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Autore: franciii    07/10/2011    4 recensioni
"Come poteva un ragazzo dagli occhi così belli essere un “paziente con tendenze suicide e incline alla violenza” come diceva il fascicolo?".
Un ragazzo in un manicomio e un agente. Due vite separate costrette ad incrociarsi
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 John aprì gli occhi e si affrettò subito a richiuderli quando una luce bianca cercò di accecarlo. Sentiva un lieve dolore pulsante alla testa e le braccia sembrava compresse dentro una garza.
I tagli riuscì a pensare John anche se questo gli causava delle piccole fitte.
Solo dopo un po’ ti tempo si accorse che qualcuno stava chiamando il suo nome e solo dopo un uso sfrontato delle meningi associò la voce ad un viso: Marika.
 
“John! John riesci a sentirmi? Infermiera presto venga, credo si stia svegliando”, disse la ragazza con voce stanca ma ora felice.
John percepì all’improvviso la presenza di altre persone nella stanza. Probabilmente un dottore e l’infermiera. Provò di nuovo ad aprire gli occhi e questa volta riuscì a tenerli aperti e distinse il profilo di Marika. Il suo volto era stanco quanto la voce.
 
“D-dove sono?”, chiese e la gola gli bruciò come si avesse ingoiato veleno.
Marika gli avvicinò alla bocca una cannuccia e John potè placare, almeno in parte, l’arsura della voce.
 
“Sei in ospedale. Sei svenuto in centrale e Price ti ha portato qui…come ti senti ora?”
 
Il dottore che fino a quel momento era stato zitto si schiarì la voce per attirare l’attenzione. John pensò che i dottori fossero fatti con lo stampino, aveva tutti quello sguardo clinico e fintamente preoccupato.
 
“Signore lei ha preso una brutta botta in testa e le ferite sulle braccia, anche se superficiali, vanno curate meglio. Però nel complesso le sue condizioni sono stabili, ancora un paio di giorni di riposo e potrà uscire dall’ospedale”, disse il dottore.
 
John si lasciò andare ad un lamento e tentò di mettersi a sedere, una fitta alla testa però gli fece rinunciare all’impresa. Marika gli sorrise mesta e gli carezzo la testa con dolcezza, John trovò quel contatto rassicurante e allo stesso tempo fastidioso.
 
“Anche lei signorina dovrebbe andare a casa a riposare…e questo è un ordine da medico”, aggiunse vedendo la ragazza pronta a ribattere “Il suo ragazzo ora sta bene e sono certo che riuscirà a cavarsela anche senza di lei. Arrivederci”, così dicendo il dottore se ne andò.
 
Marika aveva arricciato le labbra però si era alzata dalla sedia di fianco al letto e aveva promesso a John che sarebbe tornata l’indomani.
 
“Va bene tesoro, riposati ora e non preoccuparti per me”, rispose lui con un sorriso.
 
Finalmente la ragazza si decise a lasciare la camera e John poté richiudere gli occhi e provare a riposare un poco.
Però un’infermiera entrò per cambiarli la flebo con gli antidolorifici e fece prendere aria alla stanza.
John la bloccò prima che se ne andasse.
 
“Scusi! Potrei avere il mio cellulare, devo fare una chiamata molto importante, però non so dove è stato messo…”, chiese con la voce ancora roca.
 
“E chi deve chiamare? La sua ragazza è appena uscita…e poi lei deve riposare!”, rispose l’infermiera con tono dolce ma deciso.
 
“Non devo chiamare la mia ragazza…per favore io DEVO fare questa telefonata…”, la pregò lui. Aveva solo quella possibilità.
Il cuore martellava violento nel petto.
 
La donna parve indecisa ma poi sbuffò e andò a prendere il telefono nel borsone che era stato messo nell’armadio e lo consegnò a John.
 
“Cerchi di essere breve”, lo ammonì e John annuì come uno scolaretto obbediente.
 
Appena l’infermiera uscì John cercò di comporre il numero ma le mai gli tremavano così forte che dovette tentare due volte prima di riuscirci.
Poi attese.
 
Dai avanti…rispondo! Avanti…
 
Il cuore continuava la sua corsa e a quel punto il tempo parve dilatarsi e farsi gommoso.
Però poi una voce rispose.
 
“Si pronto?”.
 
“Price!”, urlò John euforico, “Dio non sai quanto sono felice di sentire la tua voce!”
 
Una risata metallica gli giunse alle orecchie.
 
“Anche io! Ma dimmi un po’ come stai? Mi hai fatto prendere uno spavento in centrale…”, disse Price rimproverandolo, come se fosse stata colpa sua. Ma forse lo era.
 
“Mi dispiace…però fra pochi giorni sono come nuovo! Piuttosto devo chiederti una cosa sul caso…”.
 
“Dimmi pure”, lo intimò Price.
 
“Will…il ragazzo è già stato dimesso dalla clinica?”
 
Ti prego dimmi di no, dimmi di no…
 
“Si”, cazzo pensò John ma poi continuò ad ascoltare Price “Subito dopo averti portato all’ospedale abbiamo fatto quello che dovevamo fare. Il processo si dovrebbe tenere fra una settimana. L’avvocato ha già parlato con il padre e cercheranno di far leva sulla legittima difesa e sui cinque anni passati in quel manicomio…comunque dovrebbe andare tutto bene, al massimo si farà sei mesi agli arresti domiciliari”, spiegò Price con voce molto pratica e formale.
 
John non sapeva se ridere o se piangere. Will era libero, finalmente libero e lui…lui non era neanche riuscito a dirgli ciao. Poi il truce trottolino, evidentemente rimasto illeso anche dopo la botta, gli suggerì la risposta con quella sua vocina fredda e impertinente.
John non ci pensò due volte e chiese a Price l’ennesimo favore, Price, forse troppo buono con l’amico, sospirò e gli disse quello che voleva sapere.
 
Si salutarono poco dopo e John finalmente potè dormire, la testa non gli doleva più. Pensò che fosse grazie alle fusa del truce trottolino, non gli venne in mente che forse l’antidolorifico stava facendo effetto.
Nel suo sogno c’era Will, nudo e ansante.
Il mattino dopo fu molto difficile spiegare all’infermiera il perché dei suo pantaloni bagnati.


                                                                             …
 
 
Sei giorni dopo John, vestito come un pupazzo di neve perché Marika diceva che se si fosse preso un malanno ora sarebbe rimasto fottuto, suonò al campanello di una casa piccola ma curata.
Ad aprirgli la porta venne un uomo che gli sorrise affabile.
 
“Benvenuto signor Smith, prego entri dentro”, disse l’uomo.
 
John sorrise ed entrò nella casa. Anche lì, sospeso nell’aria, a rendergli il cuore palpitante e il sorriso ebete, c’era un profumo di mele.
Qualcuno aveva fatto una torta.
 

 
Note:
Lo so che mi volete morta! So che vorreste vedere il mio cadavere orrendamente mutilato MA, perché in questi casi c’è sempre un ma, questa volta non è colpa mia! È colpa della scuola che mi sta succhiando via l’anima ç___ç
Spero mi perdonerete con questo capitolo *.*
Ringrazio con tutto il mio cuoricino damnedmoon , AmaimonChan  e OurThirteen  per aver commentato lo scorso capitolo! Siete il motivo che mi spinge a non suicidarmi quando sono depressa, davvero grazie *____*
Al prossimo capitolo, dove ne vedremo delle belle *.*
Fra ^^

  
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