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Autore: Charme    19/10/2011    37 recensioni
Verity è una giovane strega che è stata vittima della crisi del Mondo Magico causata dal ritorno di Voi-sapete-Chi, e ora sta disperatamente cercando un impiego. La poveretta non ha idea di che cosa la aspetti.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro, personaggio, Fred, Weasley, George, e, Fred, Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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  Angolo Autrice:
  Ehilà! Terza fanfiction per la discontinua e casereccia casa di produzione ‘Charme’.
  Ho intenzione di parlare di un personaggio di cui mi pare di non aver mai letto, se non in storie che parlavano di Verity come una splendida fiamma – o, per meglio dire, ‘fuoco di paglia’ – di Fred o George (o entrambi).
  Della mitica commessa dei Tiri Vispi – sinceramente, gente, riuscite a immaginare quanto si debba essere mitici per gestire un negozio del genere e i suoi proprietari? – non si sa quasi niente, per cui ho dato sfogo alla mia fantasia, attenendomi però all’idea che mi ero fatta di lei, sulla base di quell’unica battuta che ha nel sesto libro.
  Fred e George saranno anche splendidi e geniali, ma l’idea che due diciottenni possiedano spiccate abilità manageriali – o, più in piccolo, visti i tipi, che possano stare in un posto per più di cinque minuti senza farlo esplodere – era un po’ stiracchiata; per questo motivo ho pensato che forse una terza persona un po’ più esperta, quadrata e razionale sarebbe stata una mano santa.
 
  Qualche nota per la lettura:
-         Verity è stata Corvonero. Con questo si spiega la sua abilità nell’alternare momenti di formale freddezza a paranoia con una punta d’isterismo. (Per tacere della minuscola frecciata nei confronti dell’atteggiamento fin troppo simil-eroico dei Grifondoro ^^)
-        Naturalmente in inglese non c’è differenza tra ‘tu’ e ‘lei’ formale, a meno di non utilizzare vocaboli più adatti al tempo di Shakespeare e Marlowe che non al nostro, ma il mio progetto di fanfiction prevedeva assolutamente questa continua alternanza tra formalità e informalità, per cui, se vi piace, bene, se non vi piace, bene lo stesso, tanto piace a me.
-        Il cognome di Verity, ‘Truthpath’, significa ‘Sentiero della verità’, e l’ho abborracciato in quanto spesso nomi e cognomi, nel mondo magico, non sono scelti a caso, ma descrivono il personaggio o una sua qualche peculiarità. Fred la chiama Toothpaste (dentifricio) perché ha l’errata convinzione di credersi simpatico. E così io.
-        A un certo punto, è nominato l’Incantesimo Geminio. Esso è utilizzato per duplicare oggetti, non persone, ma George lo nomina a titolo esemplificativo, in sostituzione al termine orrendamente Babbano di ‘clonazione’.
-        La Tentacula Velenosa è una pianta i cui semi – sebbene siano considerati Sostanza Non Commerciabile di Classe C – vengono utilizzati per la produzione di alcune Merendine Marinare. Durante la storia, però, ne parlo in relazione alla peculiarità dei suoi tentacoli, che, come si può vedere anche nel sesto film, sono in continuo movimento.
 
  Dovrei aver finito. Qualora abbia omesso qualche spiegazione o scritto qualche aberrante scemenza, siete pregati di farmelo notare, anche con schietta franchezza.
  Il che vuol dire che, se volete insultarmi, dovete farlo via recensione.
 
  Disclaimer:
  La cosa sicuramente vi stupirà infinitamente, ma personaggi, luoghi e tutta questa roba qua non appartengono a me (eccetto la mia personale elaborazione di Verity, il Sacco di Risate, il Diavolo per Capello e gli Specchi Deformanti a Scoppio Ritardato), bensì a una tale J.K. Rowling, alla quale pare appartengano anche numerose infanzie, tra cui la mia.
 
 
 
 

< Harry notò che indossava anche lei la veste magenta del personale.
“C’è un cliente che cerca un calderone finto, signor Weasley e signor Weasley”>>

 
 
 
 
  Cercasi commesso/a (ma più ‘a’ che ‘o’, possibilmente), anche prima esperienza, per negozio in prossima apertura. Sono richieste bella presenza, buono spirito imprenditoriale e senso dell’umorismo.
  Astenersi musi lunghi.
  Presentarsi alle ore dieci al numero novantatré di Diagon Alley, appartamento al primo piano.
 



  Verity rilesse l’ormai spiegazzatissimo ritaglio di giornale, cincischiandone gli angoli con le mani.
  Aveva assolutamente bisogno di un lavoro; ormai era a piedi da più di un mese, da quando Mondomago aveva effettuato dei netti tagli al personale.
  La tremenda notizia del ritorno di Voldemort aveva causato un’inarrestabile ondata di panico che si era concretizzata in una vera e propria crisi economica.
  A Diagon Alley alcuni negozi avevano assistito impotenti mentre i loro affari crollavano drasticamente, e si erano visti costretti ad attuare una seria politica di controllo dei costi onde evitare di fallire.
  La conseguenza più immediata per Verity era che lei era stata liquidata senza troppe cerimonie.
  Aveva vagolato da un’attività all’altra, offrendo i propri servigi, ma ovunque fosse andata le era stato propinato lo stesso, sentito discorsetto sui tempi bui che il mondo magico stava affrontando, e che pertanto, in un periodo come quello, nessuno avrebbe potuto permettersi di assumere nuovo personale.
  All’ultimo negozio in cui era stata, Accessori di Prima Qualità per il Quidditch, era stata addirittura in grado di anticipare le parole del titolare, cogliendolo di sorpresa.
  Per tutta questa serie di motivi, Verity era portata a dubitare della veridicità di quell’annuncio: chi mai, infatti, avrebbe aperto un negozio in tempi del genere?
  D’altro canto, la Gazzetta del Profeta era caduta in basso, ma a che pro avrebbero pubblicato annunci di lavoro fasulli?
  Un po’ poco, per illudere le persone che la crisi stesse volgendo al termine, o che in realtà non fosse mai esistita.
  Ma era inutile continuare ad arrovellarsi il cervello con quei pensieri catastrofici, per cui Verity ripiegò il solito foglietto e fece un respiro profondo, incamminandosi verso l’indirizzo riportato dall’annuncio. Erano le nove e quarantacinque, era in perfetto orario e tutto sarebbe andato per il meglio.
  A quanto sembrava, i lavori prima dell’apertura del negozio erano ancora in corso, perché grandi teloni celavano alla vista eventuali decorazioni o insegne. Soltanto in un punto il telo era scostato, e Verity, incuriosita, vi si avvicinò per dare una sbirciatina.
  Le vetrate, però, erano a specchio, e le restituirono soltanto l’immagine di una giovane strega con corti capelli biondi e occhi verdi, che per l’occasione aveva indossato un completo elegante ma sobrio che le dava l’aria della perfetta donna d’affari.
  Impossibilitata a curiosare sull’interno del negozio, Verity decise di utilizzare la vetrina per rassettarsi, avvicinandosi allo specchio per controllare anche il trucco; il mascara aveva visto giorni migliori – tutta colpa del vizio di stropicciarsi gli occhi. Ben fatto, Verity – ma nel complesso era a posto.
  Un momento.
  Il suo naso era così grosso?
  E cos’era quell’orrenda e strabordante sporgenza al posto di quello che era sempre stato un sederino di tutto rispetto?
  Verity cacciò un urlo e si raddrizzò di scatto, ma prima che potesse reagire in altro modo, un forte crac seguito da una fragorosa risata la fece sobbalzare, distogliendola così dal suo proposito di cedere allo stress accumulato.
  Un ragazzo con fiammanti capelli rossi era comparso dietro di lei, e a giudicare dalla prorompente risata, doveva aver assistito al dramma di Verity.
  “Non si ride delle disgrazie altrui” bofonchiò infantilmente lei, contrariata.
  Il ragazzo rise più forte, e Verity lo trapassò con un’occhiataccia, prima di voltargli le spalle e andarsene, con i tacchi che percuotevano furiosamente il selciato.
  “Dai, non puoi essertela presa per così poco! Quella vetrina è uno Specchio Deformante a Scoppio Ritardato e, nell’intenzione, dovrebbe far ridere!”
  Il disappunto di Verity si spostò testé dallo specchio a quell’irritante e irriverente ragazzo.
  “Avrei voluto vedere cos’avrebbe fatto lei, al mio posto” ribatté la ragazza, utilizzando quel formale ‘lei’ per evidenziare il proprio distacco.
  “Oh, lo vedremo subito” esclamò gioiosamente quello, piazzandosi con aria tronfia davanti allo specchio.
  Per un attimo, quello lo rifletté al naturale, ma appena qualche istante dopo al riflesso spuntarono grossi brufoli purulenti, tanti quante erano le sue lentiggini, e più tardi fece la sua comparsa in mezzo alla fronte un neo peloso piuttosto orripilante.
  Quando tra i capelli rossi si formarono due maestose corna arricciate, Verity mise su un’espressione trionfante e cominciò a ridere.
  Il rosso belò, imitando una capra, poi raspò un piede a terra, fingendo di volerla caricare.
  Quella volta, la risata di Verity fu sinceramente divertita.
  “Ah-ah! Hai visto? È divertente! Su con la vita!” chiosò lo strano tizio, battendo una pacca amichevole sulla spalla di Verity.
  La ragazza gli sorrise, poi parve rendersi conto di un errore tattico e tornò seria, sottraendosi al suo tocco.
  “Ehi, biondina, dove pensi di andare?”
  Ecco, lo sapevo, è un pazzo maniaco, forse anche un omicida. Domani mi ritroveranno in un vicolo buio, e l’ultima cosa che vedrò nella mia vita mortale sarà un accecante lampo di luce verde che…
  “Fammi indovinare, sei qui per il colloquio di lavoro?”
  L’immagine della sua morte violenta scomparve dalla mente di Verity.
  “Sì, in effetti…”
  “Ti consiglio di fare attenzione – le raccomandò il ragazzo, improvvisamente serio – il proprietario è un tipo strano, di quelli da cui ci si può aspettare di tutto”.
  Un vicolo buio, bidoni della spazzatura rovesciati, cani randagi che si contenderanno i miseri resti delle mie spoglie… No, un momento. A me questo lavoro serve. Al diavolo la paranoia.
  “‘Strano’ mi sembra un po’ riduttivo, visto che deve definire un folle che installa degli specchi deformanti al posto delle vetrine del suo negozio. E ora, se vuole scusarmi…” e cominciò a salire la scalinata che portava al primo piano della palazzina. 
  “Fa’ come credi, ma poi non dire che non ti avevo avvertita!”
  Ma la ragazza era già fuori portata di voce.
  L’espressione seria abbandonò il volto di George, cedendo il posto a un più familiare ghigno, e il ragazzo si Materializzò al piano di sopra, per comunicare al suo gemello Fred un’ideuzza che gli era appena venuta in mente per movimentare il colloquio.
 
  Due minuti dopo, Verity era pronta ad andare incontro al proprio destino, ed esattamente alle dieci in punto bussò all’unica porta al primo piano del palazzo.
  Dall’interno, una voce maschile l’invitò a entrare.
  “Buongiorno, mi chiamo Verity Truthpath, sono qui per il colloquio. Ancora lei?” esclamò poi, non appena vide riaffacciarsi prepotentemente nel suo campo visivo quei capelli rossi, quelle lentiggini e quel sorriso da schiaffi.
  “Prego? Vuole farmi intendere che ci conosciamo, signorina Toothpaste?”.
  Oh, perfetto. E’ ancora più matto di quanto avessi immaginato. E pensare che i confini della mia immaginazione sono piuttosto estesi. Ma bene, starò al gioco.
  “No, mi scusi, devo essermi confusa. Forse l’ho scambiata per qualcun altro. Un caprone, per esempio” rispose lei, pensando all’esilarante spettacolo fornito poco prima dagli specchi deformanti. Poi le venne in mente che era da lui che dipendeva la sua vita lavorativa, e provò l’impulso di buttarsi dalla finestra a volo d’angelo.
  Inaspettatamente, il roscio sorrise.
  “Nessun problema, allora. Abbiamo chiarito l’equivoco. Sono Fred Weasley, proprietario del negozio di prossima apertura Tiri Vispi Weasley. Posso chiederle se ha portato con sé delle referenze?”.
  Verity sobbalzò e si affrettò a cercare qualcosa nella sua borsa, e dopo qualche secondo ne trasse fuori un plico, che porse velocemente al signor Weasley.
  Lui le fece cenno di accomodarsi, dopodiché iniziò a studiare i documenti, dedicando un’attenzione particolare all’attestato rilasciato da Mondomago, cioé la sua ultima esperienza lavorativa, e l’agitazione di Verity toccò vette mai raggiunte.
  Osservò il fulvo cocuzzolo del giovane davanti a lei con un’attenzione maniacale, mentre attendeva di vederlo raddrizzarsi e continuare il colloquio, ma lui pareva decisamente assorto nella lettura.
  Qualche istante dopo, il signor Weasley alzò la testa e assunse un’aria cogitabonda, incrociò lo sguardo di Verity per un secondo e poi tornò a concentrarsi sul foglio.
  E, per qualche imperscrutabile motivo presumibilmente connesso all’ovvia stranezza che lo distingueva e animava,cominciò a piegarlo.
  Verity si convinse che dovesse aver letto qualcosa di talmente avvilente da spingerlo a rifiutare di proseguire il colloquio, ma a malapena un minuto dopo, lui sfoderò un sorriso smagliante e disse: “Tah-dà! Ecco qui un pinguino!”.
  Oh, sì. Che fosse un pinguino era inequivocabile.
  Effettivamente, quella che era stata una pergamena di tutto rispetto ora scivolava goffamente sulla scrivania, per poi rialzarsi e zompettare allegramente sulle ginocchia di Verity. Eh, sì, era proprio un pinguino, quello.
  “Oh, ma lo guardi! Gli manca solo la parola!” commentò, in tono compiaciuto, il signor Fred Weasley.
  In quel momento, il vivace origami balzò di nuovo sulla scrivania, si voltò verso Verity e asserì, con veemenza: “QUAAACK!”.
  Weasley appariva deliziato, mentre Verity sembrava soltanto dubitare seriamente dello stato mentale di quello che non era più tanto sicura di volere come datore di lavoro.
  “La vedo un po’ tesa, signorina. Ecco, prenda un bicchier d’acqua”. Quel semplice gesto di umana comprensione ebbe il potere di tranquillizzare la già provata Verity, e certamente quell’effetto calmante avrebbe avuto più lunga durata, se cinque secondi dopo i suoi solitamente disciplinati capelli biondi non avessero avuto la brillante idea di cominciare a ridacchiare non troppo sommessamente e ad arrotolarsi su loro stessi, esibendosi in capriole e altre evoluzioni spettacolari - e se magari non si potevano considerare spettacolari nell’accezione comune, sicuramente lo erano sull’inaspettato piano tricologico.
  “Oh, povera me” constatò Verity, mettendosi le mani in testa e cercando di ricondurre alla ragione quei capelli indemoniati.
  Non mi lamenterò mai più di somigliare ad Hagrid, appena sveglia.
  “Capisco, dev’essere l’emozione del momento – commentò il signor Weasley in tono comprensivo – Su, si dia una sistemata allo specchio” la esortò, indicando un monumentale specchio a figura intera che se ne stava, solo soletto, in un angolo della stanza.
  “Ehm. No, grazie. Ho avuto qualche disavventura, coi suoi specchi, e vorrei evitare di ripetere l’esperienza” replicò Verity, rivolgendo uno sguardo decisamente eloquente al tipastro davanti a lei.
  Ma a che gioco sta giocando? Va bene portare avanti il teatrino del ‘non ci siamo mai visti prima’, e pure usare l’arma ‘sono il tuo potenziale datore di lavoro, per cui posso essere matto quanto mi pare, ah!’, ma mi pare che qui si stia andando un po’ troppo oltre.
  Nel frattempo, però, lo stramboide era andato avanti con le proprie esibizioni di follia.
  “Non deve preoccuparsi, mia cara. Non si tratta di uno Specchio Deformante a Scoppio Ritardato, come quelli che costituiranno alcune delle vezzose vetrine del negozio, questo è un semplicissimo specchio, non ha niente da temere!”
  Il tono paterno adottato dal pazzo dai capelli di fiamma la irritò. Quanti anni avrà avuto, quello sbarbatello? Va bene ‘potenziale datore di lavoro’, ma da lì a farsi trattare da bambina imbecille ce ne correva. Bah. Sicuramente a Hogwarts era stato un Grifondoro.
  “Scusi, sa, ma visto che pure accettare un bicchiere d’acqua si è rivelato essere pericoloso, dubito sinceramente che mi fiderò di lei in materia di specchi”
  “La sua sfiducia in me mi rattrista enormemente, signorina Toothpaste – le sorrise il “signor” Weasley, machiavellicamente divertito e in perfetto disaccordo con le sue parole di pseudo-condiscendenza – Le mostrerò che non c’è niente di cui aver paura”.
  E, così dicendo, fece i due passi più baldanzosi che Verity avesse mai visto e si andò a sistemare di fronte allo specchio.
  Il suo bravo riflesso comparve davanti a lui. Non si tramutò in un bestio ripugnante, non comparvero scenari inquietanti, nessuna risata malvagia echeggiò nell’aria.
  E’ già qualcosa. Visto il tipo, bisogna accontentarsi.
  Certo, un attimo dopo il riflesso spostò lo sguardo su di lei e la salutò, ma gli specchi dei maghi facevano questi e altri scherzi, per cui, tutto nella norma.
  “Ohilà, Fred, vedo che hai conosciuto l’aspirante commessa. – poi il riflesso forzò un tono di voce acuto e che per qualche recondito motivo ricordò a Verity sua madre – Potevi anche presentarti meglio, cosa penserà di te? Hai la cravatta storta”.
  Niente di che, erano i commenti standard degli specchi magici. Erano capaci di strillarti che la gonna era troppo corta, o che era meglio per il mondo esterno se ti lavavi la faccia, ma raramente li aveva sentiti adottare quel tono materno. Materno nel senso peggiore del termine, s’intende.
  Quando poi il riflesso cacciò fuori una mano per sistemare lui stesso il nodo alla cravatta, sostenendo che Weasley fosse un incapace della peggior specie e che rischiasse di strozzarsi, Verity non poté impedire ai propri occhi di raggiungere le dimensioni di vassoi da portata.
  “Ma... ma tutto ciò è prodigioso! Specchi tridimensionali?”
  Il riflesso balzò fuori dalla cornice dello specchio e si unì all’originale, poi entrambi fronteggiarono Verity e si scambiarono un’occhiata rapida ma inequivocabilmente complice.
  Poi attaccarono a ridere. Simultaneamente, è chiaro.
  Verity non riusciva a capire, e in quella giornata stava succedendo più volte di quante Verity fosse disposta a sopportare.
  Così, proprio mentre i due doppioni stavano per darle finalmente una spiegazione degna di quel nome, la ragazza non ce la fece più, ed esplose.
  ...In una risata.
  Fu una risata sincera, piena,totale.
  Non una risata stereotipata, che si potesse definire come ‘cristallina’ o ’argentina’, come un ruscello che scorresse vivacemente.
  Se proprio si fosse dovuto trovare un paragone naturalistico, quella risata si sarebbe potuta definire roboante e trascinante come una slavina, ecco.
  Una di quelle risate liberatorie che fanno sì che eventuali musoni benpensanti guardino con disapprovazione chi le emette, mentre chi sia provvisto di un minimo di gioia di vivere prova l’impulso di ridere a sua volta.
  E figurarsi se Fred e George Weasley si lasciavano sfuggire un’occasione per farsi una bella risata.
  “Meno male, iniziavo a temere che contravvenissi alla clausola del ‘no musi lunghi’!” esclamò Fred, adeguandosi all’informalità della situazione.
  “Ah, comunque, se te lo stai chiedendo, siamo gemelli, non abbiamo scoperto il modo perGeminiare gli esseri umani…” spiegò George.
  “…Non ancora, per lo meno” completò Fred.
  Ma tanto Verity continuava a ridere, e ormai rideva così tanto che era praticamente piegata su se stessa, e poté solo fare un cenno con una mano per far capire di aver sentito ciò che gli altri due avevano da dire.
  Ci volle ancora qualche minuto, ma finalmente, tra respiri profondi e alcune ricadute d’ilarità, la giovane strega riuscì a riprendere il controllo di sé.
  “Bello rivederti in piedi” la salutò George, non che lei avesse idea di come fare a distinguerli.
  “Cara la mia Verity Truthpath, nonostante io preferisca di gran lunga la variante ‘Toothpaste’, siamo lieti di comunicarti che sei assunta”
  “Presentati qui domattina. Prima di tutto stileremo il contratto, poi inizieremo a mostrarti il negozio e le mansioni di cui dovrai occuparti. La grande apertura sarà tra una settimana, ma per allora dovrai conoscere tutto a menadito”.
  Dopo ringraziamenti e saluti, Verity uscì dall’appartamento e tornò a percorrere Diagon Alley, dove – ahimé – regnava la desolazione.
  Voltandosi verso il palazzo che ormai sapeva avrebbe ospitato I Tiri Vispi, la giovane si sorprese a sorridere e pensare che, di quei tempi, la gente aveva decisamente bisogno di farsi qualche risata. L’aveva sperimentato sulla propria pelle.
  Il sorriso perenne che aleggiava sulle sue labbra doveva essere proprio fuori luogo, perché Verity ebbe la sensazione che più di un passante la riservasse guardi perplessi e un po’ straniti.
  Sapeva di avere il trucco sciolto, ma al diavolo il trucco. Oh.
   
 
  “Ci pensi, se potessimo incanalare una risata come quella in un contenitore e farla scaturire a comando?” stava dicendo Fred, con gli occhi che brillavano di creatività.
  “Certo! – gli fece eco George – Un ‘Sacco di Risate’! Piuttosto, Fred, non ti pareva che fosse il caso di dare a Verity l’antidoto per il Diavolo per Capello? La vivacità della sua chioma era piuttosto simile a quella di una Tentacula Velenosa”
  “Naaah, l’effetto si esaurirà in un’oretta. Credo”.
 
 

FINE.

 
 
 
 
 
 
  
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