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Autore: Doralice    19/10/2011    3 recensioni
Due settimane prima aveva compiuto ventotto anni e Klaus le aveva mandato dei fiori. Non aveva potuto disfarsene come avrebbe voluto, perché a suo tempo era stata soggiogata e semplicemente non poteva distruggere niente di ciò che aveva intorno. Li aveva messi ordinatamente in un bel vaso, davanti alla finestra inferriata, e li aveva osservati appassire e morire lentamente.
Adesso Katherine era lì, che la guardava rinchiusa nella sua bella stanza. Ed Elena si trovò a pensare che adesso era lei che stava guardando il suo lento appassire e morire.
Genere: Demenziale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elena Gilbert, Katherine Pierce
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Note

Questa What If è ambientata in un universo in cui Klaus non è scappato davanti allo spauracchio di Michael, ma l'ha affrontato e l'ha ucciso. Forte del suo nuovo potere, sta creando ibridi a tutto spiano usando il sangue di Elena, che tiene prigioniera. Katherine ovviamente non ha un destino migliore. Questa è la loro breve storia, dieci anni dopo gli eventi dell'inizio della terza stagione.







[R]Evolve



Cominciò tutto in maniera casuale. Probabilmente una consegna sbagliata.

Katherine non poteva uscire, ma era libera di girare per il maniero, luogo che Klaus aveva eletto a sua base operativa. Tanto lui l'aveva soggiogata a dovere – ed era stato molto puntiglioso.

Non poteva parlare con nessuno, né rivelare la sua identità in alcun modo. Non poteva accedere alle stanze riservate ad Elena e tantomeno all'ala adibita alla mutazione dei licantropi in ibridi. Non poteva aggredire nessuno e nessuno poteva aggredire lei. Le era consentito di nutrirsi esclusivamente della scorta di sangue nel refrigeratore dello scantinato. Ovviamente, non poteva togliersi la vita o indurre qualcuno a farlo.

Katherine era il nuovo passatempo di Klaus e, conoscendo la costanza che lo caratterizzava, lo sarebbe stata per sempre. Perché non c'era alcun dubbio che in cima alle sue priorità, dopo “creare quanti più ibridi possibile”, ci fosse “torturare Katerina Petrova per l'eternità”. E per un tale progetto a lungo termine, era necessario che la vittima fosse sempre viva e in buona salute.

Poi un giorno, nel tardo pomeriggio, era andata a prendere una sacca di zero negativo e se l'era consumata durante la visione di una stupida sit-com. Non c'era niente da fare in quel dannato maniero.

Non si era accorta subito della differenza, ma poi Stefan era arrivato, aveva afferrato il telecomando e aveva cambiato canale mettendo MTV. Così, senza chiederle niente. Come se lei non esistesse. Faceva sempre così e ogni volta Katherine avrebbe voluto ucciderlo in modo lento e doloroso. Si limitò a fare un commento sarcastico sui suoi gusti musicali e si alzò per andarsene.

Stefan le si parò davanti, trattenendosi a stento dal colpirla. Gli era vietato. Tanto quanto a lei era vietato rivolgere la parola a chicchessia. Solo in quel momento Katherine si rese conto di ciò che aveva appena fatto. Non tentò di capire come fosse possibile: la sua immediata priorità era quella di evitare la furia di Klaus quando sarebbe venuto a saperlo.

Un “no” disperato quanto perentorio le sgorgò dalla gola. E Stefan si pietrificò, gli occhi vacui. Lo guardò sconcertata, senza capire. Poi, secoli di autoconservazione la spinsero a darsi una svegliata e iniziò a pensare velocemente. I fatti: aveva eluso il potere di Klaus, parlando a Stefan e persino soggiogandolo. Come ci fosse riuscita era un mistero, ma questa era la realtà del momento.

Oggi non sei mai stato qui. Esci dal maniero e dimentica che ti ho parlato. –

Stefan batté le palpebre lentamente, si voltò e se ne andò.

Immobile in mezzo al salone, Katherine ascoltò i suoi passi che svanivano verso l'uscio e il rumore del portone che veniva aperto e richiuso. Non mosse un muscolo per molti minuti.

Cosa era cambiato? Qual era il fattore che aveva interferito con il potere di Klaus? Lo sguardo fu calamitato dalla sacca ormai vuota. La pescò dal cestino dove l'aveva buttata e la osservò. Che l'etichetta fosse diversa dal solito, l'aveva notato già prima, ma non ci aveva fatto caso più di tanto. Aveva pensato semplicemente che avessero svaligiato una banca del sangue diversa.

L'annusò e assaggiò i rimasugli del contenuto. Non era verbena: da anni non le era permesso assumerla, avrebbe avuto una reazione spaventosa sul suo corpo.

Ma quello non era il solito zero negativo. Non era il solito sangue. Anche questo aveva notato prima, ma l'aveva assimilato allo stesso motivo.

Cosa conteneva quella sacca?

D-Blood era scritto sull'etichetta. E la sacca le sfuggì dalle mani. Katherine tremava.

Da quel momento visse nel terrore più nero. Si comportava come non fosse successo niente, ma sentiva che da un momento all'altro sarebbe stata punita. Ma i giorni passarono uno dopo l'altro, poi le settimane e infine un mese intero. Capì che Klaus non sarebbe tornato a reclamare spiegazioni e ad infliggere punizioni. Stefan non l'aveva mai avvertito.

Un giorno tornò nello scantinato e come al solito aprì il refrigeratore. Da quella sera non aveva più toccato le sacche con l'etichetta sbagliata: le aveva nascoste sotto le altre, aspettando che l'effetto svanisse. Attese un momento, aguzzando le orecchie: tutto era tranquillo di sopra. Allora allungò un braccio nei vapori freddi e frugò, estraendo le sacche “speciali”. Andò in lavanderia, aprì il rubinetto e ci svuotò dentro tutte le sacche. Il sangue, mescolato all'acqua corrente, scorse rosato e svanì giù per lo scarico. Le sacche vuote finirono nell'inceneritore.

Katherine afferrò l'unica sacca superstite e andò al piano di sopra.


Elena non la sentì arrivare, ma quando aprì la porta non si stupì di vederla. Non sapeva dirsi il perché, ma era come se si aspettasse quella visita da sempre.

Erano passati più di dieci anni da quella notte di inizio settembre che aveva trasformato una goliardica iniziazione delle matricole nell'incubo quotidiano che viveva. Aveva pensato che veder morire le persone a cui teneva fosse la cosa peggiore del mondo. Non aveva fatto i conti con la paura e il tempo.

Damon era morto quella notte, nel patetico ed inutile tentativo di salvarla. Allora Elena si era accorta di amarlo. Ma di un amore che non aveva niente a che fare con qualsiasi altro tipo di sentimento, un amore che travalicava ogni piano. Lo amava come si ama un'ideale: perché merita questo sentimento.

Lui era stato l'unico a tentare: Klaus era troppo potente e si circondava di ibridi devoti. Suo fratello, i suoi amici... uno ad uno, erano svaniti, tutti fuggiti. Klaus non mancava mai di portarle la notizia di una nuova defezione. Poi anche quelle erano finite: non c'era più nessuno che potesse abbandonarla.

Elena sopravviveva perché era indispensabile a Klaus. Un'intera ala del maniero era stata adibita a lei. Aveva guardie del corpo e camerieri soggiogati per servirla in ogni modo possibile, e per impedire che avesse contatti con l'esterno.

Ogni novanta giorni arrivava il medico. La faceva spogliare e procedeva ad un check-up completo, scrivendo i dati su una cartellina. Poi la faceva stendere sul suo letto a baldacchino, le infilava l'ago cannula nell'incavo del braccio – sempre l'altro rispetto all'ultima volta, per evitare trombosi – ed estraeva una sacca di sangue. Se ne andava via con la sua valigetta termica senza una parola.

Questa era la vita di Elena in quella dorata prigione.

Due settimane prima aveva compiuto ventotto anni e Klaus le aveva mandato dei fiori. Non aveva potuto disfarsene come avrebbe voluto, perché a suo tempo era stata soggiogata e semplicemente non poteva distruggere niente di ciò che aveva intorno. Li aveva messi ordinatamente in un bel vaso, davanti alla finestra inferriata, e li aveva osservati appassire e morire lentamente.

Adesso Katherine era lì, che la guardava rinchiusa nella sua bella stanza. Ed Elena si trovò a pensare che adesso era lei che stava guardando il suo lento appassire e morire.

Elena si strinse nelle braccia: – Come l'hai avuta? –

Sapeva che avrebbe dovuto chiederle come aveva fatto ad arrivare lì, ma sentiva che tutto partiva da quella sacca vuota che teneva in mano. Quella sacca che riportava sull'etichetta la scritta D-Blood e, sotto, la firma del medico che le faceva i prelievi. Per quaranta volte aveva visto le sue dita attaccare l'etichetta e scarabocchiarci sopra il suo nome.

Uno dei fantasmagorici ibridi di Klaus ha commesso un errore. –

Katherine avanzò con passo elegante, taccheggiando piano sul parquet. Lasciò cadere la sacca sul tavolino tra di loro e si accomodò su una delle poltroncine. Elena la imitò.

Restarono in silenzio per un bel po'. Katherine seduta come se fosse su un trono, la mani artigliate sui braccioli e le gambe accavallate, gli occhi fissi sulla sua doppelgänger. Elena con i gomiti posati sulle ginocchia e le mani intrecciate, una piega amara sulle labbra, lo sguardo vuoto che ricambiava quello della vampira.

Così. – sospirò – Eccoci qua. –

Katherine si riscosse. Il suo sguardo cambiò d'intensità, ma non divenne certo più blando.

Elena si rialzò e prese a camminare per la stanza.

Quanto tempo abbiamo? – le chiese.

Sentiva che Kaherine la seguiva con lo sguardo.

Un paio di giorni. – le rispose – Forse meno. –

Quante sacche hai ancora? –

Nessuna. –

Elena si bloccò e alzò lo sguardo incredulo su di lei.

Katherine scrollò appena le spalle: – Troppo rischioso. –

Perché sei qua? – si sentì chiederle in tono duro.

Come se non lo sapessi già.

Come se non lo sapessi già. –

Le mancò il fiato. Chiuse gli occhi e si sforzò di tornare a respirare regolarmente.

Quindi è questo? – mosse stancamente un braccio, come ad indicare un concetto più grande di lei – E perché non l'hai già fatto? –

Katherine si sporse verso di lei: – Vieni via con me. –

Elena strinse gli occhi. La prendeva in giro?

Saresti dipendente da me per sempre. – obiettò con aria scettica – Non mi sembri il tipo, sinceramente. –

Katherine saettò lo sguardo, come in cerca di una risposta efficacie. Era evidente che anche lei l'aveva pensato, ma per qualche oscuro motivo non voleva fare ciò che andava fatto. Una parte di Elena sentiva che il motivo non era così oscuro, ma non volle soffermarsi troppo a pensarci. Era un'idea che faceva risorgere in lei sentimenti sepolti, sentimenti che le avevano fatto sanguinare l'anima troppo a lungo.

Fiducia.

E saresti disposta a morire per me? – fece lei, piena di sarcasmo.

Elena si accigliò, rendendosi conto improvvisamente che si trovava difronte una creatura quantomai simile a Klaus. Doveva giocare bene le sue carte se voleva uscirne.

Non prendiamoci in giro, Katherine. – sbottò dandole le spalle – Dovrei diventare la tua riserva personale? Non cambierebbe la mia situazione. Quindi poche storie: soggiogami come ha fatto lui, o uccidimi. –

Guardò fuori della finestra, ma non c'era niente da vedere. Era una notte senza luna.


Glielo stava chiedendo lei. Era già deprecabile il fatto che avesse delle remore in merito, se poi era Elena stessa ad offrirsi. Cosa stava aspettando?

Le si accostò. Il riflesso del vetro rimandò le loro immagini gemelle. Elena non era invecchiata in quei dieci anni, ma il suo sguardo sembrava aver percorso ere intere.

Di tutte le volte che ti ho voluta morta. – mormorò.

La frase restò in sospeso tra di loro e per un attimo infinito le legò.

Quando Elena si voltò verso di lei, capì che non avrebbe potuto finire altrimenti.

Sono già morta, Katherine. – sospirò – Il fatto che sia tu ad uccidere il mio corpo fisico, non cambierà questo fatto. –

Non la interruppe. Per una volta nella vita, Katherine ebbe il buon gusto di capire che era meglio stare zitta.

Anzi, – scrollò le spalle e l'ombra di un sorriso le apparve in volto – francamente non mi dispiace che tocchi a te. –

Si sedette sul bracciolo della poltroncina e la guardò, in attesa. Katherine poteva sentire il battito lento e regolare suo cuore: non aveva paura. Nessun rimpianto. Questo non le tolse quel retrogusto agro.

Le si avvicinò. E il sangue già le affluiva al volto, premendo.

Addio, Katherine. – le sussurrò chiudendo gli occhi.

Il saluto di Katherine si perse nel fremito della sete.


Niklaus stava morendo.

Quando si è un Antico con migliaia di anni sulle spalle, quando si è il vampiro originario, quando si è il primo ibrido di una nuova, gloriosa razza, si ha l'inaudita capacità di percepire esattamente il momento della propria morte e di contemplare il proprio destino come se si fosse spettatori di una tragedia altrui.

Klaus stava morendo, e la causa era la doppelgänger. Elena o Katerina non faceva differenza. La maledizione non era mai stata spezzata, perché la doppelgänger era la maledizione.

Cosa hai fatto?! – aveva tuonato.

L'aveva intuito da ben prima di mettere piede in quella stanza, ma l'unica reazione che era riuscito ad avere era stata dell'umana incredulità.

Cosa ho fatto?

La testa di Katherine si era sollevata dal collo di Elena. Gli aveva sorriso, tutta sangue e zanne, mentre lasciava andare a terra il suo corpo esanime. Gli occhi erano di un meraviglioso, terrificante rosso.

Klaus era già morto e lo sapeva.

Aveva scavalcato Elena e con passo fluido, senza fretta, si era avvicinata a lui. Klaus aveva abbassato il capo e aveva visto la mano di Katherine, lorda di sangue scuro, serrata attorno al suo cuore.


Stefan ebbe un sobbalzo. Come quando di notte, nel dormiveglia, si ha la sensazione di cadere.

Klaus è morto.

La gioia della liberazione fu oscurata dal terrore. Chi o cosa era stato in grado di ucciderlo?

Sapeva che lui era a Mystic Falls: coprì il tratto che lo separava dalla città in pochi minuti.

Il maniero era silenzioso. Vi entrò come se non fosse casa sua, come se stesse visitando la dimora fittizia di un luna park. Quali mostri gli avrebbe riservato la Casa degli Orrori?

Mentre saliva le scale, pensava che erano più di dieci anni che non vedeva Elena. Tutto l'amore, soffocato per così tanto tempo, adesso era libero. Gli era esploso dentro e lo stava divorando.

Percorse il corridoio che portava alle sue stanze come un bambino che entra in un luogo a lui proibito dai genitori. Non erano residui del potere di Klaus: Stefan sentiva che c'era qualcosa di proibito. In qualche modo sentiva che tra quelle mura era accaduta una cosa che non sarebbe mai dovuta accadere.

Spinse la porta con due dita e restò sull'ingresso, immobile. C'erano due corpi nella stanza. Stefan ignorò quello di Klaus e si avvicinò all'altro.

Non voleva dargli un'identità. Non ne aveva il coraggio.

Si chinò su di lei e la prese un'ultima volta tra le braccia, imbrattandosi del suo sangue. Respirava ancora. Si era svegliato dopo dieci anni per vederla morire? La nausea lo investì, mentre l'idea di morderla e di somministrarle il proprio sangue gli balenava in testa.

No. In quella stanza erano stati commessi già troppi delitti.

Va tutto bene”, sembrava dirgli, con quegli ultimi battiti.

Le baciò la fronte e la lasciò andare.


Prima sentì il dolore. Poi l'odore: sangue. Cieco e sordo, guidato solo dall'istinto di sopravvivenza, Elijah bevve avidamente.

Quando la vide, qualcosa si spezzò dentro di lui.

Elena... –

La voce uscì roca e incerta dopo dieci anni di inutilizzo. Katherine – perché quella era Katherine, non poteva essere altrimenti, come aveva fatto a confonderle? – gli tese una mano e lo aiutò ad alzarsi dalla bara senza sforzo.

Rimettiti in sesto. – fece, porgendogli un'altra sacca di zero negativo – Ci sono da svegliare i tuoi fratelli. –

Elijah la guardò senza capire. O meglio, rifiutandosi di capire. Si era pulita, ma l'odore del sangue di Elena la impregnava. Aveva la sensazione che non se ne sarebbe più andato.

E datti una sistemata. – gli spolverò con un paio di pacche la giaccia muffita – Eri sempre così ammodo... non vorrai sfigurare? –

Ed Elijah tremò. Non era Katherine, non era Elena. Era entrambe e nessuna delle due.

Katarina. – la chiamò, senza sapere in realtà cosa dirle.

Lei gli sorrise: – La rivoluzione si fa col vestito buono. –

   
 
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