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Autore: lexy90    07/10/2011    6 recensioni
“E le senti le vene, piene di ciò che sei e ti attacchi alla vita che hai.
Leggero, nel vestito migliore, senza andata né ritorno senza destinazione.
Leggero, nel vestito migliore, sulla testa un po' di sole ed in bocca una canzone”
Kei Hiwatari durante il suo percorso ha perso la retta via, ha commesso errori e ha compromesso tutto il suo mondo, ma allo stesso tempo è cresciuto, è cambiato, ha scoperto nuovi interessi e nuove prospettive. Spetta solo a lui prendere in mano le redini della sua vita e darle un senso, un qualcosa per cui lottare, una ragione per esistere.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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So solo che ti dirò

Vale la pena vedrai

Da adesso in poi

 

 

 

 

 

 

 

Hometown Glory

 

 

 

 

Chiuse la portiera non riuscendo ad ignorare i saluti dell’uomo.

-Allora fammi sapere..- disse Jermaine sporgendosi verso il finestrino -..ci conto!-

Lo osservò ripartire, ma si voltò quasi subito verso l’entrata del dojo: il portone di legno era aperto e, oltre di esso, Rei lo osservava divertito con un grosso sacco della spazzatura in mano.

-Bella macchina.. chi era?- chiese con un mezzo sorriso.

-Nessuno- borbottò Kei con un filo di voce e superò l’amico.

 

Le ore in quei giorni erano trascorse in modo piuttosto strano: né lente, né veloci, ma più il mercoledì si avvicinava, più sentiva una sensazione strana farsi strada dentro di lui. Era malinconia e ansia nel lasciare il luogo in cui aveva trascorso gli ultimi intensi mesi, ma anche impazienza e voglia di tornare a calpestare il suolo russo.

Il martedì sera il dojo venne assorbito da un silenzio irreale, avvolto nel caldo, con solo il frinire delle cicale di sottofondo e le luci artificiali a illuminare quell’alone di afa. Kei, affacciato alla finestra della sua stanza, si ritrovò in una specie di déjà-vu, senza la forza di ricordare, né la voglia di pensare.

Uscì nel corridoio e scese le scale: dal salotto proveniva solo il rumore delle pagine della rivista che stava sfogliando Max stravaccato sul divano, mentre la cucina era stranamente silenziosa, nonostante la luce fosse accesa. Attraversò la soglia decidendo di bere qualcosa di fresco, quando notò che qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea: Hilary era seduto al tavolo, un bicchiere di succo di frutta davanti a sé e il cellulare tra le dita.

Abbozzarono un saluto e Kei si diresse verso il frigo: optò per la stessa bevanda della ragazza e si riempì un bicchiere.

-Pronto per la partenza?- la voce di Hilary si levò guardinga, ma chiara.

-Sì- annuì il russo, finalmente grato di aver ritrovato la sua sicurezza.

Decise di non riflettere troppo e spostò una sedia, posizionandosi di fronte alla giapponese, poggiando la bevanda sul tavolo che li separava.

-Allora.. come va?-

Un silenzio surreale riempì il vuoto lasciato dalla domanda di Kei: si poteva dire che non intrattenessero una conversazione da quando si erano lasciati e quelle poche parole, nonostante risultassero come di circostanza, risuonarono di un significato più profondo.

-Bene!- rispose convinta –E tu? Sono cambiate un bel po’ di cose in questo periodo-

-Già.. inaspettatamente-

La conversazione si districò, eliminando la distanza tra le battute dei due, rientrando in una confidenza che si poteva considerare persa fino a cinque minuti prima.

-Non troppo.. devi ammettere che ci avevo visto giusto!-

-Riguardo?- chiese lui perplesso.

-Sulla storia della danza- sorseggiò il suo succo reggendo il bicchiere con entrambe le mani e proseguì –ti avevo detto che avevi qualcosa di speciale!-

-Non devo dubitare di te.. afferrato- disse abbozzando un sorriso.

-Ricordatelo! Quindi hai altro in programma?-

Kei ripensò al pranzo con Jermaine di qualche giorno prima e alla proposta dell’uomo, cercando ancora una volta di allontanarla dalla propria mente, come aveva fatto inutilmente per tutto quel tempo.

-Non direi- mentì facendo spallucce –Tu novità?-

-Nessuna degna di nota!-

-Rei mi ha detto che ti vedi con qualcuno- appuntò con un sorrisetto.

-Già- rispose Hilary distogliendo lo sguardo, ma lasciando incurvare i lati della bocca all’insù –Da due mesi-

-Ecco perché sei qui meno spesso.. e ci stai bene?-

-Sì-

-Mi fa piacere- disse terminando di bere.

-Tu passi ancora di fiore in fiore?- Hilary cercò di portare il discorso a suo vantaggio.

-Non passo proprio-

Rimasero in un tranquillo silenzio per pochi secondi, poi Kei si alzò per risciacquare il proprio bicchiere.

-Mio padre dovrebbe essere qui a momenti- osservò lei piano, più a se stessa che all’altro.

-Allora buona notte- fece per andarsene.

-Kei..- la voce di Hilary lo bloccò -..tornerai?-

-Cosa?-

-Tornerai? Lo so che c’è già Takao a stressarti da giorni, ma.. riesci ancora a considerarla casa questa?-

Maledisse mentalmente Hilary per essere sempre così intuitiva: Takao era davvero da giorni che gli ripeteva che sarebbe dovuto ritornare a casa, che non doveva fare scherzi e via dicendo, non facendo però i conti con quello che Kei considerasse realmente come casa.

-Sì- mentì nuovamente, ma non sapeva dire se fosse stato convincente o meno questa volta.

-Allora buon viaggio!-

 

Aveva preso in considerazione la possibilità di non ricordarsi più nulla della propria terra, ma non ci credeva sul serio: sapeva che sarebbe stato tutto diverso e assolutamente familiare una volta sceso da quell’aereo. Dalle persone, alla lingua, ai negozi, persino l’aria.

Era davvero differente l’aria che dalle narici scendeva fino ai polmoni, lo riempiva e lo saziava nuovamente con profumi e fragranze familiari: sulla pista d’atterraggio buttò fuori ciò che rimaneva del Giappone e si impadronì di tutto ciò che era Mosca.

Percorse i metri che lo separavano dall’entrata del terminal, indicato da delle ragazze dall’aspetto impeccabile e sorrisi smaglianti, con il giubbino giallo di segnalazione sopra la divisa da hostess; superò diversi controlli mostrando il passaporto, fino alla dogana principale. Il suo stato di cittadino russo lo esentò da diverse scocciature e code superflue, tanto che fu uno dei primi a impossessarsi del proprio bagaglio e, finalmente, imboccare l’uscita.

Il salone principale, con l’alto soffitto sorretto da imponenti colonne, pullulava di persone dalla fisionomia familiare, due soprattutto attirarono la sua attenzione.

-Ben arrivato!-

Due grandi braccia lo avvolsero in un caloroso saluto, accompagnato dallo schiocco di tre baci sulle guance: Tatjana era alta quanto lui, ma molto più robusta, con le spalle larghe e due braccia forti risultato di anni di nuoto, anche a livello agonistico.

-E lascialo respirare- intervenne Sergay, intimando alla sua ragazza di spostarsi per poter salutare anche lui il nuovo venuto.

-Ciao Ser!-

-Hai solo questo bagaglio?-

Kei annuì.

-Andiamo dritti a casa o devi fare qualcosa prima?-

-Andiamo a casa- rispose l’altro leggermente stravolto per le ore di volo.

-Finalmente ti hanno fatto mettere su qualche chilo!- notò Tatjana, tastando il braccio del più giovane.

-Dici?-

-Sì, credevo che i giapponesi mangiassero poco e temevo che tu scomparissi..-

-E da cosa deriverebbe questa teoria?- chiese Sergay curioso.

-Beh, sono tanto piccoli.. stasera comunque cucino io! Cibo come si deve!-

La coppia parlottò fino alla macchina e durante tutto il tragitto, ma Kei, dopo i primi secondi di entusiasmo e di piacere nel ritrovare quel paesaggio urbano, si sentì totalmente rincorporato in Mosca, come se non l’avesse mai lasciata prima, come se quell’anno lontano fosse in realtà durato solo alcuni istanti: ciò che non si aspettava era la strana sensazione di essere nel posto sbagliato, nonostante tutte le aspettative e le speranze di sentirsi rinascere nella capitale russa, non sentiva ancora che quello fosse il suo posto nel mondo, come non lo sentiva a Tokio.

Il ragazzo osservò fuori dal finestrino il profilo delle case che annunciavano l’entrata nella loro via e diede la colpa di tutto alla stanchezza.

 

Non aveva potuto liberarsi per tutto il pomeriggio e varcò la soglia di casa solo dopo le sei.

Salutò Tatjana impegnata ai fornelli e, senza attendere oltre, salì le scale fino al piano superiore: solo quando notò la porta della camera di Kei semi aperta rallentò il passo e riprese controllo di sé.

Non avrebbe mai detto ad alta voce le parole ‘mi sei mancato’, ma questo non gli impediva di pensare o addirittura provare quel sentimento; prese un respiro e si affacciò oltre la soglia, osservando all’interno.

Kei era seduto a gambe incrociate sul letto,  intento a staccare delle fotografie da un cartellone e riporle all’interno di una scatola. Quell’espressione tanto impegnata in un lavoro all’apparenza semplicissimo gli provocò una risatina: sembrava un bambino che, lontano dai problemi di tutto il mondo, si concentrava esclusivamente sul proprio gioco.

Eppure, ormai, era adulto a tutti gli effetti, ma quel buffo quadretto non fece altro che risvegliare vecchi ricordi, aiutati a spuntare anche dallo stato d’animo di quel giorno.

 

La prima volta che Yuri lo vide fu poche ore dopo l’arrivo di Kei al monastero: era nello studio di Vorkov e suo nonno lo aveva lasciato lì, in piedi davanti all’imponente scrivania, da solo con la sua piccola borsa, prima di girare i tacchi e andarsene.

Quel bambino, come molti altri tra loro, aveva solo quattro anni quando aveva varcato per la prima volta le porta del monastero, il luogo che sarebbe diventato la sua casa e la sua prigione nei futuri dieci anni: prima viveva nella grande villa di suo nonno, accudito da una donna fredda e burbera, dalla quale aveva imparato tutto per mezzo di punizioni, niente premi, niente “sei stato bravo”, niente regali.

Quindi il passaggio da un ambiente all’altro non era stato più di tanto traumatico: l’unico cambiamento a cui doveva abituarsi era la convivenza con altri bambini, che fino a quel momento aveva visto sempre da lontano, ma questo il rosso non lo poteva sapere ancora.

Yuri ricevette il compito di insegnargli come funzionassero le cose in quel luogo e stargli dietro, per cui avrebbero condiviso la stessa camera.

Per il rosso quel lavoro si rivelò più semplice di quanto si fosse aspettato, infatti Kei sembrava rispettare di buon grado e senza troppe storie tutte le regole, come se fossero state normale amministrazione. Non piangeva e non si lamentava.

Kei conobbe in quei giorni quelli che sarebbero stati i suoi compagni di squadra: per il cognome che portava aveva ottenuto il diritto di essere subito trattato come uno dei migliori del monastero, saltando quella fase di assestamento che era una vera e propria prova di sopravvivenza.

Boris era il precedente compagno di stanza di Yuri che, per colpa del suo arrivo, si era dovuto trasferire con una ragazzo poco più grande, Sergay.

Inutile dire che il rapporto che si creò tra quei ragazzi fu da subito molto simile a quella che poteva chiamarsi una famiglia.

Yuri, soprattutto, trovò in Boris un fedele amico e in Kei qualcosa di molto simile a un fratello: mentre col primo, avendo la stessa età e molte cose in comune, non aveva faticato negli anni a trovare argomenti comuni di cui parlare e interessarsi, con Kei si era sviluppata una sorta di dipendenza, gli aveva insegnato tutto quello che sapeva, lo aveva seguito in quella età in cui la curiosità è padrona e aveva risposto pazientemente a tutte le sue domande, scoprendosi spesso ignorante, tanto che alla fine si ritrovavano entrambi a chiedere a Sergay.

Una mattina erano in ritardo per gli allenamenti e Kei stava armeggiando con le sue manine nelle stringhe delle scarpe senza successo: Yuri lo aveva subito aiutato e la sera, per far sì che questo non si ripetesse, avevano passato un’ora a fare e disfare nodi.

Mentre la domanda che aveva messo più in difficoltà l’espressione di superiorità che il rosso assumeva quando gli venivano posti dei quesiti, fu “che cos’è una mamma?”. Erano bambini di 5 e 7 anni, che ascoltavano le discussioni dei loro coetanei e dei ragazzi più grandi, ma che non avevano nessuno che gli spiegasse le nozioni semplici e basilari.

Kei aveva sentito spesso parlare da altri bambini e dalle guardie di questa “mamma” che tutti volevano o insultavano o comunque la inserivano nelle più disparate discussioni. Ma che cosa fosse lui non lo sapeva.

Yuri lo aveva guardato incredulo: era un concetto semplice e banale, tutti avevano una mamma ed era.. beh, era la mamma. Nessuna definizione. Ci vollero diversi giorni e tanta pazienza per accontentare Kei con una risposta decente e fin troppo articolata per la loro età.

Per la fortuna del rosso, Kei si pose il problema della figura “papà” solo tempo dopo e si accontentò delle sue scoperte personali.

Comunque Kei e Yuri ebbero la conferma di essere inseparabili dopo un anno dal giorno in cui si conobbero.

Il nonno di del più piccolo aveva deciso che per l’estate il bambino sarebbe andato con lui in Giappone, usanza che si ripeté solo per altri due anni, ma che poi cadde in disuso completamente.

In verità, la sua lontananza dal monastero era solo di un mese, ma per i bambini un mese può tranquillamente equivalere a un anno; quindi a Yuri non era andato a genio che il suo compagno di stanza si fosse allontanato da quell’inferno senza di lui.

Quando tornò, Kei fu accolto nel gelo assoluto che solo il piccolo Ivanov riusciva a emanare.

Fomentato anche dalle malelingue degli altri ragazzi del monastero aveva fatto pesare a Kei quella sua lontananza e il trattamento di favore che gli era stato riservato; probabilmente quell’episodio avrebbe compromesso irrimediabilmente quel loro rapporto in nascita, se Kei non avesse prontamente estratto dalla stessa borsa sgualcita con cui era arrivato, una serie di vestiti nuovi di zecca.

Vorkov non avrebbe nemmeno speso soldi per il cibo se questo non fosse di fondamentale importanza per la sopravvivenza, quindi la questione vestiti era presto risolta: attraverso la beneficienza ognuno poteva prendere un numero contato di indumenti smessi per tot volte all’anno. A Kei ,però, quando ancora aveva qualche favoreggiamento, fu permesso di portare dei vestiti da casa ed era riuscito a fare entrare nella famosa borsa qualcosa anche per Yuri, e si sa quanto sia facile a 7 anni fare pace.

Quella sera stessa, mentre raccontava le sue esperienze dall’altra parte del mondo con un nuovo accento divertente che avrebbe acquisito ogni volta che tornava dal Giappone, Kei gli confidò di aver parlato di lui al giardiniere della villa del nonno il quale gli aveva detto che loro erano tomodachi, parola che però non sapeva come si traducesse in russo.

Discussero per un bel po’ prima di accordare che il significato esatto fosse amico.

 

-Ehi-

Solo quando Yuri poggiò la mano sulla maniglia e aprì ancora di più la porta, Kei si accorse della sua presenza, risvegliandolo attraverso quel saluto.

-Ehi- rispose a suo volta l’altro –Com’è andato il viaggio?-

-Tutto bene..- rispose continuando la sua opera.

Il rosso lo osservò nuovamente divertito: aveva pensato di ritrovarlo cresciuto e maturato, invece l’effetto continuava a essere esattamente l’opposto. Si sedette di fronte a lui sul letto, a gambe incrociate, aspettando una qualsiasi reazione.

-Ti avevo detto che potevi staccarlo- iniziò Kei, soffermandosi sulla foto che aveva tra le dita nella quale Nataliya e Dana avevano su un espressione alquanto buffa, prima di metterla nella scatola sopra alle altre. Prima di partire aveva dato quel permesso al rosso, che a quanto pareva non aveva accolto.

-Pensavo fosse una cosa che dovessi fare tu..- iniziò guardandolo cauto -..mi sbagliavo?-

Kei alzò lo sguardo e lo fissò inarcando un sopracciglio.

-Ovviamente no-

Tornò tranquillo alla sua occupazione e Yuri si rallegrò di vederlo così in pace.

-Allora non mi racconti niente?-

-Non c’è molto da raccontare-

Questa volta ad alzare un sopracciglio perplesso fu il più grande.

-Come no?-

-Beh sai già tutto- e fece spallucce.

-Volevo sentire qualcosa da te in persona.. un tempo eri così un chiacchierone- lo prese in giro Yuri ridacchiando –Ho visto il video sai?-

-Chi non l’ha fatto..- appuntò Kei con disapprovazione.

-Sarà stata una bella esperienza, no?-

Di nuovo l’altro rispose semplicemente con un alzata di spalle.

-Hai in progetto qualcos’altro del genere?- buttò lì la domanda e Kei si decise ad alzare finalmente lo sguardo su di lui con espressione indecifrabile.

-Direi di no- sussurrò cercando di distrarsi da quella domanda che voleva assolutamente evitare.

-Sicuro?- chiese Yuri saccente, assottigliando gli occhi a due fessure.

Kei annuì, convincendolo a desistere.

Si guardarono per qualche istante, ma il rosso si decise ad alzarsi, convinto che non avrebbe estrapolato alcuna informazione: si avvicinò all’altro e gli scompigliò i capelli.

-E’ possibile che se non te lo dico io, tu non te li tagli mai?-

Ne approfittò per tirargli uno scappellotto e sorridere.

-Ben tornato..- soffiò - ..ah! E per cena preparati qualche argomento, scriviti il discorso se ti viene più semplice!- scherzò prima di dirigersi verso il corridoio.

Non gli avrebbe detto ‘mi sei mancato’, come sicuramente non glielo avrebbe detto Kei, ma sapeva che era comunque un sentimento reciproco e non potè fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel vedere come le cose si fossero sistemate e come i tempi bui sembravano essere finalmente arrivati al capolinea.

 

Il sole non era ancora sparito oltre le case e non lo avrebbe fatto prima delle dieci e mezza: quelli erano i giorni più lunghi dell’anno, ma soprattutto quel mercoledì sembrava non dovesse mai giungere al termine.

Complice il fuso orario, la sua giornata sarebbe stata composta da almeno trenta ore, ma non sarebbe riuscito a reggerle tutte: come gli aveva promesso, Tatijana aveva preparato un’ottima cena e a tavola osservò le quattro persone sedute insieme a lui, notando con piacere quanto tutto quello gli fosse familiare, quanto la sensazione del pomeriggio fosse sparita e riconobbe tutto ciò come normalità.

-Sono sicuro che Kei ha qualcosa da raccontarci..- iniziò Yuri.

-Beh io sicuramente voglio sapere se ti sei fatto qualche ballerina!- lo stuzzicò Boris.

-Non sono affari tuoi-

-Come siamo scontrosi.. piuttosto dov’è finito il tuo piercing?-

-Non lo metto più..-

Tatijana ridacchiò inaspettatamente e Kei la guardò perplesso sentendola alzare sempre più il tono e faticare a tornare seria.

-Scusa è che.. devo fare l’abitudine al tuo nuovo accento!-

Il ragazzo sbuffò, zittendosi del tutto, mentre gli altri continuarono a prenderlo in giro.

-Dai che scherziamo- gli disse Sergay battendosi il petto per darsi un contegno.

-Come volete-

La cena tornò tranquilla nel giro di pochi secondi: dopo tanto, Kei provò la sensazione strana di voler rimanere a tavola, ma la stanchezza prese il sopravvento e, all’imperversare dei suoi sbadigli, si arrese e diede fine a quella lunga giornata.

Al buio, sotto le coperte, si rigirò parecchie volte nel letto: il materasso che conosceva e col quale non aveva mai avuto problemi risultava in quel momento troppo morbido, lo spazio che avvertiva attorno a sé, avvolto nell’oscurità, aveva dimensioni evanescenti e l’aria che lo occupava era strana.

Nuovamente la fatica del viaggio che si faceva sentire facendolo impazzire, pensò prima di prendere definitivamente sonno.

 

Oggi sei mio.

Dopo un sms che sapeva alquanto di minaccia, Dana si era presentata nel primo pomeriggio a casa dei russi: aveva suonato parecchie volte di troppo il campanello, aveva superato Yuri senza nemmeno vederlo quando aveva aperto la porta e si era fiondata letteralmente addosso a Kei.

Fortunatamente il ragazzo ebbe i riflessi pronti per reggerla e avvolgerla a suo volta in un abbraccio, meno stritolante di quello dell’altra, ma comunque forte.

-Quanto mi sei mancato- gli disse all’orecchio, mentre lui salutava con una mano libera Anton, il marito di Dana, che scuoteva la testa esasperato appoggiato allo stipite della porta.

-Pensa che me la sono pure sposata- stava dicendo a Yuri, scherzando sul carattere esuberante della ragazza.

-E hai fatto bene!- disse lei, sentendosi interpellata e staccandosi finalmente dal più piccolo –Sono riuscita a convincerlo a darci un passaggio in centro!-

-E cosa andiamo a fare in centro?-

-Lo vedrai-

Salutarono Yuri e tutti e tre entrarono nella macchina di seconda mano della coppia: Anton li accompagnò verso la parte moderna della città e li lasciò all’inizio di una via pedonale piena di negozi.

-Grazie amore!- disse Dana scoccandogli un bacio a fior di labbra e scendendo dalla vettura.

-Scusa per il disturbo- aggiunse Kei.

-Figurati.. intanto dovevo passare di qui! E’ bello, poi, rivederti!-

Kei accennò un sorriso e si avvicinò a Dana, mentre l’uomo riaccendeva il motore e partiva.

-Ora?-

-Ora shopping!- rispose lei entusiasta, indicando la via piena di persone dietro di loro.

-Cosa?-

-Hai capito benissimo!-

-Tra tutte le cose che potevamo fare..-

-Dai che mi servono delle scarpe!-

Kei ci pensò su: passare davanti a vetrine allestite insieme a una ragazza non era mai un’attività salutare, ma d'altronde era da un anno che non vedeva la sua amica e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa per passare un po’ di tempo con lei.

Camminarono per una decina di minuti, fermandosi davanti a diversi negozi: Kei ci mise un po’, osservando i prezzi, a ricordarsi definitivamente che la cifra indicata fosse in rubli e non in yen, che le varie insegne fossero realmente in cirillico e che la totale assenza di ideogrammi indecifrabili fosse reale.

-Sembri un bambino sperduto- gli fece notare Dana.

-Come?-

-Niente, è che ti guardi intorno come se non ci fossi mai venuto-

-Mi sto riabituando-

-Sarà meglio..- la ragazza si fermò immediatamente -..ecco, entriamo qui!-

Si infilarono in un enorme negozio di scarpe di ogni genere.

-Per cosa ti servono?-

-La palestra-

-Meno male- sussurrò, contento di non dover osservare scarpe eleganti o col tacco di cui non comprendeva il senso se non dopo che erano state indossate.

Attraversarono diversi scaffali, fino a raggiungere la parete che avevano adocchiato sin dall’entrata: Dana individuò i modelli e colori che la ispiravano e, dopo una prima selezione, iniziò a escludere le paia con un prezzo troppo elevato.

-Queste erano belle- le fece notare Kei, riprendendo una scarpa che era stata messa al suo posto, nonostante la ragazza l’avesse soppesata a lungo.

-Sì, ma non posso spendere troppo..-

-Non ti ho fatto il regalo di compleanno-

-Era a marzo, Kei!-

-Appunto, devo farmi perdonare per bene-

-Non se ne parla- affermò Dana spostando l’attenzione su altre calzature.

-Ma ci tengo-

-Ti ho detto di no!-

-Io te le compro lo stesso- disse tornando indietro.

-Fermati subito-

-Puoi farmele comprare e spendere altri soldi per ritrovarti due paia di scarpe, o lasciarmi fare-

-Sei una testa dura!- sbuffò lei –Forse era davvero meglio se facevamo qualcos’altro-

Dibatterono per diversi minuti, ma alla fine Dana fu costretta a cedere, essendo che teneva ancora alla propria salute mentale.

-A te serve qualcosa?- chiese mentre passavano davanti alla parete del settore maschile.

-Direi di no-

-Ho visto che ora vanno di moda queste..- disse prendendo una scarpa super colorata.

-Troppo sgargianti-

Impiegarono più del triplo del tempo necessario per raggiungere le casse, poiché si misero a commentare la maggior parte dei prodotti esposti, come facevano un tempo.

-Ora possiamo andare dove volevo realmente portarti!- annunciò Dana una volta fuori e riacquistato il sorriso.

-Questa era un’illusione?-

-Rompipalle! Qui ci dovevo venire per forza, è il mio unico giorno libero-

-Tieni ancora i bambini?-

-Per questa settimana sì, la prossima ho trovato posto in una scuola dove organizzano i centri estivi e io devo far fare attività fisica ai ragazzini-

-La palestra quando riapre?-

-A settembre, però..- e gli indicò la strada che avrebbero dovuto imboccare e che Kei riconobbe subito -..ora non c’è nessuno e possiamo andarci noi!-

Dana allungò il passo e intimò a Kei di seguirla, non rallentando se non quando raggiunse l’entrata.

 

Perché stare con Dana era così dannatamente semplice? E perché ballare con lei, soprattutto, lo faceva sentire così bene?

Il loro era un legame forte, nonostante nessuno, quando si erano conosciuti, avrebbe mai scommesso che sarebbero diventati così uniti, ma allo stesso tempo nessuno avrebbe mai immaginato ciò che avrebbero dovuto affrontare.

Perché quando si è in una situazione difficile, anche se non si vede una via d’uscita, neanche in quel caso si può preventivare di quanto si possa cadere in basso, di come si possa arrivare a raschiare il fondo e nemmeno di come si possa fare, poi, per risalire.

Kei e Dana non avevano assolutamente nulla in comune fino a quattro anni prima, mentre in quel momento, in quella palestra, non potevano essere più indissolubilmente legati.

La ragazza diceva sempre che danza è condivisione, una forte emozione, paragonabile a un sentimento allo stato puro e per loro la danza poteva essere l’amicizia, l’amore unico verso un amico.

Quando poterono considerarsi soddisfatti, si sedettero sul pavimento freddo che dava una sensazione piacevole a contatto con la pelle accaldata: Kei appoggiò la schiena al muro, mentre Dana spense la musica per poi posizionarsi di fronte a lui.

-Allora.. mi dici cosa c’è che non va?- iniziò la ragazza, assumendo un’espressione seria.

-Niente- rispose confuso il russo, il quale pensava che non potesse esserci nulla a disturbare quella serenità.

-Non mentire.. ti conosco e so che c’è qualcosa che non va-

-Pensavo ci stessimo divertendo-

-Non ora, ma in generale! Che ti frulla per quella testolina bacata?- insistette accennando un sorriso.

Kei capì subito a cosa si riferisse, poiché, non appena pensò a quello che poteva turbarlo, il chiodo fisso che aveva negli ultimi giorni tornò a martellargli il cervello.

Distolse lo sguardo dall’altra automaticamente, ma Dana non demorse e gli si avvicinò, ripetendo la prima domanda dolcemente.

-E’ che sono successe tante cose in questo periodo- si decise a confessare Kei.

-Assolutamente, ma sono state cose belle!-

-Lo so però.. mi stanno confondendo-

-Raccontami..- lo incitò la ragazza, scrutandolo fino a che non si lasciò andare.

-Hai presente Jermaine Crowde? Sai che ti avevo detto che mi perseguitava?- aspetto che l’altra annuisse a entrambe le domande prima di continuare –Ecco.. l’altro giorno ci siamo visti e mi ha proposto un lavoro.. da settembre per quattro mesi o qualcosa del genere..-

Dana non riuscì a nascondere un largo sorriso, ma si trattenne dall’interromperlo.

-Sarebbe il tour di Lauren Bright.. il tour mondiale..-

-Ma è fantastico!- non riuscì più a stare zitta, rizzandosi di colpo.

-Sì, ma ci sono tanti problemi..-

-Kei, i problemi te li crei tu!-

-Ma non so se..-

-Dimmi: qual è stata la tua prima reazione alla proposta? Non pensarci su.. irrazionalmente, d’impulso, cosa avresti risposto?-

Il russo fece per ragionarci, ma l’esortazione della ragazza ad agire d’istinto lo spinse a dire –Di sì-.

Dana sorrise trionfante, ma allo stesso tempo comprendendo l’indecisione dell’altro.

-Come ti dicevo, i problemi te li crei tu..-

-E la scuola?-

-Credo che si potrebbe trovare una soluzione..-

-E il Giappone e..-

-Posso parlarti sinceramente?- lo bloccò la ragazza prima che potesse aggiungere altro e assunse un tono materno –La tua situazione è questa: sei in bilico riguardo al tuo futuro e a ciò che tu vorresti in esso, però hai una possibilità, una possibilità che hai già sperimentato quanto non possa fare altro che piacerti..- prese un respiro e si rituffò nel discorso -..tu qui non riesci a stare e credo che lo stesso valga per il Giappone.. Anche io ho avuto un’opportunità una volta, ti ricordi? Mi avevano offerto di studiare danza seriamente all’estero, ma io non ho potuto né voluto accettare perché la mia vita era qui, la mia famiglia aveva bisogno di me, c’era Anton.. non ho accettato, ho fatto una scelta, la scelta più adatta a me e non me ne pento.. tu non hai nulla che ti trattenga.. Io sarò sempre qui, Yuri sarà sempre qui ad accoglierti, ma non sei vincolato a restare..-

-E se io volessi restare?- la fermò esponendole il pensiero che lo assillava da settimane, ma che non aveva avuto il coraggio di formulare ad alta voce fino a quel momento.

-E’ davvero quello che vuoi?-

-Questa è casa mia..-

-Qui hai delle persone a cui vuoi bene e che ti vogliono bene, ma lo stesso vale per il Giappone.. non è così?-

-Sì, ma..-

-Dicono che casa sia il luogo dove si trova il cuore.. e io credo che il tuo cuore non sia qui, perché qui non sta in pace, non ancora almeno, nonostante a te sembri che il peggio sia passato.. e ugualmente non sta in pace in Giappone..-

-E allora?- sussurrò Kei.

-Allora potrebbe essere ovunque.. e perché non nel luogo dove hai la possibilità di danzare?-

Si fissarono in silenzio per diversi secondi in attesa dell’esito finale di quella conversazione, di sapere se avrebbe vinto la testardaggine di Kei o la sicurezza di Dana.

-Non è un male pensare al proprio futuro in maniera, come dire, originale- tentò ancora, senza però fare pressioni –Quando gli devi dare una risposta?-

-Fine agosto-

-E con Yuri ne hai già parlato?-

-No, l’ho detto solo a te-

-Allora parla con lui e poi decidi.. prova a fidarti di nuovo del tuo istinto.. te lo chiedo come favore personale!-

Come risposta Kei emise una specie di grugnito che fu subito sostituito da un sorriso non appena iniziarono a stuzzicarsi e giocherellare.

 

Non fece nulla di più che pensarci nella settimana seguente: rimandò diverse volte il momento per parlare e farsi consigliare da Yuri con la scusa di non trovare l’occasione. Invece di occasioni ne avrebbe avute a centinaia se solo avesse saputo sfruttarle.

Avevano trascorso giornate intere insieme, Kei aveva accompagnato il rosso all’università, in biblioteca, per non parlare di tutte le serate che i due, insieme a Boris e Sergay trascorrevano a casa o in giro per qualche localino tranquillo.

Non sapeva dire quale fosse la causa di tale indecisione, poiché solitamente, quando aveva qualcosa per la testa, parlarne con Yuri era considerato un modo per sciogliere ogni dubbio.

Ciò che lo distraeva, inoltre, da quel pensiero assillante e indefinito era una la brutta sensazione di sentirsi estraneo a casa sua: era zeppa di ricordi, di suoni e odori che poteva associare a immagini di ogni genere, sia positive che negative, ma era allo stesso tempo distante. Si chiese spesso se quella fosse una conseguenza del discorso di Dana, se lo aveva suggestionato a tal punto da avvertire vere quelle parole riguardo la pace interiore che non riusciva a trovare.

In ogni caso, nonostante avesse tentato di ritardare il momento di affrontare una decisione, quella decisione, si ritrovò costretto a confessare ogni suo dubbio una sera, davanti a una tazza di tè caldo: era notte fonda, avevano appena trascorso le ore serali al bar gestito da un amico di Sergay e il biondo era andato a dormire. Boris aveva spento la sigaretta nel posacenere e, augurando la buona notte, lo aveva seguito su per le scale.

Yuri aveva l’abitudine di bere quell’infuso ambrato anche d’estate e ne aveva offerto un po’ a Kei, il quale aveva accettato solo per aver la possibilità di allungarlo con un po’ di alcool.

-Dana non l’hai più vista?- chiese il russo interrompendo il silenzio della cucina.

-No-

-Lavora?-

Kei annuì seguendo con lo sguardo il cucchiaino che ruotava nella tazza comandato dalle dita dell’altro.

-Dovrei parlarti..- disse lentamente pentendosi all’istante di aver tirato fuori l’argomento: ormai non poteva tirarsi indietro o inventare qualche balla e, nonostante non riuscisse proprio a capire come mai fosse così difficile parlare, continuò -..riguardo a una possibilità che mi hanno offerto-

Utilizzò le parole di Dana cercando di farsi forza, aspettando un qualsiasi cenno dell’altro di stare ascoltando.

-Di che si tratta?-

-Un lavoro.. tipo quelli degli ultimi mesi..-

-Da ballerino?-

Kei annuì, nonostante quella parola lo facesse ancora rabbrividire se associata a se stesso.

-Me lo vuoi dire o no?- lo incitò il russo calmo.

-Sì.. sarebbe un tour di quattro mesi e..-

-Un tour dove?- chiese sorseggiando il suo tè.

-Mondiale-

-Che mesi sarebbero?-

Kei prima di rispondere si convinse che era così che doveva sentirsi un normale ragazzino a chiedere il permesso di fare qualcosa al genitore.

-Da ottobre..-

-Tu vorresti farlo?- e si concentrò esclusivamente sull’altro.

-Non lo so..-

-E per la scuola? Come pensi di fare?-

Non rispose per non sentire più quelle tre parole che uscivano dalle sue labbra, per non dare voce ancora una volta alla sua indecisione, a quell’incertezza che gli dava sui nervi e che non riusciva a sopportare.

-Perderesti metà anno così-

Kei annuì, restando ancora in silenzio.

-Non so.. questa cosa che ti sta accadendo è molto bella, è positivo che tu ci sia così immerso, però credo dovresti valutare le tue priorità..-

Iniziò a pensare che il suo non voler parlare con Yuri derivasse dall’aspettativa che riponeva nella sua risposta, perché in fondo sapeva quale sarebbe stato il punto di vista dell’altro, quello per cui avrebbe votato, ma perché lo indisponeva tanto?

Si era sempre affidato al rosso, nell’ultimo anno e mezzo aveva deciso che il suo parere sarebbe stato al di sopra di tutto, che lo avrebbe ascoltato sempre e in ogni caso, eppure non riusciva ad accettare quella come soluzione al problema.

-La scuola non è mai stata una delle mie priorità..-

-Ma dovrebbe esserlo.. Kei, questa cosa non può aspettare un anno? Il tempo di diplomarti? Non ti manca tanto.. puoi sempre continuare a ballare, solo non a tempo pieno.. per ora..-

La consapevolezza di avere già chiaro quale, per lui, doveva essere la risposta a quella possibilità fece capolino nella sua testa: lui voleva dire di sì, voleva lasciare tutto e inseguire quel qualcosa che lo faceva stare bene da qualche mese a quella parte.

-E se io non volessi aspettare?-

-Io non sono d’accordo- si fissarono a lungo, ma nessuno dei due diede la soddisfazione all’altro di abbassare per primo lo sguardo –Cosa ne pensano Takao, Nonno J, Rei?- continuò Yuri sperando di trovare man forte in altri.

-Non lo sanno..-

-Credo che la penserebbero come me..-

-Non tutti la pensano come te- disse improvvisamente con tono freddo.

-Tipo?-

-Dana- non voleva tirare in ballo l’amica, ma non sapeva in che altro modo continuare a dibattere.

-Lei ti incita così potrai realizzare ciò in cui lei non è riuscita..-

-Non è vero.. e poi non parlare di lei in questo modo-

-Ma è un  dato di fatto.. lei ti appoggia perché fa parte di quel mondo-

-E non credi che proprio per questo abbia più voce in capitolo di te?-

-No, non credo! Io ho voce in capitolo eccome, io voglio solo il meglio per te e cerco di farti capire qual è!-

-Anche lei-

-Kei, non puoi lasciare così la scuola per fare il ballerino! E’ un futuro insicuro, evanescente.. poi non credo che tu sia pronto per un passo del genere-

-Cosa credi che possa succedere?-

-Metti di non riuscire.. che dopo questo tour non ti chiamino più, che decidano che non gli servi? A te che cosa rimarrà? Un ennesimo anno perso e chissà che altro..-

-In tal caso cosa credi? Che ricominci a farmi?-

-Spero proprio di no, ma cerco di mettere in conto ogni eventualità come faccio da anni!-

-Inizi a rinfacciarmi le cose? Mi sembrava fossimo rimasti al punto in cui iniziavi a fidarti di me-

-Non ti rinfaccio nulla.. comunque mi pare di aver capito che nonostante questo discorso tu abbia già preso la tua decisione..- continuò il rosso tornando apparentemente calmo.

Kei si zittì improvvisamente seguitando a guardarlo.

-Tu ci vuoi andare..-

Aveva dibattuto negli ultimi minuti ogni qual volta si erano allontanati dalla possibilità di accettare la proposta del tour e aveva tenuto testa ai discorsi logici di Yuri: tutti gli elementi potevano far presagire la sua totale intenzione di iniziare questo nuovo percorso e abbandonare il vecchio, ma, all’avanzare di quella consapevolezza, la paura o l’indecisione o come la si vuole chiamare tornò a tormentarlo.

-Non lo so-

-Come faccio a dare la mia completa fiducia a un atto del genere, che già considero irresponsabile di suo e del quale, poi, non sei nemmeno sicuro?-

Nuovamente come ragionamento non faceva una grinza e, quindi, a chi dare retta? A Yuri e le sue logiche argomentazioni o all’istinto, che tante volte lo aveva aiutato quante volte lo aveva tradito?

Ripensò alle parole di Jermaine, a quelle di Yuri, di Hilary e, infine, a quelle di Dana: doveva davvero capire ciò che per lui era casa.

 

 

 

 

E anche questo è finito!

Siamo atterrati nuovamente a Mosca e Keiuccio è tornato confuso XD è inutile, non si smentisce mai u.u vabbè..vado un po’ di fretta e non ho molte cose da dire, al massimo le aggiungerò in seguito o mi pentirò per tutta la vita di non averle tirate fuori al momento opportuno! O_o

Visione apocalittica a parte..

Aspetto le vostre sempre adorate opinioni!

Un bacione :)

 

   
 
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