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Autore: The Theory    17/10/2011    6 recensioni
Questa è la mia primissima FanFiction sul pairing Ben/Gwen! Spero sia di vostro gradimento in quanto la mia esperienza relativa a questo cartone è poca...
La vita di Ben subì un poderoso cambiamento quattro anni prima, quando l'Omnitrix si spense. I sentimenti di Ben sono da allora un altalena confusa tra la voglia di recuperare la sua passata natura aliena e l' abbandonare l'impresa. Una corsa contro il tempo, una pericolosa storia d'amore ed un racconto dal sapore dolce di ciliegia, rivisto in chiave allo stesso modo comica e triste, che spero faccia sorridere sul primo grande amore e le follie che per esso si fanno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Ben rimase stupito dall’espressione contrita della zia. Cosa gli avrebbe chiesto?
- Vedi, Ben – mormorò la donna sedendosi.
- Tu e Gwen siete cugini. Ma ad ogni modo, un ragazzo ed una ragazza.
Ben, d’improvviso, realizzò:- in proposito! Ne abbiamo già discusso, io e Gwen.
Lily rimase immobile a fissarlo con un’espressione incerta, come a non aver adeguatamente afferrato.
- Voglio dire – Ben si schiarì la voce – io e Gwen abbiamo già chiarito di essere pur sempre parenti e di mantenere la dignità per quello che sarà il periodo natalizio. Immagino fosse questo cui volevi alludere.
- Mio Dio, certo, avrei detto anche questo…ma non è ciò di cui parlo ora – lo corresse la zia temperando le parole. Il suo viso, era chiaro, esprimeva una certa inquietudine; il ragazzo la fissò dipingendosi addosso un’aria angustiata ma, soprattutto, vogliosa di approfondire:- potresti…spiegarmi? – domandò con tono titubante.
- Mi dispiace farti perdere tempo con le mie chiacchiere,Ben…ma io devo parlarti assolutamente. Ora che Gwen non c’è. Sono passati tanti anni ma è il caso che tu sappia.
- Ascolterò – promise Ben.
Lily Tennyson sospirò profondamente, massaggiandosi con nervosismo le nocche:- tuo padre e mio marito sono fratelli,lo sai. Tua madre ed io, cognate. Quello che però non ti è mai stato detto è che tu e Gwen…
- Mamma!
Lily sobbalzò udendo la voce della figlia provenire dalla scalinata retrostante.
- Sei a casa! – esultò Gwen poi tossendo.
Ben fissò la zia ammutolendo. La frase era stata troncata prima ancora di svilupparsi ed i suoi dubbi, partoriti certo nella curiosità, ma come pure nella paura e nell’incertezza, rimasero galleggianti in quella che parve essere atmosfera pesante e tagliabile con un coltello. L’arrivo di Gwen aveva spezzato quel canale di comunicazione così prezioso venutosi a creare tra zia e nipote.
- Gwen, che ci fai in piedi? – chiese preoccupata la madre alzandosi.
Ben mormorò:- io…vado a casa.
Si era detto che non avrebbe ad ogni modo potuto insistere circa quel fatidico discorso, visto che la zia – poco prima – aveva ben specificato fosse necessaria l’assenza di Gwen.
- Ben…- sussurrò Lily abbandonando ogni iniziativa – parleremo…alla prima occasione.
- Aspetterò – sorrise lui debolmente.
- Ora corri, prima che faccia buio pesto – sdrammatizzò la zia.
- Certo…ciao a tutte – scandì il giovane sollevando la mano in segno di saluto.
Gwen sollevò a propria volta il palmo avvolto dalla larga manica aperta della camicia e osservò suo cugino sparire. Si limitò a questo.
 
Per strada, camminando a passo svelto, Ben cominciò a rimuginare. Cosa voleva dire sua zia non lo sapeva. Ma moriva dalla voglia di approfondire. Controllò l’ora sullo schermo del cellulare: si erano fatte ben le sette di sera. E non aveva neppure studiato – non che solitamente lo facesse – né s’era cambiato. Si sentiva addosso una sensazione di sudicio che quasi gli piaceva. Per meglio dire, non aveva alcuna voglia di svestirsi per lavarsi, visto il freddo pungente che lo stava torturando. Storcendo il naso proseguì lungo la propria strada.
Si rese conto, continuando a meditare, che la propria mente stava seguitando – con una certa caparbietà – a riosservare tra sé, come si trattasse si riavvolgere un nastro con una monotona ostinazione, il corpo e le espressioni di Gwen, i suoi occhi ed il suo viso. Ricordò quanto successo durante quella sciagurata giornata e scosse la testa, schiacciato dai pensieri. In pochi minuti giunse a casa e socchiuse la porta principale che, inaspettatamente trovò aperta. Suo padre Carl, adagiata la valigia sulla tavola, si preparava per la partenza ultimandone il riempimento alla meno peggio e sbocconcellando qualcosa, in quel caso, grissini.
Ben sussurrò:- papà…
L’uomo si girò di scatto:- Oh, ciao, Ben!
- Sei…pronto per partire? – chiese il ragazzo adagiando il giubbotto sul divano.
- Ero preoccupato a non trovarti a casa Ben – l’ignorò il padre – dove sei stato?
- Da Gwen…è malata – spiegò il figlio con voce flebile. Era quasi intimorito da quello sguardo così nuovo e contratto del genitore.
- Non farmi prendere di questi colpi…- bisbigliò distrattamente Carl.
- Scusa… - balbettò Ben facendosi piccolo piccolo.
- Non ho neanche preparato la tavola… - puntualizzò l’uomo strofinando la fronte con un forte disappunto.
- Non importa, sono appena le sette…- l’assolse Ben.
- Ti vedo pensieroso figliolo – cambiò discorso il genitore.
Ben si mise in bocca un grissino rubato dal pacchetto del padre e, sedutosi, poggiò il mento al palmo caldo della propria mano destra. Borbottò solamente un flebile:- sono stanco, tutto qui…
- Smettila, Ben: non sei mai stato bravo a mentire – lo canzonò Carl sedendo.
- Effettivamente…sto riflettendo… - ammise Ben. 
- Riguardo cosa?
Ben non seppe se effettivamente fosse stato opportuno o meno, ma gli premeva voler fare quello che aveva in mente. Riflettendo tra sé con gran intensità aveva partorito una certa domanda, nel proprio capo, ma non aveva ancora trovato un adeguato qualcuno cui porla. Quel qualcuno avrebbe potuto essere suo padre. Quindi, dettosi questo, si schiarì la voce.
- Avrei una domanda… - mormorò Ben ignorando il padre.
- Chiedi pure ciò che vuoi – l’incoraggiò Carl.
Ben masticò con una lentezza impressionante, come alla ricerca di tempo, necessario a frenare un febbrile nastro di pensieri.
- Hai mai ponderato…nel corso della tua vita…
Ben fece una lunga, interminabile pausa.
- Magari per caso…non lo so…
Silenzio.
- Via Ben, arriva al punto! – si lamentò il genitore impensierito.
- Che diamine, aspetta un secondo! Non sono domande facili! – sbottò il ragazzo corrugando le sopracciglia ed arrossendo piuttosto intensamente.
Allora Carl tacque, limitandosi a sbuffare.
- Hai mai pensato all’incesto? – chiese dunque il ragazzo.
Il padre tossì mandando di traverso il grissino che aveva in bocca. Poi però tacque, osservò il figlio e sussurrò:- dipende cosa intendi.
- Che altro potrei intendere se non quello che sto…intendendo?! – Ben assunse un’aria imbarazzata che gli donò nuovamente un acceso colorito rossastro.
Aggiunse:- gradiresti spiegarmi?
- Spiegami tu – rimandò Carl.
- Voglio dire – sbuffò Ben lievemente indisposto – ti è mai capitato di provare una certa attrazione, nel senso più ampio del termine, sia chiaro, per un tuo familiare?
- Ehi, non dirmi che ti sei innamorato di mamma! Lei è mia! – intervenne il padre.
Ben saltò in piedi:- Certo che no!
- Non so quanto tua madre potrebbe gradire un rinnego così esplicito – ridacchiò il padre.
- Sto parlando seriamente! – si lamentò Ben indispettito.
- Stavo scherzando – gli sorrise il padre - tu volevi in qualche modo alludere a Gwen, non è così?
Ben arrossì:- non è come pensi! È un argomento…che stiamo studiando a scuola in Diritto! Ho solo bisogno di informarmi…
Il padre non disse nulla.
- Allora?! – chiese Ben teso.
- Allora io credo che ci sia qualcosa di strano nelle tue parole, figliolo. Non me la racconti giusta; Ma risponderò alla tua domanda. Provare attrazione per un parente penso sia pressoché impossibile, questa è la mia opinione.
Ben sentì un boato dentro sé. Le parole del padre gli si appiccicavano addosso, rimbombavano nella sua testa, lo fecero sentire quasi male. Curioso il perché, ad ogni modo sconosciuto.
- Rifletti, Ben. Una persona che vedi tutti i giorni – se si parla di membri del proprio e più stretto nucleo famigliare – o molto spesso,quindi nonni, zii, cugini – con cui condividi orbene una casa, tratti somatici, sangue! Una persona così vicina, così simile, così specchio di te non potrà mai farti provare più che amore familiare, quell’amore – s’intende – che una madre può provare per un figlio! Non sarà mai lo stesso che prova per il proprio uomo. Non sto sminuendo né l’uno né l’altro, ma capirai quanto tra loro, per quanto simili, possano essere sentimenti diversi, più che di entità, di carattere. Tra madre e figlio c’è del sangue, mi segui?, un legame così particolare che non può essere altro che amore familiare e non attrazione. È solo un esempio, non esiste solo questo grado di parentela. Come puoi innamorarti quindi di qualcuno che, alla fine, possiede in sé almeno un pezzettino di quello che sei tu? Varrebbe a dire che ti innamoreresti un po’ di te stesso… quindi…ripeto: come potresti innamorarti di un tuo parente?
- E se così fosse? – chiese Ben titubante, abbassando lo sguardo.
Carl sospirò:- credimi…non può essere. C’è senz’altro…qualcosa che non va…
Ben non notò la vena malinconica andatasi a dipingere nello sguardo spento del padre. Era troppo assorto, troppo preso, soffocato da quei mille pensieri che gl’affollavano la mente. Che domande faceva? Perché?!
- Non pensare male – aggiunse Ben – la mia era una domanda casuale, pura curiosità.
Carl gli sorrise debolmente:- non preoccuparti figliolo. Se le cose non si approfondiscono e non si analizzano per come sono, non si potrà né capirle, com’è ovvio, né mai viverne l’essenza.
 
Lily Tennyson apparecchiò la tavola quando suonò il campanello e, nonostante fosse affaccendata, s’apprestò ad aprire la porta.
Davanti a lei, la figura stanca di suo marito.
- Frank…?
- Lily.
- Com’è andata? – chiese la donna con voce flebile.
- Come doveva andare. – rispose il marito cavando il cappotto e mettendosi a sedere.
Lily si riportò ai fornelli e, mescolando il sugo sulla teglia che tanto amava, regalatale da Max pochi anni prima, domandò- Tutto…bene?
- Bene.
- Sei raffreddato?
- Al solito.
- Vuoi una tazza di the, dopo?
- No.
- E se…?
- Vuoi piantarla?! – sbottò l’uomo alzandosi in piedi.
La moglie rimase paralizzata, impaurita come da anni non l’era più capitato. Preferì non voltarsi, sapeva bene che quando era preso dalla rabbia, Frank era intrattabile e facile alle mani. Lo sapeva grazie ai ricordi di gioventù. Perché da tant’anni il loro matrimonio durava, s’era spento e chiuso in sé stesso. E per lei non c’era spazio, tranne quando egli s’accorgeva che non poteva dormire solo.
- Perdonami – mormorò l’uomo rimettendosi a sedere con una certa incuranza.
- Fa nulla – sussurrò la donna.
- Fa nulla…- ripeté soffocando un gemito.
- Dunque andremo a Madrid…?
- Esatto – rispose la moglie.
- Non ho mai detto che Madrid mi fosse particolarmente piaciuta – sottolineò Frank con sarcasmo.
Lily deglutì, ingurgitando l’ennesimo rospo.
- Ma è dove ci siamo conosciuti…- specificò dolcemente.
- Se devo dire la verità non credo sia poi tanto importante – rimarcò l’uomo.
Lily tacque.
- Come al solito decidi le cose per conto tuo – sbuffò dunque il marito aprendo il giornale del giorno posato sul tavolino del salotto.
- Non è affatto vero, Frank. Sai benissimo perché l’ho fatto.
- No, non lo so.
- Non fare finta di niente, miseria!
Il tono zuccherato della donna fu inghiottito dalla rabbia. E divenne aggressivo.
- Non faccio finta di niente, se non so.
- Smettila.
- Cosa devo smettere?
Lili strinse le dita lungo il manico di legno del cucchiaio con il quale mescolava il rossastro sugo di pomodoro. Pregava Iddio di non mettersi a piangere come sempre capitava.
- Smettila e basta.
- Solo io? – chiese stizzito il marito.
- Solo tu. – asserì la donna freddamente.
- Che colpa ne ho, Cristo? Lavoro da mattina a sera e vengo trattato così!
- Ed io no?!
- Che c’entri tu?!
- Io sono ridotta ad una schiava, Frank!
- Forse te lo meriti?!
Un’espressione desolata assalì il volto della donna, contrito ed affranto da poco prima.
- Non puoi trattarmi così…- bisbigliò trattenendo il pianto.
Frank si alzò con il giornale in mano:- davvero?!
- Davvero!
- Non parlarmi a quel modo come se nulla fosse!
L’uomo, stizzito, colpì la moglie in pieno viso con il giornale procurandole un piccolo taglio dovuto ad un lembo di carta fuori posto. Ed in quella, per l’urto subito dal corpo di Lily la padella cadde a terra.
 
Gwen era salita in camera sua dopo quelli che le parvero brevi convenevoli con la madre. L’affaticamento della malattia la scocciava ma non poteva che abbandonarsi al riposo. Infilatasi con stanchezza sotto le coperte spense persino l’abat-jour, consapevole del fatto che fossero appena le sette di sera. Rispetto al pomeriggio, doveva ammetterlo, il dolore si era attenuato, molto probabilmente grazie alle medicine. “E a Ben” si scoprì a pensare.
I ricordi del giorno l’assalirono d’improvviso. Gwen si rese conto di quanto ridicola era stata e si voltò dalla vergogna. Ammise di aver esagerato. Ma improvvisamente udì uno scroscio e sbarrò gl’occhi terrorizzata. Era successo qualcosa e sperava non fosse ciò che credeva.
 
Ben si alzò con aria stanca e annunciò:- vado di sopra, sono infiacchito ad una maniera assurda.
- Allora dobbiamo proprio salutarci ragazzo mio – mormorò il padre Carl alzandosi anch’egli.
- Cosa? Non parti domani? – Ben sgranò gli occhi.
- No, il volo che la ditta mi ha procurato è prenotato per stanotte. Lo sai no, costa meno, a quanto pare…- spiegò il padre.
- Io non sapevo che dovessi andartene così presto, sono le sette e mezzo!, se preferisci resto qui a farti compagnia, io non immaginavo…!
- Lascia stare, Ben, non impensierirti. Non ne vale la pena, credimi, dovrò uscire di casa per le otto circa, non mi resta molto tempo per cincischiare. Contando il tragitto verso l’aeroporto,che già di per sé è impegnativo, l’anticipo che mi voglio assicurare ed il volo sai bene che dovrò proprio partirmene per quell’ora. Ecco tutto…
- Bè…Buon Natale…allora- bisbigliò il ragazzo.
- Anche a te, figlio mio. E mi raccomando, divertiti. Divertiti più che puoi, divertiti anche per me – sussurrò Carl posandogli una mano sulla spalla.
- Lo farò…
- Non farmi pesare di averti lasciato qui da solo, ti scongiuro…
- Fidati di me…
- Ciao, Ben…- mormorò il padre.
- Ciao…papà…
Uno sguardo raddolcito si posò sul giovane, per poi essere inghiottito dalle tenebre e dal gelo dell’esterno. Il chiudersi della porta, con un botto, sgombrò la mente di Ben che, rimasto zitto, sospirò. Si sentì improvvisamente addosso una pesante responsabilità.
 
Gwen socchiuse la porta della propria stanza e, a piccoli passi, sbirciò dal muro accanto alla scalinata. Quello che vide la fece spasimare. Era ricominciata la routine. La teglia che, immaginò, stesse poco prima sui fornelli, era rovesciata a terra ed aveva lasciato il sugo versarsi mentre un cucchiaio di legno, che Gwen dedusse fosse stato adoperato per mescolare, se ne stava abbandonato poco più in là. La ragazza udì la voce di suo padre:- non sei nemmeno in grado di cucinare…
- Partiremo per Madrid in ogni caso, non pensare che rinuncerò…non credere di mettermi paura - mormorò la moglie.
- Fa quello che ti pare…
- Non dirmi “fa quello che ti pare” se sai benissimo che eseguo a testa bassa ogni tuo ordine!
Frank alzò pesantemente il tono di voce:- non dovrebbe essere così dal momento che sei incapace di fare qualsiasi, minima, stupida cosa?!
Lily si morse il labbro inferiore, ingurgitando una forte voglia di singhiozzare.
Gwen scivolò a ridosso del muro andando a rannicchiarsi sulle ginocchia. Soffocò un gemito, quasi ferita personalmente. Così non poteva andare avanti, proprio no, e tutte quelle botte e messe a tacere, tutti quegli sberleffi andavano rispediti al mittente.
- Sei cambiato… - biascicò Lily abbassando lo sguardo.
- Non sono cambiato io! Tu semmai! Da quella stupida storia su Gwen sei ancor più scocciante di quanto non sia al solito…! Che vuoi da me?! Che posso fare se non ascoltarti?! Non posso rispondere io dei tuoi errori di vita!
Gwen sbarrò gli occhi. Il gelo la pervase mentre, come martellandole in capo, quelle parole continuavano a insidiarle quesiti in capo: quale storia? Quali errori? Quale vita?
Sua madre si fece avanti:- come osi dare tanto poco peso a tua figlia?!
- Mia, figlia?
Il tono ruvido e scocciato, particolarmente distante, dell’uomo impaurì Gwen così come pure sua madre che, incredula e scioccata scosse il capo:- E di chi altri sennò?!
Frank tacque per poi aggiungere:- Tua…figlia. Tua, figlia.
Gwen, piegata su sé stessa, tremò. Parlavano come fossero due sconosciuti, due persone stufe le une delle altre, sprovviste d’amore reciproco e danti l’idea d’essersi mai amate; ma soprattutto, prive di qualcosa da spartire. Pericolosi dubbi cominciarono ad intrufolarsi tra i circuiti cerebrali della ragazza mettendole addosso un’improvvisa agitazione e tanta preoccupazione da incominciare a respirare con tacito tormento. Gwen pianse in silenzio lasciando rotolare lungo le guance le lacrime. Pianse perché giorno dopo giorno si rendeva conto di essere una persona – nonostante la sua solita ed ostentata finta-sicurezza – dall’esistenza completamente dipendente dal sostegno e dai consensi solo di sé stessa. E quando sé stessa mancava? Quando lo sconforto le avrebbe imposto, come ora, un momento di indecisione? Avrebbe necessitato di qualcuno. Qualcuno che comunque non era né sua madre né suo padre. Qualcuno che, chiunque fosse, ora non era lì con lei.
- Quanto schifo mi fai – mormorò Lily guardando Frank con disprezzo.
Il marito la contemplò e sorrise. Avvicinandosi le prese il colletto della camicia e le sussurrò:- ricordati che se vuoi che taccia su e con Gwen dovrai sopportare per tutto il viaggio.
Lily scostò il capo:-…sopportare cosa…?
- Sopportare me… - sussurrò Frank.
- Ed il fatto che Gwen sia figlia tua.
Detto questo la lasciò andare; passandosi il dorso di una mano in viso, Lily si pulì la guancia sporca di sangue. Ed evitò di guardarlo, uccisa dal timore.
 
Ben ispezionò la dispensa. Fattasi ora di cena meritava essere cucinato un buon pasto. Il dramma si articolava quindi attorno al tormentato interpellarsi riguardo cosa avesse l’onore di diventare la cena. Il ragazzo si massaggiò la fronte stanco morto ed infine, abbandonando ogni qualsivoglia sorta di indecisione sfilò dalla dispensa un pacchetto di pasta, classico e buon compromesso tra il sapore e la comodità. Perfetto, si disse. Mise dunque una pentola colma d’acqua a bollire rimuginando intanto tra sé ed accese la stufa del salotto adiacente per evitare di morire di freddo. Osservò l’orologio a muro nel mentre apparecchiava sommariamente una piccola parte di tavola a lui riservata: si erano incredibilmente fatte le otto meno pochi minuti. Non poteva credere a come il tempo scivolava via tra le dita, ultimamente.
- Forse – esclamò ad alta voce – potrei averne un giovamento. Come il tempo scorre quando ci si diverte, scorrerà anche mentre mi annoierò domani, l’ultimo giorno di scuola. Per fortuna…
Nel pronunziare tali parole Ben si bloccò. Non sapeva più cosa dire riguardo le imminenti vacanze natalizie, visti i suoi pensieri tremendamente confusi. La causa principale di tutta quella sua indecisione era Gwen, realizzò. Anche riguardo quella domanda posta a suo padre sulla legislazione e sull’incesto, credeva ne avesse responsabilità. La sua presenza lo turbava. Forse perché la osservava e la vedeva con occhi diversi, bramava di conoscerla meglio e consolidare con lei un rapporto migliore. Facendosi un breve esame di coscienza, Ben riconobbe di smaniarne intensamente un contatto e questo lo spaventò, soprattutto visto che era stato lui ad allontanarla non appena si era fatta avanti.
 
Gwen, tornò in camera badando a non farsi sentire, si chiuse la porta alle spalle e poggiò il palmo all’armadio. Provava tanta ansia da scoppiare. Adagiò la fronte calda all’anta per contro gelida e, nonostante si sentisse improvvisamente soffocare da un rinnovato dolore prese una decisione. Aprì l’armadio e sfilò il cappotto in panno con le lacrime agl’occhi; l’indossò lentamente e tossì. L’ansia le si appiccicava addosso, voleva fuggire da quella cappa di inquietudine come pure voleva restarci per tendere una mano alla madre affranta. Fu divorata dai dubbi e dai sensi di colpa finché, seppur strozzata da colpi piuttosto decisi di tosse aprì la finestra e, con un sospiro, scivolò saltando quei cinque metri che separavano la sua finestra da terra. Aveva bisogno d’ aiuto. E in quel momento, seppur le si contraesse il cuore, sapeva benissimo dove e da chi andare.
 
L’abituale passo deciso della giovane ragazza dai capelli rossi si fece dunque corsa. Corsa frenetica nel freddo pungente di una serata d’inverno, per inciso. Il gelo notturno le sferzava il volto arrossatosi grazie alla temperatura, un fastidioso alito di vento, anch’esso freddo oltremisura, le scompigliava i capelli tessendo tra loro una tela di distanze intricate. Gwen non riusciva a fermare le lacrime né tanto meno quello strozzante respiro affannoso che le avvolgeva la gola. Cominciò a battere i denti che via via dettero inizio ad una danza incosciente dettata dall’egemonia del gelo. Ma nulla le importava, ora come ora. Sapeva solo di essere divenuta una sorta di peso che suo padre definiva “figlia di sua madre” come se s’estraniasse dalla sua creazione, aveva perso la fiducia in sé stessa e nella sua famiglia che cominciava a sgretolarsi rovinosamente. Le dita e le gambe affusolate di Gwen cominciarono ad avvertire l’afflusso caldo del sangue, pompato con furia dal cuore per lo sforzo intenso di quella così scellerata corsa. La rabbia della giovane accrebbe nel notare, da buona studiosa, come pure il paesaggio, tutto sommato, contribuisse –  tramite l’idea leopardiana di “natura indifferente” – a complicare lo stato delle cose: infatti quella notte il cielo era spruzzato da una miriade di stelle rilucenti e tinto di uno di quei blu intensi e profondi che catturano il fiato. Senza contare lo splendore ruggente della Luna ( incredibilmente piena ) ad illuminare generosamente il terreno.Uno spettacolo fine e meraviglioso che però Gwen ignorò, abbacinata dal pianto e distrutta dal dolore.
 
Ben osservò il cielo stellato scostando la tenda candida della finestra della cucina. Il suo sguardo si assottigliò sino ad apparire rilassato, calmo ed immerso nelle proprie considerazioni come spesso ormai gli capitava, peraltro cullato da quella meravigliosa esibizione naturale . Improvvisamente però a smuoverlo facendolo spaventare lo spalancarsi violento della porta.
   
 
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