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Autore: Hiromi    18/10/2011    8 recensioni
"Tesoro, è finita l'era dell'anti-innocenza: qui le persone girano come trottole ventiquattr'ore al giorno per lavorare, studiare, e per fare sesso - hai capito bene: Sesso! - Cupido è volato via dal condominio sdegnato e il principe azzurro per la disperazione è diventato gay!"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Mao, Mariam
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Change everything you are 
And everything you were 
Your number has been called 
Fights and battles have begun 
Revenge will surely come 
Your hard times are ahead 


Butterflies and Hurricanes – Muse

 

******************

 

 

“Ho voglia di farmi una canna.”

 

La battuta di Trisha venne accolta da un coro di risate, e la situazione si stemperò un poco. Lì, nel camerino a loro riservato, tra vestiti, mal di pancia dovuti alla tensione, trucco ed acconciature, erano riuscite ad arrivare al risultato di essere quasi pronte, ed era un passo avanti enorme per la band che aveva l’arduo onore di aprire il torneo mondiale di beyblade.

 

Hilary si aggiustò i collant neri, infilandosi i tacchi e tentando di scacciare il timore di fare un ruzzolone davanti a milioni di persone; sentiva la paura strizzarle la bocca dello stomaco, impedendole quasi di respirare.

 

Calma. Calma; stai tranquilla.

 

Si sistemò la minigonna nera a balze, e osservò, perplessa, la camicia color avorio che aveva scelto: per quant’era pallida in quel momento, faceva tutt’uno con il suo viso; forse non era stata una grande idea…

 

“Dai, vieni qui che ti trucco.” Kassie la prese per mano e la fece sedere su una delle panchine che stavano nel camerino.

Chiudendo gli occhi e lasciando che la pianista del suo gruppo facesse il suo lavoro di estetista – Kas era una maga con i cosmetici! – la giapponese si ritrovò a pensare che Julia, che in quel momento stava indossando gli orecchini mentre canticchiava una canzone nella sua lingua, era l’unica ad essere davvero tranquilla; probabilmente perché lei era abituata ad esibirsi dinnanzi a milioni di persone.

 

Un leggero bussare le fece sussultare tutte. “Sì, avanti.”

 

La veejay Valery Hendrix fece capolino, piena di energia. “Ragazze, ci siete? Venti minuti e via.”

 

“Direi che siamo pronte.” Kassie scrollò le spalle, mettendo da parte i trucchi, Julia annuì, sorridendo enormemente, mentre Hilary e Trisha si scambiarono uno sguardo terrorizzato.

 

La bruna, si mise le mani in testa. “Ho il tempo di morire, giusto?”

 

“¡Animate, chica!” rise Julia. “Che devo dire io, che oggi devo pure battermi contro gli americani?”

 

“Ma come fai ad essere fresca come un quarto di pollo?” sbottò Trisha nella sua direzione, facendo ridere tutte.

 

Valery scosse la testa. “Vi abbiamo sentito alle prove ed abbiamo scelto bene, lo so.” fece, schiacciando loro l’occhiolino. “Dai, vi vengo a chiamare più tardi. Un bacione.”

 

Hilary scosse la testa, accavallando le gambe e cercando di focalizzare l’attenzione su qualcos’altro, ma l’unica cosa che le veniva in mente era quella folla che l’avrebbe guardata e la gigantesca figuraccia che ne sarebbe derivata se avesse sbagliato qualcosa.

“Credo di non ricordarmi più il testo della canzone.” mormorò, alzando lo sguardo. “E’ che la mia mente non fa che pensare più cose contemporaneamente, e ho paura che andrà in tilt…”

 

Trisha la fissò, dubbiosa. “Come fai a pensare più cose contemporaneamente?”

 

La giapponese la fissò con tanto d’occhi. “Mi metto la camicia arancione preferisco questa avorio perché quella arancione è in tintoria; il professore di arabo che ho incontrato in tintoria era in viaggio per Casablanca. Casablanca, bellissimo film; Casablanca- Casabianca, la casa di Obama… Le auto ibride? Mio padre ne voleva comprare una, io voglio la Kawasaki… Bicicletta, monociclo, acrobata, domatore, serpente… Scimmia! Ambarabàciccìcoccòtrescimmiettesulcomò.”

 

Le ragazze la fissarono con tanto d’occhi, inquietate, ma fu Kassie ad andarle vicino, prendendole una mano. “Stai tranquilla, okay? Respira.” fece, enfatizzando le parole con lunghi sospiri e facendoli fare anche alla cantante.

“Ci sei; andrà tutto bene, lo so, lo sento.” dichiarò, sorridendole e abbracciandola. “Abbiamo fondato questo gruppo mesi fa come passatempo. Chi se lo aspettava di arrivare ad aprire il torneo mondiale di beyblade?” ridacchiò, nervosa. “Ma ormai ci siamo: siamo qui, siamo insieme. E comunque vada, andrà alla grande. Perché ci siamo impegnate, facendoci il culo, e abbiamo talento.” dichiarò, cercando di trasmettere quanto più calma possibile.

 

Trisha sorrise con fare furbastro. “Andiamo lì: facciamogli vedere chi siamo.”

 

Va’ de musica.*” rise Julia. “In tutti i sensi.”

 

Hilary, che teneva la testa bassa, lasciando le ciocche dei capelli le oscurassero il volto, alzò lo sguardo, decisa. “Incendiamo la platea: abbiamo del rock da suonare.”

 

 

 

*“Va benissimo”

 

 

 

Mao e Mariam, pur avendo adocchiato le loro squadre, decisero di sedersi insieme, e una volta visto Raùl, la cinese fece cenno all’amica di seguirla, che scrollò le spalle in segno d’assenso.

“Ehi, tutto bene?” sistemandosi i capelli, che quel giorno non ne volevano sapere di stare al loro posto.

 

“Emozionato: ma ogni volta che inizia un nuovo campionato si è sempre pieni di adrenalina, no?”

 

Lei annuì, completamente d’accordo, togliendosi il nastro bianco e rifacendosi lo chignon basso. “Assolutamente sì. Dovrebbe essere tutte dietro le quinte, giusto?”

 

Mariam, vedendo la sua difficoltà nell’armeggiare con i capelli in assenza di uno specchio, la fece voltare per poi raccogliere le varie ciocche in un’acconciatura semplice ma d’effetto, che fermò con il nastro. “Sì, ormai ci siamo.”

 

 “Sono un po’ preoccupata per Hilary: non l’avevo mai vista così nervosa e agitata.”

 

La ragazza dagli occhi verdi accavallò le gambe, inarcando le sopracciglia. “A casa ha pure vomitato per la tensione. Spero riesca a dominarla.”

 

La cinese fece tanto d’occhi. “Che cosa? Oddio, no… E se si sente male? Se magari-”

 

Lo spagnolo pose una mano sulla sua, sorridendole, incoraggiante. “La tensione, per una persona estranea ad avere a che fare con il pubblico, è più che normale: lasciale fare le sue esperienze, lascia che si scontri da sola con questa realtà. Poi lei ha abbastanza polso per cavarsela.”

 

Mariam annuì, assolutamente d’accordo, e Mao sospirò, dopodiché sorrise. “Spero che non accada nulla di brutto.”

 

“Hanno talento: tutto andrà per il meglio.”

La cinese inclinò la testa, sorridendo e facendo per chiedergli da quando fosse così ottimista, quando le luci di tutto lo stadio si spensero all’improvviso, lasciando ogni cosa al buio più totale.

La gente cominciò a gridare, a fischiare, e i più presero a parlottare, chiedendosi che diamine potesse essere accaduto.  

Il buio durò per un minuto buono, e fu solo quando il pubblico si zittì totalmente che tutto iniziò.

 

Le luci si accesero all’improvviso e, contemporaneamente, fu il suono di una batteria a far saltare tutti in aria; una batteria che scandì il tempo con un ritmo molto, molto conosciuto…

Le Cloth Dolls erano su un’estesa pedana di legno, gli sguardi decisi e penetranti e, con i loro tacchi, stavano amplificando quel famosissimo suono.

 

Battere le mani e partecipare fu un’idea che non venne solo a Mao, ma praticamente a tutto il pubblico: quella canzone era troppo famosa e troppo coinvolgente per non prenderne parte, anche solo parzialmente.

 

Ben presto sopraggiunse Trisha con la chitarra, che si legò al suono della batteria di Julia in un modo preciso ed accattivante, e poi fu la volta di Kassie che, con il suo piano, si aggiunse alle altre due come fosse sempre stata con loro.

E poi fu il momento. Una mano verso l’alto e una verso le labbra a reggere il microfono, Hilary dimenticò ogni cosa; trasformò la paura in adrenalina, e la scagliò, potente e decisa, verso il pubblico. Come se si fosse trattato di un beyblade.

 

Buddy you're a boy make a big noise, playin' in the street gonna be a big man some day! You got mud on yo' face, you big disgrace, kickin' your can all over the placeSingin'…

 

We will, we will rock you!” il pubblico lo cantò assieme a lei, contento, gioioso, pieno di vitalità ed energia, e Hilary non seppe far altro che puntare verso la platea il microfono, e allora si sentì nuovamente un boato: “We will, We will rock you!”

 

Per tutta la canzone non ci fu altro che il ritmo battuto dalle ragazze lì sulla pedana, il ritmo battuto dalle mani del pubblico, e loro, soltanto loro, come fossero tutti insieme: non pubblico e cantanti, ma entità fuse che cantavano assieme una canzone che coinvolgeva, univa, piaceva.

 

We will, we will rock you! Sing it!” Camminando da un lato all’altro della pedana, Hilary sorrise, non pensando minimamente, con la testa sgombra da qualsiasi pensiero: c’erano soltanto la sua band e il suo pubblico.

We will, We will rock you, everybody!” dalla platea si alzò un urlo di giubilo, e fu allora che iniziò la parte finale della canzone; andando verso Trisha, pose il microfono vicino la chitarra elettrica, e la sua amica fece un assolo esemplare, che fece battere le mani e urlare tutti.

Bladers!!” era stanca, era stanchissima: ma doveva dire la frase finale. “You have to rock us!” il pubblicò applaudì definitivamente, e lei, scambiandosi uno sguardo di gioia con le sue amiche, capì che era il momento.

 

Julia ripartì con un breve attacco di we will rock you, e Hilary camminò in tondo, partendo da lei. “New York!” grida, urla, applausi. “Questo era un assaggio dell’adrenalina che proverete questo torneo mondiale!” rise, ravviandosi i capelli. “L’avete riconosciuta? La mia batterista era Julia Fernandéz!” la spagnola batté brevemente qualche colpo alla batteria e fu di nuovo un delirio.

“La nostra chitarrista è la bravissima Trisha Malone!” quando la ragazza dai capelli neri si cimentò in un brevissimo assolo, il pubblico impazzì nuovamente.

“E al piano… Kassandra Neal!” di nuovo, una cascata di applausi riempì lo stadio ma, senza che se ne accorse, le ragazze si alzarono dalle loro postazioni per andare accanto alla loro cantante che, una volta trovatosele vicine, sobbalzò, facendo ridacchiare il pubblico.

 

Tutte e tre si avvicinarono al microfono di lei, con aria birichina. “E, alla voce… Hilary Tachibana!” esclamarono, all’unisono: la ragazza non udì nemmeno le urla o gli applausi, perché si limitò ad abbracciare le sue ragazze, le sue amiche, coloro che la sopportavano e senza le quali tutto quello non sarebbe stato possibile.

 

DJman subentrò con un sorriso a trentadue denti, con il carisma e la simpatia di sempre. “Ed erano le Cloth Dolls! Un applauso per questa band tutta al femminile che ha saputo aprire questo campionato facendoci emozionare e donandoci un’energia fuori dal comune!”

 

Tra Kassie e Julia, Hilary fece un breve inchino, beandosi degli applausi entusiasti della gente, dopodiché sparì dietro le quinte: ce l’aveva fatta, e solo questo contava.

 

 

 

 

 

“Un mito, sei un mito!” Takao non stava nella pelle, girava per il camerino come impazzito facendo ridere Trisha e Kassie, e scuotere la testa al professore. “E poi quel tuo assolo… Mi sarei messo a ballare!” fece nella direzione della chitarrista.

 

“Meno male che non lo hai fatto, allora.” Hilary gli fece la linguaccia, sostituendo i suoi tacchi con un paio più comodi.

 

“Ma quanto sei stronza da uno a dieci?” borbottò il giapponese, facendo ridere tutti.

 

Un leggero bussare fece sbuffare Julia e voltare gli altri: erano già passati a complimentarsi praticamente tutti – dal presidente Daitenji alla squadra americana, a quella cinese, ai veejay di MTV che avevano avvertito le ragazze che subito dopo ci sarebbero state delle brevi interviste – quindi chi poteva essere?

Quando Kassie aprì, rivelando Mao e Raùl che, sorridenti ed entusiasti, si complimentarono con le ragazze, a Hilary venne in mente una cosa.

“Quando iniziano gli incontri?”

 

“Per ora c’è lo spareggio tra la squadra europea e quella russa.” spiegò Raùl. “Noi siamo tra un paio di turni, Julia.” fece, richiamando l’attenzione della sorella. “Spero tu non sia stanca.”

 

La spagnola sorrise. “No, sono… Elettrizzata.” fece, cercando la parola. “Ho talmente tanta adrenalina che potrei distribuirla ai bisognosi, oggi non è il giorno adatto per riposarsi.”

 

Mao le schiacciò l’occhiolino. “Bene, anche perché… Come si dice? Chi dorme non piglia pesci, no? E visto che è così noi andiamo, vi lasciamo alle vostre interviste e vediamo cosa si dice in giro. A dopo!” fece, sorridendo ampiamente e posando una mano sul braccio del ragazzo accanto a lei che, perplesso, la seguì fuori dal camerino.

 

“Perché siamo andati via?” i corridoi dello stadio erano tutti uguali: intricati, bianchi, talvolta stretti, parevano essere fatti apposta per confondere le persone; Raùl sbuffò, passandosi una mano tra i corti capelli rossi.

 

“Lì dentro si soffocava per quanto stavamo stretti.” Mao si guardò intorno. “C’è Lai che darà di matto perché tra un’oretta è il turno della mia squadra e io ancora non mi presento… Riesco a sentire le sue maledizioni da qui.”

 

Il ragazzo prese a ridacchiare. “Anche tu con tuo fratello… Non è che abbiate questo rapporto così rose e fiori, eh…”

 

Lei scrollò le spalle. “Ci vogliamo molto bene; il suo problema è che è troppo appiccicoso, ossessivo e dedito alle regole e tradizioni del villaggio. Mi sta troppo stretto. Troppo.”

 

“Se combinassimo un appuntamento tra lui e Julia?” non appena lo propose, lei scoppiò a ridere. “No, sul serio: lei e tuo fratello avrebbero più di una cosa in comune.”

 

L’orientale scosse la testa, facendo una smorfia disgustata. “Non si sopportano minimamente, si respingono come calamite dai poli identici… E poi il rapporto tra te e Julia si sta lentamente ricostruendo, dai.” sorrise dolcemente, assestandogli una leggera gomitata d’incoraggiamento.

 

Raùl sospirò stancamente. “Non lo so, è tutto così… Strano. E difficile. Non sono sicuro di voler riparare. A che mi serve riprendere con mia sorella, se rimarrò comunque all’ombra? Se rimarrò comunque meno di lei?”

 

Mao arrestò la camminata, fermandosi dinnanzi a lui e inchiodandolo con lo sguardo. “Devi lasciar perdere: non è possibile cancellare il passato, ma è necessario lasciarlo andare. Non è possibile modificare il ieri, è necessario accettare le lezioni che hai imparato, altrimenti sarà tutto vano.”

 

Il ragazzo la fissò, sorridendo dolcemente. “Hai idea di quanto tu sia fantastica? E di quanto Rei Kon sia idiota?”

 

Mao riprese a camminare, facendo una smorfia. “Non me ne parlare: meno lo vedo, meno lo sento, e meglio sto.”

 

Raùl le fu subito dietro, e le lanciò un’occhiata in tralice. “Hai detto una cazzata.”

 

“Grazie per avermelo ricordato.” sbuffò, incrociando le braccia al petto, ma aggrottò le sopracciglia quando si ritrovò di fronte la grande entrata dello stadio, di fronte alla quale stavano un bel po’ di gente. “Mi sa che l’incontro è finito…” mormorò, sospirando.

 

Raùl, improvvisamente paonazzo e con lo sguardo a terra, pareva essersi fatto tutt’uno con la parete. “Possiamo andare via?” sussurrò; al suo sguardo scocciato prese a serrare le mascelle. “Non ci tengo a vedere Mathilda che flirta amabilmente con Michel, grazie tante.”

 

Mao si voltò, vedendo che la ragazza, in effetti, aveva tutta l’aria di una che ci provava con il proprio capitano. “Tesoro, non puoi stare così per il resto dei tuoi giorni. Devi superare lo scoglio.”

 

Lui la guardò, esasperato. “Come? E’… Una cosa impossibile.”

 

La cinese fissò prima lui, poi i due componenti della squadra europea, infine una lampadina si accese nella sua mente. “Ti fidi di me?” sussurrò entusiasta allo spagnolo che, perplesso, poté soltanto annuire. “Fai tutto quello che ti dico. Tutto.”

 

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo: quando Mao si metteva in testa una cosa non si smuoveva nemmeno se la si pregava in ginocchio. “Controindicazioni?”

 

“Nessuna.” lo prese a braccetto e gli rivolse un sorriso, dopodiché gli sussurrò qualcosa all’orecchio che gli fece sgranare occhi e bocca.

 

“Sei pazza!”

 

“E tu mi ringrazierai strisciando.” replicò, con un sorriso dolce.

 

Raùl scosse la testa, sentendo i battiti del suo cuore aumentare man mano che veniva il momento della prima parte del piano; nell’avvicinarsi a Mathilda e a Michel, provò quel senso devastante di insicurezza che ormai faceva parte di lui, e stette bene attento a non arrossire o inciampare.

“Ciao ragazzi.” fece, provando a sembrare sciolto.

 

Gli europei si volsero verso lui e Mao, sorpresi di vederli a braccetto, e l’orientale sorrise dolcemente. “Com’è andato l’incontro? Scusate ma ce lo siamo persi… Eravamo a complimentarci con le ragazze… Julia è ancora carica di energia; il cielo sa come faccia!” ridacchiò.

 

Mathilda non riusciva a staccare gli occhi dalla mano di lei attorno al braccio di lui, e fu Michel a rispondere cordialmente. “C’è stato uno spareggio, poi però sono riusciti a batterci.” fece, scrollando le spalle. “Ma è stato un bellissimo scontro. Ci rifaremo.”

 

Raùl, notando che le cose andavano nella direzione prefissa da Mao, si sentì immensamente più sicuro. “Non ne dubitiamo affatto.” fece, scrollando le spalle. “Beh, ci si vede.” si salutarono con un cenno della mano, e andarono pochi metri più avanti, verso i distributori automatici, fingendo di voler prendere una bottiglia d’acqua o qualcosa di simile.

 

“Visto?” Mao stette bene attenta a non sorridere troppo. “Uomo di poca fede…”

 

Lui scosse la testa. “Sei una cosa assurda… E lei aveva uno sguardo tipo-”

 

La ragazza lo zittì all’istante. “Non ci stacca gli occhi di dosso.” Sussurrò, sorridendo maliziosa. “Ora sai che ci resta da fare? La mazzata, il colpo di grazia.”

 

Lui ricambiò lo sguardo, sorridendo furbescamente. “Vamonos.

Posando delicatamente le dita sulla guancia di lui, Mao lo baciò voracemente, venendo attirata per i fianchi in modo che il tutto potesse risultare più intenso e completo; gli circondò il collo con le braccia, sentendo le sue fare lo stesso con i suoi fianchi: fu un bacio che durò parecchi secondi e che attirò l’attenzione e le esclamazioni di molti bladers, lì.

Quando si sciolsero dall’abbraccio, seppero soltanto guardarsi negli occhi e ridacchiare, soddisfatti del loro operato.

 

Per poi intravedere una sagoma che li fissava, proprio dinnanzi a loro, con tanto d’occhi.

Pallida, incredula, sconvolta, quella sagoma.

Rei Kon era proprio lì, davanti a loro.

 

 

 

 

 

Appena terminata l’intervista con le Cloth Dolls, Julia andò di filato alla macchinetta per il terzo caffè della mattinata, e fu una sorpresa quando incontrò Mariam.

Si sorrisero e, senza nemmeno dire una parola, selezionò un caffè macchiato per l’amica, che accettò con un’occhiata di gratitudine.

“¿Qué te pasò?” chiese, mescolando e facendo sì che lo zucchero si sciogliesse. “Il vostro incontro con i giapponesi com’è andato?”

 

Mariam si sedette sulla panchina proprio accanto la porta dello spogliatoio maschile, e Julia le si accomodò accanto. “E’ stata una sfida avvincente, direi.” scrollò le spalle, finendo la bevanda e buttando il bicchiere nel cestino accanto. “Ci hanno battuto per poco.”

 

“Io sono proprio all’ultimo turno… Meno male che esiste la caffeina, altrimenti sarei a terra.” proclamò, finendolo tutto in un sorso, e facendo sorridere l’altra.

 

“Stavo iniziando a diventare invidiosa, ora ho capito qual è la tua fonte di energia.”

 

“Ebbene sì, mi hai scoperta.” le due ridacchiarono. Ahora vivimos a cuerpos de rey.” fece, stiracchiandosi.

Mariam inarcò le sopracciglia, per poi ridere brevemente, facendole intendere di non aver capito la sua ultima frase.

Oooh, chica..!” Julia scosse la testa, ridacchiando con lei. “Viviamo come delle pascià.” spiegò, e una volta accavallate le gambe, le schiacciò l’occhiolino. “Non so tu, ma io mi trovo benissimo in questo periodo…” fece, stiracchiandosi.

 

Quella annuì pigramente. “Non ci si può lamentare…”

 

“Questa stile di vita mi piace tanto...!” fece,  ridendo. “Chi l’avrebbe mai detto.”

 

Mariam inarcò ironicamente un sopracciglio nella sua direzione. “E dire che non avresti nemmeno motivi per agire così.”

 

La madrilena prese a ridere. Mal de muchos, consuelo de tontos.”* fece, scrollando le spalle. “Le amiche si vedono nel momento del bisogno, no?” ribatté, dedicandole una linguaccia.

 

L’irlandese scosse la testa, divertita. “Già, ovvio. L’hai fatto per non lasciarci sole.”

 

Julia rovesciò la testa indietro, poi annuì scherzosamente. “Eh, vedi che l’hai capito?” passò un braccio attorno alle spalle della ragazza che, dapprima si irrigidì, poi si lasciò andare all’irruenza dell’amica. “Dai chica, bene o male ci stiamo divertendo, e stiamo pure capendo molte cose.” concluse, con un sorriso amaro.

 

Mariam posò i suoi occhi verdi sulla spagnola, prendendo a fissarla attentamente: da quando c’era stata quella litigata epica con Raùl sapeva che il terreno tra lei e suo fratello era un campo minato e che i gemelli Fernandéz stavano provando, lentamente, a ricostruire il loro rapporto; ma sapeva anche che ce l’avrebbero fatta, se c’era la volontà, da parte di entrambi, di andare l’uno incontro all’altra. “Tutto bene con tuo fratello?”

 

Quella scosse la testa, prendendo a sbuffare. “Non so come comportarmi…” ammise. “No do pié con bola.” sussurrò infine; all’occhiata in tralice della ragazza rispose con una risatina. “Perdona: non ne azzecco una. In tutti i sensi.”

 

Vedere un uragano come Julia abbattuta per un qualsiasi motivo era qualcosa di allucinante, Mariam non credeva, in tre anni di conoscenza, di averla mai vista di un umore che non fosse energico e vitale: lei era Julia, era la Spagna in persona, era caliente, era passionale, era un uragano, un tornado di vitalità che contagiava tutti coloro che incontrava sul suo cammino.

“Magari il cammino non sarà proprio facile.” scelse di dire. “Però se ci credi allora qualcosa accadrà. Il destino non esiste, scordati quelle stronzate sul cammino scritto nelle stelle o roba simile: siamo noi stessi che decidiamo della nostra vita. Tu che vuoi fare?”

 

La vide annuire lentamente per poi sorridere ed acquisire sicurezza. “Voglio ricostruire il rapporto con mio fratello.”

 

L’irlandese scrollò le spalle, appoggiandosi al muro. “Allora è deciso.”

 

La fissò attentamente per poi scuotere la testa e infine ridere, ridere silenziosamente, e sospirare. “Dios, chica… Ora capisco perché hai così tanti corteggiatori: con questo caratterino mischiato a questi occhioni verdi, i ragazzi li fai secchi!”

 

Quella si ritrovò a sbuffare, assumendo un’espressione quasi nauseata. “Ma finiscila.”

 

Càrgate de razòn: convincitene.” annuì freneticamente l’altra. “Ora capisco come mai hai avuto tutti questi che ti morivano dietro…”

 

“Mi risulta che anche tu hai avuto il tuo bel popò di maschietti da accontentare.” Mariam inarcò le sopracciglia con aria scettica. “Non verrai a lamentarti che sei a corto di uomini…”

 

Quella rise. “Non sto dicendo questo, anzi: la vita che facciamo mi piace e anche tanto.” pensandoci su, sospirò, inclinando la testa da un lato. “Sai qual è il problema? A me piace conoscere nuova gente, nuovi ragazzi, vivere questo periodo che mi sta insegnando tante cose… Ma è un estrés!”

 

“Intendi dire uno stress?” Julia annuì freneticamente. “Definisci stress.”

 

“Dai, mi hai capita: devi sempre curarti, non puoi permetterti ti avere un pelo o un capello fuori posto, devi sopportare l’abbordaggio dei ragazzi che, lo sai, è pessimo…” qui l’irlandese sorrise, annuendo. “Vorrei qualcosa di un po’ più rilassante…”

 

Lo sguardo della ragazza si fece malizioso. “Una romantica storia d’amore…?”

 

“¡Vaya por Dios, no!” sbottò, facendo scoppiare a ridere colei che l’aveva provocata. “Uno che ci sia sempre, ma senza legami, solo… Sesso.”

 

Mariam scrollò le spalle. “Uno scopamico.”

 

Julia all’inizio rimase perplessa, poi annuì. “Sì. Ma dove lo trovo?” fece, sbuffando teatralmente.

 

L’altra si alzò dalla panchina, spingendola a fare lo stesso. “Bella domanda. Però mi han detto che avere uno scopamico è una cosa molto comoda; se sai come gestire la situazione, certo. Amici o amanti, il binomio è sempre un rischio. Ogni volta le regole cambiano, non sai in che modo cambieranno te.

 

“Credo che saprei come gestirla, se se ne presentasse l’occasione.” ribatté Julia, stiracchiandosi e sorridendo; andando verso l’uscita che dava sullo stadio con la sua amica,  la conversazione si spostò su altri piani, e le due tornarono a ridere, ignare dei due occhi color metallo che le osservavano da dietro la porta dello spogliatoio maschile.

 

 

 

*“Mal comune, mezzo gaudio”

 

 

 

Hilary scoppiò a ridere quando un giornalista, subito dopo una foto scattata con Takao, le chiese se fosse lui il suo fidanzato; non poté nemmeno rischiare di incrociare gli occhi del suo migliore amico, perché quel disgraziato stava ridendo forte almeno il doppio di quanto stesse facendo lei.

 

Il giornalista li fissò, perplesso. “Scusate, ma… Non so; credo che la signorina sia la ragazza che segue i Blade Breakers Revolution da anni, quindi è legittimo pensare ad una relazione, soprattutto dopo averla vista, adesso, tifare con tanto ardore per la squadra giapponese.”

 

La bruna cercò di ricomporsi e di non ridacchiare ulteriormente, ma una risatina le uscì ugualmente, soprattutto quando incontrò accidentalmente lo sguardo di Takao. “Sì, seguo i passi della squadra giapponese da anni, e conosco lui praticamente dall’asilo. Siamo amici, fratelli mancati. Lui è il mio universo, il mio tutto. Da quando mi sono trasferita a New York non c’è stato attimo in cui non mi sia mancato, ma… Dopo averlo avuto tra i piedi ogni momento per tutta la vita credo sia normale!”

 

Takao dapprima chiuse gli occhi melodrammaticamente, dopodiché li aprì di scatto. “Ti rendi conto, vero, che hai rovinato la più bella dichiarazione di sempre?”

 

Aaaah, sta’ zitto, scemo!” sbottò giocosamente, e lì seguì il loro classico botta e risposta che li aveva sempre caratterizzati: prendersi in giro senza mai offendersi.

 

“Okay…” l’uomo si scambiò una breve occhiata con il fotografo, dopodiché annuì. “Abbiamo finito. Grazie per la disponibilità.”

 

“Di niente, grazie a voi.” aggiunse educatamente Hilary, fingendo un faccino angelico per poi dare  al ragazzo una botta sul braccio per la sua ultima uscita.

 

“Già, grazie.” fece eco Takao, pizzicandole a sua volta il braccio e ridacchiando con lei. “Oggi siamo iperattive, eh?”

 

“Ah, non me ne parlare.” Prese a camminare accanto a lui, sospirando. “Ho bevuto un sacco di tè e caffè, credo che se l’attesa prima del concerto fosse durata un po’ più a lungo sarei andata in iperventilazione.”

 

“Perché sei scema ed emotiva.” rispose, scrollando le spalle. “Oh, c’è l’incontro della squadra di Max contro i gemelli Fernandéz: andiamo?”

 

Hilary annuì per poi fare una smorfia. “E’ in queste situazioni che non so per chi tifare.”

 

“Segui il filone del vinca il migliore e sei a posto.”

 

La ragazza annuì lentamente, incrociando le braccia. “Tu sì che sai come pararti il culo.” Scoppiarono subito a ridere, per poi ricomporsi alla vista dello stadio. “E’ rimasta un po’ d’acqua per caso?” cambiò discorso, voltandosi a guardare lo zainetto che si stava portando dietro.

 

“No, te l’ho finita tutta.” commentò, e quando lei lo fissò male si limitò a scrollare le spalle. “Avevo sete: sono uno sportivo!”

 

“Fanculo.” Hilary roteò gli occhi. “Non smettere mai di giocare a beyblade, o tempo qualche settimana e, per quanto mangi e bevi, ti ridurresti tipo una portaerei.” lui scosse la testa, ridacchiando. “Io vado a prendere una bottiglietta alle macchinette.”

 

Mmm… Troppa strada…” si lamentò il giapponese, rovesciando indietro la testa con un melodrammatico lamento. “E io devo recuperare le forze.”

 

La ragazza scosse la testa, facendo una smorfia. “Vai a cagare.” commentò e, andando verso il corridoio che portava ai distributori automatici, sentì soltanto le risatine del suo migliore amico.

Quella giornata era stata pesante e piena di adrenalina al tempo stesso: non aveva dormito tutta la notte, aveva cantato davanti a milioni di persone e, infine, era stata sballottolata di qua e di là con il suo gruppo per interviste et similia.

 

Che giornata pazzesca…

 

I distributori automatici erano parecchio più in là, ci arrivò solo dopo qualche minuto, e dovette aspettare che un ragazzo parecchio irresoluto si decidesse a lasciarle campo libero per la sua bottiglietta d’acqua, che selezionò velocemente.

 

“Ehi, tu sei la cantante!”

Si voltò verso chi aveva parlato, scoprendo che si trattava proprio del ragazzo di prima: alto, con una cresta rossa sui capelli neri, pareva starla squadrando dalla testa ai piedi, e quando arrivò ad incrociare i suoi occhi, un sorriso idiota si impossessò delle sue labbra.

“Ciao, bellezza.”

Inarcò freddamente le sopracciglia, decidendo di mandarlo a quel paese; si incamminò verso la direzione opposta, scocciata, ma quello non sembrava dello stesso avviso, perché la affiancò senza problemi, continuando a guardarla con un sorriso ebete.

“Volevo farti i complimenti: sei bravissima, una vera forza.”

 

“Grazie.” replicò, annoiata, svoltando l’angolo; lui non si arrese, continuando a camminare assieme a lei come se stessero avendo una normalissima conversazione.

 

“No, niente, volevo chiederti se ti andava di uscire… Qui fa caldo…” propose, ponendo una mano sul braccio di lei.

 

Hilary lo ritirò bruscamente, seccata. “Lasciami in pace.” ringhiò, fissandolo malissimo.

 

Lui alzò le mani in segno di resa. “Volevo soltanto essere gentile, fare nuove conoscen-”

 

“Farai la mia conoscenza, e in un’altra maniera, se non te ne andrai all’istante.”

Lo stomaco della ragazza si strinse al suono di quella voce così fredda e metallica; voltandosi, fu quantomeno sorpresa di vedere Kai procedere a passi misurati verso di loro. Con gli occhi stretti a due fessure che parevano voler incenerire quel tipo, Hilary pensò che non avrebbe voluto affatto trovarsi nella situazione di essere fissata in quel modo da quelle ametiste.

 

“Okay, okay, calma.” sbuffando e alzando gli occhi al cielo, quel tizio capì che non era aria, e fece due passi indietro. “Uno vuole soltanto essere gentile e non può…”

 

“Sparisci.” al sibilo di Kai, dire che l’altro se la diede a gambe fu un eufemismo, perché scomparve letteralmente.

 

Sbatté le palpebre più volte, incredula, dopodiché quando gli occhi di lui sostarono sulla sua figura, si ritrovò a sospirare leggermente. “Grazie di tutto.” Bofonchiò.

 

Il russo stava per borbottare qualcosa in risposta ed andare, ma qualcosa nel tono di lei lo incuriosì. “Che c’è?”

 

Parve pensarci un istante, dopodiché scosse la testa, dovendo decidere che non ne valeva la pena e sospirando. “Niente, pensieri stupidi.”

 

Le sopracciglia del ragazzo si aggrottarono. “Definisci stupido.”

 

Hilary fece una smorfia. “Niente, per un attimo ho pensato che ho… Avuto bisogno del tuo aiuto per scacciare via quell’idiota. Perché un ragazzone alto e ben messo fa paura, una ragazzina bassa e magrolina, pur essendo cintura marrone di karate, non suscita il minimo timore. La società è ingiusta.”

 

“Avresti potuto atterrarlo.”

 

Lei corrucciò le sopracciglia, pensierosa. “Se tu non fossi arrivato l’avrei fatto.”

 

Kai non replicò alcunché per parecchi secondi, accontentandosi di rimanere a fissarla, ma quando le sue iridi si posarono sulla figura di lei, all’apparenza timida e fragile, non poté che porle una domanda che aveva desiderato farle da tanto. “Questo atteggiamento alla Grušenka del nuovo millennio da dov’è che ti viene fuori?”

 

Rimase in silenzio qualche istante, per poi capire. “Grušenka, il personaggio dei Fratelli Karamàzov?” lui annuì brevemente, e per un attimo restò senza parole. “Perché proprio lei?”

 

Si limitò a scrollare le spalle. “E’ descritta come una donna cinica, indipendente, piena di rancore verso tutti gli uomini che le hanno fatto del male.”

 

“Ah.” il suo commento la fece sorridere.

“Credo che, comunque, crescendo si diventi per forza di cose un po’ più cinici, no?” si morse le labbra, pensosa, per poi tornare alla domanda iniziale. “Non ho letto Dostoevskij, ma più che alla sua Grušenka preferirei paragonarmi a Lizzie Bennet: una donna intelligente, di carattere, dotata altresì di sensibilità e fermezza.” fece, annuendo convinta. “Il suo: solo il vero amore potrà condurmi al matrimonio, ragion per cui rimarrò zitella, mi calza alla perfezione.”

 

“Ma lei incontrò Darcy, o come si chiama.” ribatté.

 

Lo fissò sorridendo. “Hiwatari… Leggiamo Dostoevskij e non la Austen?”

 

“E’… Diversamente leggibile.”

 

Pose le mani in fianco inarcando pericolosamente le sopracciglia. “Oh, certo, perché il tuo Fedor è scorrevole come un passamano.”

 

Kai trattenne a stento uno sbuffo. “Non è mio. Preferisco Proust.”

 

Hilary si finse pensierosa. “Non l’ho mai letto. Avrei sempre voluto, però; infatti, spesso mi assale un grande desiderio di dire qualcosa tipo questo l'avrebbe detto Marcel Proust, ma non ho idea di cosa abbia detto, quindi lascio perdere.” Kai alzò gli occhi al cielo, divertito.

“Ah, ma non mi lascio fuorviare! Non puoi dirmi che Jane è noiosa: lei analizza le sue eroine con ironia e arguzia, Virginia Woolf stessa la descrisse come l’artista più perfetta tra le donne! Lei riesce a far sì che il lettore inquadri un personaggio con facilità da poche, mirate battute e, credimi, non è un tratto di molti autori.” proclamò, scuotendo la testa.

 

“Questo lo so.” Kai fissò dritto davanti a sé per poi spostare gli occhi sulla figura della ragazza. “E’ tutto un altro genere rispetto a Dostoevskij: lui è nichilista, conservatore, e i suoi romanzi sono una sorta di teatro interiore, capisco che tu non ne condivida il pensiero.”

 

La ragazza inarcò le sopracciglia. “Ti riferisci ai temi che tratta?” lui annuì e lei fece una smorfia. “Per uno che ha dichiarato: se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità…” scosse la testa., poi sbuffò. “Concepisco la fede in una persona, ma non al punto da porsi i paraocchi.”

 

Lui sogghignò. “Condivido.” disse soltanto. “Nei suoi libri ha sempre trattato temi morali, ma ha sempre tenuto a far vedere cosa fosse giusto per lui.”

 

“Per esempio?”

 

Ci dovette pensare un secondo prima di elencarne qualcuno. “L'isolamento contro le ipocrisie delle convenzioni imposte dalla vita comunitaria, la probabile sanità mentale contro la malattia, il socialismo contro lo zarismo, e, ovviamente, la fede contro l'ateismo.”

 

Ridacchiò, ritrovandosi a roteare gli occhi. “Ovviamente.” girarono l’angolo, per poi trovarsi di fronte l’entrata che dava sullo stadio; solo allora Hilary si ricordò dell’incontro degli americani contro la squadra spagnola, e del fatto che Takao la aspettava e che doveva averla data per dispersa.

 “Okay, io… Vado.” fece, indicando la panchina dove stavano seduti il professore, Daichi e Takao. uando Quando si volse non poté far altro che pensare che la era la più interessante e stimolante conversazione che aveva mai avuto da mesi a quella parte.

 

Attenta, Hils

 

 

 

 

 

 

Non sapeva proprio perché fosse lì; dannati sentimenti, dannato cuore e dannato stomaco con relativi esseri svolazzanti all’interno.

Non doveva essere lì, non avrebbe minimamente dovuto. Avrebbe dovuto essere da tutt’altra parte, magari a casa a riposarsi, magari in compagnia di una delle sue amiche, di certo in tutt’altra compagnia.

Non in piedi come una sagoma, con il cuore in gola, a visionare l’incontro RaùlVSMax e a fare il tifo inconsciamente per tutt’altra persona che per l’amico di Mao.

 

Fottutissimo cuore, quanto ti odio…

 

Mariam si appoggiò al muro, incrociando le braccia e lasciando che le ciocche di capelli neri le andassero a coprire il viso.

Che ci faceva lì impalata? Perché non se ne andava? Da qualsiasi altra parte, perché avrebbe dovuto essere ovunque, tranne che lì.

 

Un’incoerente, ecco cosa sono.

 

L’incontro si stava protraendo decisamente troppo: Max e Raùl stavano cominciando ad essere stanchi, e ad accusare gli sforzi di quella sfida che si stava svolgendo senza esclusione di colpi.

Il fratello di Julia era molto migliorato dall’ultimo campionato, e nel viso aveva un cipiglio più sicuro, fiero, grintoso.

E fu per poco – per pochissimo – che lo spagnolo perse; Max, con un’abile mossa, sfruttò a suo favore il terreno del campo di gioco per far andare fuori il bey dell’avversario.

I due sfidanti si strinsero la mano, facendo l’uno i complimenti all’altro, e Mariam fece per andar via quando la sua attenzione venne catturata da Julia che accolse il fratello con un abbraccio.

 

Che scema che sei…

 

Alla fine aveva ascoltato le sue parole: quei due non avrebbero avuto vita facile per ricostruire il loro rapporto, ma ce l’avrebbero fatta.

 

Era il momento di andar via, di recuperare le forze e di voltare le spalle a quell’inutile cosa che non avrebbe fatto altro che danneggiarla. Con il cuore in gola, si costrinse a rimettersi in piedi e a cercare con gli occhi la più vicina via di fuga prima che-

 

Mariam!” non poté far altro che voltarsi di scatto verso quella voce che, nonostante non sentisse da mesi, era ancora in grado di farle venire il magone. “Sei rimasta… ” il suo sorriso era quello di sempre, i suoi occhi color cielo erano quelli di sempre, le sue lentiggini erano quelle di sempre… Lui era quello di sempre.

 

Un gran bastardo.

 

Girò sui tacchi e se ne andò, subito affiancata da lui che la seguì all’istante per poi superarla, sbarrandole la strada. “Dobbiamo parlare! A Washington… Mi hai urlato addosso, sei scappata con il primo aereo, non ti ho più rivista.” esalò, stranito. “Perché non mi hai creduto?”

 

Lei chiuse gli occhi un istante, per poi riaprirli di scatto. “Perché ricordo ogni parola che mi hai detto: non riesco a smettere di pensarci.”

 

“E questo cosa-”

 

“Per me eri importante. La nostra storia era importante.” sibilò, perdendo le staffe. “Tu… Tu hai rovinato tutto…” esalò, scuotendo la testa e sentendo via via le lacrime farsi strada nei suoi occhi. “Hai rovinato ogni cosa, e io non potrò mai, mai perdonarti, mai.”

 

Prima che lui potesse vedere una lacrima rotolarle giù per la guancia, corse via, incurante dei suoi richiami, con la testa piena di pensieri e il cuore spezzato.

Ma non era l’unica.

 

 

 

 

 

“Sono stanchissima.” Hilary sbadigliò vedendo a malapena l’appartamento e beandosi dell’idea che, tempo pochi istanti, e lo avrebbero raggiunto. “Stasera ordiniamo una pizza o qualcosa al take-away arabo qui di fronte?”

 

Mao le rivolse uno sguardo stanchissimo e decisamente provato. “Io voto arabo.”

 

Mi también.” Julia sbadigliò. “Non vedo l’ora de ir a acostarme.”*

 

La giapponese ridacchiò. “Se persino tu dici che vuoi andare a dormire...” scosse la testa, prendendo il cellulare e componendo il numero del take-away per ordinare, ma lo posò immediatamente quando vide una mustang che conosceva bene parcheggiata sotto il loro condominio con la loro amica al posto del conducente.

 

Mariam aveva lo sguardo fisso nel vuoto, e gli avambracci sul volante.

 

Julia, Mao e Hilary entrarono nella vettura in silenzio, e la musica dei Beatles invase dolcemente le loro orecchie: erano legate a quel gruppo musicale per averle fatte conoscere e per essere quello che metteva d’accordo tutte, in quanto di gusti completamente opposti. Ma con musica come quella non si sbagliava mai; Yesterday, poi, non poteva essere più adatta per il momento.

 

Ci fu qualche secondo di silenzio in cui le tre ragazze si osservarono tra loro incerte sul da farsi; Julia non sapeva se dire qualcosa, Mao non sapeva se chiedere a Mariam se avesse fame e Hilary quanto l’umore della sua coinquilina fosse nero da uno a dieci; poi si ricordò che, in effetti, bastava poco per avvicinarsi.

Iniziò canticchiare piano, seguendo i cantanti originali della canzone e venendo guardata dalle amiche in maniera sorpresa, ma poco dopo venne seguita da Julia, ed infine dalle altre due.

La canzone si sposava esattamente con i loro stati d’animo e con le loro emozioni, cantarla tutte insieme le faceva sentire quanto più vicino fossero mai state.

 

Quando finì, si resero conto che era l’ultima del cd; con il cuore più leggero l’irlandese si appoggiò al volante, umettandosi le labbra e scrollando le spalle. “Il mondo è ingiusto.” Fece, piano.

 

Capendo che era un suo modo per esordire, Mao prese la palla al balzo. “Non me ne parlare: qualcuno mi sa spiegare perché oggi, per aver aiutato un amico sono stata messa alla gogna?”

 

Julia sbatté gli occhi. “Che intendi?”

 

La cinese sbuffò. “Niente, ero con Raùl e caso ha voluto che fossimo di fronte a Mathilda. Ho voluto provargli che cosa voleva dire fare impazzire una ragazza… Cioè, secondo me lui ha delle carte da giocare con lei, se le sfrutta bene… E prima siamo andate da lei a braccetto – dovreste vedere che faccia ha fatto! – poi l’ho baciato.”

 

“Hai baciato Raùl?” Hilary aveva occhi e bocca spalancati.

 

Julia roteò gli occhi. “Se lo è scopato! Un bacio in più o in meno… Che differenza vuoi che faccia?”

 

Mariam sorrise, e Mao, presa di coraggio da questo fatto, attirò la sua attenzione. “No, Mari, dimmi te se proprio mentre lo baciavo non doveva arrivare quel baccalà del mio fratello acquisito.”

 

“Rei ti ha vista baciare Raùl?!”

 

“Oddio, e che è successo?”

 

“Niente, che vuoi che sia successo? Pareva una statua di sale… Ma giuro – giuro – si permette ancora a fissarmi male così come ha fatto tutto il giorno e gli cavo gli occhi con le mie stesse dita.”

 

La mora abbozzò un sorriso, si morse le labbra, dopodiché scosse la testa. “I maschi sono degli idioti, ma le ragazze innamorate non scherzano…”

 

“Amore, amore… A cosa serve?” Hilary storse il naso. “E’ soltanto un gran cumulo di merda.”

 

Mariam annuì. “Non posso che darti ragione.”

 

“No, pensateci: l’amore genera bei momenti, che poi si tramutano in brutti momenti, che generano ricordi, per non parlare delle lacrime..!”

 

Julia fece cenno di volerla uccidere strangolandola. “E poi?”

 

Hilary svenne drammaticamente sul sedile. “E poi muori.”

 

L’irlandese si morse le labbra e sospirò profondamente. “Ho guardato Max disputare il suo incontro… E mi sono messa nei guai da sola; lui mi ha vista, mi ha parlato e io non ero preparata. Capite? Non mi aspettavo che dopo che lui mi avesse vista, mi volesse parlare! Ma dove vivo?” scosse la testa, digrignando i denti. “E ora sono qui, ridotta in lacrime per lui come una debole donnicciola. Bell’affare.”

 

Julia pose la sua mano sull’avambraccio dell’amica. “Le persone piangono, e non perché sono deboli. Ma perché sono state forti troppo a lungo.”

 

Furono queste parole a scatenare le ultime lacrime: quelle finali, quelle che la ragazza aveva dentro il cuore, piantate in fondo all’anima. Pianse senza ritegno, Mariam, ma sulla spalla della sua amica, e circondata dalle persone su cui sapeva di poter contare.

Perché, di tanto in tanto, c’erano anche delle cose sulle quali vale la pena puntare. E l’amicizia era una di queste.

 

 

 

 

*“Anch’io.” … “Non vedo l’ora di andare a dormire.”

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

Adoro las chicas! <3 Amo scrivere su di loro proprio perché sono quattro ragazze completamente diverse, che vengono da paesi – o magari da continenti – diversi, ma che si scontrano perfettamente e si vogliono bene. (Almeno, nei miei flash è così. ;D)

 

Ringrazio sempre le mie affezionate ragazze che mi seguono e hanno l’onore (per non dire onere!) di leggere e recensire tutto ciò che la mia mente partorisce °_° Veramente, chicas, vi amo tutte. <3

 

Allora se vedemo a ‘na semana, come direbbero qui a Trieste. (♥)

A tra pochi giorni, e ispiratevi.

Il titolo Vindicated dovrebbe darvi una spintarella nella giusta direzione. ;)

 

 

Un bacio,

 

Hiromi

   
 
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