So solo che ti dirò
Vale la pena vedrai
Da adesso in poi
Going
Away
-Avete
più sentito Kei?-
Nonno
J seduto al tavolo della cucina pose quella domanda ai tre ragazzi non appena
finita la cena, mentre se ne stavano seduti a chiacchierare davanti a una coppa
di gelato per combattere il caldo di agosto.
-L’ultima
volta qualche giorno fa- rispose Max dopo averci pensato su.
-Lo
sapevo che non dovevamo lasciarlo partire!-
-Takao,
cosa stai dicendo?- lo rimproverò Rei.
-La
verità! Sai che potrebbe non tornare!-
-In
quel caso ce l’avrebbe già detto-
-Stiamo
parlando dello stesso Kei?-
-Afferrato,
ma non fasciarti la testa prima di essertela rotta-
-In
effetti aveva detto sarebbe stato via un mese..- Max venne in soccorso del
giapponese.
-..e
ha già sforato di due settimane!- finì Takao reggendosi la testa con la mano.
-Vorrà
sfruttare il tempo che ha a disposizione per stare con Yuri e gli altri- cercò
di consolarlo Rei, ma senza riuscirci.
-Sei
troppo positivo- sbuffò l’altro.
-Sarebbe
una decisione legittima, comunque, quella di rimanere a Mosca..- intervenne
Nonno J -..e tu in tal caso dovresti rispettare il suo volere!-
-Quindi
anche tu pensi che potrebbe accadere!- esclamò puntando il dito verso il
parente.
-Io
metto in conto tutte le possibilità-
-Uffa..
quel ragazzo mi farà impazzire prima o poi!- concluse Takao infilando il
cucchiaio nella vaschetta del gelato per prendere l’ennesima porzione, facendo
scoppiare tutti a ridere.
-Affoghiamo
i nostri dispiaceri nel gelato, bravo!- lo prese in giro Max imitandolo.
Era
abituato alle occhiate delle persone che gli passavano accanto e ancora più a
quelle di rimprovero o di ammonizione, non che in quel momento non se le
meritasse: era seduto per terra a gambe incrociate in un luogo di passaggio e
fumava una sigaretta incurante se vi fosse il divieto o meno. In ogni caso si
sentiva libero di non spostarsi e non gli pesavano i borbottii delle poche
persone che lo superavano con chissà quale espressione dipinta in volto.
Non
faceva comunque niente che fosse degno di nota, se non osservare il nome
scritto in lettere dorate sulla superficie marmorea e ogni tanto prestare
attenzione alla fotografia affiancata ad essa, vecchia di qualche anno di
troppo rispetto alla data segnata poco più sotto.
Lasciò
cadere la cenere a terra incurante dei passi che sentiva avvicinarsi.
-Devo
iniziare a pensare che tu sia diventato credente?- chiese una voce alle sue
spalle.
-Non
sia mai- rispose placido Kei.
-Domenica
mattina, a pochi metri di distanza da una chiesa.. e non è la prima volta!-
-Sei
venuta a farmi la predica?-
-No-
Dana
si abbassò all’altezza di Kei e infilò un piccolo mazzo di fiori nell’apposito
spazio del loculo nella fila più in basso.
-Hai
mai sentito parlare dell’usanza di portare i fiori?- cercò di scherzare la
ragazza.
-Sì,
da qualche parte..- la assecondò con un mezzo sorriso.
-Sarebbe
carino se lo facessi anche tu allora!-
-Ci
penserò-
Dana
si guardò intorno circospetta, prima di decidere di sedersi per terra insieme
all’amico.
-Che
cosa sono?- chiese lui osservando i fiori che sembravano delle margherite, ma
molto più grandi e con i petali arancioni.
-Non
lo so, ma mi piacevano!-
Kei
spense la sigaretta a terra e alzò finalmente lo sguardo sull’altra che lo
squadrava come in attesa.
-Non
è che mi stai cadendo in depressione?- cercò di metterla sul ridere.
-E’
che è un buon posto per pensare.. i morti sanno essere davvero silenziosi e
discreti-
Dana
rise e iniziarono a parlottare, senza rendersi conto di aver alzato il tono
della voce e di essersi girati fino ad essere l’uno di fronte all’altro,
apparentemente dimentichi dell’ambiente nel quale si trovavano.
-Lo
so che nelle ultime settimane in pratica non abbiamo parlato d’altro, ma.. hai
ancora deciso?-
-Ci
sto arrivando-
-Ti
conviene sbrigarti.. siamo a metà agosto!-
-Ho
chiesto a Yuri se potevo prendere in considerazione anche la possibilità di
restare qui..-
-Davvero?
Quando?-
-L’altro
giorno-
-E
lui che ha detto?-
-Che
dipendeva da come mi sentivo al riguardo-
-E..-
-E..
non lo so.. ormai non so più nulla-
Quel
mese e mezzo era stato come una rinascita: aveva temuto che la bella sensazione
che gli donava la Russia sarebbe scomparsa lasciando il posto a un ricordo
sbiadito di quanto un tempo si sentisse a suo agio in quella terra. Invece,
come per tutte le cose ormai, aveva avuto solo bisogno di tempo.
Sarebbe
stato difficile lasciarla ancora, ecco perché aveva ritardato la partenza
prefissata con Takao e aveva avanzato quella proposta a Yuri, di restare.
Ma
se quell’aria era diventata nuovamente respirabile, poteva dimenticarsi di
quanto lo erano le altre? Non sapeva quali fattori avrebbero pesato
maggiormente nella sua decisione, ma sicuramente il suo modo, la sua capacità
di respirare nei diversi contesti sarebbe stata presa in considerazione.
-Ti
dispiace se ora andiamo?- chiese improvvisamente Dana, prestando nuovamente
attenzione a ciò che aveva intorno –Questo posto mi fa congelare!-
-Certamente-
Kei
si alzò e tese la mano all’amica che, una volta in piedi, cercò di togliersi
eventuale sporcizia dai pantaloni per poi riprendere quel contatto e guidare
l’altro verso l’uscita.
-Ci
vediamo dopo!- Boris uscì velocemente dal cancelletto del giardino: non si
preoccupò nemmeno di chiudere la porta di casa, poiché Kei lo aveva seguito
fino alla soglia.
Il
russo, però, una volta risposto al saluto, non rientrò, ma lo osservò sparire
lungo la strada e, rimasto solo, si sedette sui gradini di ingresso.
Frugò
nella tasca e estrasse il pacchetto di sigarette e un cartoncino: iniziò a
fumare, appoggiando il pacchetto accanto a sé e prendendo a osservare il
biglietto.
Nome,
cognome, due numeri di telefono e una mail erano stampati nero su bianco: fece
scorrere il pollice sulla carta ruvida prima di decidersi a tirare fuori anche
il cellulare.
Sullo
schermo, sotto la dicitura dell’ora, apparve la data: 20/ago/2008. Aveva
aspettato fino all’ultimo, fino al giorno di scadenza che gli era stato dato,
ufficialmente perché voleva prendere la sua decisione con calma e valutando
tutti pro e i contro per non rischiare una risposta affrettata e di cui,
magari, si sarebbe pentito presto; ufficiosamente, invece, era perché non aveva
avuto il coraggio di farlo prima.
Ne
aveva parlato diverse volte in quelle settimane, sia con Dana che con Yuri,
considerando che ognuno dei due tendeva per una risposta differente, ma negli
ultimi giorni aveva smesso di tirare fuori l’argomento e deciso di lasciarsi
scivolare addosso il peso di quella scelta.
Cercò
nel registro chiamate e lo fece scorrere fino alla fine di giugno,
soffermandosi sull’unico numero sconosciuto presente: non lo aveva nemmeno
salvato mantenendo la sua recidività a compiere un qualsiasi passo verso quella
decisione.
Lo
confrontò con i due numeri presenti sul biglietto da visita e, vedendo che
combaciava col secondo, lo memorizzò in rubrica: si rese conto di stare
prendendo tempo, di cercare di ritardare il momento decisivo e, quasi senza
pensarci, premette il pulsante verde per attivare la chiamata.
Portò
il cellulare all’orecchio lentamente, cercando di scacciare via quell’ansia che
non voleva permettersi di provare: non era una cosa da lui, era da debole, e
debole lo era già stato abbastanza negli ultimi anni, doveva invertire quella
rotta.
-Pronto?-
La
voce di Jermaine lo risvegliò dai suoi pensieri.
-Pronto
Jermaine? Sono Kei-
Sentì
un insieme indefinito di rumori che si confusero, prima del calare di un
silenzio assoluto, eccetto un lieve brusio di sottofondo.
-Kei!-
l’uomo in pratica lo urlò, prima di continuare con un tono più umano –Stavo
guidando e non ho guardato il nome sul display!-
-Semmai
ti chiamo dopo..- iniziò quasi speranzoso.
-No,
tranquillo, mi sono fermato.. dimmi tutto!-
Jermaine
sapeva perché lo aveva chiamato: non poteva semplicemente porgli la domanda
fatidica invece che costringerlo a iniziare il discorso?
-Riguarda
la tua domanda..- iniziò restando sul vago, ma sapendo che l’altro avrebbe
capito perfettamente, o almeno lo sperava: considerando la stranezza del
soggetto poteva aspettarsi di tutto.
-Ti
fai proprio desiderare, eh?- lo schernì l’altro, facendo funzionare il piano di
Kei –Temevo non ti saresti fatto sentire.. beh, in quel caso ti avrei chiamato
io comunque!-
Al
russo non stupì quella frase, ma gli diede la conferma sull’infondatezza di
alcuni scrupoli che si era fatto sulla sincerità delle parole di Jermaine: in
tutto quel tempo poteva essersi stufato di aspettare o semplicemente aver
cambiato idea.
-Allora
qual è la tua risposta?- continuò l’uomo e a Kei sembrò quasi di vederlo, al
pari di un bambino che aspetta le caramelle dalla mamma, all’interno della sua
Mercedes rossa parcheggiata a caso chissà dove.
Si
ripetè la domanda nella testa e prese un respiro prima di decretare in quel
singolo istante il suo futuro, o almeno una parte di esso.
-Sì-
-Sì
cosa?- cercò conferma l’altro, più per sentirlo ripetere che per altro.
-Sì,
va bene-
-Accetti?-
Sospirò
pesantemente e con una lieve irritazione crescente prima di ripetere per
l’ennesima volta
–Sì-
-Sì!-
gli fece eco l’altro evidentemente esaltato –Non te ne pentirai! Sei in
Giappone?-
-Non
ancora-
-Quando
torni?-
-La
prossima settimana-
-Perfetto!
Ti mando un messaggio il prima possibile con tutti i dettagli per il primo
giorno di prove.. ora non ce li ho sotto mano e sinceramente non me li
ricordo.. comunque ti scrivo.. poi ti dirò lì tutto il resto!- iniziò a parlare
a macchinetta, quasi senza prendere il respiro tra una frase e l’altra, in una
completa apnea.
-Ok-
riuscì solo a dire Kei alla fine.
-Sono
davvero felice! Sarà una figata! Allora ci sentiamo.. goditi i tuoi ultimi
giorni di libertà, perché non ti lascerò scappare!- lo salutò con un altro
fiume di parole, prima di ricordarsi di avere un appuntamento da lì a poco e di
dover riprendere a guidare.
Quando
riattaccò, Kei rimase immobile qualche istante prima di ritornare a ragionare:
non si era accorto di aver lasciato la sigaretta consumarsi e la spense del
tutto frastornato.
Avvertiva
un peso sullo stomaco: poco prima sentiva quello della decisione che doveva
prendere, ma vi si era sostituito un altro, molto diverso.
Non
sapeva definirlo, ma non era sicuro fosse del tutto negativo: aveva davanti
delle settimane sulle quali avrebbe potuto mettere un punto interrogativo, ma
questo lo preoccupava tanto quanto lo affascinava. Una sensazione davvero
piacevole.
Alla
fine era rimasto per un mese e tre settimane, molto più delle sue iniziali
aspettative, ma quella vacanza doveva arrivare a un termine: era stato bello
poter tornare a Mosca, città agognata per un anno e che, finalmente raggiunta,
era stata una serie di alti e bassi di aspettative adeguate o meno. Tornare a
vivere con Yuri, Boris e Sergay lo aveva fatto sentire nel posto giusto dopo
tanto tempo, ma non erano mancati gli aspetti negativi, i tanti, troppi,
ricordi e la sensazione di aver trovato dell’altro, la consapevolezza
dell’esistenza di tutto un altro mondo dove la vita era degna di essere
chiamata tale.
Per
quello annunciò a Yuri e successivamente agli altri due quale era stata la sua
decisione: non erano mancate le frecciatine e le prese in giro, ma sapeva che,
se un tipo come Boris si lasciava scappare delle battute di spirito e non
esponeva il suo disappunto seriamente, significava che poteva contare sul loro
appoggio.
Prenotò
il volo l’ultima settimana di agosto e dovette ripetere il giro di saluti che
già lo avevano tenuto occupato più di un anno prima: Dana cercò di trascorrere
più tempo possibile con lui nonostante il lavoro e soprattutto si manifestò la
più entusiasta per ciò che lo avrebbe aspettato il mese successivo.
Chi
era rimasto alquanto neutro alla grande notizia era stato proprio Yuri, o
almeno fino a due giorni dalla partenza di Kei.
-Ti
va se parliamo un po’?- aveva esordito il rosso quando, come al solito, erano
rimasti gli ultimi in cucina.
-Sì-
-Nessun
rimpianto?-
-Per
ora no-
-Vedi
di non averne..- lo avvertì, ma senza arroganza nella voce.
-Ok-
Kei
lo guardò in tralice cercando di decifrare che cosa avesse intenzione di
dirgli: probabilmente era in arrivo il suo discorso di disapprovazione a cui
non era ancora stato sottoposto, ma che si aspettava da almeno una settimana.
-Di
solito noi cerchiamo di evitare questo genere di discorsi..- iniziò Yuri
prendendo un lungo respiro -..però voglio che tu lo sappia prima di ripartire
e.. beh, sono fiero di te-
Disse
le ultime parole velocemente, come per farle uscire prima che fosse troppo
tardi, e Kei se ne stupì: lo osservò riprendere il controllo e parlare più
lentamente.
-Non
sono totalmente d’accordo con te su questa scelta, ma non è importante, perché
è una tua scelta e.. mi fido di te.. è stato un anno difficile per te e credo
che se sei convinto a tal punto di questa opportunità vuol dire che è qualcosa
di speciale.. sinceramente ciò che conta è, e sempre sarà, che tu stia bene!-
-Grazie..-
sussurrò confuso e grato al contempo.
-Ti
ho osservato in questo mese.. sei maturato, il Giappone ti ha fatto davvero
bene, non so che parte di questo abbia contribuito di più, se il luogo, le persone,
il ballo, ma qualsiasi cosa sia non la devi abbandonare..- si prese ancora una
piccola pausa -Quindi ora devi solo darti da fare..-
Kei
lo avrebbe abbracciato se un gesto del genere, per uno come lui, non avesse
significato uno sforzo emotivo enorme: perché era semplice sciogliersi dopo che
le braccia di Dana si erano fatte avanti, assecondare gli sforzi delle varie
ragazze che aveva conosciuto, ma allo stesso modo era difficile essere il
primo, dare l’input di quel gesto, anche con Yuri, l’amico di una vita, ciò che
più si avvicinava alla definizione di famiglia.
In
fondo, però, il rosso sapeva tutto questo e non aveva bisogno di una
dimostrazione di gratitudine, affetto o che altro: semplicemente erano fatti
così.
Nostalgia
non era forse la parola giusta per descrivere quello che provava per il
Giappone, però, questa volta, poteva dire di non essere del tutto indifferente
al ritorno in quella terra.
Si
era lasciato alle spalle un capitolo, piuttosto scuro a tutto dire, della sua
vita definitivamente e per la prima volta ne era sicuro; la differenza stava
nel capire dove lo portasse quello che sarebbe iniziato in quei giorni e cosa
gli riserbasse.
Prima
di scoprirlo, però, doveva affrontare l’ultimo ostacolo, ossia riferire a Takao
e agli altri ciò che aveva deciso per i mesi successivi: la difficoltà di quel
passo gli sembrò sempre più enorme man mano che si avvicinava alla figura
sorridente dell’amico.
Scorse
infatti il giapponese saltellare per farsi notare tra la folla che occupava il
grande corridoio, un’immagine che gli ricordò il suo arrivo a Tokio dell’anno
prima.
Appena,
per telefono, lo aveva avvertito sulla sua data di ritorno non ce l’aveva fatta
a riferirgli pure quella della sua ennesima partenza, sia perché non lo sapeva
ancora esattamente, sia perché non aveva avuto la forza di affrontare un lungo
discorso, immaginato diverse volte in quegli ultimi giorni.
-Finalmente!-
lo accolse urlando.
-Sono
in perfetto orario..- gli fece notare Kei perplesso.
-In
realtà sei in ritardo di tre settimane e forse anche qualche giorno di più-
l’espressione del più piccolo sembrava furente, ma allo stesso tempo risultava
alquanto buffa.
-Non
farci caso.. è così da un mese!- affermò Rei esasperato –Com’è stata la
vacanza?-
Kei
rispose vagamente alla domanda incamminandosi con i tre verso il dojo: più si
avvicinavano alla villa e più si addentravano nella conversazione, più il russo
sentiva il leggero impulso di spiattellare tutti suoi progetti, ma anche il
desiderio di non affrontare quell’argomento.
Si
convinse che avrebbe dovuto aspettare almeno la presenza di Nonno J, l’unica
persona che probabilmente avrebbe avuto la capacità di obiettare seriamente.
Non
appena arrivarono a destinazione, Kei spinse il trolley nell’ingresso e proprio
l’uomo spuntò dalla porta della cucina.
-Kei!
Ben tornato.. tutto bene?- chiese frettoloso, ma con il suo solito tono
paterno.
-Sì..
senti, ti dovrei parlare di..-
-Può
aspettare questa cosa?- chiese dispiaciuto l’uomo.
-Certo..-
rispose confuso Kei, che si stava già preparando il discorso tra sé e sé.
-Vado
di fretta mi dispiace..- salutò i presenti e uscì dal dojo.
Nessuno
sembrò preoccuparsi di ciò che Kei volesse dire a Nonno J e lo lasciarono
andare rimpossessarsi della sua camera: solo una volta che vi fu dentro e si
sedette sul letto, i pensieri ricominciarono a vorticargli nella testa a una
velocità normale.
Tra
l’esuberanza dei suoi amici nel riportarlo a casa e la preoccupazione per
quello che invece gli avrebbe dovuto dire, non aveva avuto il tempo di
rilassarsi.
Il
silenzio si riappropriò dello spazio, a parte i pochi rumori di sottofondo
provenienti da oltre la porta, e Kei potè tirare un sospiro e rilassare i
muscoli: prese lentamente a disfare la valigia per poi spalancare la finestra e
mettersi a fumare una sigaretta.
Non
aveva nemmeno avuto il tempo di lamentarsi del caldo, di realizzare quanto il
clima ostico di quel paese lo atterrisse; si disse che doveva ormai averci
fatto l’abitudine e se ne rallegrò.
Altro
fattore che non aveva preso in considerazione riguardava invece proprio il
fumo, dopo la prima settimana in Russia era stato così naturale riappropriarsi
delle vecchie abitudini che non aveva pensato alla differenza delle sigarette
giapponesi. Solo una volta fermatosi ad osservare il paesaggio dalla finestra
gli sovvennero immagini e odori che riconosceva e che associava a determinati
momenti, tra questi ovviamente c’era quello che dedicava tutto a sé e alle sue
sigarette e fumare in quella situazione giapponese con il sapore della sua
Russia lo confuse.
Decise
di approfittare dell’assenza di stanchezza, parecchio strana considerando il
viaggio che aveva affrontato, e si andò a fare una doccia, ricordandosi che era
stata la stessa azione che aveva compiuto al suo precedente arrivo in Giappone.
Si
chiese mentalmente come mai in quelle ore si stava lasciando trasportare così
tanto dai ricordi di quel periodo e, nuovamente, cercò di liberare la testa.
La
preoccupazione tornò solo poco meno di un’ora dopo quando lo chiamarono per la
cena: aprì la porta della camera e si ritrovò davanti a Takao che, come lui, si
stava dirigendo verso la cucina.
-Ho
creduto davvero che non tornassi più, sai?- gli disse inaspettatamente.
Kei
si bloccò di colpo, cercando di ricordare le parole che si era preparato
sull’aereo per introdurre le novità che aveva da annunciare, ma la sua testa
sembrava aver fatto tabula rasa di ogni sillaba.
Il
rumore delle scarpe di Takao sui gradini lo risvegliarono e lo convinsero a
seguire il giapponese.
Nonno
J stava portando in tavola tutte le pietanze quando Kei prese posto accanto a
Rei e per diversi minuti si sentirono solo i rumori delle stoviglie.
-Cosa
volevi dirmi oggi?- chiese a un tratto l’uomo sorridendo cordiale come al suo
solito.
Kei
alzò allarmato lo sguardo dal piatto e istintivamente osservò i volti dei suoi
tre amici che mangiavano tranquillamente come in attesa di una conversazione di
routine riguardante l’orario di rientro serale o il menu del giorno successivo.
-Se
vuoi aspettare quando..-
-No,
no..- il russo interruppe Nonno J prima di desistere lui stesso: come quando
aveva parlato con Yuri, aveva delle riserve a introdurre l’argomento, con la
differenza che ormai la decisione era stata presa e si trattava solo di dare la
notizia di fatti certi e questo non rendeva le cose più semplici -..intanto lo
devo dire a tutti..- vide Takao sgranocchiare un grissino con sguardo curioso
prima di riprendere a parlare: si chiese da quando era diventato così prolisso
e cercò di darsi un contegno -..non tornerò a scuola quest’anno-
Il
tintinnio delle bacchette che cadevano nel piatto mezzo vuoto di Rei e
l’improvviso tossire di Max a causa dell’acqua che gli era andata di traverso,
convinsero Kei di essere stato fin troppo diretto.
-Cosa
intendi dire?- cercò di biascicare il cinese.
-Mi
hanno offerto un lavoro e l’ho accettato-
-Che
lavoro? Dove? Perché?-
-Come
questa primavera..- iniziò faticando ancora a pronunciare ad alta voce
determinate parole -..è un tour mondiale e perderò metà anno..-
-E
hai già accettato hai detto?- chiese conferma Max.
-Sì-
Nuovamente
il silenzio si impadronì della cucina, mentre quattro paia di occhi seguitavano
a fissare il volto, quasi, del tutto indifferente di Kei.
-Perché?-
sussurrò Takao impercettibilmente, prima di ripetere la domanda quasi urlando.
-Perché
lo voglio fare- rispose pacato il russo, intimorito delle sue stesse parole.
-Quindi
parti di nuovo eh..- iniziò evidentemente arrabbiato, ignorando il nonno che lo
chiamava per nome -..e ti rivedremo chissà quando e..-
-Takao!-
si spazientì l’uomo facendolo zittire.
Kei
prestò tutta la sua attenzione a quello guardandolo negli occhi.
-Non
dobbiamo fare altro che prendere atto della sua decisione..-
-Ma
nonno..!-
-Niente
ma!- lo zittì nuovamente –Kei è maggiorenne ed è libero di decidere della sua
vita!-
Il
russo rilassò finalmente le spalle, tenute rigide in una posizione scomoda per
la tensione, ma non potè tirare un sospiro di sollievo vedendo ancora tutti
quegli sguardi su di sé.
-Ci
hai pensato bene?- continuò l’anziano.
-Sì-
-Yuri
che ne dice?-
-Non
era del tutto d’accordo..- iniziò ignorando il brusio di sottofondo formato
dalle lamentele di Takao -..però ha capito che è una decisione mia-
-E
non avete pensato ad altre alternative per la scuola?-
-Di
che genere?-
-Non
so.. studiare e diplomarsi privatamente o qualcosa del genere..-
-In
verità no..-
-Al
giorno d’oggi ci sono tante possibilità!-
-Non
ci ho pensato..- disse, considerando quanto poco si fosse premurato di trovare
un’alternativa.
-Potresti,
ma c’è tempo.. piuttosto, quando partiresti?-
-Non
lo so ancora.. tra una settimana iniziano le prove e mi diranno tutto..-
-Perfetto-
annuì Nonno J calmo riprendendo a mangiare come se nulla fosse stato –Forza,
non mangiate?- li incitò, infine, notando che i ragazzi erano rimasti
imbambolati a guardarlo liquidare il discorso in così poco tempo.
Nessuno
osò fiatare: Kei fu l’ultimo a riconcentrarsi sul proprio piatto. Valutò che,
in quei mesi, aveva considerato la scelta il passo più difficile da affrontare,
eppure, in quel preciso istante, si accorse che la vera sfida era stata
confidare a tutti quello strano percorso che si era delineato nel suo futuro:
si era forse concentrato sul problema sbagliato? Probabilmente sì, poiché da
subito sapeva quale sarebbe stata la sua risposta, poteva identificare nello stesso
momento in cui gli era stata fatta quella proposta, su quella terrazza di quel
locale del centro, l’attimo in cui aveva acconsentito a tale pazzia, o almeno
nella sua testa. Dana lo aveva spinto a fidarsi del proprio istinto, a dargli
nuovamente ascolto e Kei, dopo tanto tempo, era stato pronto a rispondergli, a
seguirlo e a fidarsi.
Rendere
conto a qualcuno della propria scelta era stata la vera sfida, a tutti coloro
che occupavano un posto speciale nella sua sfera dei sentimenti.
Perso
nelle sue riflessioni, il russo non si accorse che tutti gli altri finirono in
fretta e furia di mangiare e, in un inconsueto silenzio, iniziarono a sistemare
prima di dileguarsi nel resto del dojo.
-Dagli
tempo..- gli aveva sussurrato Rei, riferendosi a Takao, non appena quest’ultimo
si diresse al piano superiore.
-Ah
Kei..- lo richiamò improvvisamente Nonno J –Chi è il responsabile di questa
cosa?-
Il
russo, non sapendo se interpretare quelle parole in tono positivo o negativo,
visualizzò la persona a cui si riferiva nella propria mente.
-E’
il coreografo.. Jermaine Crowde..-
-Mh..
vorrei parlargli!- disse con un tono troppo tranquillo.
-Perché?-
chiese piano, temendo le motivazioni dell’uomo.
-Non
voglio e non posso farti cambiare idea, ma vorrei accertarmi dell’affidabilità
e della sicurezza di questa opportunità- rispose ovviamente.
Kei,
pensando ancora all’immagine del coreografo, non riuscì ad associare alla sua
figura né affidabilità, né sicurezza e non seppe dire se quella richiesta gli
si sarebbe ritorta contro in qualche modo.
-Non
lo so.. è sempre impegnato- titubò, rendendosi conto di quanto inconveniente
sarebbe stato quell’incontro.
-Puoi
chiederglielo?- insistette sorridente Nonno J.
-Posso
provare- acconsentì l’altro, non del tutto convinto, ma incapace di negare una
qualsiasi richiesta al vecchio Kinomiya.
-E
pensa a quello che ti ho detto prima riguardo allo studio!- gli urlò mentre già
attraversava la porta che lo avrebbe condotto nel corridoio e poi sulle scale
fino alla sua camera.
Nessuno,
tanto meno lui stesso, si era premurato di concedersi delle ore di sonno per il
lungo viaggio che aveva intrapreso quel giorno: solo in quel momento avvertì
che gli erano state prosciugate tutte le forze e che non sarebbe riuscito a
stare sveglio un minuto di più.
Quella
mattina si era risvegliato in Russia, su quel materasso che ormai era diventato
nuovamente familiare, mentre quella sera doveva tornare ad abituarsi al letto
giapponese: pensò che avrebbe dovuto fare presto l’abitudine a quei continui
cambiamenti e tentò di tornare indietro coi ricordi fino al torneo mondiale di
bey e alla sua esperienza in quel frangente, ma la stanchezza prese il
sopravvento.
Il
giorno successivo dovette cercare un modo di far convivere i propri continui
sforzi di riabituarsi all’orario giapponese, con la passiva sopportazione
dell’atteggiamento offeso di Takao.
Il
giapponese cercava di renderlo partecipe in tutti i modi del proprio disappunto
e tentò di non perdere nessuna occasione: gli unici momenti di stacco furono
l’arrivo di Hilary, subito informata dall’amico della novità, e i tentativi di
rintracciare Jermaine al telefono.
In
realtà non si era propriamente impegnato nel farlo, ma semplicemente aveva
provato inutilmente a chiamarlo e gli aveva mandato un messaggio: solo a
pomeriggio inoltrato il suo cellulare aveva preso a squillare e sul display era
apparso il nome dell’uomo.
-Dimmi
che non devi partire all’ultimo per chissà che continente o qualsiasi altra
cosa del genere!-
Non
aveva nemmeno fatto in tempo a rispondergli che già lo aveva sommerso di fiumi
di parole.
-Niente
del genere- disse perplesso.
-Meno
male- sospirò Jermaine, prima di parlare con qualcuno in inglese e riprendere
la conversazione con Kei –Allora tutto bene?-
-Sì-
-Sei
pronto per l’avventura?-
-No-
Rispose
indifferente a tutte le sue domande con quelle due semplici sillabe aspettando
il momento in cui finalmente si sarebbe zittito e lo avrebbe lasciato parlare.
-Comunque
che volevi dirmi?-
-Sei
in Giappone?- chiese, prendendola alla lontana.
-No..-
-Quando
torni?-
-La
sera prima dell’inizio delle prove.. perché?-
-Allora
nulla..-
-No,
dimmi..-
Kei
si convinse a parlare, scorgendo dalla finestra Nonno J in giardino –E’ che
il..- pensò con che parole riferirsi all’uomo -..diciamo il mio tutore qui in
Giappone.. gli ho detto ieri del tour e credo non si fidi del tutto quindi..-
-Gli
parlo io!- lo interruppe Jermaine prima che potesse arrivare al nocciolo della
questione.
-Non
sei obbligato.. se sei impegnato non..-
-Tranquillo!
Purtroppo ora come ora non so precisamente i miei impegni, ma martedì ci
mettiamo d’accordo..-
-Ok-
-Dovevi
dirmi altro?-
-No-
-Perfetto..
allora alla settimana prossima! Mi raccomando!-
Chiuse
la chiamata e Kei rimase interdetto come ogni qual volta avesse a che fare con
il coreografo: era un esplosione di vitalità ad ogni momento della giornata e
in ogni parte del mondo e questo non riusciva ancora a spiegarselo. Decise di
non pensarci troppo e andò a riferire la sua conversazione a Nonno J il quale
fu molto felice di dichiararsi libero in qualsiasi momento pur di avere la
possibilità di parlare con Jermaine.
Il
resto della settimana trascorse relativamente tranquillo: Max e Rei furono i
primi ad accettare di buon grado la novità di Kei e Takao fu costretto ad
assecondarli e ad unirsi alla positività generale anche grazie, a detta del
cinese, a una strigliata di Hilary.
Fu
così che il lunedì primo settembre i tre ragazzi lasciarono il dojo per
affrontare il loro primo giorno di scuola, mentre Kei si godeva l’ultimo giorno
di vacanze; cercò di tenersi occupato il più possibile per evitare di pensare,
in negativo o in positivo che fosse, alle giornate che lo avrebbero aspettato,
ma le cose da fare erano comunque limitate.
Nonostante
questo l’indomani arrivò fin troppo presto, complice probabilmente il fatto che
il russo aveva iniziato ad agitarsi al riguardo: ebbene aveva ammesso di non
essere tranquillo e che qualcosa stava turbando il suo mondo, che la
preparazione psicologica e la sua innata freddezza non erano bastate per
placare quel sentimento umano che si era fatto largo dentro di lui.
Si
alzò insieme agli altri abitanti del dojo piuttosto presto e uscì poco prima
per recarsi alla fermata dove avrebbe preso l’autobus per il centro di Tokio.
Le
prove si sarebbero tenute in una grande palestra, situata all’interno di un
grattacielo piuttosto lussuoso, dentro al quale si sarebbe immaginato di tutto
tranne che una cosa del genere: nella grande hall si rivolse a un ragazzo alto
e magro dietro a un bancone il quale gli chiese nome e motivo per il quale
fosse lì, controllò in una lunga lista e richiese i documenti di Kei primo di
consegnargli un pass che, a detta sua, gli sarebbe servito per le settimane
successive. Il russo fece allora qualche passo e seguì le istruzioni del
ragazzo, dirigendosi a un tornello elettronico che si aprì al passaggio della
tessera elettronica. Gli fu, poi, indicato un ascensore con il quale raggiunse
il ventottesimo piano: solo quando le porte scorrevoli si spalancarono,
liberandolo dalla serie di uomini distinti che occupavano l’abitacolo,
riconobbe qualcosa di quell’ambiente: una serie infinita di persona gli
sfrecciavano davanti indaffarate, armate di taccuini, relle e attrezzature di
ogni sorta. Una ragazza con grandi occhiali gli si avvicinò trafelata e gli chiese
il nome, che la giapponese trovò in un’ennesima lista.
-Trovato,
perfetto! Vedi quella porta?- disse indicando l’oggetto in questione con la
penna che brandiva –Attraversa tutto il corridoio e entra nella penultima
stanza a destra!-
Nemmeno
il tempo di elaborare l’informazione, che questa sparì nel flusso ininterrotto
di gente che popolava il piano.
Kei,
cercando di evitare di farsi travolgere, arrivò alla porta che gli era stata
indicata e, una volta attraversata, sentì la confusione dell’altra stanza
attenuarsi; cercò con lo sguardo la fine del corridoio, ma questo continuava
oltre un angolo e si chiese se con ‘penultima porta’ si intendesse prima
dell’angolo o prima della fine del corridoio.
Sicuro
che intanto non lo avrebbe scoperto standosene lì fermo, iniziò ad avanzare e
guardarsi intorno, sbirciando nelle stanze che superava.
-Buongiorno!-
Una
grossa mano gli si posò pesantemente sulla spalla e, solo grazie alla sua buona
dose di sangue freddo, riuscì a non spaventarsi per il modo in cui gli si era
avvicinato di soppiatto Jermaine.
Era
rimasto esattamente come se lo ricordava, soprattutto quel costante sorriso non
gli era sparito dall’espressione, anzi se possibile era ancora più accentuato;
teneva in mano un grosso bicchiere di caffè americano e vestiva dei soliti
vestiti larghi e del suo cappellino. Probabilmente per la prima volta, Kei si
chiese quanti anni avesse, ma evitò di domandarlo ad alta voce, rispondendo
invece al saluto.
-Che
confusione eh?- continuò iniziando a camminare e guidandolo sicuro lungo il
corridoio –Tutto questo piano è a disposizione di Lauren per il tour e ora si
entra nella fase calda della preparazione quindi sono tutti agitati!-
-Fase
calda?-
-Sì,
quella finale..- rispose sorseggiando il caffè e aprendo la famosa penultima
porta a destra.
-Ma
non iniziamo ora?- chiese confuso e, doveva ammetterlo, anche piuttosto
curioso.
-Noi
siamo gli ultimi a iniziare.. principalmente per colpa mia!- sorrise colpevole
prima di continuare –Gli altri stanno preparando già da settimane!-
Solo
quando il coreografo posò il suo borsone a terra, Kei alzò lo sguardo e osservò
la stanza nella quale erano entrati: era enorme, con il parquet lucido e gli
specchi alle pareti. Vi erano dentro almeno una ventina di persone e,
nonostante questo, risultava piuttosto vuota.
Nuovamente
si vide arrivare incontro una ragazza con una cartelletta in mano dalla quale
estrasse una serie di fogli che gli furono consegnati senza troppi convenevoli:
il contratto per quel lavoro lo aveva già firmato il venerdì precedente, quando
era stato convocato in un grande ufficio poco distante, ma sembravano essere
spuntati nuovi documenti da firmare.
-E’
la liberatoria per le riprese!- gli spiegò Jermaine vedendolo accigliato.
-Che
riprese?-
-A
volte può essere che vengano filmate le prove, ma più in là col tempo.. e a
volte questo materiale finisce in cose tipo video, contenuti speciali dei
dvd..- spiegò facendo spallucce -..niente di che! Ma serve la liberatoria!-
Kei
firmò: intanto ormai doveva andare fino in fondo a quella cosa e, si disse,
prima o poi ci avrebbe capito qualcosa di tutti quei meccanismi a lui
sconosciuti.
Sbirciò
l’altra serie di fogli e si accorse, con piacere, che erano solo note
informative.
-Questi
sono gli orari di queste settimane..- spiegò ancora l’uomo accanto a lui, ormai
giungendo alla fine del suo caffè -..qui le informazioni sul volo e poi queste
le date del tour.. non so se le hai già guardate su internet-
-No..-
rispose, dandosi dello stupido: non si era nemmeno premurato di scoprire in che
posti sarebbe andato, da quanto era stato impegnato a crearsi serie infinite di
problemi.
Scorse
la lista di città con lo sguardo, soffermandosi sulla prima, Melbourne, per poi
scendere verso la fine, ma qualcosa lo fece fermare prima del previsto.
-C’è
pure la Russia..- disse più a se stesso che a Jermaine.
-Già..
ma a San Pietroburgo.. tu sei di Mosca giusto?-
-Sì-
Non
era stato a San Pietroburgo più di due volte in tutta la sua vita, ma era
Russia e, come al solito, quando si parlava della sua terra natia, non poteva
fare altro che prestarvi attenzione e sentirsi rincuorato: dopotutto avrebbe
potuto fumare ancora le sue sigarette preferite prima del previsto.
-Ah,
a proposito.. dobbiamo metterci d’accordo per parlare col tuo tutore!- disse
improvvisamente Jermaine.
-Giusto..-
ricordò Kei, al quale era totalmente passato di mente e a cui, sinceramente,
sperava fosse lo stesso per il coreografo: quest’ultimo, invece, sembrava
essere più deciso che mai ed estrasse il palmare dalla tasca dei pantaloni.
-Oggi
ho una riunione e domani non posso.. mmm.. vediamo.. facciamo venerdì!- squillò
improvvisamente iniziando a digitare qualcosa –Venerdì dopo le prove.. intanto
ti accompagno a casa! Va bene?-
-Credo
di sì- rispose Kei prima di vedere sparire l’altro, richiesto da una serie di
ragazze e ragazzi.
La
porta si aprì diverse volte nei minuti successivi, facendo in modo che un
viavai di persone entrassero e uscissero: la calma si stabilì quando Jermaine
attirò l’attenzione su di sé e, acquisendo un ruolo di superiorità, chiese a
tutti di radunarsi al centro della stanza e di fare silenzio.
Kei
seguì gli altri e si sedette per terra in attesa.
-Intanto
benvenuti.. come avrete letto, gli orari delle prove sono serrati e intensi,
perché abbiamo poco tempo per montare un intero spettacolo! Le prove saranno
sempre qui: non sono accettati ritardi e tanto meno assenze, tutto deve essere
perfetto quindi mi aspetto professionalità.. per qualsiasi problema rivolgetevi
a qualcuno dello staff in modo da risolvere tutto senza intralciare lo
svilupparsi del lavoro!- parlò con grande serietà, particolare che contrastava
con la visione che Kei aveva di lui: continuò il suo discorso con avvisi e
istruzioni e la piccola folla intorno a lui manteneva un religioso silenzio di
assenso –Comunque.. io vi romperò i coglioni fino allo sfinimento, ma a parte
questo ci sarà anche da divertirsi! Quindi buon lavoro!-
Una
serie di risate e un applauso riempirono la stanza, prima del ritorno del
brusio confuso della miriade di discorsi che si mescolavano nell’aria.
Fu
a quel punto che iniziarono realmente: la musica occupò il resto della
giornata, una lunga giornata fatta di passi, sudore, fatica, memoria e lavoro.
Un concerto di circa 90 minuti, dei quali almeno 40 totalmente coreografati e
10 di freestyle, scaletta di una ventina di canzoni, luci, costumi, spostamenti
su tutta la superficie del palco, entrate e uscite, ballerini, musicisti e
coristi: tutto questo era il grande show.
A
metà mattinata arrivò Lauren, la quale fece un discorso di incoraggiamento a
tutta la crew e quella fu l’unica vera pausa che si concessero a parte quella
dei pasti. La prima giornata non si concluse prima delle sette si sera e lo
stesso sarebbe stato per le tre settimane successive: l’ultimo lunedì di
settembre, invece, sarebbero partiti per completare le prove nella prima città
del tour.
Tutto
era programmato nei minimi dettagli e si preannunciava un’esperienza dura,
nuova, ma completamente esaltante.
Lo so, lo so..
di nuovo in ritardo sulla tabella di marcia u.u ma almeno stavolta solo di
un’ora.. in verità qui è mezzanotte adesso quindi diciamo che la colpa è
principalmente del fuso orario, ma, scarica barili a parte, passiamo alla
storia!
Questo bel
capitoletto di transizione è il 41esimo.. vi direte: bella scoperta! Beh..
questo vuol dire che sono ben 41 settimane che vi rompo con questa storia e
che, forse, anzi sicuramente, è tosto l’ora di darci un taglio.. per il mio e
per il vostro bene.. più che altro mi sembra giusto informarvi che questa
storia avrà una fine, ebbene sì.. arriverà il momento! E mi sembra giusto anche
avvertirvi che sarà a breve.. facciamo un mesetto o poco più!
Qui siamo
ufficialmente entrati nella parte finale e godetevela! O almeno spero che lo
facciate ^^
Colgo
l’occasione per scrivere ancora un Grazie che era da un po’ che mancava, ma
spero sappiate che era sottointeso!
Alla prossima
settimana, un bacione :)