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Autore: Una Certa Ragazza    17/10/2011    6 recensioni
Quando il Generale Maggiore Roy Mustang subisce un attentato, a Riza Hawkeye non resta altro da fare se non vendicarlo. Ma chi si nasconde davvero dietro all'organizzazione terroristica che semina distruzione in tutto il paese? Nonostante le premesse non è una storia tragica. Royai con meno fluff possibile. Longfic, post-brotherhood e manga. Giallo per precauzione.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehilà! Ormai è parecchio che non aggiorno, ma abbiate pazienza: il capitolo non mi soddisfava e così l'ho modificato parecchie volte.
NOTE: il capitolo ha questo titolo perchè i nostri eroi si trovano alle prese con un mare di carta, mentre la citazione è tratta dal solito, adorabile Pennac. La persona che dice questa frase è ubriaca e si riferisce al fatto che tutti ora sanno una cosa che nessuno avrebbe mai dovuto sapere. Alla fine capirete il perchè di questa frase, ma non anticipo nulla.
La storia sarà ancora moolto lunga, diciamo che non siamo neppure a metà. Se volete che io accorci, come al solito, basta dirlo.^^






“Fottuto film. Tutto il cimitero ne parla.”
                                                       “Signor Malausséne”, Daniel Pennac
 
«Sono arrivate delle lettere, mentre tuo padre non c’era?»
«Sci.» disse Amanda, con voce impastata, barcollando e appoggiandosi completamente a Roy «Ma non le ho aperte, nossignore.»
«Oh, non importa, quello che cerco è un semplicissimo foglio.»
«Vaaa... bene. Entri, vero?» biascicò la ragazza, dondolandosi sulla porta.
«Sicura che non disturbo?»
Amanda scosse la testa, facendosi ballare tutta la strada davanti con un curioso movimento sussultorio «Sono da sola, non c’è problema, eheh.»
Dall’altra parte della strada, dietro ad un cespuglio, Rebecca commentò a bassa voce «Che disgusto.»
«Beh, ho visto di peggio.» commentò Edward, constatando che quel giardino secco era decisamente più pulito rispetto allo stomaco di Gluttony.
Rebecca scosse la testa «Magari ci sono cose peggiori.» ammise, senza capire che stavano parlando di due cose diverse «Ma una ragazza con così poco rispetto per sé stessa...»
«È una scelta sua.» fece Havoc.
«Per quanto ne sa, Mustang potrebbe essere un pazzo o un maniaco! E lei lo fa entrare in casa come se niente fosse.»
«Allora diciamo che le è andata bene così, e magari la prossima volta starà più attenta.» Havoc aveva un tono di voce leggermente soddisfatto, come se avesse appena compiuto la buona azione del giorno «Mica brutta, però.» osservò.
«E smettila, cretino.» Rebecca gli piantò una gomitata nello stomaco.
«Volete fare silenzio?» gli intimò Riza, che stava accucciata in equilibrio sulle punte dei piedi, pronta all’azione.
Già trovava seccante il fatto di doversi appostare in un giardino dietro ad una siepe, un po’perché aveva qualcosa di infantile un po’perché potevano scoprirli da un momento all’altro, poi ci si mettevano Havoc e Rebecca che facevano chiasso, la posizione da tenere che era scomoda e quella gallina che abbracciava il Gen... ok, era più dignitoso cancellare quest’ultimo pensiero.
Calò il silenzio, rotto solo dal frinire dalle cicale da qualche parte in lontananza.
Davanti a sé, nel buio, Riza aveva solo una finestra illuminata. E un’altra attesa, come sempre.
 
«Grazie, il foglio che cercavo era proprio questo, sei stata gentilissima.» a dire la verità il foglio che la ragazza aveva dato a Roy era la lista della spesa. Non che fosse importante.
«Ma figuuurati.» Amanda si lanciò sul divano e scoppiò in una risata roca.
«Posso usare il bagno?»
«Certo... di sopra... o qualcosa del genere, già.»
Non appena arrivò in cima alle scale, Roy iniziò ad aprire sistematicamente le porte del corridoio.
La terza era una stanza ben tenuta, con una scrivania in noce su cui si trovavano dei fogli ben impilati. In cima alla prima delle pile c’erano anche delle lettere, all’apparenza intonse. Proprio quello che stava cercando.
Roy, che fino a quel momento aveva usato solo la luce del corridoio per muoversi, accese la luce della stanza e la spense nuovamente subito dopo, poi aprì leggermente la finestra.
«E questa è fatta.» disse tra sé e sé.
 
Riza guardo la luce sfarfallare e la finestra aprirsi.
«È quella.» disse semplicemente, alzandosi e lasciando che il suo braccio pendesse lungo il fianco, in una mossa apparentemente casuale che però le metteva la pistola che aveva sotto lo spacco della gonna a portata di mano.
Il viale, fiancheggiato da villette signorili, non era molto illuminato. Ma questo non significava che potessero attraversare la strada come fossero una truppa d’assalto o, peggio, come sprovveduti.
«Chi entra?» domandò Rebecca, non appena giunsero sotto la casa che era stata del Capitano Wesson e che adesso era di sua figlia. Anche se lei ancora non lo sapeva.
Tutti si voltarono verso Edward.
«Ci fosse una volta che non guardano me, eh?» borbottò il ragazzo «Perché io?» domandò ad alta voce.
«Perché se cadi al massimo ti rompi una gamba sola.» replicò Rebecca.
«Andiamo, Capo, ti sei sempre vantato della tua agilità.» commentò Havoc. Non riusciva a capire perché quella piccola peste ne avesse fatte di cotte e di crude e adesso si facesse tanti scrupoli, ma Edward aveva una morale. Forse era un po’distorta rispetto al senso comune, ma era comunque una morale.
«Ma quella mi serve per picchiare la gente, non per scassinare le case!» protestò infatti il ragazzo, come scandalizzato dal fatto che gli proponessero di compiere un’azione illegale.
Tutti gli fecero notare con lo sguardo l’assurdità di quello che aveva appena detto.
«Coraggio» fece Riza in un tono di voce che voleva essere rassicurante «non è così terribile come sembra.» poi aggiunse lanciandogli un’occhiata penetrante, non senza un pizzico di divertita crudeltà «Non sei il grande Edward Elric?»
Sì, lo sguardo di Riza gli ordinava di farlo, e di farlo subito.
Il giovane deglutì «Lei, Maggiore, mi fa paura.» decretò.
Poi si girò verso la villetta: a questo punto diventava una sfida tra lui e la grondaia.
Un piede lì, l’altro là, reggendosi al tubo. Se l’avesse visto sua madre, quanto si sarebbe arrabbiata!
Ma soprattutto, mentre saliva, Edward non riusciva a non pensare a quanto sarebbe stato più semplice se avesse potuto trasmutare il muro, e il ragazzo cercava in tutti i modi di non farsi venire idee del genere per la testa.
Si issò con facilità oltre il davanzale e si guardò intorno, per quello che riusciva a vedere.
Adesso doveva solo capire che cosa doveva prendere, perché lì dentro c’erano talmente tanti fogli che era impossibile controllarli tutti e non era neppure sicuro che i terroristi comunicassero davvero su carta.
Facendo mente locale, ad ogni modo, il campo si restringeva. Se Wesson stava aspettando degli ordini per i prossimi attacchi il foglio doveva essere recente e destare meno sospetti possibile, quindi probabilmente era camuffato da qualcosa di perfettamente innocente. Come una lettera.
Edward radunò tutte le buste che c’erano sul tavolo, chiuse o aperte che fossero, e le lanciò dalla finestra.
«Prendo anche i documenti militari?» domandò all’oscurità.
La voce di Rebecca gli disse di rimando «Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno.»
«Prendi tutto quello che puoi, Edward.» decretò Riza.
Il ragazzo si lanciò un occhiata alle spalle. Beh, contenti loro...
All’improvviso due luci fendettero il buio della strada e Edward per un attimo le fissò senza riuscire a identificare che cosa fossero. Ma l’illusione durò poco.
«Ehi, voi!»
Oh, accidenti!
 
«Adesso devo andare, Amanda.» affermò Roy, sgusciando via dalle braccia della ragazza che gli si era appiccicata non poco «Grazie ancora. Sei un tesoro di ragazza.»
«Maaa non puoi restare un altro po’?» Amanda lottò con la sua lingua, che sembrava non voler rispondere ai comandi «Tipo tutta la notte?»
«Mi spiace, ma devo proprio...» iniziò Roy, avviandosi verso la porta. Ma la ragazza gli si avvinghiò, tirandolo per un braccio.
«Ti prego ti prego ti prego, eh» fece lei, spezzando la frase con una specie di singulto «resta un altro po’!»
«Facciamo così: adesso io vado, ma ti lascio il mio indirizzo, così sai dove trovarmi.» le disse il nome della prima strada di East City che gli venisse in mente, e prima che se ne rendesse conto aveva formulato per intero l’indirizzo del Tenente Breda.
«D’aaaccordo.» rispose Amanda con un sorriso ubriaco «Verrò a trovs..a trav...trovarti domani.» ci metteva un po’a trovare le giuste lettere da mettere in fila.
Roy uscì appena in tempo per sentire una specie di tonfo e vedere, in ordine, il Maggiore, il Tenente, Catalina e Acciaio correre come dei dannati inseguiti da un paio di rappresentanti della polizia militare di Amestris. Ognuno di loro portava con sé un plico di fogli, e mentre il Maggiore teneva i suoi stretti al petto e non se ne lasciava sfuggire nemmeno uno quelli di Edward sventolavano come banderuole e prendevano il volo uno dopo l’altro.
Molto opportunamente fece finta di non conoscerli e aspettò che fuggiaschi e inseguitori si dileguassero oltre le siepi di uno dei giardini, prima di andare a prendere la sua macchina – aveva visto Havoc parcheggiarla poco lontano da lì – e mettere in moto.
Il giorno dopo Amanda Wesson passò un indefinito numero di ore davanti alla porta di casa di Heymans Breda, lasciando i vicini a mormorare che era una vera indecenza che quel playboy del Tenente riducesse così una povera ragazza.
 
Roy si fermò davanti ad un magazzino malandato.
«Adesso potete venire fuori.» disse ad alta voce, aprendo la portiera.
«Come faceva a sapere che eravamo qui?» domandò Rebecca, emergendo con gli altri dall’oscurità del magazzino.
Fu Havoc a risponderle «La nostra squadra ha diversi rendez-vous concordati in varie città. Questo era in zona.»
«È un sollievo sapere che non stavamo correndo alla cieca.» commentò Edward.
«Avete preso i documenti?»
Edward indicò con un cenno del capo il plico tenuto da Riza «Non sono riuscito a prendere altro.»
«Senza contare quelli che sono andati persi per strada.» precisò Riza, piccata.
«Non importa» fece Roy, prendendo le buste che aveva visto nello studio di Wesson «Probabilmente quello che stiamo cercando è qui dentro. Ma adesso andiamo, leggeremo strada facendo.»
«Dovremo viaggiare su una macchina sola?» realizzò Edward, deluso: adesso non avrebbe più potuto stravaccarsi sul sedile posteriore.
Roy non stette a commentare sul fatto che difficilmente avrebbe potuto sdoppiarsi per portare lì le due macchine. Ed era abbastanza intelligente da arrivarci da solo.
Viaggiarono tutta la notte.
Havoc cominciava ad essere stanco di girare la manopola di quella stupida torcia a mano, ma il Generale aveva detto che era meglio risparmiare quelle a batteria nel caso ne avessero avuto davvero bisogno.
Il Maggiore lesse quella che doveva essere la sesta lettera, o forse la settima: «“Caro George, è un po’che non ci sentiamo. Come sta tua figlia? Io me la cavo alla grande. Ti scrivo perché ho bisogno di un favore: ho presso l’ufficio del catasto una pratica che riguarda la casa di mia madre, è la numero 85-46-162-2410. Se potessi dare una piccola spinta per accelerarla un po’ te ne sarei veramente grato. Spero che ci vedremo presto, Kayle”.»gli occhi del Maggiore scivolarono verso il basso «“P.S.: Ho appena finito di leggere “Gente di Dublith”, come mi avevi consigliato. È veramente un ottimo libro.»
«Bingo.» disse il Generale.
«Dice?» commentò Havoc «A me sembra solo una richiesta di favoritismi.»
«Maggiore, come sono i numeri delle pratiche del catasto?»
«Finiscono con tre cifre, e non con quattro.» rispose lei con le sopracciglia aggrottate. Poi il suo sguardo si spostò sull’uomo seduto accanto a lei «Dunque lei sa che cos’è una pratica, in realtà.»
«Ogni tanto presto attenzione.» confessò Roy. Sapevano entrambi quanto lui si impegnasse per raggiungere il suo obiettivo, e spesso le leggende sui suoi vizi erano in gran parte esagerate. Ma con il lavoro d’ufficio non andava molto d’accordo, quello era un fatto.
«Questo sarebbe un messaggio in codice?» domandò Rebecca, scettica ma senza la solita energia. Toccava a lei guidare e a lei piaceva viaggiare di notte, perciò si sentiva in pace con sé stessa e con il resto del mondo.
«Esatto. La chiave di lettura ce la fornisce il post scriptum: dobbiamo procurarci una copia di “Gente di Dublith”.»
Non sarebbe stato difficile da trovare: era un classico, forse si trovava addirittura negli empori di paese più forniti. Riza adorava quel libro.
«Sta dicendo che il numero della falsa pratica indica quali parole cercare nel testo?»
«Ma certo!» esclamò Rebecca «È un codice così banale che non ci avevo neppure pensato.»
«Non è stato molto furbo camuffarlo da tentativo di corruzione, però.» ragionò Havoc «Wesson ci andava comunque di mezzo.»
«È stata un’ottima idea, invece.» disse quietamente Riza «Se mascheri un reato con un’azione scorretta, chi ti scopre non indagherà oltre.»
La mattina dopo, non appena i negozi aprirono, Edward entrò con Rebecca in un piccolo negozio che vendeva praticamente tutto dagli ombrelli ai semi di girasole, e comprò una copia un po’sgualcita di “Gente di Dublith”.
E, proprio mentre stava per uscire, vide qualcosa di molto interessante...
 
«Si può sapere che diavolo è questo?» ruggì Roy, accartocciando nelle sue mani i bordi del giornale.
Riza, da parte sua, teneva gli occhi fissi sulla strada e le mani ancorate al volante senza sapere se essere più imbarazzata o arrabbiata. Al momento propendeva per la seconda ipotesi.
Edward non riusciva a smettere di ridere, anche se stava in guardia, casomai il Generale decidesse che bruciarlo non sarebbe stato un grosso problema.
Persino Havoc e Rebecca non riuscivano a fare a meno di sorridere. A labbra strette, però, per evitare di cedere alla ridarella.
Forse non c’era molto di cui divertirsi, tuttavia bisognava ammettere che la situazione era abbastanza ironica.
«Quello» rispose Jean, con la voce che gli vibrava per l’urgenza di ridere «è un articolo, Signore.»
«Mi prendi in giro, Havoc? Questo lo vedo da me.»
«Il problema è» disse Riza lentamente, con gelida rabbia «che razza di articolo è?»
«”La tragica storia di Roy Mustang e Riza Hawkeye”» lesse Rebecca alzandosi in piedi e spiando il giornale da sopra i sedili anteriori «Beh, Riza, a me il titolo sembra lampante.»
«Comunque, Generale, non è contento di essere diventato famoso?» intervenne Edward con un ghigno «Nel posto dove l’ho preso c’erano i vostri nomi dovunque!»
Roy e Riza si guardarono con la coda dell’occhio.
Senza alcun preavviso, l’auto compì un’inversione ad “U” ed entrò bruscamente in un centro abitato che avevano appena superato.
Edward, che non era più abituato alla guida pericolosa tipica del Generale e del Maggiore, lanciò un grido e si aggrappò al sedile con una forza tale che le nocche gli diventarono bianche.
«State cercando di uccidermi!?»
«Che ti serva di lezione.» gli rispose Roy con stizza.
Parcheggiarono davanti all’unica edicola del paesino.
Quasi non fecero in tempo a fermarsi che Roy e Riza si erano già lanciati fuori dalla vettura, incuranti delle occhiate degli abitanti, i quali si erano visti sfrecciare davanti un bolide all’apparenza senza controllo che aveva posteggiato con impeccabile quanto sorprendente precisione, miracolosamente senza investire nessuno.
Edward, Jean e Rebecca seguirono i compagni con più calma, scambiandosi occhiate divertite ma allo stesso tempo preoccupate.
Sul serio, cos’era quella storia?
Il Generale e il Maggiore si avvicinarono al chiosco e il loro sguardo fu ricambiato da quello di centinaia di loro copie.
«Mio Dio.» si lasciò sfuggire Roy.
«Questo potrebbe essere un problema, Signore.» constatò Riza. Il suo volto era calmo, ma la sua voce tremava leggermente per lo shock.
«”L’alchimista di fuoco e la tiratrice scelta: un amore travagliato, impossibile, commovente”» lesse a bassa voce Roy, prendendo in mano un settimanale per casalinghe disperate. La voce gli morì sul finale. Doveva essere un brutto sogno, uno di quei sogni schifosi che ti convincono di essere la realtà e poi anche quando ti svegli ti fanno stare male per tutta la giornata. «Hanno anche fatto uscire un numero speciale. Che onore.»
«”L’eroe di Ishbal e l’occhio di falco”» Riza storse la bocca leggendo il suo antico soprannome. Nonostante tutti i loro sforzi per far capire che la Guerra di Ishbal non era stata – sotto alcun aspetto – una vittoria, c’era ancora gente che pensava che potersi fregiare di titoli del genere fosse un privilegio «”una storia di dedizione e coraggio”...questo è il colmo.» disse la donna con amarezza, abbassando lo sguardo e rimettendo a posto il quotidiano «Ci citano perfino sui giornali dei guerrafondai.»
«”Il Generale e la nipote del Fuhrer, tutti i retroscena”» lesse Ed, pescando a caso un periodico a sfondo chiaramente scandalistico «E poi...forse questo è più normale: “La vera storia di due soldati”. Ve l’ho detto, siete voi in tutte le salse!» esclamò il ragazzo.
Per tutta risposta Roy gli pestò un piede, accennando con la testa all’edicolante.
Per fortuna il negoziante era un vecchietto che probabilmente non riusciva a sentire nulla che non superasse i novanta decibel.
«Attira più l’attenzione lei col suo modo di fare di me.» borbottò Edward.
«Non importa, volevo solo pestarti il piede.»
«Ma quanti anni ha?»
Fu Rebecca ad interrompere il battibecco «Ehi!» esclamò, indicando la copertina di una rivista patinata «Questa foto la conosco!»
«Fa vedere.» disse Havoc, prendendole di mano il giornale. La copertina ritraeva Roy e Riza, entrambi vestiti con sobri abiti da sera. «Hai ragione, è la foto che ci hanno fatto a una festa del Quartiere dell’Est, ma... l’hanno tagliata! Qui attorno c’eravamo noi e una ventina di altre persone.»
«Hanno tolto il mio bellissimo visino.» si lamentò Rebecca, fingendo di essersela presa «Come farò adesso?»
«Questa invece» mormorò Riza, prendendo un altro quotidiano, la cui prima pagina ritraeva lei e Roy in uniforme da parata, sei o sette anni prima «è quella che ci hanno scattato quando siamo stati promossi a Colonnello e Tenente.»
«Ma chi gli ha dato quelle foto?» domandò Roy tra sé e sé, passandosi una mano sul viso.
Tutti tacquero. Sapevano che c’erano moltissime persone che potevano averlo fatto, anche in buona fede.
Chiunque avrebbe voluto rendere giustizia ai loro amici, almeno nella morte. Il fatto che gli amici in questione fossero vivi era del tutto irrilevante.
Roy rimase a guardare in silenzio assoluto gli infiniti fogli che pretendevano di raccontare al mondo la sua storia, la loro storia, con le mani sui fianchi come chi si accinge a fare un lavoro faticoso e cerca di valutare quanto tempo gli prenderà. E, naturalmente, di raccogliere le forze.
Poi lanciò il portafoglio in mano ad Havoc e disse a lui e a Rebecca: «Comprate una copia di ogni giornale. Ci rivediamo in macchina.»
Riza salì sull’auto e si mise al posto di guida con le mani sul volante e la bocca appoggiata sul dorso, gli occhi bassi.
Roy invece rimase sul marciapiede, appoggiato al muro di un palazzo, a riflettere.
Aveva un’espressione così cupa che Ed si sentì in dovere di consolarlo. Tale dovere non implicava però l’essere cortese.
«Avanti, Generale» sbottò il ragazzo «non è così grave!»
«Quello che hai acquistato in statura l’hai perso in cervello, Acciaio?»
Edward non registrò il commento sui suoi neuroni e prese la frase come un complimento: «Allora lo ammette, eh? Ho acquistato almeno una trentina di centimetri.» precisò orgoglioso.
Con sua grande sorpresa il Generale non replicò e si lasciò cadere su una panchina come un sacco vuoto.
«Secondo te perché io e il Maggiore siamo seduti uno qui e uno là, e non a casa nostra, sposati e magari con un paio di bambini?» dire una cosa del genere ad alta voce dopo tanti anni di silenzio fece quasi venire la nausea a Roy. Si sentiva come se avesse fatto qualcosa di profondamente scorretto.
“Legge sulla fraternizzazione” pensò Ed. Causa della loro forzata lontananza e allo stesso tempo loro punizione.
La comprensione si dipinse sul viso del giovane. Paradossalmente se il Generale e il Maggiore fossero davvero morti non si sarebbe posto il problema, ma adesso che la loro storia aveva fatto il giro di Amestris poco importava quanto ci fosse di vero su quei giornali: tutti guardavano a loro come ad una coppia, e dunque...
«Sarete separati.» mormorò Edward. Quasi si sorprese dell’amara consapevolezza con cui lo disse «Vi assegneranno a due squadre diverse non appena sapranno che siete vivi.»
«Esatto.»







... Finito. La sorpresa a causa della quale alcuni avrebbero dovuto rivedere quello che è stato scritto fino ad ora è ormai facile da individuare, ma non dirò nulla finchè non emergerà del tutto. Il fatto che voi lo abbiate capito o meno dipende da come avete concepito la storia fino a questo momento, perciò spero di riuscire a stupire almeno alcuni di voi. ^^ Per coloro che non sapessero cos'è la Fraternization Law di cui si parla, è una legge dell'esercito che vieta ad un superiore e ad un subordinato che lavorano nella stessa squadra di avere una relazione. Stando all'Arakawa, è il motivo per cui non ha potuto far sposare Roy e Riza al termine di FMA. Riassumendo, la Fraternization Law è qualcosa che deve morire -.-.
 
 
 
   
 
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