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Autore: Remedios la Bella    19/10/2011    4 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 30
 
Fu duro eseguire gli esercizi senza pensare a come ignorare gli sberleffi di Xavier. Il peggio è che, sfortunatamente, quel giorno mi toccava fare ogni cosa in sua presenza; ma non bastava ai miei superiori farmelo stare vicino? Dovevano pure farlo lavorare insieme a me? Questo era troppo.
La sua arroganza mi faceva imbestialire ogni minuto, ma dovevo porre autocontrollo al mio istinto di saltargli alla gola e strozzarlo per tutto il male che aveva fatto.
Anche le sue crudeli perse per i fondelli erano a dir poco insopportabili: Mentre stavo pulendo per terra insieme a altri cinque ragazzi, lui mi aveva fatto lo sgambetto e solo per miracolo, il secchio pieno d’acqua che aveva tenuto in mano non aveva straripato e fatto fuoriuscire qualche goccia d’acqua. Riuscii infatti a salvare il secchio, poiché perdendo l’equilibrio durante la caduta, ebbi l’istinto di mettere il secchio  all’altezza delle mie spalle, alzando le braccia, e di cadere ginocchioni.
Risultato: L’acqua non cadde, ma le mie ginocchia ne risentirono. Continuai a passare lo straccio per terra senza  dare la minima attenzione a quel presuntuoso, che se la rideva sotto i baffi.
Tutti i suoi tentativi di mettermi  in imbarazzo o di farmi sentire un essere inferiore non funzionarono, la mia forza di volontà prevalse sugli impulsi dettati dalla rabbia, le sue offese morali cercavo di non ascoltarle, e anche se ci rimettevo un ginocchio o un gomito, i suoi continui sgambetti o pizzicotti li ignoravo con grande autocontrollo.
E fu incredibile come alla fine, non gli fosse bastato avermi torturato tutto il giorno. Alla fine della giornata, stanco e dolorante, tornai nella mia stanza con Jordan, che mi chiese durante il cammino chi diavolo fosse Xavier.
“ Chi? Lui? Un mostro …” gli risposi io, accarezzandomi il gomito che aveva sbattuto poco prima contro lo spigolo della porta, dopo un’energica spinta di Xavier.
“ A quanto vedo non siete in buoni rapporti .. ti fa male?”
“ un po’ … più che cattivi rapporti direi pessimi ... se ne avessi l’opportunità lo farei a pezzi …” sussurrai spinto da una scintilla di rabbia nella voce.
“ Tu? Ucciderlo? Mio acro … non cercare di abbassarti al suo livello … Lo conosco di fama, non ha l’abitudine di essere buono con nessuno … e ho saputo che la sua concubina altri non è che la numero 15674…” disse lui riflettendo, mentre continuava a camminare verso la camera.
“Esattamente … mi sono messo contro un essere spregevole … ma lo dovevo fare …” dissi io, a occhi bassi. Raggiungemmo la nostra stanza e ci coricammo sulle brandine, ma preso com’ero dalla foga di raccontare continuai a parlare con Jordan, che mi ascoltò attentamente per tutto il tempo.
Arrivai a dirgli tutta la faccenda di me e Deborah, di come mi innamorai di lei, della questione “ fasciatura” e della fuga per poterla salvare da morte certa. Jordan non mi interruppe, e quando smisi di raccontare aggiunse solo un :” La mia stima per te è cresciuta in modo sproporzionato.”
“ Dici sul serio?” proferii sorpreso e un po’ esausto dal lungo racconto.
“ Mai stato più serio! Senti, ti ritengo un fenomeno solo perché tieni testa a tuo padre, ma ora che so che tieni testa pure a quel figlio di …. Chiamasi Xavier, non posso che farti i miei complimenti! Sai che ti dico? Hai le palle, tu sì che sei un uomo! E lo fai per una donna, questo è ammirevole.” Finì di dire Jordan sorridendo.  Anch’io sorrisi alle sue parole :” che posso dire … grazie!”
“ di niente … e …” si girò dal lato opposto al mio dandomi le spalle:” Se ti serve una mano, conta su di me. Se quello lì ti torce un capello lo mando a terra, pur di beccarmi un occhio nero. Tipi come te se ne trovano raramente, fidati!” e finito di dire tutto ciò, si coricò e io feci lo stesso compiaciuto. Non risposi ma pensai che avesse capito che ne ero felice.
Finalmente avevo un amico su cui contare, e erano solo due giorni che stavo in quell’inferno! Un vero record in fatto di sociologia, o come cavolo si chiamava lo studio delle relazioni sociali tra uomo e uomo … per lui provavo davvero stima, e contavo sul suo aiuto.
Chiusi gli occhi e mi addormentai all’istante, troppo stanco ormai per un’altra ondata di pensieri.
Non sognai niente, e dormii tranquillo per un po’, però questo non durò a lungo. Uno strano rumore mi fece aprire gli occhi, poiché tanto forte da destarmi dal sonno.
Era un rumore stranamente attutito di urla quasi rissose, e quando aprii gli occhi infastidito notai che la porta della camera era socchiusa, e un sottile spiraglio di luce passava da sotto la porta e dalla medesima fessura. Intravedevo, poi, delle ombre in continuo movimento e le urla che si facevano più forti.
Preso com’ero da quei particolari, notai solo più tardi che anche gli altri soldati stavano ascoltando e qualcuno di loro era come andato a vedere cosa succedesse, poiché il suo letto era vuoto. E tra questi letti, spiccava quello di Jordan.
“ Uther!” chiamai il mio compagno di stanza che dormiva nel letto di fronte al mio:” ma che succede?”
Lui mi guardò insonnolito:” Non lo so … ma qualcuno sta facendo a botte … e sembra anche che ce la stia mettendo tutta!”
Improvvisamente sentii nitida la voce di uno dei tanti che stavano fuori. Stava insultando chi stava picchiando, e quel timbro di voce freddo mi mise la pelle d’oca. Guardai di nuovo il letto di Jordan e solo allora l’ovvietà mi fece riprendere:” Oh merda …” Mi alzai di botto dal letto e mi precipitai fuori, andando contro un gruppo di ragazzi ammucchiati lì in cerchio a guardare il combattimento.
Le urla di incitamento era fortissime e stranamente nessuno sembrava essere intervenuto nella faccenda.
“ Mi sai dire chi sta combattendo?” Chiesi, anche se sapevo chi era in ballo in quella questione.
“ Il cadetto Jordan e il sergente Xavier .. sapessi come sono conciati!” Sghignazzò uno dei tanti laggiù.
Il terrore prese possesso di me; d’accordo, Jordan mi aveva pur promesso che mi avrebbe aiutato contro le scempiaggini di Xavier, ma non fino a tal punto … e se fosse stato espulso dall’accademia? Io sarei stato in balia di Xavier e nessuno mi avrebbe potuto aiutare.
Perché, ne ero certo, quello sciagurato avrebbe escogitato chissà che cosa per poter scampare all’espulsione dall’accademia per il suo gesto azzardato.
Mi feci spazio a forza di gomitate tra la folla e dopo vari sforzi giunsi al centro della lotta tra i due soldati. Ciò che vidi, non so se mi rese felice o gravemente preoccupato.
Jordan, il mio compagno di stanza, aveva letteralmente ridotto male Xavier; il mio amico si elevava sopra la figura accasciata e sanguinante del sergente, con uno sguardo acceso e quasi maligno. La sua divisa era ridotta a un panno per pulire il pavimento, il suo braccio destro era solcato da un segno rosso, come di graffiatura, e un vistoso occhio nero era in contrasto con l’azzurro dei suoi occhi che tanto mi avevano ispirato fiducia. Era quasi inquietante in quella figura,e Xavier per la prima volta … mi fece pena. La vista del suo corpo quasi esanime al pavimento mi fece ritornare in mente quello spettacolo di dieci anni fa; l’uomo ebreo a terra e il soldato tedesco, quegli occhi di ghiaccio che trapassarono quelli neri dell’uomo insieme alla pallottola e alle gelide parole di disgusto del soldato … tutto ritornò ai miei occhi come un orrendo flashback e non esitai a urlare accasciandomi a terra e coprendomi le orecchie come un pazzo. Rivedere il tutto come uno spettacolo teatrale mi fece ribollire il sangue nelle vene e sapere che l’attore principale era Jordan … lui, il soldato senza scrupoli e io di nuovo, colui che assiste a un martirio … la mia mente non ne poteva più:”Nooooooooooooooooooooo!!!” urlai come un pazzo, mentre gli altri soldati si scostarono da me, e Jordan, solo in quel momento accorgendosi di me, mi si avvicinò e mi prese forte per le spalle scuotendomi:” Che cavolo ti prende?”
Non gli risposi, ma continuai ad urlare come in preda a un attacco epilettico. Lui continuava a scuotermi, mentre gli altri non facevano niente, e Xavier, continuava a starsene steso per terra, respirando a fatica.
“ Max!! Si può sapere cosa diavolo ti prende?? Rispondiiii!!!” mi urlò contro, e io feci lo stesso di prima.
L’incubo era tornato, più vivo di prima. Non sembrava destino che un così brutto ricordo venisse rimosso dalla ma mente … la paura prese il sopravvento sulla mia coscienza e ciò favorì il fatto che alla fine la sonnolenza e lo stress prevalsero sulle mie forze fisiche.
Insieme al buio sentii la voce di Jordan e la pressione dei suoi muscoli sui miei.
 
La febbre c’era ancora, e nonostante il peggio fosse davvero passato,a Deborah servivano ancora un po’ di giorni per potersi riprendere completamente. Quindi, cambiate le coperte al suo letto, decisi di lasciarla riposare ancora un po’.
Per la questione aborto, decisi che nonostante tutto, anche quel fagotto dovesse avere un qualcosa di simile a una degna sepoltura. Quindi cercai nella stalla una pala, e trovatala, andai in giardino per cercare un posto appartato dove seppellire il corpicino. Agata e il resto della famiglia accolsero la mia proposta bene, e anche Deborah decise che era giusto rendere onore a quel cadavere.
Scelsi un piccolo spazio tra un arbusto di mirtilli lì accanto e una quercia, il posto era piuttosto appartato ma carino, quindi indiscreto. Smossi la terra con la pala e fatta una piccola buca, ci misi dentro la scatola di legno in cui avevo rinchiuso il fagottino. John mi stava accanto appoggiato al tronco dell’albero e, quando mi porse la scatola, sentenziò:” Non ti fa un po’ di compassione?”
“ Si, un po’ … ma ormai è tutto finito … meglio che essere buttato nella spazzatura no?” esclamai io, con occhi teneri, poggiando delicatamente la scatola nella buca. Ricoprii il tutto e poi aggiustai per bene il mucchio di terra quasi invisibile nel verde del cespuglio.
Mi inginocchia davanti ad esso giungendo le mani, una preghiera veloce per quella povera creatura era d’obbligo in quel momento. John fece lo stesso sorridendo.
Ci alzammo e aiutandolo con le stampelle rientrammo dentro.
“ Come sta Deborah?” Mi chiese Agata.
“ Meglio di ieri, l’ho lasciata riposare un pochino adesso …”
“ Mi fa piacere … e mi dispiace se ieri non ho voluto assistere … è stato più forte di me.” Fece la donna, un po’ riluttante.
“ Non preoccuparti, può capitare …” le sorrisi compiacente e poi salii in camera di Deborah, entrando lentamente. La ragazza aveva preso sonno oramai, quindi mi limitai ad accostarmi in punta di piedi alla scrivania e ad afferrare il mio libro, per poi sedermi e leggerlo seduta sulla sedia lì accanto, mentre di tanto in tanto lanciavo occhiate al suo letto, per vedere se la disturbavo in qualche modo. Aveva il viso finalmente rilassato, le occhiaie erano quasi sparite e ormai le lacrime erano come evaporate, data la loro mancanza. Questo mi rincuorò.
La guarigione completa della ragazza avvenne in una settimana, dopodiché lei fu completamente in grado di poter eseguire tutti i compiti affidatigli da Agata e Gustav.
La convalescenza passò tranquillamente, e nonostante la stanchezza, Deborah era capace di fare anche il lavoro all’apparenza più faticoso con impegno e bravura. Questo rese felici tutti, soprattutto me. Sentivo che attingeva la sua forza d’animo dall’amore che nutriva per mio fratello. E a proposito d’amore … notai come da quella notte io e John ci fossimo .. come dire … avvicinati.
Il bello della situazione era che , durante la settimana della malattia di Deborah, lui veniva in camera e si sedeva accanto a me, come a cena o dopo cena, quando uscivamo fuori a guardare le stelle.
Era molto dolce, e quando io ero intenta nei miei lavori, lui era sempre lì accanto a darmi una mano se ne avevo bisogno, senza però essere troppo invadente o presuntuoso. Scherzava, ma lo faceva con tenerezza, e questo mi toglieva le parole di bocca, o mi mandava in enorme imbarazzo con il resto del mondo. Aveva un modo di fare ammaliante, e questo contribuì a farlo avvicinare di più a me, tanto che in una settimana potevamo già considerarci come buoni amici … e chissà .. forse qualcosa di più!
Deborah lo aveva sicuramente notato, e non faceva altro che mandarmi segnali con gomitate e farmi occhiolini convinti, a cui io rispondevo facendo finta di niente.
Lei, naturalmente, affermava:” Vedrai,anche tu verrai rapita dalla magia dell’amore!” ed era vero, tanto ci sarei caduta anch’io.
E passarono così due settimane. Ma si sa, niente dura per sempre, e sembrava che qualche maledizione dovesse per forza incombere su me e Max, visto che ogni cosa era contro di noi. Ma stavolta sembrava più serio.
Me ne accorsi dalle urla fuori a da un rombo di macchina tuonante, nella notte della terza settimana del nostro alloggio a casa Mendel.
Aprii gli occhi insonnolita e disturbata dal rumore assordante di poco fa, e mi accorsi che Deborah stava in piedi davanti alla finestra, e guardava fuori. I suoi occhi erano ridotti a due fessure dal terrore. 

   
 
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