

«Non vedo l'ora di essere sotto le coperte» mormorò rabbrividendo, mentre frugava nella borsetta in cerca della chiave. Lo scialle che teneva avvolto attorno al busto era troppo leggero, e lei non faceva che tremare. Ormai aveva le mani e i piedi congelati.

Avvicinò la chiave alla toppa, ma la mano le tremava per il freddo e non riuscì a controllarla. La punta della chiave si incastrò malamente nella fessura e quando Lisa fece per inserirla, le scivolò e le cadde, tintinnando nel buio. Con un lamento, Lisa si chinò, mettendosi a cercare la chiave a tentoni. La trovò dopo pochi istanti, il corpo irrigidito dal freddo che ormai avvertiva fin dentro le ossa.

«Buonasera, Fraulein».

Lisa si impietrì. China al buio, sentì la terra scivolarle via da sotto i piedi, improvvisamente.

Lentamente, alzò gli occhi dal marciapiede. Fu con sgomento che riconobbe il profilo allungato di Wiesbaden, fermo in piedi proprio a pochi passi da lei. Terrorizzata, fece per voltarsi. Fu allora che si accorse dei due energumeni che le si erano materializzati alle spalle.

«Perdoni l'orario, signorina» fece il barone, fissandola con un sorriso freddo mentre si toglieva il cappello «ma avrei urgente bisogno di porle qualche domanda. Le spiacerebbe seguirmi?»

Lisa si sentì svenire. Fece per dire qualcosa, ma Wiesbaden si era già voltato, avvicinandosi a una carrozza che si era fermata proprio davanti a loro, e che sembrava essere sbucata praticamente dal nulla.

«Prego» disse Wiesbaden, con un brevissimo inchino. «Dopo di lei».

Lisa non sapeva che fare. I due uomini l'aiutarono a sollevarsi e lei si ritrovò a percorrere quei pochi passi che la separavano dalla carrozza come in trance, con le lacrime agli occhi, e il cuore che le pulsava in petto come impazzito. Cercò di darsi un contegno, e di sorridere, ma Wiesbaden le teneva gli occhi piantati addosso, come se stesse scrutando la verità nascosta nel profondo del suo cuore. Quando sul suo volto si dipinse un sorriso sinistro, lei sentì che tutto era perduto. Lui sapeva.

«Non si preoccupi, non ci vorrà molto» la rassicurò Wiesbaden con tono mellifluo. Quindi salì sulla vettura, prendendo posto di fronte a lei. I due uomini della scorta si posizionarono al suo fianco, cosa che diede a Lisa la certezza che il barone aveva intuito la verità. Se così non fosse stato, non avrebbe mai permesso a quei due di occupare il posto accanto al loro.

«Vede, si tratta di una questione delicata» iniziò Wiesbaden, gli occhi fissi sul cappello che teneva posato sulle ginocchia. «Una questione della massima importanza, a dire il vero».

«Mi rendo conto» mormorò lei, con la voce che le uscì a stento «ma sono davvero stanca e preferirei...»

«Certo, certo» disse lui, sporgendo le labbra e agitando elegantemente la mano. «Ma purtroppo lei mi è indispensabile. È qualcosa che deve essere discusso assolutamente in sua presenza. Per farmi perdonare, le concederò tutto quello che vorrà».

«Davvero?» mormorò Lisa, tesa. Lui alzò gli occhi su di lei e sorrise.

«Ovviamente, nei limiti del possibile».

La carrozza si arrestò all'improvviso. Lisa ondeggiò sul sedile, e un senso di nausea le attanagliò lo stomaco. Assisteva a ciò che stava accadendo come attraverso il velo di un sogno, incapace di rendersi conto della realtà. Persino la voce di Wiesbaden, ora, le giungeva lontana e distorta.

«Fraulein, prego. Da questa parte».

Lisa annuì vagamente, alzandosi dal sedile e cercando di reggersi sulle gambe malferme. Quando posò il piede sul predellino della carrozza, i muscoli le cedettero senza preavviso e per poco non rischiò di rovinare al suolo. Wiesbaden le si fece incontro, aiutandola a sorreggersi.

«Lei è davvero stanca, Fraulein» mormorò, impassibile. «Dovrebbe riposarsi un po'. Se continua così, rischia seriamente di ammalarsi».

Lisa si lasciò guidare all'interno di un vecchio palazzo fatiscente. Non appena varcarono la soglia, una puzza di muffa e di escrementi le afferrò la gola, provocandole un conato di vomito. Lisa trattenne il fiato, cercando di resistere mentre saliva un'interminabile rampa di scale. Quando raggiunsero l'ultimo piano, gli uomini di Wiesbaden aprirono una porta chiusa da un pesante lucchetto, e vi spinsero dentro la ragazza. Stremata e atterrita, Lisa caracollò in avanti, perdendo l'equilibrio e cascando sulle ginocchia, mentre gli uomini alle sue spalle chiudevano la porta a doppia mandata, facendo morire in lei ogni speranza.

«Bene, ora direi che ci siamo tutti».

Rassegnata, Lisa sospirò, alzando lentamente gli occhi e guardandosi attorno. Oltre a lei e Wiesbaden, nella stanza si trovavano i due uomini della sicurezza, più altri tre. Due guardie dell'Ordine e Hofmann, il banchiere. Lisa aggrondò, fissandolo in volto. Era pallido, terrorizzato. Qualcosa non andava.

«Herr Wiesbaden» esordì Hofmann, con voce stridula, «io non capisco...»

«Stia zitto».

Gli uomini della scorta afferrarono Lisa per le braccia, rimettendola in piedi. La condussero a una sedia, a fianco della quale venne costretto a prendere posto il banchiere Hofmann. Wiesbaden girò attorno a un tavolo impolverato e sghembo, su cui uno dei suoi uomini posò il proprio cappotto.

«Allora» esordì il barone, appoggiando cappello e guanti sul cappotto dell'uomo «veniamo al punto».

«Herr Wiesbaden» piagnucolò Hofmann, lasciando che i suoi occhi fissassero smarriti le facce scure dei presenti, «se solo mi fosse concesso...»

«Le ho detto di stare zitto!»

Lisa trasalì. Era così spaventata che non riusciva nemmeno a pensare.

«Vi ho voluti qui con me» sibilò Wiesbaden «perché so che qualcuno di voi mi ha tradito».

«No!» gridò Hofmann, gli occhi fuori dalle orbite «Non io! No! Deve trattarsi di questa sgualdrina...»

Wiesbaden allungò la mano. Uno dei suoi uomini estrasse dal soprabito una pistola d'argento grande come un pugno, posandola nella mano del barone. Questi la impugnò, soppesandola per un istante. Quindi la puntò dritta alla testa del banchiere, premendo il grilletto senza alcuna esitazione. Uno sparo secco echeggiò nella soffitta e nell'aria aleggiò un vago odore di polvere da sparo. Lisa non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di quanto era successo. Vide la testa del banchiere ondeggiare scompostamente, e il suo corpo afflosciarsi a terra. Qualcosa di caldo e di viscido le colava sugli occhi e sulle guance. Scrollò il capo. Fu solo quando abbassò lo sguardo sul suo vestito, che si rese conto di essere completamente ricoperta del sangue del banchiere. Sconvolta, cominciò a gridare come impazzita.

«Ora veniamo a noi» disse il barone, riconsegnando la pistola al suo uomo. «So che la persona che mi sta tradendo è lei, Fraulein. Sì, è vero» disse, scrollando le spalle davanti allo sguardo sconcertato di lei «Hofmann truccava i miei conti, lo sospettavo da tempo, anche se solo da poco ne ho avuto la conferma. Però il motivo per cui ho scelto di ucciderlo qui, di fronte a lei, è perché speravo potesse servirle per essere più... come dire, collaborativa».

Lei alzò gli occhi su di lui, fissandolo smarrita.

«Io non capisco...»

«Signorina» rise Wiesbaden «Lei vuole prendermi in giro».

Lisa abbassò gli occhi sul cadavere dell'uomo, cominciando a tremare. Wiesbaden le girò attorno, le mani intrecciate dietro la schiena, sul volto un'espressione assolutamente indecifrabile.

«Voglio sapere tutta la verità» disse. «Chi è lei, chi è l'uomo con cui parlava stasera e come fa a conoscere Nadia Ra Arwol».

«Io non so di cosa...»

Wiesbaden si fermò alle sue spalle. Si voltò verso la porta, che si aprì in quel momento per far entrare un altro dei suoi uomini. Questi fece un rapido cenno al barone, che Lisa colse distintamente. Wiesbaden annuì diverse volte, sul volto un sorriso stiracchiato. Quindi si diresse in silenzio fino a una finestra, da dove si voltò a guardare verso la ragazza.

«Giusto in tempo. Si alzi».

Lisa lo guardò. Accanto a lui era posizionato un cannocchiale su un treppiede. «Coraggio, non abbia paura. Venga qui, e guardi».

Lei spostò gli occhi dal cannocchiale al barone. Quindi scosse la testa.

«Guardi!»

Tremando, Lisa si alzò in piedi. Si avvicinò alla finestra, le gambe che la reggevano a malapena. Con le lacrime agli occhi, si chinò sul cannocchiale, avvicinando lentamente l'occhio al mirino, mentre nel suo cuore continuava a mormorare una preghiera silenziosa.

Ti prego, ti prego, fa che non sia...

Le ci volle un attimo per rendersi conto di cosa stava guardando. Il cannocchiale puntava alla finestra di un palazzo a qualche centinaio di metri. Al momento, non si vedeva nessuno. Lei strizzò gli occhi, aguzzando la vista.

La finestra era aperta. Una tenda ondeggiava debolmente. Era la finestra dell'attico di un albergo di lusso. Lisa riconobbe il palazzo.

«Guardi bene, non abbia fretta. In fondo, è appena arrivato».

Lei restò con gli occhi incollati al mirino, il fiato sospeso. Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, un tempo interminabile. Finché l'ombra di una persona non attraversò improvvisamente il suo spazio visivo.

«Cosa...»

In preda a un'ansia crescente, Lisa portò una mano al cannocchiale. Si sentiva tremare, il suo volto si fece esangue. Winston era là, proprio di fronte a lei. Con la camicia mezza slacciata, un bicchiere di whisky in mano, parlava con Michael, ridendo allegramente.

«Adesso capisce a chi mi riferisco?» disse Wiesbaden, chinandosi a sussurrarle all'orecchio. «Per sua sfortuna, ho la cattiva abitudine di far seguire i miei uomini. Una semplice misura di sicurezza. Quando l'hanno vista allontanarsi in compagnia di qualcuno, ho pensato fosse necessario farla seguire... non si poteva mai sapere. Magari quell'uomo era un malintenzionato, e io avevo il dovere di proteggerla, non crede? Immagini la mia sorpresa nel constatare che si trattava nientemeno di mister Galloway, o meglio... del presunto mister Galloway»

«Davvero, io non so...»

Wiesbaden afferrò Lisa per i capelli, costringendola a torcere il collo. Lei pianse, cadendo in ginocchio davanti a lui.

«Non si azzardi a mentirmi» esalò Wiesbaden, livido. «Voglio tutta la verità. Quello che sa su Nadia Ra Arwol, chi è lei e per chi lavora. E voglio il nome di quell'uomo».

«Può anche uccidermi, ma non lo farò» sibilò Lisa, stringendo le labbra. «Lei, maledetto... non saprà mai nulla da me».

«Ucciderla?» Wiesbaden rise. «Io non la ucciderò. Ha visto ciò che ho fatto al signor Hofmann. È esattamente quello che farò ai suoi amici» fece, accennando vagamente alla finestra «E mi creda, lo farò se lei non mi dirà tutta la verità».

Lisa sbiancò, schiudendo le labbra.

«In questo momento, alcuni dei miei uomini sono pronti ad entrare in quella stanza, armati. Aspettano solo un mio ordine. Se lei non mi dirà immediatamente tutto ciò che voglio, i suoi amici moriranno. E la colpa sarà solo sua».

«Io...»

«Vuole che muoiano? È così?»

Lisa scoppiò in lacrime. Si portò le mani al volto, scuotendo la testa.

«Per favore...»

«Vai» mormorò Wiesbaden all'uomo che era appena entrato dalla porta. Disperata, Lisa sbarrò gli occhi, gettandosi ai piedi del barone.

«No! Per l'amor di dio» lo supplicò, aggrappandosi alle sue caviglie. «Per favore! Vi dirò tutto, tutto! Ma non uccideteli, vi prego!»

Wiesbaden restò a guardarla mentre si contorceva ai suoi piedi, il volto rigato di lacrime e i capelli imbrattati di sangue. Quindi alzò lentamente la mano e la guardia rientrò dalla porta, richiudendosela alle spalle con aria del tutto indifferente.

«Questo sì che è parlare, Fraulein» commentò Wiesbaden, chinandosi a scostarle con dolcezza i capelli dal volto. «Ero sicuro che lei avrebbe capito».

 

 

(Eccomi qui, dopo diversi mesi, a pubblicare un nuovo capitolo. Mi scuso con tutti quanti i lettori per l'attesa, ma dopo aver terminato "Il regno perduto" l'onda "energetica" che mi aveva spinto a scrivere anche i primi capitoli di questa nuova sezione si è improvvisamente esaurita. Per un po', ho sentito la necessità di scrivere altro, e di dedicarmi ad altre storie ed altri personaggi. Ho provato diverse volte a riprendere in mano la storia, ma sempre senza successo. Stavolta ce l'ho fatta. Non è un capitolo eccezionale, è un semplice capitolo di transizione. Ma sono contento di averlo scritto, quantomeno perché con esso ho superato il blocco in cui ero caduto. Grazie per la pazienza, a tutti voi. Spero che possa essere una buona lettura. A presto!)

 

  
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