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Autore: Elle Douglas    17/10/2011    1 recensioni
A chi non è mai capitato di sognare? A me sì, tante e tante di quelle volte, ma questa volta è diverso, ho immaginato la mia storia con il mio attore preferito, colui che da due anni è entrato nella mia vita con uno dei suoi splendidi sorrisi, di chi sto parlando? Ma di lui: Robert Pattinson!
Ho immaginato un’incontro a Montepulciano e da lì si è sviluppata tutta la storia.
“Cosa succede se una ragazza come tante, un giorno riuscisse a realizzare il suo sogno e a realizzare una vita su quello?" Come sarebbe una vita insieme al suo idolo? Ho provato a immaginare ed ecco cosa ne è uscito... spero vi possa piacere a magari perché no? Anche emozionare!
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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E' la prima volta che mi cimento in un Pov Robert e sinceramente non so nemmeno quanto sia venuto bene, ma mi è venuto così.. anche perchè Van è un po' in suspance al momento, non si sa che fine abbia fatto, si può solo immaginare il dolore che la sta lancinando dentro, e poi, era giusto anche, secondo me, sottolineare lo stato d'animo di Rob dopo quello che è successo..
Il resto è tutto da scoprire, perciò non dovete fare altro che leggere..

Ringrazio come sempre tutte le persone che seguono, commentano e aggiungono la storia tra le loro preferite, è una grande soddisfazione per me vedere che vi piace! Inoltre grazie mille a tutte coloro che mi fanno i complimenti, sono sempre molto graditi per una pessimista come me. :P
Ora comunque bando alle ciance e buona lettura!
Kiss


Pov Robert.

4 Luglio 2010.

L’avevo trattata male, lo sapevo da me e stavo da schifo per questo.
Il tutto era iniziato alla premiere, quella stupida gelosia che d’un tratto era riemersa dopo mesi che stavo con lei. Tutto a causa del suo ex, che aveva deciso di presentarsi rovinandomi la serata e facendomi andare in escandescenza ad un solo sguardo, quando avevo visto il suo corpo vicino a quello di colui che una volta aveva portato nel cuore e di cui si era perdutamente innamorata ero andato su tutte le furie non capendo più nulla.
Avevo visto una sua mano sfiorarle il braccio, avevo visto un abbraccio e un giacca messa sulle sue spalle da parte sua, un mix perfetto per farmi perdere la testa come uno stupido e sfogarmi con lei nel modo sbagliato.
Ora capivo cosa provava lei quando mi vedeva con Kris, lo capivo benissimo e me ne pentivo amaramente.
Non ero stato con lei quando si era slogata una caviglia, non l’avevo sorretta e presa tra le mie braccia quando serviva, tutto a causa della mia stupida popolarità che d’un tratto riprendevo ad odiare.
Se fossi stato un ragazzo normale con una vita normale al di fuori dei riflettori, tutto questo non sarebbe successo, ne avevo la certezza.
Ed ora mi ritrovavo con una sua foto in mano, più che altro nostra.
Eravamo abbracciati e la sua mano poggiava sul mio petto, in entrambi gli sguardi una luce diversa, speciale. Tutti e due felici, tutti e due innamorati.
La buttai sul letto e mi misi le mani nei capelli disperato.
Che avevo fatto? Che mi era saltato in mente quel giorno?
Il suo bracciale era ancora lì sul comodino accanto al letto, su cui lo lasciava ogni sera prima di dormire. Il pendete a forma di cuore con le nostre iniziali risplendeva alla luce del sole quasi accecandomi come a deridermi e illudermi di poterla riavere.
Non osavo toccarlo, sarebbe stato come rimuovere ogni traccia di lei dalla mia vita. Sarebbe stato come non esistere più.
Il ricordo di quella sera mi ballonzolava in mente ad ogni secondo.
Non avevo calcolato il fatto di quanto fosse fragile e sensibile e quella sera avevo fatto traboccare il vaso facendola esplodere e uccidendomi allo stesso tempo. L’avevo accusata di qualcosa che non c’era e che mi ero messo in testa come un bambino capriccioso e stupido.
Negli ultimi giorni causavo discussioni su discussioni come niente e per niente, riportando poi tutto al punto focale del mio problema: la paura di perderla, che esprimevo male e che sfogavo nel modo sbagliato aggredendola e usando parole pesanti che non erano in me e che non la rispecchiavano neanche minimamente.
L’ultima discussione era stata la più dura e la più acida dal mio punto di vista.
Lei dormiva ancora chiusa in camera dopo una serie di pianti che le sentii fare per tutta la notte in cui singhiozzi e muggiti mi fecero più volte avvicinare alla porta tentando di aprirla, ma con l’orgoglio che avevo quella sera non ne ebbi mai il coraggio. Tenevo la chiave di riserva della camera in tasca e avvicinandomi più volte avevo tentato di infilarla nella toppa senza mai, però arrivare a girarla per aprirla.
Ero stato un verme, schifoso verme viscido che l’aveva fatta soffrire senza ritegno calpestando il suo amore.
La mattina presto, dopo svariate ore di sonno su quel divano scomodo dove mi ero appollaiato col sottofondo dei suoi pianti, venni svegliato da un bip improvviso di un telefono dal tavolo, pensando fosse il mio, l’avevo aperto ancore in preda a Morfeo.
Sullo schermo lampeggiava una bustina che si apriva e chiudeva con sottoscritto un numero cinque al di sotto.
Decisi di sedermi sul divano e dopo aver strofinato un po’ gli occhi, ancora appannati e venati dal brusco risveglio, apri la sezione dei messaggi a sua insaputa, senza sapere a cosa andavo incontro, o meglio a cosa credevo di andare incontro.
Cinque nomi di ragazzi campeggiavano tra i messaggi non letti.
Sgranai gli occhi passandoli in rassegna uno per uno: Diego, Nick e Cesare. Gli ultimi due mi erano conosciuti, il primo mi era abbastanza insolito, motivo in più per sospettare, motivo più per ingelosirmi, motivo in più per esplodere.
Tre messaggi arrivavano da Nick, uno da Cesare e uno da Diego.
Mi alzai nervoso dal divano, senza leggerli, senza nemmeno aprirli, ciò che avevo visto mi bastava, o almeno così credevo per trarre conclusioni affrettate, fin troppo affrettate e la mia voglia venutami in mente nella notte appena trascorsa di chiederle scusa mi passò di colpo.
Decisi di scendere giù, abbandonare quella stanza ed andare a prendere un cappuccino magari, passeggiare per riprendermi.
Quando rientrai, dopo circa un ora dal mio giro di sbollimento la trovai sul divano intenta a guardare la tv, o almeno così pareva dato che il suo sguardo era del tutto vuoto. Ma non mi fermai, stupido come sono rincarai la dose della sera precedente e presi di nuovo ad attaccarla con apparente calma.
Presi il suo telefono, dal luogo in cui lo avevo riposto e che lei non aveva nemmeno visto e glielo lanciai sul divano senza nemmeno salutarla.
Ricordo il suo sguardo, i suoi occhi erano rossi e gonfi per la notte appena trascorsa in pianti.
Dovevo fermarmi. Perché non mi ero sciolto davanti a quella visione e l’avevo accolta tra le mie braccia invece di aggredirla, come avevo sempre fatto prima di allora? Perché avevo pensato male di lei?
STRONZO. STRONZO. STRONZO.
Gridava la mia coscienza mentre mi tenevo la testa tra le mani a quell’incubo.
“Ti sono arrivati cinque messaggi stamattina. Tutti dai tuoi spasimanti”, dissi sorridente togliendomi i miei RayBan.
Di nuovo quello sguardo perso e incline all’incredulità.
“Hai letto i miei messaggi?”, mi accusò lei sospettosa e adirata.
“E’ mai stato un problema forse? Mi pare che non ci siamo nascosti mai nulla, siamo sempre stati fedeli l’uni all’altro, o non è più così?.”, azzardai riempiendole il vuoto.
“Perché fai così Rob?”, disse di nuovo con gli occhi gonfi di lacrime. “Non ho fatto nulla, non ce nessuno oltre te nella mia vita. Amo solo te, sempre e solo te Rob”. Mi guardò con uno sguardo deluso e amareggiato dalle mie ultime parole.
Non mi curai di ciò che disse, ero accecato dalla gelosia e da quella maledetta paura di perderla senza rendermi conto che facendo in quel mondo l’allontanavo di più.
“Se non è come penso io, perché continuano a mandarti messaggi? Trovami una spiegazione perché io non so cosa pensare!” ed ecco che iniziava una nuova discussione. L’ennesima scena che si ripeteva ogni giorno da due giorni ormai.
Lei ammutolì, non rispose mentre i suoi singhiozzi diventarono più frequenti e forti.
Corri da lei, abbracciala e baciala. Scusati. Non farla soffrire! Urlò la mia attuale coscienza al ricordo di questa scena.
Poi i suoi occhi ancora più rossi e lucidi si voltarono lentamente entrandomi dentro la memoria.
Il suo sguardo era vacuo, privo di ogni sensazione, ormai del tutto vuota.
“Rob, non starai di nuovo mettendo in dubbio il mio amore per te vero?”, chiese incredula incapace di avvicinarsi schiarendosi la voce, ormai più bassa e roca a causa mia.
“SI. Si che lo sto mettendo in dubbio, ok? Forse non è più come prima! Forse ti è venuta voglia di nuovo di metterti con LUI! Perché infondo il tuo giro con me l’hai avuto, no? Sei diventata una diva! Tutti ti cercano, tutti ti vogliono, io non ti basto più.. puoi metterti con chiunque ora! Puoi chiamare Nick, Cesare e anche quel Diego che campeggia tanto nella tua rubrica”.
Lei si alzò e come un automa misurò distintamente le parole una per una, lo vedevo dai suoi occhi.
Stava per esplodere. Dovevo fermarmi lo sapevo.
“Il mio giro?”, strizzò l’occhio destro in preda ad un tic nervoso. “Il mio giro Rob? Spiegami di cosa stai parlando ti prego perché non ci capisco davvero più nulla! Credi che io stia giocando con i tuoi sentimenti Rob, credi che non ti ami per davvero come ogni volta ti professo? Credi che mi sia messa con te solo per popolarità e questo che pensi Rob? O credi, ancor peggio che io sia una poco di buono e che ti abbia solo sfruttato per andare sempre più in cima? Quali di queste cose pensi Rob perché non l’ho ben chiaro ora!”. Il suo pronunciare ad ogni frase il mio nome mostrava evidenti segni di nervosismo che cercava di tenere a bada.
“In realtà lo sai cosa? Penso tutte e tre le cose!”, dissi noncurante della reazione che stavo per scatenare e della sofferenza che le stavo procurando.
Le lacrime iniziarono a vacillare  di nuovo dai suoi occhi, ormai sconfitta dal dolore. Lo vedevo bene mentre io me ne stavo lì inerme senza abbracciarla e senza tornare suoi miei passi.
Colpita e affondata.
“Come puoi dirmi questo? Come puoi pensarlo davvero? Ogni parola, ogni promessa, ogni bacio è sempre stato pura verità. Te la prendi con me solo per un paio di telefonate, e per una festa a cui io NON VOLEVO NEMMENO PARTECIPARE. Te la prendi con me per la pura idea che vuoi avere e per tutte le macchinazioni che il tuo cervello ha fatto, mentre io? Cosa dovrei dire io? Che sopporto dall’inizio della nostra storia la tua farsa con Kris, sopportando ogni vostro bacio, ogni vostra carezza per accontentare i fan. Cosa dovrei dire io?”.
“Non ribaltare la frittata ora!”, gridai.
“Io non ribaltò nessuna frittata! Ti dico solo le cose come stanno, la pura e semplice verità!”.
Il suo cuore cadde a pezzi dentro di lei, mi sembrò quasi di sentirlo.
Abbassò lo sguardo e un ultima lacrima cadde sul pavimento ormai sconfitta dal dolore che le stavo provocando.
“Non ti fidi più di me?” domandò con un filo di voce ormai rotta, incrociando i miei occhi per constatare la mia espressione,
“Non lo so più..”, risposi sotterrandola nel baratro più eterno.
Vidi bene quell’espressione che le si dipinse in volto dopo queste mie affermazioni, tutte eternamente sbagliate.
Era pari al vuoto che avevo ora io.
Quel silenzio assestante mi disarmò facendomi ritornare in me, anche se ormai troppo tardi.
La vidi entrare in stanza, in questa stanza che ora uccideva i miei pensieri e mi riportava lei in mente.
La stanza che era stata testimone fino a otto giorni prima di un intenso amore.
La lasciai lì, in preda al nervosismo, senza salutarla spalancai la porta e mi avviai verso l’uscita per sbollirmi un po’ per l’ennesima volta quella mattina.
Tornai in albergo dopo tre ore buone dopo aver camminato per tutta Los Angeles credo, con mille pensieri e ripensamenti in testa.
Apri la porta della suite piano impaziente di vederla e di chiederle scusa, per confessargli quanto stupido ero stato in quei giorni, per abbracciarla e baciarla consolandola, ma quando la chiamai ripetutamente, di lei non c’era nemmeno l’ombra, sul tavolino all’ingresso un biglietto.
 
“Scusa per averti disturbato.. nel mio cuore ti ho amato sempre e sempre ti amerò”.
 
Il mondo mi crollò addosso nello stesso istante in cui lo lessi.
L’avevo persa.
 
Mi sembrava di vivere in incubo. Un incubo dal quale non riuscivo a riemergere nemmeno se lo volessi.
Erano sette giorni di pura agonia. Sette giorni in cui non sapevo più nulla di lei.
Per quanto la chiamassi, per quanto la cercassi, non riuscivo a reperirla.
Non rispondeva alle mie chiamate, e rifiutava di rispondere anche a quelle di Ashley, che quando venne a sapere la storia mi scannò vivo scavandomi la fossa in cui buttarmi. Erano sette giorni in cui nemmeno lei mi rivolgeva più la parola.
Non rispondeva a nessuno che fosse del cast, non rispondeva alle mie mail tanto meno ai messaggi che gli mandavo in ogni nano secondo della mia misera vita.
Non sapevo dov’era, se stava bene, cosa assai poco probabile.
Non voleva più sentirmi era chiaro e forse anche giusto, mentre io a poco a poco mi sentivo morire.
Che avevo combinato? Perché ero stato così stupido, così accecato da quella gelosia per non vedere il suo dolore?
Mi mancava, mi mancava terribilmente, più delle altre volte, perché sapevo che non sarebbe tornata.
Vivevo quei sette giorni a stento, in cui mi sembrava di non riuscire più a trovare un mio equilibrio, tutto era precario, tutto mi sembrava fuori posto e assurdo.
 
Avevo bisogno di parlarle, volevo poterle chiedere scusa, dirgli che ero stato uno stupido e forse anche di più, volevo darle spiegazioni di quel mio comportamento macabro, volevo che tornasse tutto come prima, la volevo di nuovo vicina a me, volevo che tornasse mia. Solo ed esclusivamentemia.
Volevo poterla ancora osservare in ogni suo gesto, volevo sentirla ridere e conoscere ancora in ogni sua azione , volevo amarla, rassicurarla e proteggerla ogniqualvolta ne avesse bisogno, ogniqualvolta avesse bisogno di me.
La rivolevo indietro.
 
Ti prego ritorna. Sto davvero male amore”, digitai per l’ennesima volta in preda a quel dolore malsano che mi divorava.
Avrei voluto chiamarla, sentire la sua voce e rassicurarmi almeno per un po’ pregandola di ritornare, anche in ginocchio, anche piangendo se avessi potuto. Sapevo che le mie lacrime non sarebbero state uguali alle sue, ma le avrebbe sentite, avrebbe sentito quanto stavo male senza lei.
Non conoscevo nessun numero delle sue amiche, e non potevo tantomeno chiamare i suoi genitori per constatare che fosse a casa, perché se così non fosse stato avrei preoccupato loro e me al tempo stesso e non volevo.
Ma avevo urgente bisogno di lei.
Mi buttai sul letto e iniziai a piangere, come sempre da quando se n’era andata.
 
Un trillo del telefono dopo una mezzora mi fece sperare in qualcosa.
Il mio cuore iniziò a sobbalzare.
Girai lo schermo del telefono piano e le mie speranze svanirono.
 
“Pronto Nick?”, dissi amorfo e con la gola dolorante.
“Dove sei Rob? Ti stiamo aspettando tutti giù in reception per l’intervista”.
Oddio l’intervista. La mia mente non connetteva più con tutto quello strazio.
“Ah, già… ok! Un’attimo e arrivo..” sbiascicai e staccai la chiamata prima che il mio agente potesse ribattere.
Mi passai una mano tra i capelli esausto, ripresi la foto dal letto e la riposizionai nel cassetto guardandola per l’ultima volta.
 
Nonostante il dolore lancinante che sentivo nel petto dovevo mascherarmi di una felicità che non avevo e indossare un sorriso che il più delle volte pareva forzato anche a me per quanto era finto. Speravo che nessuno se ne accorgesse, speravo di non dover dare spiegazioni a nessuno, specie a quei giornalisti succhiasangue che mi divoravano da tre anni.
Dovevo fingere di stare bene, e ridere anche se in controvoglia, come se stessi interpretando un ruolo in film, dovevo fare il mio lavoro, dovevo fare l’attore anche nella vita reale.
Dovevo mantenere la concentrazione ma non ci riuscivo per più di un'ora, poi iniziavo ad andare nel pallone a perdere il gusto anche di parlare e la mia mente tornava a lei, al mio punto di riferimento, il centro del mio mondo, lei. Le interviste furono le solite, risposi cordialmente, sorridendo il più possibile, scherzando e cercando di mettere da parte tutta la rabbia e l’angoscia che avevo dentro.
In compenso mi muovevo sulla sedia, incapace di trovare una posizione comoda.
Uscì dalla stanza stralunato ed esausto come se avessi lavorato invece di parlare.
Mi faceva male la testa e mi sentivo intontito.
Kris e Taylor erano dietro di me.
“Come stai?”, chiese Kris seriamente preoccupata del mio stato di salute mentale appoggiandomi una mano sulla spalla come incoraggiamento.
“Non si vede? Sto da schifo!”, sbuffai appoggiandomi a una finestra lì vicino per riprendermi.
Indossai gli occhiali.
Avevo di fronte a me due volti che si confondevano con il mio per l’angoscia.
“Devo sentirla. Ne ho bisogno, non ce la faccio più..”, confessai quasi sull’orlo di una crisi di pianti. “Sapete qualcosa da Ashley a riguardo? L’ha sentita? Non vuole parlarmi, non sente ragioni per farlo”.
I due si guardarono.
“Non abbiamo saputo nulla Rob”, disse Taylor, “non ne parla perché sa che alla fine te lo diremmo quindi evita di toccare l’argomento con noi”.
Mi portai una mano sulla testa.
“Perché vuole farmi soffrire? Insomma, voglio solo sapere dov’è, come sta, visto che non posso parlarci..”, volevo piangere, ma sarebbe stato uno strazio anche per loro, e non volevo mostrare le mie pene anche agli altri nonostante fossimo amici.
“Ti capiamo Rob cosa credi? Ogni giorno sento Ash e cerco di spillarle qualcosa, ma nulla. Cambia discorso appena tocco l’argomento. Secondo me comunque l’ha sentita altrimenti non eviterebbe. Magari Nikki sa anche qualcosa però..” ammise Kris dandomi un barlume di speranza.
Non era amica diretta con Vanessa come Ashley, ma era grande amica di quest’ultima e magari sapeva qualcosa.
Non ci pensai più di tanto, presi il telefono dalla tasca e chiamai nonostante l’avessi vista poi nel pomeriggio. Non volevo aspettare, se c’era qualcosa da sapere dovevo conoscerla.
“Pronto Nikki?”.
“Ehi Rob.. come va?”, chiese come se mi dovesse vedere da mille anni.
“Va che ho da chiederti una cosa a cui mi devi rispondere per forza: dimmi cosa sai di Vanessa? So che parli con Ashley..”, sputai tutto d’un fiato.
“Mmh.. non so Rob, Ash mi ha raccomandato di non farti sapere nulla”, disse pensierosa.
“Non me ne frega un cazzo di quello che dice Ash! Vanessa è la mia ragazza e devo sapere qualcosa di lei, è da giorni che sto di merda, sono nel baratro più profondo e non riesco ad andare avanti, sembra che mi hai visto. Me lo devi Nikki..” esplosi di rabbia. Ash che dettava legge nella mia vita.
Quella titubò un po’ accentuando i miei nervi e innescando la loro esplosione.
“Non ne possiamo parlare da vicino? Oggi pomeriggio ritorno”.
“Pomeriggio un corno Nikki. Ho bisogno di sapere ORA!”.
“Ok..” sbuffò. “Con Ash ci parli tu poi..”. Stavo per sbraitare quando iniziò a parlare di lei.
“Allora, Vanessa dopo la vostra ultima litigata in cui TU hai fatto traboccare il vaso, è tornata in Italia, ma non a casa sua. Non vuole preoccupare i genitori, a cui ovviamente non ha detto nulla, per loro lei è ancora con te a Los Angeles. E’ a casa di un’amica, a Roma. Lei mi pare si chiami Giorgia, molte volte Ash chiama anche sul suo numero, perché il suo a volte lo stacca per non sentire ne te, né nessuno”.
“Come sta?”, chiesi d’un fiato assorbendo come una spugna le informazioni ricevute.
Una pausa e un sospiro.
“Come vuoi che stia Rob? Di certo non balla sui tavoli la conga e non sprizza felicità. Sta male. A volte non vuole nemmeno rispondere ad Ash, e la sua amica sta male nel vederla piangere e deperire ogni giorno di più”.
“Deperire in che senso?”, sgranai gli occhi seriamente preoccupato, cercando di escludere l’unica verità che combaciava con quella parola.
“Non mangia Rob. Ci sono giorni in cui è difficile che tocchi cibo e se lo tocca dopo vomita perché è nervosa e triste. Di notte molto spesso grida il tuo nome seguito da degli incubi che la fanno svegliare e piangere. E’ chiusa in una stanza, non esce più. L’ha presa male Rob, le hai fatto male non puoi negarlo. Ti ama più di ogni altra cosa al mondo, non ti tradirebbe mai”. Io intanto ormai stavo piangendo. Non emettevo nemmeno un suono a causa del nodo che sentivo in gola in quel momento. Le avevo fatto del male. Troppo male. Era da un amica, piangeva e non mangiava a causa della mia stupida ossessione. Non sapevo che fare. Volevo andare da lei, dirgli che andava tutto bene e che l’amavo e l’avevo sempre amata e che quei momenti erano stati solo attimi di pura pazzia e gelosia che mi avevano fatto diventare un mostro.
Volevo riaverla tra le mie braccia, vicino a me, sorridente e radiosa mentre mi aiutava a sopportare questa popolarità e questa invadenza con un sorriso.
Volevo baciarla, farla mia di nuovo.
“Ci sei?”, gridò Nikki dall’altra parte.
Rinvenni straziato più di prima.
“Hai il numero di questa ragazza?”.
“Cosa vuoi fare?”
“Voglio sentirla e parlarle”.
“Rob, non te lo consiglio. La faresti stare peggio, lascia stare”.
“E voi che la chiamate sempre?!”
“Noi non siamo le dirette interessate della vicenda”
“Tu no, ma Ash sì. Se non fosse stato per quella festa non ci troveremmo in questa situazione ora, a soffrire come cani. Dammi quel numero”, ripetei categorico.
A quel punto fu costretta e dandomelo sbuffò più volte.
La ringraziai e chiusi la telefonata.
 
Guardai soddisfatto i due spettatori lì vicino che parevano essere rimasti con il fiato sospeso, ma non era il momento di spiegare, dovevo saperne di più dalla diretta interessata o almeno da colei che le era vicina in quei momenti.
Feci un rapido calcolo del fuso e chiamai decretando l’ora italiana accettabile per una telefonata inaspettata.
Composi il numero e iniziai a farlo squillare.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei squilli poi qualcuno avviò la chiamata e il suono di un respiro entro nelle mie orecchie.
“Pronto?”, chiesi cordialmente aspettando una voce dall’altra parte. “Van?”, chiesi speranzoso.
   
 
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