So solo che ti dirò
Vale la pena vedrai
Da adesso in poi
Hometown Glory
Chiuse
la portiera non riuscendo ad ignorare i saluti dell’uomo.
-Allora
fammi sapere..- disse Jermaine sporgendosi verso il
finestrino -..ci conto!-
Lo
osservò ripartire, ma si voltò quasi subito verso l’entrata del dojo: il
portone di legno era aperto e, oltre di esso, Rei lo osservava divertito con un
grosso sacco della spazzatura in mano.
-Bella
macchina.. chi era?- chiese con un mezzo sorriso.
-Nessuno-
borbottò Kei con un filo di voce e superò l’amico.
Le
ore in quei giorni erano trascorse in modo piuttosto strano: né lente, né
veloci, ma più il mercoledì si avvicinava, più sentiva una sensazione strana
farsi strada dentro di lui. Era malinconia e ansia nel lasciare il luogo in cui
aveva trascorso gli ultimi intensi mesi, ma anche impazienza e voglia di
tornare a calpestare il suolo russo.
Il
martedì sera il dojo venne assorbito da un silenzio irreale, avvolto nel caldo,
con solo il frinire delle cicale di sottofondo e le luci artificiali a
illuminare quell’alone di afa. Kei, affacciato alla finestra della sua stanza,
si ritrovò in una specie di déjà-vu, senza la forza di ricordare, né la voglia
di pensare.
Uscì
nel corridoio e scese le scale: dal salotto proveniva solo il rumore delle
pagine della rivista che stava sfogliando Max stravaccato sul divano, mentre la
cucina era stranamente silenziosa, nonostante la luce fosse accesa. Attraversò
la soglia decidendo di bere qualcosa di fresco, quando notò che qualcun altro aveva
avuto la sua stessa idea: Hilary era seduto al tavolo, un bicchiere di succo di
frutta davanti a sé e il cellulare tra le dita.
Abbozzarono
un saluto e Kei si diresse verso il frigo: optò per la stessa bevanda della
ragazza e si riempì un bicchiere.
-Pronto
per la partenza?- la voce di Hilary si levò guardinga, ma chiara.
-Sì-
annuì il russo, finalmente grato di aver ritrovato la sua sicurezza.
Decise
di non riflettere troppo e spostò una sedia, posizionandosi di fronte alla
giapponese, poggiando la bevanda sul tavolo che li separava.
-Allora..
come va?-
Un
silenzio surreale riempì il vuoto lasciato dalla domanda di Kei: si poteva dire
che non intrattenessero una conversazione da quando si erano lasciati e quelle
poche parole, nonostante risultassero come di circostanza, risuonarono di un
significato più profondo.
-Bene!-
rispose convinta –E tu? Sono cambiate un bel po’ di cose in questo periodo-
-Già..
inaspettatamente-
La
conversazione si districò, eliminando la distanza tra le battute dei due,
rientrando in una confidenza che si poteva considerare persa fino a cinque
minuti prima.
-Non
troppo.. devi ammettere che ci avevo visto giusto!-
-Riguardo?-
chiese lui perplesso.
-Sulla
storia della danza- sorseggiò il suo succo reggendo il bicchiere con entrambe
le mani e proseguì –ti avevo detto che avevi qualcosa di speciale!-
-Non
devo dubitare di te.. afferrato- disse abbozzando un sorriso.
-Ricordatelo!
Quindi hai altro in programma?-
Kei
ripensò al pranzo con Jermaine di qualche giorno
prima e alla proposta dell’uomo, cercando ancora una volta di allontanarla
dalla propria mente, come aveva fatto inutilmente per tutto quel tempo.
-Non
direi- mentì facendo spallucce –Tu novità?-
-Nessuna
degna di nota!-
-Rei
mi ha detto che ti vedi con qualcuno- appuntò con un sorrisetto.
-Già-
rispose Hilary distogliendo lo sguardo, ma lasciando incurvare i lati della
bocca all’insù –Da due mesi-
-Ecco
perché sei qui meno spesso.. e ci stai bene?-
-Sì-
-Mi
fa piacere- disse terminando di bere.
-Tu
passi ancora di fiore in fiore?- Hilary cercò di portare il discorso a suo
vantaggio.
-Non
passo proprio-
Rimasero
in un tranquillo silenzio per pochi secondi, poi Kei si alzò per risciacquare
il proprio bicchiere.
-Mio
padre dovrebbe essere qui a momenti- osservò lei piano, più a se stessa che
all’altro.
-Allora
buona notte- fece per andarsene.
-Kei..-
la voce di Hilary lo bloccò -..tornerai?-
-Cosa?-
-Tornerai?
Lo so che c’è già Takao a stressarti da giorni, ma.. riesci ancora a
considerarla casa questa?-
Maledisse
mentalmente Hilary per essere sempre così intuitiva: Takao era davvero da
giorni che gli ripeteva che sarebbe dovuto ritornare a casa, che non doveva
fare scherzi e via dicendo, non facendo però i conti con quello che Kei
considerasse realmente come casa.
-Sì-
mentì nuovamente, ma non sapeva dire se fosse stato convincente o meno questa
volta.
-Allora
buon viaggio!-
Aveva
preso in considerazione la possibilità di non ricordarsi più nulla della
propria terra, ma non ci credeva sul serio: sapeva che sarebbe stato tutto diverso
e assolutamente familiare una volta sceso da quell’aereo. Dalle persone, alla
lingua, ai negozi, persino l’aria.
Era
davvero differente l’aria che dalle narici scendeva fino ai polmoni, lo
riempiva e lo saziava nuovamente con profumi e fragranze familiari: sulla pista
d’atterraggio buttò fuori ciò che rimaneva del Giappone e si impadronì di tutto
ciò che era Mosca.
Percorse
i metri che lo separavano dall’entrata del terminal, indicato da delle ragazze
dall’aspetto impeccabile e sorrisi smaglianti, con il giubbino giallo di
segnalazione sopra la divisa da hostess; superò diversi controlli mostrando il
passaporto, fino alla dogana principale. Il suo stato di cittadino russo lo
esentò da diverse scocciature e code superflue, tanto che fu uno dei primi a
impossessarsi del proprio bagaglio e, finalmente, imboccare l’uscita.
Il
salone principale, con l’alto soffitto sorretto da imponenti colonne, pullulava
di persone dalla fisionomia familiare, due soprattutto attirarono la sua
attenzione.
-Ben
arrivato!-
Due
grandi braccia lo avvolsero in un caloroso saluto, accompagnato dallo schiocco
di tre baci sulle guance: Tatjana era alta quanto
lui, ma molto più robusta, con le spalle larghe e due braccia forti risultato
di anni di nuoto, anche a livello agonistico.
-E
lascialo respirare- intervenne Sergay, intimando alla sua ragazza di spostarsi
per poter salutare anche lui il nuovo venuto.
-Ciao
Ser!-
-Hai
solo questo bagaglio?-
Kei
annuì.
-Andiamo
dritti a casa o devi fare qualcosa prima?-
-Andiamo
a casa- rispose l’altro leggermente
stravolto per le ore di volo.
-Finalmente
ti hanno fatto mettere su qualche chilo!- notò Tatjana,
tastando il braccio del più giovane.
-Dici?-
-Sì,
credevo che i giapponesi mangiassero poco e temevo che tu scomparissi..-
-E
da cosa deriverebbe questa teoria?- chiese Sergay curioso.
-Beh,
sono tanto piccoli.. stasera comunque cucino io! Cibo come si deve!-
La
coppia parlottò fino alla macchina e durante tutto il tragitto, ma Kei, dopo i
primi secondi di entusiasmo e di piacere nel ritrovare quel paesaggio urbano,
si sentì totalmente rincorporato in Mosca, come se non l’avesse mai lasciata
prima, come se quell’anno lontano fosse in realtà durato solo alcuni istanti:
ciò che non si aspettava era la strana sensazione di essere nel posto sbagliato,
nonostante tutte le aspettative e le speranze di sentirsi rinascere nella
capitale russa, non sentiva ancora che quello fosse il suo posto nel mondo,
come non lo sentiva a Tokio.
Il
ragazzo osservò fuori dal finestrino il profilo delle case che annunciavano
l’entrata nella loro via e diede la colpa di tutto alla stanchezza.
Non
aveva potuto liberarsi per tutto il pomeriggio e varcò la soglia di casa solo
dopo le sei.
Salutò
Tatjana impegnata ai fornelli e, senza attendere
oltre, salì le scale fino al piano superiore: solo quando notò la porta della
camera di Kei semi aperta rallentò il passo e riprese controllo di sé.
Non
avrebbe mai detto ad alta voce le parole ‘mi sei mancato’, ma questo non gli
impediva di pensare o addirittura provare quel sentimento; prese un respiro e
si affacciò oltre la soglia, osservando all’interno.
Kei
era seduto a gambe incrociate sul letto,
intento a staccare delle fotografie da un cartellone e riporle
all’interno di una scatola. Quell’espressione tanto impegnata in un lavoro
all’apparenza semplicissimo gli provocò una risatina: sembrava un bambino che,
lontano dai problemi di tutto il mondo, si concentrava esclusivamente sul
proprio gioco.
Eppure,
ormai, era adulto a tutti gli effetti, ma quel buffo quadretto non fece altro
che risvegliare vecchi ricordi, aiutati a spuntare anche dallo stato d’animo di
quel giorno.
La prima volta
che Yuri lo vide fu poche ore dopo l’arrivo di Kei al monastero: era nello
studio di Vorkov e suo nonno lo aveva lasciato lì, in
piedi davanti all’imponente scrivania, da solo con la sua piccola borsa, prima
di girare i tacchi e andarsene.
Quel bambino,
come molti altri tra loro, aveva solo quattro anni quando aveva varcato per la
prima volta le porta del monastero, il luogo che sarebbe diventato la sua casa
e la sua prigione nei futuri dieci anni: prima viveva nella grande villa di suo
nonno, accudito da una donna fredda e burbera, dalla quale aveva imparato tutto
per mezzo di punizioni, niente premi, niente “sei stato bravo”, niente regali.
Quindi il
passaggio da un ambiente all’altro non era stato più di tanto traumatico: l’unico
cambiamento a cui doveva abituarsi era la convivenza con altri bambini, che
fino a quel momento aveva visto sempre da lontano, ma questo il rosso non lo
poteva sapere ancora.
Yuri ricevette
il compito di insegnargli come funzionassero le cose in quel luogo e stargli
dietro, per cui avrebbero condiviso la stessa camera.
Per il rosso
quel lavoro si rivelò più semplice di quanto si fosse aspettato, infatti Kei
sembrava rispettare di buon grado e senza troppe storie tutte le regole, come
se fossero state normale amministrazione. Non piangeva e non si lamentava.
Kei conobbe in
quei giorni quelli che sarebbero stati i suoi compagni di squadra: per il
cognome che portava aveva ottenuto il diritto di essere subito trattato come
uno dei migliori del monastero, saltando quella fase di assestamento che era
una vera e propria prova di sopravvivenza.
Boris era il
precedente compagno di stanza di Yuri che, per colpa del suo arrivo, si era
dovuto trasferire con una ragazzo poco più grande, Sergay.
Inutile dire che
il rapporto che si creò tra quei ragazzi fu da subito molto simile a quella che
poteva chiamarsi una famiglia.
Yuri,
soprattutto, trovò in Boris un fedele amico e in Kei qualcosa di molto simile a
un fratello: mentre col primo, avendo la stessa età e molte cose in comune, non
aveva faticato negli anni a trovare argomenti comuni di cui parlare e
interessarsi, con Kei si era sviluppata una sorta di dipendenza, gli aveva insegnato
tutto quello che sapeva, lo aveva seguito in quella età in cui la curiosità è
padrona e aveva risposto pazientemente a tutte le sue domande, scoprendosi
spesso ignorante, tanto che alla fine si ritrovavano entrambi a chiedere a
Sergay.
Una mattina erano
in ritardo per gli allenamenti e Kei stava armeggiando con le sue manine nelle
stringhe delle scarpe senza successo: Yuri lo aveva subito aiutato e la sera,
per far sì che questo non si ripetesse, avevano passato un’ora a fare e disfare
nodi.
Mentre la
domanda che aveva messo più in difficoltà l’espressione di superiorità che il
rosso assumeva quando gli venivano posti dei quesiti, fu “che cos’è una
mamma?”. Erano bambini di 5 e 7 anni, che ascoltavano le discussioni dei loro
coetanei e dei ragazzi più grandi, ma che non avevano nessuno che gli spiegasse
le nozioni semplici e basilari.
Kei aveva
sentito spesso parlare da altri bambini e dalle guardie di questa “mamma” che
tutti volevano o insultavano o comunque la inserivano nelle più disparate
discussioni. Ma che cosa fosse lui non lo sapeva.
Yuri lo aveva
guardato incredulo: era un concetto semplice e banale, tutti avevano una mamma
ed era.. beh, era la mamma. Nessuna definizione. Ci vollero diversi giorni e
tanta pazienza per accontentare Kei con una risposta decente e fin troppo
articolata per la loro età.
Per la fortuna
del rosso, Kei si pose il problema della figura “papà” solo tempo dopo e si
accontentò delle sue scoperte personali.
Comunque Kei e
Yuri ebbero la conferma di essere inseparabili dopo un anno dal giorno in cui
si conobbero.
Il nonno di del
più piccolo aveva deciso che per l’estate il bambino sarebbe andato con lui in
Giappone, usanza che si ripeté solo per altri due anni, ma che poi cadde in
disuso completamente.
In verità, la
sua lontananza dal monastero era solo di un mese, ma per i bambini un mese può
tranquillamente equivalere a un anno; quindi a Yuri non era andato a genio che
il suo compagno di stanza si fosse allontanato da quell’inferno senza di lui.
Quando tornò,
Kei fu accolto nel gelo assoluto che solo il piccolo Ivanov
riusciva a emanare.
Fomentato anche
dalle malelingue degli altri ragazzi del monastero aveva fatto pesare a Kei
quella sua lontananza e il trattamento di favore che gli era stato riservato;
probabilmente quell’episodio avrebbe compromesso irrimediabilmente quel loro
rapporto in nascita, se Kei non avesse prontamente estratto dalla stessa borsa
sgualcita con cui era arrivato, una serie di vestiti nuovi di zecca.
Vorkov non avrebbe nemmeno speso soldi per il cibo se
questo non fosse di fondamentale importanza per la sopravvivenza, quindi la
questione vestiti era presto risolta: attraverso la beneficienza ognuno poteva
prendere un numero contato di indumenti smessi per tot volte all’anno. A Kei ,però,
quando ancora aveva qualche favoreggiamento, fu permesso di portare dei vestiti
da casa ed era riuscito a fare entrare nella famosa borsa qualcosa anche per
Yuri, e si sa quanto sia facile a 7 anni fare pace.
Quella sera
stessa, mentre raccontava le sue esperienze dall’altra parte del mondo con un
nuovo accento divertente che avrebbe acquisito ogni volta che tornava dal
Giappone, Kei gli confidò di aver parlato di lui al giardiniere della villa del
nonno il quale gli aveva detto che loro erano tomodachi, parola che però non sapeva come si traducesse in
russo.
Discussero per
un bel po’ prima di accordare che il significato esatto fosse amico.
-Ehi-
Solo
quando Yuri poggiò la mano sulla maniglia e aprì ancora di più la porta, Kei si
accorse della sua presenza, risvegliandolo attraverso quel saluto.
-Ehi-
rispose a suo volta l’altro –Com’è andato il viaggio?-
-Tutto
bene..- rispose continuando la sua opera.
Il
rosso lo osservò nuovamente divertito: aveva pensato di ritrovarlo cresciuto e
maturato, invece l’effetto continuava a essere esattamente l’opposto. Si
sedette di fronte a lui sul letto, a gambe incrociate, aspettando una qualsiasi
reazione.
-Ti
avevo detto che potevi staccarlo- iniziò Kei, soffermandosi sulla foto che
aveva tra le dita nella quale Nataliya e Dana avevano su un espressione
alquanto buffa, prima di metterla nella scatola sopra alle altre. Prima di
partire aveva dato quel permesso al rosso, che a quanto pareva non aveva
accolto.
-Pensavo
fosse una cosa che dovessi fare tu..- iniziò guardandolo cauto -..mi
sbagliavo?-
Kei
alzò lo sguardo e lo fissò inarcando un sopracciglio.
-Ovviamente
no-
Tornò
tranquillo alla sua occupazione e Yuri si rallegrò di vederlo così in pace.
-Allora
non mi racconti niente?-
-Non
c’è molto da raccontare-
Questa
volta ad alzare un sopracciglio perplesso fu il più grande.
-Come
no?-
-Beh
sai già tutto- e fece spallucce.
-Volevo
sentire qualcosa da te in persona.. un tempo eri così un chiacchierone- lo
prese in giro Yuri ridacchiando –Ho visto il video sai?-
-Chi
non l’ha fatto..- appuntò Kei con disapprovazione.
-Sarà
stata una bella esperienza, no?-
Di
nuovo l’altro rispose semplicemente con un alzata di spalle.
-Hai
in progetto qualcos’altro del genere?- buttò lì la domanda e Kei si decise ad
alzare finalmente lo sguardo su di lui con espressione indecifrabile.
-Direi
di no- sussurrò cercando di distrarsi da quella domanda che voleva
assolutamente evitare.
-Sicuro?-
chiese Yuri saccente, assottigliando gli occhi a due fessure.
Kei
annuì, convincendolo a desistere.
Si
guardarono per qualche istante, ma il rosso si decise ad alzarsi, convinto che
non avrebbe estrapolato alcuna informazione: si avvicinò all’altro e gli
scompigliò i capelli.
-E’
possibile che se non te lo dico io, tu non te li tagli mai?-
Ne
approfittò per tirargli uno scappellotto e sorridere.
-Ben
tornato..- soffiò - ..ah! E per cena preparati qualche argomento, scriviti il
discorso se ti viene più semplice!- scherzò prima di dirigersi verso il
corridoio.
Non
gli avrebbe detto ‘mi sei mancato’, come sicuramente non glielo avrebbe detto
Kei, ma sapeva che era comunque un sentimento reciproco e non potè fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel
vedere come le cose si fossero sistemate e come i tempi bui sembravano essere
finalmente arrivati al capolinea.
Il
sole non era ancora sparito oltre le case e non lo avrebbe fatto prima delle
dieci e mezza: quelli erano i giorni più lunghi dell’anno, ma soprattutto quel
mercoledì sembrava non dovesse mai giungere al termine.
Complice
il fuso orario, la sua giornata sarebbe stata composta da almeno trenta ore, ma
non sarebbe riuscito a reggerle tutte: come gli aveva promesso, Tatijana aveva preparato un’ottima cena e a tavola osservò
le quattro persone sedute insieme a lui, notando con piacere quanto tutto
quello gli fosse familiare, quanto la sensazione del pomeriggio fosse sparita e
riconobbe tutto ciò come normalità.
-Sono
sicuro che Kei ha qualcosa da raccontarci..- iniziò Yuri.
-Beh
io sicuramente voglio sapere se ti sei fatto qualche ballerina!- lo stuzzicò
Boris.
-Non
sono affari tuoi-
-Come
siamo scontrosi.. piuttosto dov’è finito il tuo piercing?-
-Non
lo metto più..-
Tatijana ridacchiò
inaspettatamente e Kei la guardò perplesso sentendola alzare sempre più il tono
e faticare a tornare seria.
-Scusa
è che.. devo fare l’abitudine al tuo nuovo accento!-
Il
ragazzo sbuffò, zittendosi del tutto, mentre gli altri continuarono a prenderlo
in giro.
-Dai
che scherziamo- gli disse Sergay battendosi il petto per darsi un contegno.
-Come
volete-
La
cena tornò tranquilla nel giro di pochi secondi: dopo tanto, Kei provò la
sensazione strana di voler rimanere a tavola, ma la stanchezza prese il
sopravvento e, all’imperversare dei suoi sbadigli, si arrese e diede fine a
quella lunga giornata.
Al
buio, sotto le coperte, si rigirò parecchie volte nel letto: il materasso che
conosceva e col quale non aveva mai avuto problemi risultava in quel momento
troppo morbido, lo spazio che avvertiva attorno a sé, avvolto nell’oscurità,
aveva dimensioni evanescenti e l’aria che lo occupava era strana.
Nuovamente
la fatica del viaggio che si faceva sentire facendolo impazzire, pensò prima di
prendere definitivamente sonno.
Oggi sei mio.
Dopo
un sms che sapeva alquanto di minaccia, Dana si era presentata nel primo
pomeriggio a casa dei russi: aveva suonato parecchie volte di troppo il
campanello, aveva superato Yuri senza nemmeno vederlo quando aveva aperto la
porta e si era fiondata letteralmente addosso a Kei.
Fortunatamente
il ragazzo ebbe i riflessi pronti per reggerla e avvolgerla a suo volta in un
abbraccio, meno stritolante di quello dell’altra, ma comunque forte.
-Quanto
mi sei mancato- gli disse all’orecchio, mentre lui salutava con una mano libera
Anton, il marito di Dana, che scuoteva la testa esasperato appoggiato allo
stipite della porta.
-Pensa
che me la sono pure sposata- stava dicendo a Yuri, scherzando sul carattere
esuberante della ragazza.
-E
hai fatto bene!- disse lei, sentendosi interpellata e staccandosi finalmente
dal più piccolo –Sono riuscita a convincerlo a darci un passaggio in centro!-
-E
cosa andiamo a fare in centro?-
-Lo
vedrai-
Salutarono
Yuri e tutti e tre entrarono nella macchina di seconda mano della coppia: Anton
li accompagnò verso la parte moderna della città e li lasciò all’inizio di una
via pedonale piena di negozi.
-Grazie
amore!- disse Dana scoccandogli un bacio a fior di labbra e scendendo dalla
vettura.
-Scusa
per il disturbo- aggiunse Kei.
-Figurati..
intanto dovevo passare di qui! E’ bello, poi, rivederti!-
Kei
accennò un sorriso e si avvicinò a Dana, mentre l’uomo riaccendeva il motore e
partiva.
-Ora?-
-Ora
shopping!- rispose lei entusiasta, indicando la via piena di persone dietro di
loro.
-Cosa?-
-Hai
capito benissimo!-
-Tra
tutte le cose che potevamo fare..-
-Dai
che mi servono delle scarpe!-
Kei
ci pensò su: passare davanti a vetrine allestite insieme a una ragazza non era
mai un’attività salutare, ma d'altronde era da un anno che non vedeva la sua
amica e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa per
passare un po’ di tempo con lei.
Camminarono
per una decina di minuti, fermandosi davanti a diversi negozi: Kei ci mise un
po’, osservando i prezzi, a ricordarsi definitivamente che la cifra indicata
fosse in rubli e non in yen, che le varie insegne fossero realmente in
cirillico e che la totale assenza di ideogrammi indecifrabili fosse reale.
-Sembri
un bambino sperduto- gli fece notare Dana.
-Come?-
-Niente,
è che ti guardi intorno come se non ci fossi mai venuto-
-Mi
sto riabituando-
-Sarà
meglio..- la ragazza si fermò immediatamente -..ecco, entriamo qui!-
Si
infilarono in un enorme negozio di scarpe di ogni genere.
-Per
cosa ti servono?-
-La
palestra-
-Meno
male- sussurrò, contento di non dover osservare scarpe eleganti o col tacco di
cui non comprendeva il senso se non dopo che erano state indossate.
Attraversarono
diversi scaffali, fino a raggiungere la parete che avevano adocchiato sin
dall’entrata: Dana individuò i modelli e colori che la ispiravano e, dopo una
prima selezione, iniziò a escludere le paia con un prezzo troppo elevato.
-Queste
erano belle- le fece notare Kei, riprendendo una scarpa che era stata messa al
suo posto, nonostante la ragazza l’avesse soppesata a lungo.
-Sì,
ma non posso spendere troppo..-
-Non
ti ho fatto il regalo di compleanno-
-Era
a marzo, Kei!-
-Appunto,
devo farmi perdonare per bene-
-Non
se ne parla- affermò Dana spostando l’attenzione su altre calzature.
-Ma
ci tengo-
-Ti
ho detto di no!-
-Io
te le compro lo stesso- disse tornando indietro.
-Fermati
subito-
-Puoi
farmele comprare e spendere altri soldi per ritrovarti due paia di scarpe, o
lasciarmi fare-
-Sei
una testa dura!- sbuffò lei –Forse era davvero meglio se facevamo
qualcos’altro-
Dibatterono
per diversi minuti, ma alla fine Dana fu costretta a cedere, essendo che teneva
ancora alla propria salute mentale.
-A
te serve qualcosa?- chiese mentre passavano davanti alla parete del settore
maschile.
-Direi
di no-
-Ho
visto che ora vanno di moda queste..- disse prendendo una scarpa super
colorata.
-Troppo
sgargianti-
Impiegarono
più del triplo del tempo necessario per raggiungere le casse, poiché si misero
a commentare la maggior parte dei prodotti esposti, come facevano un tempo.
-Ora
possiamo andare dove volevo realmente portarti!- annunciò Dana una volta fuori
e riacquistato il sorriso.
-Questa
era un’illusione?-
-Rompipalle!
Qui ci dovevo venire per forza, è il mio unico giorno libero-
-Tieni
ancora i bambini?-
-Per
questa settimana sì, la prossima ho trovato posto in una scuola dove
organizzano i centri estivi e io devo far fare attività fisica ai ragazzini-
-La
palestra quando riapre?-
-A
settembre, però..- e gli indicò la strada che avrebbero dovuto imboccare e che
Kei riconobbe subito -..ora non c’è nessuno e possiamo andarci noi!-
Dana
allungò il passo e intimò a Kei di seguirla, non rallentando se non quando
raggiunse l’entrata.
Perché
stare con Dana era così dannatamente semplice? E perché ballare con lei,
soprattutto, lo faceva sentire così bene?
Il
loro era un legame forte, nonostante nessuno, quando si erano conosciuti,
avrebbe mai scommesso che sarebbero diventati così uniti, ma allo stesso tempo
nessuno avrebbe mai immaginato ciò che avrebbero dovuto affrontare.
Perché
quando si è in una situazione difficile, anche se non si vede una via d’uscita,
neanche in quel caso si può preventivare di quanto si possa cadere in basso, di
come si possa arrivare a raschiare il fondo e nemmeno di come si possa fare,
poi, per risalire.
Kei
e Dana non avevano assolutamente nulla in comune fino a quattro anni prima,
mentre in quel momento, in quella palestra, non potevano essere più
indissolubilmente legati.
La
ragazza diceva sempre che danza è condivisione, una forte emozione,
paragonabile a un sentimento allo stato puro e per loro la danza poteva essere
l’amicizia, l’amore unico verso un amico.
Quando
poterono considerarsi soddisfatti, si sedettero sul pavimento freddo che dava
una sensazione piacevole a contatto con la pelle accaldata: Kei appoggiò la
schiena al muro, mentre Dana spense la musica per poi posizionarsi di fronte a
lui.
-Allora..
mi dici cosa c’è che non va?- iniziò la ragazza, assumendo un’espressione seria.
-Niente-
rispose confuso il russo, il quale pensava che non potesse esserci nulla a
disturbare quella serenità.
-Non
mentire.. ti conosco e so che c’è qualcosa che non va-
-Pensavo
ci stessimo divertendo-
-Non
ora, ma in generale! Che ti frulla per quella testolina bacata?- insistette
accennando un sorriso.
Kei
capì subito a cosa si riferisse, poiché, non appena pensò a quello che poteva
turbarlo, il chiodo fisso che aveva negli ultimi giorni tornò a martellargli il
cervello.
Distolse
lo sguardo dall’altra automaticamente, ma Dana non demorse e gli si avvicinò,
ripetendo la prima domanda dolcemente.
-E’
che sono successe tante cose in questo periodo- si decise a confessare Kei.
-Assolutamente,
ma sono state cose belle!-
-Lo
so però.. mi stanno confondendo-
-Raccontami..-
lo incitò la ragazza, scrutandolo fino a che non si lasciò andare.
-Hai
presente Jermaine Crowde?
Sai che ti avevo detto che mi perseguitava?- aspetto che l’altra annuisse a
entrambe le domande prima di continuare –Ecco.. l’altro giorno ci siamo visti e
mi ha proposto un lavoro.. da settembre per quattro mesi o qualcosa del
genere..-
Dana
non riuscì a nascondere un largo sorriso, ma si trattenne dall’interromperlo.
-Sarebbe
il tour di Lauren Bright.. il tour mondiale..-
-Ma
è fantastico!- non riuscì più a stare zitta, rizzandosi di colpo.
-Sì,
ma ci sono tanti problemi..-
-Kei,
i problemi te li crei tu!-
-Ma
non so se..-
-Dimmi:
qual è stata la tua prima reazione alla proposta? Non pensarci su..
irrazionalmente, d’impulso, cosa avresti risposto?-
Il
russo fece per ragionarci, ma l’esortazione della ragazza ad agire d’istinto lo
spinse a dire –Di sì-.
Dana
sorrise trionfante, ma allo stesso tempo comprendendo l’indecisione dell’altro.
-Come
ti dicevo, i problemi te li crei tu..-
-E
la scuola?-
-Credo
che si potrebbe trovare una soluzione..-
-E
il Giappone e..-
-Posso
parlarti sinceramente?- lo bloccò la ragazza prima che potesse aggiungere altro
e assunse un tono materno –La tua situazione è questa: sei in bilico riguardo
al tuo futuro e a ciò che tu vorresti in esso, però hai una possibilità, una
possibilità che hai già sperimentato quanto non possa fare altro che
piacerti..- prese un respiro e si rituffò nel discorso -..tu qui non riesci a
stare e credo che lo stesso valga per il Giappone.. Anche io ho avuto
un’opportunità una volta, ti ricordi? Mi avevano offerto di studiare danza
seriamente all’estero, ma io non ho potuto né voluto accettare perché la mia
vita era qui, la mia famiglia aveva bisogno di me, c’era Anton.. non ho
accettato, ho fatto una scelta, la scelta più adatta a me e non me ne pento..
tu non hai nulla che ti trattenga.. Io sarò sempre qui, Yuri sarà sempre qui ad
accoglierti, ma non sei vincolato a restare..-
-E
se io volessi restare?- la fermò esponendole il pensiero che lo assillava da
settimane, ma che non aveva avuto il coraggio di formulare ad alta voce fino a
quel momento.
-E’
davvero quello che vuoi?-
-Questa
è casa mia..-
-Qui
hai delle persone a cui vuoi bene e che ti vogliono bene, ma lo stesso vale per
il Giappone.. non è così?-
-Sì,
ma..-
-Dicono
che casa sia il luogo dove si trova
il cuore.. e io credo che il tuo cuore non sia qui, perché qui non sta in pace,
non ancora almeno, nonostante a te sembri che il peggio sia passato.. e
ugualmente non sta in pace in Giappone..-
-E
allora?- sussurrò Kei.
-Allora
potrebbe essere ovunque.. e perché non nel luogo dove hai la possibilità di
danzare?-
Si
fissarono in silenzio per diversi secondi in attesa dell’esito finale di quella
conversazione, di sapere se avrebbe vinto la testardaggine di Kei o la
sicurezza di Dana.
-Non
è un male pensare al proprio futuro in maniera, come dire, originale- tentò
ancora, senza però fare pressioni –Quando gli devi dare una risposta?-
-Fine
agosto-
-E
con Yuri ne hai già parlato?-
-No,
l’ho detto solo a te-
-Allora
parla con lui e poi decidi.. prova a fidarti di nuovo del tuo istinto.. te lo
chiedo come favore personale!-
Come
risposta Kei emise una specie di grugnito che fu subito sostituito da un
sorriso non appena iniziarono a stuzzicarsi e giocherellare.
Non
fece nulla di più che pensarci nella settimana seguente: rimandò diverse volte
il momento per parlare e farsi consigliare da Yuri con la scusa di non trovare
l’occasione. Invece di occasioni ne avrebbe avute a centinaia se solo avesse
saputo sfruttarle.
Avevano
trascorso giornate intere insieme, Kei aveva accompagnato il rosso
all’università, in biblioteca, per non parlare di tutte le serate che i due,
insieme a Boris e Sergay trascorrevano a casa o in giro per qualche localino
tranquillo.
Non
sapeva dire quale fosse la causa di tale indecisione, poiché solitamente,
quando aveva qualcosa per la testa, parlarne con Yuri era considerato un modo
per sciogliere ogni dubbio.
Ciò
che lo distraeva, inoltre, da quel pensiero assillante e indefinito era una la
brutta sensazione di sentirsi estraneo a casa sua: era zeppa di ricordi, di
suoni e odori che poteva associare a immagini di ogni genere, sia positive che
negative, ma era allo stesso tempo distante. Si chiese spesso se quella fosse
una conseguenza del discorso di Dana, se lo aveva suggestionato a tal punto da
avvertire vere quelle parole riguardo la pace interiore che non riusciva a
trovare.
In
ogni caso, nonostante avesse tentato di ritardare il momento di affrontare una
decisione, quella decisione, si ritrovò costretto a confessare ogni suo dubbio
una sera, davanti a una tazza di tè caldo: era notte fonda, avevano appena
trascorso le ore serali al bar gestito da un amico di Sergay e il biondo era
andato a dormire. Boris aveva spento la sigaretta nel posacenere e, augurando
la buona notte, lo aveva seguito su per le scale.
Yuri
aveva l’abitudine di bere quell’infuso ambrato anche d’estate e ne aveva
offerto un po’ a Kei, il quale aveva accettato solo per aver la possibilità di
allungarlo con un po’ di alcool.
-Dana
non l’hai più vista?- chiese il russo interrompendo il silenzio della cucina.
-No-
-Lavora?-
Kei
annuì seguendo con lo sguardo il cucchiaino che ruotava nella tazza comandato
dalle dita dell’altro.
-Dovrei
parlarti..- disse lentamente pentendosi all’istante di aver tirato fuori
l’argomento: ormai non poteva tirarsi indietro o inventare qualche balla e,
nonostante non riuscisse proprio a capire come mai fosse così difficile
parlare, continuò -..riguardo a una possibilità che mi hanno offerto-
Utilizzò
le parole di Dana cercando di farsi forza, aspettando un qualsiasi cenno
dell’altro di stare ascoltando.
-Di
che si tratta?-
-Un
lavoro.. tipo quelli degli ultimi mesi..-
-Da
ballerino?-
Kei
annuì, nonostante quella parola lo facesse ancora rabbrividire se associata a
se stesso.
-Me
lo vuoi dire o no?- lo incitò il russo calmo.
-Sì..
sarebbe un tour di quattro mesi e..-
-Un
tour dove?- chiese sorseggiando il suo tè.
-Mondiale-
-Che
mesi sarebbero?-
Kei
prima di rispondere si convinse che era così che doveva sentirsi un normale
ragazzino a chiedere il permesso di fare qualcosa al genitore.
-Da
ottobre..-
-Tu
vorresti farlo?- e si concentrò esclusivamente sull’altro.
-Non
lo so..-
-E
per la scuola? Come pensi di fare?-
Non
rispose per non sentire più quelle tre parole che uscivano dalle sue labbra,
per non dare voce ancora una volta alla sua indecisione, a quell’incertezza che
gli dava sui nervi e che non riusciva a sopportare.
-Perderesti
metà anno così-
Kei
annuì, restando ancora in silenzio.
-Non
so.. questa cosa che ti sta accadendo è molto bella, è positivo che tu ci sia
così immerso, però credo dovresti valutare le tue priorità..-
Iniziò
a pensare che il suo non voler parlare con Yuri derivasse dall’aspettativa che
riponeva nella sua risposta, perché in fondo sapeva quale sarebbe stato il
punto di vista dell’altro, quello per cui avrebbe votato, ma perché lo
indisponeva tanto?
Si
era sempre affidato al rosso, nell’ultimo anno e mezzo aveva deciso che il suo
parere sarebbe stato al di sopra di tutto, che lo avrebbe ascoltato sempre e in
ogni caso, eppure non riusciva ad accettare quella come soluzione al problema.
-La
scuola non è mai stata una delle mie priorità..-
-Ma
dovrebbe esserlo.. Kei, questa cosa non può aspettare un anno? Il tempo di
diplomarti? Non ti manca tanto.. puoi sempre continuare a ballare, solo non a
tempo pieno.. per ora..-
La
consapevolezza di avere già chiaro quale, per lui, doveva essere la risposta a
quella possibilità fece capolino nella sua testa: lui voleva dire di sì, voleva
lasciare tutto e inseguire quel qualcosa che lo faceva stare bene da qualche
mese a quella parte.
-E
se io non volessi aspettare?-
-Io
non sono d’accordo- si fissarono a lungo, ma nessuno dei due diede la
soddisfazione all’altro di abbassare per primo lo sguardo –Cosa ne pensano
Takao, Nonno J, Rei?- continuò Yuri sperando di trovare man forte in altri.
-Non
lo sanno..-
-Credo
che la penserebbero come me..-
-Non
tutti la pensano come te- disse improvvisamente con tono freddo.
-Tipo?-
-Dana-
non voleva tirare in ballo l’amica, ma non sapeva in che altro modo continuare
a dibattere.
-Lei
ti incita così potrai realizzare ciò in cui lei non è riuscita..-
-Non
è vero.. e poi non parlare di lei in questo modo-
-Ma
è un dato di fatto.. lei ti appoggia
perché fa parte di quel mondo-
-E
non credi che proprio per questo abbia più voce in capitolo di te?-
-No,
non credo! Io ho voce in capitolo eccome, io voglio solo il meglio per te e
cerco di farti capire qual è!-
-Anche
lei-
-Kei,
non puoi lasciare così la scuola per fare il ballerino! E’ un futuro insicuro,
evanescente.. poi non credo che tu sia pronto per un passo del genere-
-Cosa
credi che possa succedere?-
-Metti
di non riuscire.. che dopo questo tour non ti chiamino più, che decidano che
non gli servi? A te che cosa rimarrà? Un ennesimo anno perso e chissà che
altro..-
-In
tal caso cosa credi? Che ricominci a farmi?-
-Spero
proprio di no, ma cerco di mettere in conto ogni eventualità come faccio da
anni!-
-Inizi
a rinfacciarmi le cose? Mi sembrava fossimo rimasti al punto in cui iniziavi a
fidarti di me-
-Non
ti rinfaccio nulla.. comunque mi pare di aver capito che nonostante questo
discorso tu abbia già preso la tua decisione..- continuò il rosso tornando
apparentemente calmo.
Kei
si zittì improvvisamente seguitando a guardarlo.
-Tu
ci vuoi andare..-
Aveva
dibattuto negli ultimi minuti ogni qual volta si erano allontanati dalla
possibilità di accettare la proposta del tour e aveva tenuto testa ai discorsi
logici di Yuri: tutti gli elementi potevano far presagire la sua totale
intenzione di iniziare questo nuovo percorso e abbandonare il vecchio, ma,
all’avanzare di quella consapevolezza, la paura o l’indecisione o come la si
vuole chiamare tornò a tormentarlo.
-Non
lo so-
-Come
faccio a dare la mia completa fiducia a un atto del genere, che già considero
irresponsabile di suo e del quale, poi, non sei nemmeno sicuro?-
Nuovamente
come ragionamento non faceva una grinza e, quindi, a chi dare retta? A Yuri e
le sue logiche argomentazioni o all’istinto, che tante volte lo aveva aiutato
quante volte lo aveva tradito?
Ripensò
alle parole di Jermaine, a quelle di Yuri, di Hilary
e, infine, a quelle di Dana: doveva davvero capire ciò che per lui era casa.
E anche questo è
finito!
Siamo atterrati
nuovamente a Mosca e Keiuccio è tornato confuso XD è
inutile, non si smentisce mai u.u vabbè..vado
un po’ di fretta e non ho molte cose da dire, al massimo le aggiungerò in
seguito o mi pentirò per tutta la vita di non averle tirate fuori al momento
opportuno! O_o
Visione
apocalittica a parte..
Aspetto le
vostre sempre adorate opinioni!
Un bacione :)