*RAIN & DOORS*
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CAPITOLO 1
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Il soffio minaccioso
dell’aria raschiante l’asfalto. Lo
stridere disperato delle foglie. Le gocce esplodono con un borioso lamento
toccando riluttanti la terra bagnata. Una fugace scintilla e ogni singolo
cenno, ogni singola traccia, ogni piccola entità rivela
le spigolose forme; un boato e tutto cessa, precipitando inesorabilmente in un
baratro di grigia oscurità.
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Io amo la pioggia.
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Il motivo? Bella domanda.
Forse nemmeno io lo so, è una cosa che mi porto dietro fin da quando ero poco più che una bambina.
Quante volte mi sono
incantata davanti alla finestra chiusa del salotto, ammirando ad occhi
spalancati tutte quelle esplosioni di luci accecanti, quelle piccole scintille
d’acqua che delineavano lentamente la superficie
trasparente, fondendosi con le proprie gemelle e formando intricati e
complicati disegni…
Per non parlare di tutte le
volte in cui mi sono immaginata di essere lì, sotto quello scroscio
incessante, in attesa che il ragazzo dei miei sogni
sopraggiungesse di soppiatto alle mie spalle, mi coprisse la testa con il suo
ombrello e, entrambi bagnati come pulcini, ci guardassimo negli occhi da
innamorati e…
…Bacetto!
Insomma, proprio come nelle
favole che tanto amavo leggere!
Anche se spesso non lo mostro agli altri, anche io sono
un’inguaribile romantica!
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Anche se, sorvolando ogni
ragionamento, risulta più che ovvio che
osservare il mio fenomeno preferito attraverso un
vetro logoro e appannato, costellato da ditate unte e irrorato di condensa, non
rientra di certo nell’elenco delle situazioni che potrebbero propriamente
definirsi “romantiche”.
Il veicolo sobbalza
bruscamente, tratto in inganno da un dosso spontaneo dell’asfalto
traditore, seguito da una sonora imprecazione proveniente dall’abitacolo
anteriore.
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“Ehm…Tutto
bene?” Faccio capolino in avanti, esitante, e mi ritrovo davanti
l’enorme faccione sorridente dell’autista, che mostra fiero un canino
scheggiato e giallastro; i capelli grigi, più diradati in corrispondenza
delle tempie, sono sporchi e scompigliati, come se vi fosse passata una scarica
di corrente; gli occhi vispi neri come la pece sono
illuminati da una luce sinistra.
Forse avrei fatto meglio a
starmene zitta.
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“Scusi,
sa, madmuaselle! Questa strada
è piena di buche!” esclama con voce roca,
dall’accento indubbiamente dialettale.
Parlavamo di romanticismo?
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Nel frattempo,
l’indicatore della tariffa è andato in tilt: non so se sia stato
programmato dall’uomo stesso per trarre in inganno qualche cliente
propriamente definito “allocco”, fattosta che la quota che io dovrei sborsare è
misteriosamente passata dalla modica cifra di quattro sterline e venti pence a un totale di ventisette
sterline e quarantacinque pence.
In questi casi, se proprio
non sono autorizzata ad usare la magia davanti a un
babbano, tanto vale provare con i
soliti, classici rimedi…
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“Sistemi quel
contatore, credo che abbia qualche
problema…”
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“Cosa
intende dire, signorina?” risponde fingendosi spaesato e confuso.
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“Non sborserò
una sterlina in più di quelle che vi erano segnate
due secondi fa, se è questo che vuole sapere…”
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“Guardi, bella
signorina, le posso assicurare che questo apparecchio
ha sempre funzionato benissimo in tutti questi anni di servizio e
non…”
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“Ehm…Forse non
hai capito, bello…Non attacca...”
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Non so se sia stato
l’effetto del sentirsi dire “bello” dopo tanto tempo, ma a quanto pare ha preferito non continuare con la
discussione; dopo un sonoro sbuffo, con un poderoso pugno alla macchina ha
riportato la cifra alle sue sembianze originali.
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Dopo qualche altro sbalzello
decisamente poco piacevole, che mi ha costretto a
ripararmi ininterrottamente la nuca con entrambe le braccia per evitare diverse
–e dolorose – testate sul tettuccio, finalmente il taxi rallenta la
sua andatura oscillante fino a fermarsi del tutto davanti a una piccola
palazzina.
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“Quartiere Poplar,
Gli allungo un paio di
banconote con un debole mugugno di ringraziamento, spalanco la portiera con un
calcio ben assestato ed apro il mio ombrellino di stoffa ricamato a
margheritine gialle e papaveri rosa.
Giuro, questa è l’ultima
volta che lascio il mio a casa.
Con una forza sovrumana e un
equilibrio ormai ben allenato riesco a caricarmi su un
braccio solo i grandi pacchi di scartoffie che, puntualmente, il caporeparto mi
ha affibbiato da revisionare. Richiudo la portiera violentemente e l’auto
riparte a tutta birra con una sgommata ben assestata.
E poco c’è
mancato che mi infradiciasse la gonna con
l’ondata d’acqua che ha sollevato!
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Ok, adesso andiamo con
calma…
Un piede avanti, poi
l’altro…Ah! Accidenti!!
Ma perché mi ostino
ancora in questo modo?! …Anche se i temporali
sono una vera delizia per gli occhi, mai
mettersi un paio di scarpe col tacco quando
scoppiano…La probabilità di beccare una di queste sconfinate pozze
di fanghiglia è parecchio elevata…
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Volgo uno sguardo sconsolato
alla palazzina; sospirando pesantemente, frugo nella tasca del cappotto e ne estraggo una chiave arrugginita, infilandola nella toppa.
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Perfetto…non
gira…
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E ora che faccio?! Non posso certo starmene qui impalata sotto questo
ridicolo pezzo di stoffa nell’attesa che arrivi qualcuno più
esperto di me! Anche perché il braccio
impegnato a sorreggere i fascicoli comincia a farmi piuttosto male, e un angolo
di un foglio sporgente sta già cominciando ad arricciarsi per
l’umidità.
Il direttore(che vada al
diavolo, lui e la sua segretaria con le gambe pelose)mi tirerà
giù una delle sue famose ramanzine!
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Uff…E va bene…A
mali estremi…
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Facendo attenzione che nessuno mi stia osservando, estraggo
la mia fedele bacchetta dalla manica e, puntandola sulla serratura, mormoro un
flebile: “Alohomora!”
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Rimettendo comodamente a
posto chiave e bacchetta, il portone di quercia si spalanca e mi invita ad entrare nell’atrio.
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Sbuffando pesantemente,
comincio a percorrere le scale, facendo bene attenzione a non incappare nel
solito gradino sfondato. Non dimenticherò mai quello che successe quando Ron vi poggiò il piede
sopra…Meglio non pensarci!
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A proposito, oggi a lavoro
non si è visto…
Meglio così.
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Concentriamoci sulle
scale…Per esempio…
Non passa
giorno che non maledica colui che ha progettato questa stupida palazzina
senza uno straccio di ascensore! Ci voleva tanto, dico io?!
Una scatola sorretta da due corde di acciaio che con
un pulsante la tirano su, con un altro la tirano giù! E
così tutti noi poveri alloggiatori non saremmo costretti a percorrere,
ogni volta, tutte queste rampe così ripide, peggio ancora se devi trascinarti
dietro buste della spesa, passeggini o…
Sbuffo.
…Stupide risme di
carta.
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Lo ammetto, a volte sento
molto la nostalgia delle comodità del mondo magico, ora che non posso
usufruirne liberamente come vorrei, se non in casi particolari. Per certi
versi, non avrei mai voluto accettare la proposta di lavorare come Auror in
incognito…In borghese, insomma.
Ma poi penso a quanto la
vita da babbana mi sia mancata, in questi anni, e
allora vengo pervasa da un’ondata di adrenalina e riesco ad apprezzare il
mio nuovo impiego.
Peccato che il mio superiore
non creda affatto nelle mie capacità…
Che carogna. E pensare che sono
sempre stata la studentessa migliore di Hogwarts!
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Quarto piano…La mia
tanto ambita e faticata destinazione. Mi verrebbe voglia di baciare il
pavimento ogni volta che poggio il piede
sull’ultimo gradino della rampa!
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Sospirando, rinsaldo la
presa sui fogli a carico e mi avvio verso la porta del mio appartamento, il
secondo a sinistra.
Chissà se Ginny
è tornata…Devo dirgliene quattro a proposito dell’ombrello
che mi ha prestato…
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Mentre infilo la chiave nella toppa, volgo un rapido
sguardo alla mia destra, verso l’appartamento esattamente in fondo al
corridoio, sulla porta del quale troneggia, sbiadito a causa della vernice
dorata scrostata, il numero tre.
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Che numero stupido.
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La serratura scatta e subito
Ginny, mia coinquilina nonché migliore amica,
mi raggiunge e mi getta un grembiule tra le braccia. Poco manca che perda
l’equilibrio e lasci cadere tutto a terra!
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“Ehilà! Oggi è il tuo turno di lavare i piatti, lo sapevi?”
esclama allegra mettendo su un finto broncio.
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“Puff…Ciao anche
a te” rispondo seccata sbattendo i fascicoli sul tavolinetto della cucina
e restituendole il grembiule tirandoglielo sulla testa.
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“Sai che il rosa
confetto sta bene con i tuoi capelli?”
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“Spiritosa”
ribatte acida. “Altre scartoffie?” aggiunge indicando la montagna
di fogli da me appena abbandonata.
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“Non farmici
pensare…altro lavoro in più da sbrigare” rispondo
stancamente controllando la posta arrivata. “Piuttosto…è
venuto qualcuno mentre non c’ero?”
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“Sì, Ron”
dice lei con un sorrisino furbo e complice.
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Il muscolo della palpebra
comincia a pulsarmi freneticamente. “Ah…e che voleva?”
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“Uhm…”
mormora Ginny contando sulle dita delle mani. “Prima è venuto a
chiedere il sale, e poco dopo la farina…”
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“Mai una volta che non
si dimentichi di comprare qualcosa, quando va a fare la spesa!” sbotto
irritata procedendo a grandi falcate verso la mia camera e facendo cenno a
Ginny di seguirmi.
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“Secondo me lo fa di
sua spontanea iniziativa…” ridacchia lei gettandosi a peso morto
sul mio letto e dondolando le gambe con delicatezza. “…Oppure è talmente sciocco da non aver ancora capito
come funziona un carrello!”
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“Sicuramente si
starà preparando una bella pizza” dico spalancando le ante
dell’armadio a muro e cominciando a rovistare fra i miei vestiti
più eleganti.
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“Esci?”
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“Sì, Eric mi ha
chiesto di concedergli una cena al ristorante…Hai presente?”
Estraggo una gonna lunga a pieghe e la esamino da ogni angolazione.
Se volessi vestirmi da ancella romana sarei perfetta, ma non stasera.
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“Eric?! Ma chi, quel biondino del reparto accanto? Il signorino sono-troppo-figo-anche-per-uscire-con-Jessica-Rabbit?!”
esclama Ginny scandalizzata, sgranando gli occhi e fissandomi scioccata, come
se avessi appena detto uno sproloquio colossale.
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“Proprio lui”
confermo con semplicità.
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“Ma se non l’hai
mai sopportato!!”
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“Bè…Quando
me l’ha chiesto mi è sembrato così gentile e alla
mano…” Le mie dita sfiorano distrattamente un corpetto bianco di
lino riccamente ornato da pizzi.
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“Sì,
certo…Andiamo, Hermione, smettila di sfuggire
alla realtà delle cose! La verità è che hai paura!” Ginny ha gli occhi quasi
fiammeggianti, mentre mi squadra da capo a piedi con nervosismo crescente.
Mi volto e sorreggo il suo
sguardo glaciale, cercando di mostrarmi il più spontanea possibile.
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“…Se questo è un modo per costringermi a lavare i
piatti…”
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Dal suo grugnito di
disapprovazione deduco che non sia affatto il momento
di scherzare sull’argomento. Con un piccolo colpo di tosse, mi schiarisco
la voce e provo a farla ragionare.
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“Dai,
Gin, è solo per una sera! Non è mica detto che debba per
forza nascere una storia tra noi! Rilassati!”
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Proprio non capisco
perché cerchi di tornare sull’argomento ogni volta. Insomma,
possibile che non possa godere di queste piccole libertà?!
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“Oh, fai come ti pare,
rinuncio a capirti” sbuffa lei incrociando le braccia e lasciando
ricadere pesantemente la testa sul cuscino. “Comunque
non mi stancherò mai di ripeterti di quanto tu sia sciocca quando fai
così la capricciosa!”
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“Non sei contenta? Avrai la casa libera tutta per te! Perché
non chiami Harry?”
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“Abbiamo
già un programma, andiamo ad assistere ad una partita di
Quidditch…”
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“Bene, meno piatti da
lavare!”
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“Bah…Hermione?”
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“Hm?”
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“Codarda…”
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“Grazie, anche io ti
voglio bene!” Dandole un ultimo buffetto sulla guancia, spalanco la porta
ed esco sul pianerottolo.
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Quando finalmente sono convinta di non sentirmi più
il suo fiato sul collo, poggio la schiena al muro e sospiro annoiata.
Uff…Ogni volta la
stessa storia…Ma perché non si rassegna?!...
Possibile che non sia libera
di decidere cosa sia meglio per la mia vita?! Tutti
possono sbagliare, una volta nella vita, e lei lo sta facendo alla
grande…
Almeno credo…
…Ma
che dico…
Ormai è inutile che
vi rigiri sopra…Sono io che
voglio rassegnarmi, in tutti i modi possibili…
E quello di accettare gli inviti di persone che
conosco a malapena e che per di più sono assolutamente meschine e insopportabili è l’unico che conosca.
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Ma ormai il danno è fatto, non posso certo
disdire l’appuntamento a distanza di mezz’ora.
Per cui facciamoci
coraggio e andiamo ad incontrare Mister Simpatia.
Prima che possa poggiare
anche solo un piede sul primo gradino della scalinata che mi condurrà
all’ingresso, uno scricchiolio sommesso giunge alle mie orecchie e mi
spinge a voltarmi…
La porta d’ingresso
dell’appartamento numero tre è
spalancata…
E tutti gli sforzi mentali fatti fino ad ora diventano
broda per i maiali.
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La sagoma scura di un
ragazzo dal fisico alto, slanciato e robusto, spicca chiaramente a contrasto
con la luce quasi invadente che proviene dall’interno del suo piccolo
soggiorno. La folta capigliatura rossa emette diversi bagliori arancioni, quasi
accecanti a causa del riverbero provocato dai raggi luminosi che impertinenti
raggiungono quei ciuffi.
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“Dove
vai?” Il tono di voce di Ron è a metà fra il curioso e il
seccato.
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Il calore comincia a
confluire alla mie gote, ma non ho assolutamente
intenzione di renderglielo noto…! Non adesso, almeno…
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“Esco…”
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Un fruscio,
un’occhiata distolta, un paio di guance rosse, ed ecco che mi trovo già in fondo alle scale, senza avere la
benchè minima idea di come abbia fatto a raggiungerlo con tale
rapidità.
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CONTINUA…
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Macciao!!!^^ Allora, che ve ne pare del primo capitolo? Questo
è il mio primo esperimento per quanto riguarda le long-fic sulla mia
BEST SHIP Ronnino/Herm (Ronnie adorato!^^), e spero di non fare uno dei miei
soliti pastrocchi!! Per cui, sarei felice se mi
lasciaste le vostre opinioni, sia positive che
negative! …Vi preeeeeeeeeeeeego!!!!^^
Grazie mille, e
a presto!!
Baciottolissimi dolciosi!!^^