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Autore: giulina    14/10/2011    14 recensioni
Alice poggia la testa bionda sul cuscino e si mette a fissare il cielo chiaro di maggio fuori dal lucernario sopra la sua testa, l’unico spiraglio di luce in quella stanza buia.
Bè più che una stanza è un garage.
Il garage del padre di Filippo in cui si vanno a rifugiare da quando hanno sei anni.
Era il loro nascondiglio segreto da piccoli, il luogo in cui potevano rimanere quanto volevano e dove nessuno li andava a cercare per sgridare.
In quel garage sono cresciuti, hanno imparato a leggere e a scrivere, sono rimasti a pomeriggi interi sdraiati sul letto ad osservare il soffitto in silenzio o ad ascoltare vecchi dischi in vinile che si inceppavano sempre in alcuni punti. Si sono scambiati il loro primo bacio girando una bottiglia vuota a dodici anni e sono diventati grandi senza accorgersene.
-Cerca di non russare-
-Ci proverò-
-Bene. Ho sonno e ho bisogno di dormire-
-Cos’è che ti toglie il sonno Lip?- Gli chiede con un tono acido.
-Una bionda che a mezzanotte mi chiede di risentirle storia-
-Potevi dirmi di no- Gli dice Alice alzando di poco la testa per specchiarsi nei suoi occhi verdi leggermente socchiusi.
-Non so dirti di no, Alice-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Filippo ogni tanto si pente della scelta che ha fatto quella sera d'ottobre, quando ha regalato quel pacchetto di Marlboro, le sue Marlboro, a quella sconosciuta davanti al portone del suo palazzo.

Gli manca quel bastoncino fine e bianco da tenere tra l'indice e il medio, quel sapore che sa calmarlo meglio di qualsiasi tranquillante e il fumo che rimane addosso ai vestiti e tra le mani.

Si è comprato i bastoncini di liquirizia, per sostituirle, pacchetti e pacchetti di gomme da masticare pur di tenere la bocca occupata.

Una volta ha ceduto ed ha rubato una sigaretta dal pacchetto incustodito di suo padre che teneva sopra al frigorifero in cucina.

Era il giorno del suo compleanno, si ricorda. Quel giorno che ha passato da solo chiuso in camera al buio, con il disco di Bon Jovi inserito nello stereo, sdraiato sul letto a godersi quel piccolo vizio, quasi come se fosse il suo regalo.

In tutta la giornata pensa di non aver mai aperto bocca, se si esclude la volta in cui ha ringraziato sua madre per la torta al cioccolato che gli aveva cucinato e gli auguri di suo padre e suo fratello.

Aveva paura che se avesse dato fiato alle parole che teneva incastrate nelle gola dolente, non avrebbe più smesso di urlare. E forse anche di piangere.

Filippo non si vergogna ad ammettere che delle volte ha provato una voglia talmente intensa di piangere da bloccarlo, da renderlo impotente davanti a quelle sensazioni che rischiavano di trascinarlo in una fossa scavata apposta per lui.

Ha provato anche tanta rabbia in questi mesi, una rabbia ceca quando è entrato dopo tanto tempo nel garage ed ha ritrovato la lettera che gli aveva scritto lei, caduta sul pavimento sporco, coperta dalla polvere che ci si era depositata sopra.

Rabbia che l'ha costretto a buttare via le lenzuola bianche e il piumone del loro letto. Quel letto che hanno condiviso per tanti anni solo come amici sdraiati ai bordi opposti e poi come amanti, abbracciati senza più confini da mantenere; dove probabilmente c'erano ancora i loro profumi impregnati nelle federe consumate dei cuscini e le tracce di quello che era successo quell'ultima sera.

Ha buttato tutto nel cassonetto davanti casa senza pensarci due volte.

Nemmeno una misera esitazione nel cancellare i ricordi, un pezzetto di passato.

 

 

 

Filippo si trova sul balcone della cucina con la testa appoggiata tra le braccia incrociate sopra al cornicione.

Osserva dall'alto la strada illuminata dai lampioni e dai fari di alcune macchine colorate e motorini, i suoi vicini di casa che escono dal portone per portare il cane ai giardinetti pubblici per fare la passeggiata prima di cena oppure per buttare la spazzatura.

Il vento di maggio è un soffio di alito caldo che riscalda e provoca la pelle d'oca in quella porzione di pelle scoperta sulle braccia.

Filippo riesce a percepire l'odore di sugo che proviene da qualche balcone vicino al suo e quello più forte di canna che suo fratello si sta fumando in salotto come se niente fosse.

Filippo lancia un'occhiata di sottecchi a Marco ed alza gli occhi al cielo quando lo vede distendersi sul divano con un solo paio di mutande bianche a coprirlo. Non è una bella immagine, se deve dirla tutta.

Sta guardando un quiz su un canale sconosciuto e la voce gracchiante del conduttore insieme all'applauso del pubblico arrivano dritti alle orecchie di Filippo.

Si allontana dal balcone e chiude la finestra con uno scatto secco, per paura che l'odore di quello che sta fumando suo fratello arrivi anche in casa degli altri condomini e si ritrovino, un giorno di questi, faccia a faccia con un finanziere.

Filippo si sciacqua le mani sotto l'acqua fredda nell'acquaio ed entra nel salotto, sprofondando nel divano ad una giusta distanza da Marco.

Lui si gira e gli sorride, guardandolo con quegli occhi arrossati dalla pupilla dilatata che sono un'eccellente segnale della sua dipartita verso un mondo estraneo, sicuramente migliore. Magari ci potesse rimanere per sempre.

-Pippo, ti ricordi la canzone che cantava nonna Gervasa la domenica mentre cucinava le lasagne?-

-Dammi solo un minuto?-

-No! Quello lo diceva quando le chiedevi se era pronto!-

Filippo scuote la testa e si porta una mano sulla fronte massaggiandosela.

Ormai il danno è fatto, cosa servirebbe levargli quella canna di mano?

-Ho in testa il ritmo della canzone da più di un'ora ma non mi vengono in mente le parole. Peccato che la nonna sia morta-

-Aveva centodue anni-

-Si ma è ingiusto lo stesso. Io voglio essere immortale-

-A me basterebbe che tu fossi meno idiota, ma credo che ormai sia impossibile- Filippo sorride guardando suo fratello che osserva pensieroso la cenere che gli caduta su una gamba.

-Siamo di buonumore eh?-

-Deve essere il fumo passivo della canna-

Marco si alza in piedi e prende il posacenere sul piccolo tavolino davanti alla televisione accesa portandoselo con sé sul divano.

-Mi fa piacere che tu sia così allegro, anche se mi sfotti ecco-

-Quindi posso continuare?-

-Assolutamente no-

I due fratelli sorridono continuando a puntare gli occhi sullo schermo che non vedono realmente, persi nel godersi quel momento di quiete estranea.

Una macchina ha parcheggiato sotto casa e il rumore della radio tenuta ad alto volume arriva fino a loro. La signora che abita nel loro stesso piano sta litigando di nuovo con il cane che ha fatto la pipì in cucina e si sente i suoi urli striduli dall'ingresso di casa. Sono tutti dei rumori che fanno di sottofondo a quel momento.

-Come stai?-

-Sto alla grande-

Marco annuisce brevemente con un mezzo sorrisetto sulle labbra mentre spegne la canna nel posacenere nero che appoggia sul pavimento.

-Si, lo dicevo anche io quando l'Inter aveva perso 3 a 0 contro la Juventus-

-Ti stavi per suicidare con la candeggina di mamma, Marco- Filippo gli lancia un'occhiata scettica.

-Ci avevo pensato, è vero, ma poi te mi hai preso per un orecchio e mi hai portato in piazzetta a farmi ubriacare per dimenticare-

-E ti hanno arrestato mentre correvi nudo per parco Brughetti, urlando come un matto-

-Bei momenti, già. Ora però sono io che ti devo aiutare-

-Ti ho già detto che sto bene-

-Nessuno sta bene quando la persona più importante della nostra vita se ne va via lasciandoci soli con i rimpianti e i ricordi, con la consapevolezza che forse abbiamo fatto troppo poco per farla rimanere. Di merda, ecco come si sta-

Filippo alza la testa verso il soffitto sorridendo appena, stringendo a pugno la mano che tiene sopra la bracciolo di pelle del divano.

Sente gli occhi di suo fratello su di sé ma non sa cosa vorrebbe sentirsi dire, cosa può raccontargli e cosa tenere gelosamente per sé.

-Lo sai da quant'è che non entro nel garage? Due mesi. Due mesi e qualche giorno, probabilmente, ho perso il conto del tempo che è passato da quando se ne è andata. Fa meno male così-

Filippo posa lo sguardo sullo schermo scuro del televisore davanti a lui. Non ha addirittura più voglia di guardare un film; non ha voglia di guardarselo da solo, al buio della stanza, su un divano tutto per sé che non è occupato da nessun corpicino isterico dai capelli biondi. Che senso avrebbe?

-Fa male lo stesso, Pippo, lo sai anche te-

-Mi voglio illudere-

-Lo sai che io non sono bravo a fare questi discorsi, non sono bravo a fare discorsi in generale, forse. Preferisco i fatti alle parole. Ma questo te lo devo dire: Filippo sembri spento, uno di quei robot di quei film orrendi che ti piacciono tanto. Te ne stai tutto il giorno su quei libri del cazzo rinchiuso in camera ed esci di casa solo per andare al supermercato a comprare i biscotti al cioccolato o per dare un'esame. Sei ingrassato e stai diventando pazzo-

Filippo punta lo sguardo fuori dalla finestra osservando il palazzo di fronte al suo e quei punti di luce proiettati sulle pareti verdi. Suo fratello ha ragione, su tutto. Però non è ingrassato, sia chiaro.

‎Quando Alice se ne è andata la sua vita ha continuato a scorrere normalmente, il tempo non si è fermato all'improvviso. Gli manca, però, quel pensiero con cui prima si svegliava ogni mattina. Il pensiero che gli suggeriva di farsi la barba quando diventava troppo lunga, di non mangiare cioccolato prima di incontrarsi con lei e di mettersi i calzini quando entrava nel garage.

Il pensiero che gli diceva "Oggi la vedrai, amico. Oggi Alice è tua".

Quando Alice è scomparsa, fuggita, in qualunque modo lo vogliate dire, quel pensiero si è dissolto nel nulla. Se fosse rimasto, molto probabilmente, gli avrebbe sussurrato "Hey amico, puoi tranquillamente diventare un barbone che puzza di cioccolato. Lei non c'è più".

Si è buttato nello studio, concentrandosi in quello che gli riusciva meglio.

Si è iscritto alla facoltà di matematica dando esami su esami, studiando senza sosta, come se i numeri e i calcoli fossero i suoi migliori amici.

Si è nascosto dalla vita per un po', credendo che fosse la scelta giusta. Rimanendo nell'ombra in cui viveva prima di conoscere Alice.

-Io sono sempre stato così Marco, era lei che mi faceva sembrare diverso-

-Che discorsi di merda. Sei sempre stato un po' fuori di testa ma ora stai davvero esagerando. Devi rialzarti, Pippo, e io sono qui per aiutarti-

-E cosa vorresti fare?-

-Fartela dimenticare-

-Non credo sia possibile-

-Non dico per sempre, ma almeno per una sera-

Filippo scoppia a ridere e si passa una mano tra i capelli scuri leggermente più lunghi sul collo.

-Spera per te che non finisca a correre nudo per parco Brughetti-

-Tranquillo, ci sono io con te!-

-È proprio per questo che ho paura-

 

 

 

Filippo e Marco arrivano in piazzetta un'ora dopo, a bordo della loro Opel nera che, stranamente, ha i vetri puliti e dall'interno sono stati eliminati i rifiuti che si erano accumulati nei mesi. È stato loro padre, naturalmente, dopo che una vicina di casa ha bussato alla sua porta chiedendo di controllare che nell'auto non ci fosse niente di morto.

Marco si è infilato i pantaloni dopo le varie preghiere di suo fratello ed hanno deciso di andare a prendere una birra all'aria aperta.

Si siedono ad un tavolino di legno fuori dal bar “Zio Pepe” ed ordinano due birre a Masha, cameriera e vecchia compagna di classe di Marco che ora è sposata ed ha già un figlio. E dire che lui ci stava già facendo un pensierino.

Mentre i due parlando e ricordano i vecchi tempi, Filippo si guarda intorno.

Osserva le panchine di marmo nel viale alberato che portanp al cancello d'entrata di parco Brughetti dove è stato spesso con Alice quando erano solo dei bambini.

Ci andava a giocare anche con Marco, cavalcando insieme la vecchia bicicletta di loro madre con il cestino rosa di cui si vergognavano da morire. Per questo ogni volta ci mettevano dentro un lenzuolo bianco, volendo coprirlo il più possibile.

Vicino al bar ci sono un gruppo di anziane signore che siedono su delle sedie portate da casa e si godono il fresco della sera chiacchierando e mangiando pistacchi, buttando i gusci dentro una busta di plastica.

Un gruppo di ragazzi sono seduti sul prato e ridono di gola, di polmoni, mentre alcune urla risuonano in tutta la piazza e tra le mura colorate dei palazzi. C'è vita quella sera nell'aria.

Marco ha la bocca piena di patatine salate e una sigaretta tra le dita quando gli parla, rompendo il loro silenzio.

-Pippo, la vedi quella ragazza?- Gli chiede indicando una di quelle ragazze sdraiate sul prato che ridono e fumano.

-Quella con la gonna verde?-

-Esatto. Sono stato con lei qualche anno fa, se capisci cosa intendo. Lei sarebbe capace di farti dimenticare anche il tuo nome, se vuoi te la faccio conoscere!- Marco sorride e si passa una mano tra i capelli corti e più chiari del fratello, ricordando quei bei momenti ma soprattutto le doti di quella ragazza di cui non si ricorda nemmeno il cognome.

-No, grazie lo stesso. Ma... è bionda e a te le bionde non piacciono-

-Filippo, quella sera non avrei saputo riconoscere nostra madre nemmeno se mi fosse passata davanti agli occhi, secondo te mi facevo dei problemi sul colore dei suoi capelli?-

-Marco, delle volte mi domando come si possa, noi due, avere dei geni in comune-

Filippo fa un mezzo sorriso mentre sente la forte risata di Marco rimbombare anche dentro di sé.

Probabilmente è l'effetto della canna che si è fatto a casa.

-Eccolo qui il mio ironico fratellino, mi sei mancato-

Filippo annuisce appena e sbriciola con le mani una patatine che ha preso dalla ciotola di cotto sul tavolo.

Osserva le sue dita ma non il viso di suo fratello su cui aleggia ancora un sorriso.

Filippo si sente con qualche pensiero in meno in presenza di Marco ma la sua mente non è del tutto sgombra.

Quella sera di maggio, ad esempio, gli ricorda quelle che passava insieme a lei nel garage oppure sul tetto del suo palazzo.

Quelle sere dove l'aria incominciava a riscaldarsi e potevano stare con il lucernario aperto e senza felpa, quando sentivano che era l'ora di rivedersi il film “Che ne sarà di noi” in VHS, la cassetta più consumata di tutte.

Dove apparivano le prime lucciole e loro le osservavano pensando a come sarebbe stato bello metterle sotto ad un barattolo come facevano da bambini, per vedere se la mattina dopo ci sarebbero state le cinque famose mila lire.

Quando vedevano che il buio tardava ad arrivare ogni giorno di più e cenavano sul letto in garage, mangiando cosa li aveva preparato la mamma di Filippo.

Contrae la mascella quando gli ritornano nella testa tutti quei brevi momenti, come se fossero tutti disposti in uno scompartimento che è stato aperto per caso.

All'improvviso vede comparirsi sotto gli occhi una bottiglia di birra fresca.

Alza lo sguardo verso suo fratello e lo trova a scolarsi la seconda di fila.

-Grazie- Gli sussurra posando le mani sul vetro scuro e ghiacciato.

-Bevi e stai zitto- Risponde Marco chiamando di nuovo la cameriera per farsi portare un'altra birra.

Restano qualche minuto in silenzio, bevendo ed ascoltando le chiacchiere delle persone intorno a loro.

-Hai ragione Pippo! La canzone di nonna Gervasa era “Dammi solo un minuto”!-

Si ricorda Marco portandosi una mano sulla fronte e sgranando gli occhi sempre più arrossati.

-Te l'avevo detto-

-La cantiamo? In onore di nonna Gervasa, dai-

Ed è insieme che resuscitano quel vecchio classico dei Pooh, sotto gli sguardi curiosi degli abitanti del paese che avrebbero voglia di cantare insieme a loro fino a perdere la voce.

Sta arrivando l'estate e lei non c'è per festeggiare insieme a lui.

L'ha lasciato da solo, d'altronde.

 

 

 

Filippo scende dalla macchina con le gambe e la testa leggere.

Chiude lo sportello con troppa forza e corre ad aprire quello del fratello, inciampando nel marciapiede.

Marco è rannicchiato nel suo sedile con la bocca aperta e gli occhi chiusi. Biascica qualcosa a mezza voce e si porta una mano sullo stomaco coperto dalla maglietta.

Filippo riesce a buttarlo giù dalla macchina dopo vari tentativi e lo trascina davanti al portone di casa che apre a fatica con le chiavi che cercano di scivolargli dalle mani.

Lascia che Marco entri barcollando dentro il palazzo mentre il portone verde rimane spalancato.

Filippo si mette a ridere con gli occhi lucidi e le guance arrossate sia per il fresco che per le birre che ha bevuto.

Non è ubriaco, lui, ma sente che nelle sue vene non sta scorrendo solo sangue.

È passato tanto tempo dall'ultima volta che si è sentito così, forse anche troppo.

Ritorna alla macchina strusciando i piedi sull'asfalto e prende il cellulare che ha lasciato sul sedile, chiudendo con le chiavi.

Si appoggia un attimo allo sportello per riacquistare un minimo di lucidità e sempre sorridendo si siede sugli scalini. Getta un'occhiata al portone davanti al suo, al portone di lei. Lo fa sempre, è diventata quasi una tradizione che deve assolutamente rispettare prima di entrare in casa.

Questa volta, però, sul portone c'è qualcuno.

È più magra della sua Alice e i capelli sembrano di un biondo più scuro.

La bocca è coperta da una sciarpa e il corpo da un paio di jeans e un maglioncino. E dire che è sempre stato lui il freddoloso tra i due.

Sul portone c'è una ragazza che assomiglia alla sua Alice ma non è sicuro che sia lei.

Un tempo, l'avrebbe riconosciuta al primo sguardo.

Filippo rimane immobile nella sua posizione ed osserva quella figura minuta illuminata dalla poca luce che arriva dal lampione sul marciapiede.

Ci sono solo cento metri di distanza tra loro ma lui non riesce a visualizzare bene la sua immagine a causa della vista sfuocata.

All'improvviso il sorriso sul suo viso si trasforma in una risata carica di sarcasmo, una risata quasi cattiva.

Una risata tutta per lei, per Alice.

-Non ci credo...non ci credo..- Sussurra a se stesso continuando a ridere, gettando la testa all'indietro e guardando quel cielo nero sfuocato che è testimone del loro incontro.

Alice è ferma nella posizione di qualche minuto prima e si stringe le mani intorno al corpo come se un freddo sconosciuto l'avesse avvolta. Gli scalini sotto di lei sembrano essere diventati di un ghiaccio che taglia.

Le labbra tremano appena e gli occhi seguono ogni minimo spostamento del ragazzo davanti a lei.

Preferirebbe uno schiaffo, a quella risata amara.

Filippo china la testa in avanti e incrocia le mani sudate nei capelli scuri, lasciando che l'aria gli ritorni piano piano nei polmoni.

È tornata.

Guarda l'asfalto davanti a lui e spera che la sua mente si blocchi all'improvviso perché troppi sono i pensieri che sta facendo in quel momento.

È tornata, è tornata, è tornata.

Perché diavolo è tornata?

Alice lo guarda mentre sorride ancora, non sono lontani e riesce a vedere ogni minimo movimento. Rimane anche lei seduta come lui, immobile in quella paura, in quel terrore che naviga in lei da parecchie ore, da quando se ne è andata di casa tanti mesi prima, forse.

Non riesce a capire come la stia guardando. Sembra con dolore, con..

-Ti faccio schifo, non è così?- La voce di lei gli arriva dritta al cervello e anche allo stomaco. Filippo impiega qualche minuto per risponderle.

-Schifo è riduttivo-

-Capisco. Cioè...ero preparata alla tua rabbia-

-Non provo più nemmeno quella-

-Allora è più grave del previsto-

Rimangono in silenzio mentre una macchina passa lentamente nella strada, oscurando i loro corpi seduti su quegli scalini. Sono vicini ma in verità sono lontani, forse troppo.

-Non mi hai capita, vero? Non hai capito perché me ne sono andata-

-No, ho capito solo che sei una puttana-

Alice sorride per non piangere, per non far si che quelle lacrime che le stanno tagliando gli occhi sgorghino fuori, si palesino alla sua vista come un segno di cedimento, di quel dolore che la sta distruggendo.

Lei gli fa schifo. Lei è solo una puttana.

-Addirittura?-

-Ti considero così-

-Un tempo...un tempo mi consideravi la tua migliore amica-

-Hai perso quel ruolo da quando te ne sei andata lasciando tutto-

La voce di Filippo si è alzata come il vento che passa tra di loro e in mezzo a quella strada deserta dove solo la loro voce rimbomba tra le pareti di quelle case dalle finestre serrate.

Filippo si alza di scatto in piedi e la guarda con tanta di quella rabbia che non ha mai rivolto a nessuno in vita sua. I suoi occhi dolci non riescono quasi a reggerla.

Si gira e fa qualche passo verso il portone con la testa china. Se ne sta andando.

Alice scende veloce gli scalini del palazzo ed attraversa la strada fermandosi a pochi passi da lui, allunga una mano per toccarlo, per fermarlo e la poggia sulla felpa che indossa.

Lui la scosta senza problemi, continuando a camminare arrivando davanti al portone di casa e poggiando una mano sul legno verde.

-è perché ho lasciato la mia casa, Serena, mio padre che sei arrabbiato con me?-

-Tu hai lasciato anche me, cazzo! Me, a cui avevi promesso, giurato che non mi avresti mai lasciato da solo-

Filippo allontana la sua mano che si sta avvicinando e si appoggia con la schiena alla porta.

Ora i suoi sussurri sono diventate delle grida di dolore, di vendetta per farla sentire in colpa.

-Mi sono sentito solo. Abbandonato come un cane su un autostrada senza una spiegazione, un fallito per non essere riuscito a farti rimanere con me. Alice, tu mi hai lasciato da solo quando avevi promesso che non l'avresti mai fatto. Me l'avevi promesso, cazzo. E io..io non te le dovrei nemmeno dire queste cose..-

-Non volevo andarmene in quel modo-

-Eppure lo hai fatto lo stesso. Ed ora vuoi il mio perdono?!-

-Voglio te-

-E se fossi io, a non volerti più?-

Una lacrima soffocata sfugge al controllo di Alice e lui segue quel filo d'acqua fino a che non scompare dentro alla sciarpa che tiene al collo.

Alice allunga di nuovo una mano e la poggia sul suo braccio, stringe la stoffa con tutta la forza che ha nel corpo e lo guarda come se nei suoi occhi lui potesse vedere cosa ha provato lei in quei mesi. Quel terrore che la notte la teneva sveglia fino all'alba e la faceva sentire smarrita in un letto freddo da sola.

-Davvero? Davvero non mi vuoi più, Lip?-

Appoggia la testa sulla sua spalla lasciando che i suoi capelli biondi gli sfiorino il mento, che il loro solito odore lo faccia ritornare indietro di qualche mese. Le sue labbra si avvicinano al suo orecchio, il suo naso sfiora la sua guancia.

Filippo per la prima volta alza gli occhi dall'asfalto e incontra quegli lucidi di Alice. Occhi marroni caldi che l'hanno osservato per così tanto tempo che ora sentirseli di nuovo addosso, gli provocano una sensazione strana, ha voglia di scappare.

Ed è quello che fa.

La lascia da sola su quegli scalini freddi e scompare dietro al portone di casa.

Non può darle una risposta perché nemmeno lui la sa.

 

 

Alice si è svegliata presto nel suo letto e ci è rimasta per parecchio tempo.

Rannicchiata nelle lenzuola a cui si deve riabituare dopo tanto tempo con il cuscino morbido in cui la sua testa sprofonda.

Fissa la luce che arriva dalla finestra socchiusa e dalle persiane che ha lasciato aperte.

Si guarda intorno ed osserva tutta la sua roba nello stesso esatto punto in cui lei l'ha lasciata con solo l'aggiunta della polvere che ci si è depositata sopra. Suo padre non ama molto pulire.

Alice si alza in piedi lentamente, infilandosi una felpa che trova sopra la valigia ancora da sfare e che, probabilmente, non rifarà per molto tempo.

Si affaccia dalla finestra e socchiude gli occhi quando un raggio di luce caldo le si posa sulla pelle del viso pallido, davvero troppo pallido.

Getta uno sguardo alla strada trafficata da auto e persone ed a quella via laterale stretta e sterrata che ha percorso talmente tante volte nella sua vita che ne conosce le buche nei punti esatti.

Non crede che sia cambiata molto in questi mesi. Si ritrova a sperarlo mentre si spoglia del pigiama e cerca dei vestiti da indossare.

Quando arriva davanti alla porta del suo garage, ci appoggia una mano sopra con estrema delicatezza quasi potesse rovinarla.

Sorride quando spinge la maniglia e la trova arrugginita come l'ha lasciata, è quasi un sollievo che quel piccolo particolare non sia cambiato.

Facendo pressione la porta si apre leggermene e lei inclina la testa per vedere l'interno.

Tutto al solito posto. Solo il letto ha un piumone diverso e sul giradischi c'è troppa polvere per i suoi gusti.

Si avvicina e la soffia via un paio di volte. Si mette ad osservare i dischi in vinile sulla mensola e ne estrae uno che inserisce subito dopo.

Beatles, “Hello, Goodbye”.

Le prime note si muovono nell'aria che ricomincia a circolare dopo tanto tempo e Alice si perde ad osservare quella stanza con un sorriso felice sulle labbra. Quanto gli è mancato.

Fa qualche passo in avanti e fissa le ragnatele che si sono formate agli angoli dei muri e il lucernario sigillato che ha il vetro sporco, macchiato dalle gocce della pioggia.

Il tempo è passato anche nel garage ma non ne ha modificato i tratti principali, le sue particolarità.

È persa ancora nei suoi pensieri quando sente la porta dietro di sé aprirsi cigolando.

Quando si gira vede Filippo che non osserva lei, ma il garage. Come se anche lui non lo vedesse da tempo ed osservasse i suoi cambiamenti. E forse è proprio così.

Quando alla fine i suoi occhi chiari si posano su di lei, capisce che forse, tra di loro non è cambiato proprio nulla.

-Sei ingrassata e probabilmente ti sei anche inacidita e si, ce l'ho ancora con te. Forse ce l'avrò ancora per un po' di tempo-

-Ma poi ti passerà-

-Già, perché te sei Alice-

-E te Filippo, o meglio...Lip, il mio Lip-

La sensazione che provi quando torni a casa è un qualcosa di straordinario che ci si impegna tanto a capire ma che alla fine non capiamo mai.

È una sensazione che ti fa provare uno strano calore e una felicità improvvisa, quella felicità che ti fa sorridere e piangere allo stesso tempo.

Ah no, forse quello è l'amore.

 

 

 

Un bambino è seduto sul terrazzo di casa con un plaid addosso e un libro sulle gambe coperte da un paio di pantaloncini corti.

Sbuffa da ormai mezz'ora e i suoi capelli neri sono stati tormentati da delle mani nervose.

Il libro si intitola “Primi passi nella matematica”. Inutile dire che a Michele la matematica faccia quasi più schifo della grammatica.

La scuola finirà tra qualche settimana e lui non potrebbe essere più felice ma suo madre lo costringe a fare divisioni su divisioni affermando che non è capace di svolgerle

“Il prossimo anno passi in prima media, vuoi che i tuoi compagni ti prendano in giro perché non sai fare 350 diviso cinque?”.

Esistono le calcolatrice per quello, vorrebbe dire a sua madre.

Dopo l'ennesimo calcolo che non torna, Michele si alza e si appoggia al cornicione, osservando la vita che si svolge per la strada con i suoi occhioni celesti, e quelle signore sedute all'aperto che chiacchierano tra di loro.

Tra poco anche lui sarà libero dalla scuola e potrà starsene tutto il giorno senza fare niente oppure al mare o sul divano a guardare i cartoni animati della mattina che sono sempre meglio di quelli del pomeriggio. Questa cosa ancora non l'ha capita.

Si alza sulle punte dei piedi per riuscire a guardare meglio tutte quelle persone dall'aria frettolosa che salgono e scendono dalle macchine, camminano senza sosta sul marciapiede e sembrano tanto indaffarate.

Hey calmatevi! Vorrebbe urlarli Michele.

In mezzo a quel caos, due ragazzi fuori da un garage sembrano che non siano toccati dal tempo, quasi in un'altra realtà.

Michele li vede abbracciati davanti alla porta scolorita ma non riesce a riconoscerli perché i loro volti sono nascosti.

Si devono stare abbracciando proprio forte.

Michele si guarda intorno sul terrazzo e prende il vaso dove ci sono piantati i tulipani rossi di mamma e lo trascina fino al punto dove vuole lui.

Stando attento a non sporcare le scarpe bianche di terriccio, sale sul bordo del vaso per riuscire a vedere meglio i due ragazzi.

Sono proprio belli da vedere, deve ammettere.

I loro volti sono vicini adesso e le labbra sembrano sfiorarsi.

Bleah, si stanno baciando!

Michele sposta lo sguardo e si tappa gli occhi con entrambe le piccole mani.

Lasciando il cornicione perde l'equilibrio sul bordo del vaso e casca per terra con un urlo strozzato.

Quando riapre gli occhi, le sue scarpe sono diventate marroni e i tulipani di sua madre non sono più nel vaso, anzi, non sembrano proprio più dei tulipani.

Questa volta l'ha combinata davvero grossa.

 

 

 

 

 

 

 

È finita.

Cavolo, odio anche pensarlo!

Allora niente tiri di pomodori e forconi spero!

Filippo e Alice sono di nuovo insieme, come era giusto che sia.

Vi ringrazio per aver passato questi mesi con me e con i miei personaggi. Ho affrontato momenti di calo d'ispirazione, dove non avevo assolutamente voglia anche solo di aprire Word oppure dei momenti in cui scrivere era l'unica cosa che volevo fare.

Grazie per aver seguito questa storia e per esservi appassionate insieme a me.

Grazie per tutti i commenti e per le letture, per l'incoraggiamento che mi avete dato e tutto l'affetto.

Siete veramente meravigliose e io ringrazio nemmeno so io cosa per avermi fatto scoprire questo bellissimo mondo che è EFP.

Ora basta lacrime!

Un bacione e un abbraccio stritolatore a tutte voi,

vostra Giulia :)

   
 
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