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Autore: lexy90    21/10/2011    6 recensioni
“E le senti le vene, piene di ciò che sei e ti attacchi alla vita che hai.
Leggero, nel vestito migliore, senza andata né ritorno senza destinazione.
Leggero, nel vestito migliore, sulla testa un po' di sole ed in bocca una canzone”
Kei Hiwatari durante il suo percorso ha perso la retta via, ha commesso errori e ha compromesso tutto il suo mondo, ma allo stesso tempo è cresciuto, è cambiato, ha scoperto nuovi interessi e nuove prospettive. Spetta solo a lui prendere in mano le redini della sua vita e darle un senso, un qualcosa per cui lottare, una ragione per esistere.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Credo nel rumore di chi sa tacere

Che quando smetti di sperare

Inizi un po’ a morire

 

 

 

 

 

Spotlight

 

 

 

In quattro giorni avevano fatto l’impossibile e Kei era sicuro che a una persona normale servisse una vita intera per ballare così tanto come aveva fatto lui in relativamente poche ore.

Come Jermaine gli aveva accennato, loro erano gli ultimi a iniziare le prove il che poteva considerarsi un vantaggio, poiché tutto era già stato deciso e il rischio di cambiamenti improvvisi era minimo, ma allo stesso tempo uno svantaggio per il pochissimo tempo che avevano a disposizione.

Quando la sessione del venerdì giunse al termine il russo non poteva essere più stravolto: se quella mattina sull’autobus diretto verso il centro tutte le sue speranze erano orientate verso la possibilità che Jermaine si fosse scordato dell’incontro fissato con Nonno J, quando il coreografo gli si avvicinò finito di provare e lo invitò a seguirlo verso il parcheggio non poteva essergli più grato.

Non gli pesava tanto la lunghezza del viaggio, anzi a volte l’accoccolarsi sui sedili con la musica nelle orecchie lo rilassava, quanto piuttosto la scomodità e l’affollamento dei mezzi pubblici: seguì Jermaine lungo i corridoi e sull’ascensore, ma l’uomo non gli prestò attenzione, impegnato in conversazioni con persone dello staff o interlocutori misteriosi al telefono.

-Finalmente!- esclamò Jermaine abbandonandosi sui sedili di pelle della Mercedes, si rilassò pochi secondi e, dopo aver sistemato cellulare e altri oggetti nei vari scomparti, mise in moto.

-Allora? Come sta andando?-

Kei sperava di riuscire a evitare qualsiasi tipo di conversazione, ma ovviamente era un’aspettativa estremamente rosea rispetto alla realtà dei fatti.

-Mh..- disse facendo spallucce, non sapendo nemmeno lui cosa rispondere: non poteva negare fosse dura, non era abituato a quei ritmi incessanti, quel sovraccarico di informazioni da tenere a mente e via discorrendo -..sto cercando di abituarmi..-

-Eh, è una cosa nuova.. è normale!- uscirono dal parcheggio e si immisero nel traffico, mentre Jermaine azionò un cd a basso volume –Ma te la stai cavando bene..-

-Se lo dici tu..-

-Non sei d’accordo?- si informò l’altro con un sorrisetto.

-Non proprio- ammise indifferente: aveva trovato diverse difficoltà in quei giorni e, come era nel suo carattere, essere a un livello mediocre lo infastidiva.

-Stai facendo fin troppo.. ovvio, sei più indietro rispetto ad altri, ma stai facendo esperienza.. tempo qualche settimana e andrà meglio! Devi solo impegnarti!-

Kei lasciò che le note della canzone si appropriassero dell’abitacolo, ringraziando mentalmente la comodità di quella macchina, ma Jermaine gli ricordò ciò che, invece, avrebbe dovuto preoccuparlo.

-Come si chiama il tuo tutore?-

-Ehm..- Kei, frastornato e stanco, pensò al nome di battesimo di Nonno J e si accorse di non conoscerlo, prima di realizzare che comunque al coreografo quell’informazione non sarebbe servita -..Kinomiya, signor Kinomiya..-

-Perfetto!-

-Mi dispiace farti perdere tempo così..-

-Figurati..-

-Intanto non è che me lo avrebbe negato..-

-E’ una cosa normale Kei..- il ragazzo si convinse di aver guardato l’altro con espressione accigliata poiché quest’ultimo continuò -..non è la professione che gli adulti solitamente si aspettano e soprattutto non è così semplice come sembra.. non è solo questione di tenersi in esercizio, ma di mente e corpo legati insieme.. un po’ di sfiducia è la norma!-

Kei ragionò su quelle parole cercando di identificare quali fossero le reali preoccupazioni di Nonno J, poiché quando gli aveva chiesto di incontrare Jermaine era stato piuttosto criptico al riguardo; gli era sembrata da subito un’esagerazione, ma se in effetti ci pensava poteva considerarla una ovvia reazione considerando che era l’uomo a occuparsi di lui e di conseguenza a preoccuparsene. Quei trattamenti paterni erano ancora parecchio strani per Kei e si potevano avvicinare solo lontanamente a quelli di Yuri o Boris o Sergay che, escluse alcune occasioni, lo consideravano loro pari.

-Devi ricordarmi la strada..- disse Jermaine quando ormai le vie si erano fatte molto più familiari; il russo gli diede alcune indicazioni e in pochi minuti arrivarono a destinazione.

-Posso lasciarla qui?-

-Sì-

Scesero dall’auto esattamente davanti al portone in legno che Kei aprì con le sue chiavi, invitando l’altro a entrare.

-Figo.. non ero mai stato in una casa del genere!- disse Jermaine guardandosi intorno, mentre attraversavano il cortile fino all’ingresso: entrarono in silenzio e a Kei risultò tutto normale, dai suoni alla temperatura dell’ambiente, eccetto uno strano disagio che avvertiva alla bocca dello stomaco.

-Eccovi!-

Nonno J gli venne incontro, uscendo dalla cucina illuminata; sicuramente avevano già cenato e gli altri erano dispersi chissà dove nel dojo, così che l’uomo fu il solo ad accoglierli.

-Buonasera Signor Kinomiya, io sono Jermaine Crowde- la voce del coreografo si levò sicura ed estremamente professionale: in quei giorni aveva conosciuto diverse sfaccettature della personalità di quell’uomo che riusciva a passare dall’essere il bambinone mai cresciuto, al professionista in carriera, fino all’insegnante dispotico maniaco per i dettagli. In quel momento, però, pensò Kei, era ancora diverso: la stranezza derivava soprattutto dall’ambiente attorno a lui. L’accoglienza orientale che Nonno J gli riserbò, in contrapposizione all’aspetto di Jermaine, lo colsero alla sprovvista: non si era mai reso conto di quanto gli ambienti che aveva frequentato nel centro di Tokio fossero occidentalizzati, rispetto alla tradizione che invece lì nella periferia era ancora palpabile.

-Per di qua-

Nonno J lo invitò verso la cucina e gli indicò un posto alla tavola, già ripulita di ogni segno della cena; degli altri ancora neanche l’ombra.

Kei si sedette a sua volta, osservando i due conversare amabilmente, temporeggiando prima di arrivare al fulcro del discorso.

-Posso sapere quali sono le sue perplessità?- si decisero una decina buona di minuti dopo.

-Kei è maggiorenne e può decidere della sua vita, io voglio solo essere sicuro che userà bene il suo tempo..- spiegò il giapponese composto e sereno come al suo solito.

-Ovviamente.. posso garantirle che non gli avrei mai offerto nulla del genere se non credessi nelle sue potenzialità..-

Kei seguì il discorso come una presenza evanescente: gli era capitato altre volte di ascoltare qualcuno parlare di lui senza essere interpellato, ma poteva considerare quella come la prima volta in cui il contesto era positivo. Si era sempre sentito trattato come l’oggetto degli adulti che decidevano della sua vita, oppure il ragazzino da riportare sulla retta via, ma mai come la persona che poteva creare qualcosa di concreto.

Probabilmente si perse qualche frase, ma comunque arrivarono piuttosto in fretta al termine dell’incontro: Jermaine, la cui giornata sembrava essere composta di più di ventiquattr’ore, aveva un altro impegno e non poteva soffermarsi di più.

-A lunedì.. riposati mi raccomando!- lo salutò sulla porta prima di prendere l’uscita.

-Personaggio singolare- appuntò Nonno J con tono neutro, tanto che Kei si stupì di vedere un sorriso sul suo volto quando alzò lo sguardo su di lui –Ma credo sia affidabile.. mangi qualcosa?-

-No, vado a dormire..- lo tranquillizzò, ripensando alla montagna di cibo che solitamente il catering portava alle prove: augurò la buona notte all’uomo e salì le scale diretto verso camera sua e, una volta imboccato il corridoio, vide la porta della camera di Max chiudersi ovattando mezze frasi e borbottii e Takao cambiare direzione guardandosi intorno.

-Oh.. ciao Kei!- squillò il giapponese facendo finta di niente.

Il russo alzò un sopracciglio perplesso, sicuro che quei tre fossero stati tutto il tempo ad origliare, ma decise di lasciar correre sentendo la stanchezza continuare ad attanagliarlo.

-Notte- borbottò poggiando la mano sulla maniglia della sua porta.

-Notte Kei!-

 

Aveva imparato diverse cose in quel periodo: che la sua memoria tanto decantata aveva solo un tot di ore di autonomia, che i ballerini erano la specie più lunatica e contradditoria dell’universo seguita solo dalle cantanti, le quali sapevano essere davvero tremende se non le si assecondava, e che la famosa unione tra corpo e mente di cui parlava Jermaine era davvero difficile da ottenere in un ambiente del genere, o almeno sicuramente si rischiava di perdere l’uso di almeno una delle due.

Dire che avevano aumentato il ritmo era esclusivamente un eufemismo, poiché davvero quel famoso venerdì era stato solo l’inizio: le prove era facile che si prolungassero oltre l’orario prestabilito, per non parlare delle pause che erano sempre più brevi, poiché montare uno show di quell’entità riguardava non solo imparare coreografie, tempi e ordine di entrate e uscite, ma anche di coordinazione tra il ballato e il cantato, l’interazione con le coriste, per non parlare dell’assoluto dovere di rendere tutto ciò congeniale esclusivamente all’esaltazione della vera protagonista: Lauren Bright.

La ragazza era sempre presente e aveva l’ultima parola su qualsiasi decisione: avevano dovuto assistere a diverbi tra lei e Jermaine, ma anche a drammi di altro genere e diverse strigliate a vari membri dello staff.

Fu allora che, a pochi giorni dalla partenza, Kei rientrò a casa totalmente ammattito, sia fisicamente che psicologicamente: varcò la porta del dojo più tardi del solito e la pace e il silenzio dell’ingresso gli parvero un toccasana per la sua testa piena zeppa di informazioni. Mosse qualche passo, ma una volta arrivato alle scale si bloccò osservando abbattuto la cima: non era sicuro di potercela fare, nemmeno ad arrivare fino lassù. Aveva appena salito il primo gradino quando poggiò esasperato la borsa a terra e, tenendosi alla ringhiera, si sbilanciò per sedersi.

Abbandonò i muscoli, sentendo le membra attirarlo inevitabilmente verso il basso, sopraffatto dalla forza di gravità; chiuse gli occhi valutando la possibilità di non muoversi da lì per il resto dei suoi giorni, ma lo scricchiolare del legno lo portò a ridestarsi.

-Stai male?- chiese la voce preoccupata di Rei fattasi improvvisamente troppo vicina, tanto che Kei quasi si spaventò.

-No, no..-

-Cosa ci fai qui seduto? Quando sei arrivato?-

-Cinque minuti fa- disse atono.

-E.. cosa hai intenzione di fare?- chiese il cinese sedendosi accanto all’altro.

-Sto valutando di dormire qui-

-Perché?-

-Non credo di riuscire ad arrivare fino in camera-

Rei continuò a guardarlo perplesso e anche abbastanza preoccupato per la sua salute mentale.

-Acido lattico- disse Kei in risposta alla tacita domanda sell’altro, sperando avrebbe capito subito la situazione.

-Capisco.. sei conciato così tanto male da non riuscire a fare nemmeno le scale?-

-Evidentemente-

Restarono in silenzio qualche secondo, prima che altri passi ruppero la pace.

-Che stareste facendo?- la voce di Takao arrivò dal piano di sopra, seguita da quella di Max.

-Uno scala party?-

-Ma come ti vengono queste cose?- chiese Rei ridendo e guardando i due amici sedersi insieme a loro due gradini più sopra.

-Generatore di cazzate attivo tutto il giorno!- disse l’americano indicandosi la tempia.

-Davvero.. che ci fate qui?- provò nuovamente Takao.

-Acido lattico..- rispose Rei indicando con il pollice Kei.

-Così tanto?-

Kei annuì stancamente valutando che, sì, sentiva ogni arto o parte del suo corpo pesantissima e indolenzita.

-Forse dovresti prenderti una pausa..- provò Rei, ma l’altro fece cenno di no col capo.

-Posso resistere-

-Ma se non..-

-E’ una conseguenza naturale.. ne vale la pena..- sussurrò sovrappensiero.

-Secondo me si è bevuto il cervello- sussurrò Takao nell’orecchio di Max, ma si fece sentire anche dagli altri due.

Kei sbuffò prima di dibattere –E’ segno che ho fatto qualcosa..-

Il giapponese continuò a scuotere la testa incapace di comprendere.

-Ma sì.. è un po’ come col bey.. quando ti alleni tanto da arrivare a fine giornata con dolori ovunque che però ti dimostrano quanto ti sei impegnato, ne sono la prova e per questo ti fanno stare bene.. lo sai benissimo di cosa sto parlando- replicò spazientito.

Takao finalmente annuì serio, prima di tirare fuori nuovamente la sua esuberanza.

-Ho capito!- quasi urlò dando una pacca sulla spalla di Kei il quale si lamentò e imprecò in russo verso l’amico per il dolore –Oh scusa.. comunque.. ho capito perché ti hanno convinto così facilmente per questo tour!-

Il ragazzo lo guardò male: l’aggettivo facile non gli sembrava appropriato, ma decise di non replicare lasciandolo continuare.

-Perché non vedevi l’ora di rivivere le fantastiche emozioni del girare il mondo come al torneo di bey!- esclamò vittorioso –Anche se senza di noi non sarà certamente all’altezza!-

Kei ci pensò su, soprattutto sulla definizione di ‘fantastiche emozioni’: non poteva dargli torto, l’esperienza del torneo aveva costituito l’inizio di una fase nuova della sua vita, era stato il suo primo vero contatto col mondo reale.

-Sì, era stato bello..- affermò senza pensarci e accennando un sorriso: sentì il silenzio cadere attorno a lui e, subito dopo, avvertì la presenza di qualcuno avvicinarsi all’altezza della sua spalla. Sbirciò con la coda dell’occhio e si ritrovò vicinissimo al volto di Takao che lo fissava con espressione indecifrabile.

-Hai appena detto ‘è stato bello’? Mi hai dato ragione?- chiese con tono sempre crescente e gli occhi spalancati per lo stupore –Ma allora sei un po’ umano anche tu!- esclamò infine dandogli un’altra pacca sul braccio, dando il via a nuove imprecazioni.

I tre continuarono a prenderlo in giro per qualche minuto, tra battute e risate, prima di decidersi ad andare a dormire.

-Se ora mi dici che ti mancheremo grido al miracolo!- rise Takao salendo le scale.

-Tu gridi sempre, non sarebbe una novità- appuntò Kei, il quale ricevette solo un ‘buona notte’ come risposta sia dal giapponese che dall’americano.

-Vuoi una mano per caso?- chiese Rei, una volta rimasti soli, visto che il russo non si era ancora mosso dalla sua posizione.

-No, tranquillo- sospirò Kei decidendosi ad alzarsi, reggendosi nuovamente al corrimano.

Si voltò come diversi minuti prima verso la scalinata e guardò la sua meta come qualcosa di irraggiungibile.

-Forza e coraggio!- lo incitò Rei prendendogli la borsa e iniziando a salire.

-Ma non ce n’è bisogno..- provò a richiamarlo l’altro, ma non ci fu verso, tanto che lo seguì facendosi forza, sentendo i muscoli tirare ad ogni scalino fino all’arrivo davanti alla sua porta.

Rei abbandonò lì la borsa dell’amico prima di salutarlo.

 

Dopo quell’occasione non ebbero più il tempo di stare loro quattro insieme e ben presto arrivò il giorno della partenza di Kei.

-Continua a non andarmi giù questo fatto!- gli fece notare Takao poco prima che il russo uscisse dal dojo.

-Cosa?-

-Che te ne vai di nuovo! Ogni volta che vai via poi non si sa mai quando e se tornerai..-

-Torno- disse sospirando, ma un’occhiata scettica di Takao lo convinse a continuare –Davvero!-

-Promettilo!-

-Prometto- assentì esasperato, ma sicuro di non star dicendo una bugia.

-Almeno ci fosse una data a Tokio ne sarei sicuro!-

-Ti ho già detto mille volte che il tour in Giappone l’ha già fatto quindi non avrebbe senso-

-Lo so, lo so, ma..-

-Takao, stai facendo esasperare pure me!- li interruppe Max a sorpresa.

-Ci sentiamo- cercò di liquidarli Kei che, fortunatamente, ottenne solo pochi altri saluti e diverse raccomandazioni da parte di Nonno J.

Non sapeva ancora come aveva fatto a convincerli a non accompagnarlo all’aeroporto, anche se gran parte del merito doveva andare alla scuola: non amava particolarmente i saluti troppo lunghi e sentimentali, soprattutto in un luogo pubblico, tanto che si diresse da solo oltre il portone del dojo.

Era difficile dire se quel non trascorrere più di qualche mese nello stesso posto gli dispiacesse, probabilmente la risposta era più negativa che altro, anche se il dubbio di aver preso la decisione sbagliata a volte rispuntava nella miriade dei suoi pensieri e lo costringeva a riproporsi in continuazione il quesito riguardante il posto che sentiva suo a tal punto da considerarlo casa.

Aveva elaborato ipotesi e supposizioni, ma non era ancora arrivato alla risposta chiara: quando si sarebbe sentito realmente bene in un posto, allora lì doveva essere casa, o almeno era quello che voleva scoprire. Nonostante girare il mondo fosse la soluzione più poetica e scontata, anche un po’ inutile se ci pensava bene, aveva optato per quella e la prima tappa era a mezza giornata di distanza.

Non appena raggiunse l’aeroporto controllò sul biglietto che gli avevano consegnato di essere al terminal giusto e, solo una volta entrato, si guardò intorno in cerca di facce conosciute, ma per fortuna fu qualcun altro a trovarlo per primo.

-Ehi!- una ragazza con grandi occhiali da sole attirò la sua attenzione: Kei la riconobbe come una delle ballerine. Ovviamente non aveva stretto amicizia né particolari rapporti con nessuno e, sinceramente, non sapeva nemmeno come quella si chiamasse.

-Ehi- rispose senza colori nella voce.

-Sai dove dobbiamo andare?-

-Sto cercando di capirlo-

-Posso affidarmi a te? Se no rischio di perdermi!- disse lei sistemandosi la borsa sull’avambraccio.

Si incamminarono insieme scambiandosi qualche parola fino a che non si unirono con altri due ballerini e finalmente, dopo aver fatto il check-in, si unirono alla grande folla composta dalla troupe.

-I miei ci sono tutti adesso!- sentì levarsi la voce di Jermaine dal gruppo, al pari di quella di un qualsiasi professore che radunava gli alunni per la gita.

Venne loro incontro con il solito largo sorriso iniziando a scherzare con alcuni dei ragazzi.

Kei rimase in disparte fino al momento dell’imbarco, ignorando persino la ragazza di cui non aveva ancora capito il nome; fu uno dei primi a salire sull’aereo riservato esclusivamente a loro e si sedette accanto a un finestrino sprofondando sulla poltroncina bianca.

-Posso sedermi qui?- chiese dopo qualche minuto Jermaine, facendo segno al posto vuoto di fianco al russo che rispose solo con un cenno d’assenso disinteressato: l’importante era che non iniziasse a parlare a macchinetta per le dodici ore successive.

Il suo desiderio sembrò esaudirsi, dato che, successivamente allo spegnimento della spia che segnalava l’obbligo di tenere le cinture allacciate, il coreografo si alzò per consultarsi con uno di quelli che aveva scoperto essere i produttori di Lauren. Iniziò a preoccuparsi dopo che, perfettamente in pace con se stesso, lo vide ritornare al posto e buttarsi letteralmente accanto a lui.

-Come va?-

L’incipit del discorso era una frase di circostanza, segno palese dell’intenzione di iniziare una lunga conversazione.

-Mh- rispose al suo solito facendo ridere l’altro.

-Ma tu non socializzi mai con nessuno?-

-Non devo rendere conto a te di questo-

-Certo, certo.. solo che mi piacerebbe che il mio gruppo fosse unito!- esclamò guardandolo col sorriso.

-Farò il possibile..- acconsentì senza aver realmente intenzione di mettere in pratica quelle parole.

Jermaine fece una pausa evidentemente intento a trovare un modo per non far cadere il discorso.

-A casa tutto bene?-

Kei annuì.

-E con avvocati e quelle cose lì? Quest’estate ti avevo lasciato in esasperazione..-

-Risolto- liquidò il discorso ripensando a quando era riuscito a vietare a quell’avvocato di contattarlo ogni cinque minuti sul cellulare.

Il coreografo lo guardò male, evidentemente stupito dalla capacità di Kei di far cadere ogni discorso con troppa facilità.

-Nessuna domanda da farmi?- tentò ancora, deciso a non arrendersi –Su programma o robe del genere?-

-Non direi..-

-C’è un modo per farti scomporre?-

Kei fece per pensarsi su, ma poi rispose tranquillamente di no.

-Sei impossibile- disse l’altro ridendo –Troverò il modo prima o poi!-

-Come vuoi-

-Ho un bel po’ di tempo.. se non ci riuscirò, ti considererò una causa persa!- continuò sempre allegro.

Cercò inutilmente per la mezz’ora successiva di scucire più di tre parole di seguito a Kei, ma presto scoprì quanto il suo avversario in quel gioco fosse vincente.

-Non sapevo fossi così tamarro!- disse infine, cercando di prenderlo in giro per ottenere qualcosa.

-Ma ti sei visto tu?-

-Sì, ma nemmeno tu scherzi..-

-In che senso?- si informò confuso quando Jermaine allungò una mano verso il suo collo: si chiese cosa volesse fare, soprattutto quando sentì le sue dita sfiorargli la pelle per afferrare poi quello a cui si riferiva, una sottile catenella che teneva sotto la maglia –Ah quella-

-Dalle mie parti fa molto tamarro!- rise ancora l’uomo lasciandola andare.

-E’ un regalo-

-Posso chiederti di chi?-

-Di un’amica-

-Un’amica speciale?-

-Non nel senso che intendi tu- lo corresse intuendo a cosa stesse alludendo: quella catenella gliela aveva data Dana prima di ripartire il mese precedente. Ne avevano due simili, comprate anni prima, ma lui aveva perso quella appartenuta  a lui e la ragazza aveva deciso di regalargli la sua come simbolo, a detta sua, della loro amicizia; inizialmente non aveva avuto intenzione di indossarla realmente, ma, una volta iniziate le prove, dopo la confusione iniziale, aveva sentito il bisogno di qualcosa di tangibile da portare con sé e aveva preso a metterla tenendola sotto la maglia.

-Mi devo fidare?-

Kei alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa.

-Ok, ok, ti credo.. quindi non c’è nessuna fanciulla che ti aspetta da qualche parte?-

-No-

-Perfetto.. allora puoi darti alla pazza gioia! La vita del ballerino ha i suoi vantaggi!- esclamò facendogli l’occhiolino convincendo del tutto il russo di non voler sentire una parola di più da parte di quell’uomo; fortunatamente quest’ultimo resistette ancora poco in quel suo monologo, probabilmente poiché sfinito dalla continua mancanza di risposte costruttive.

Il viaggio continuò, quindi, pacifico e silenzioso e, quando si arrivò al momento dell’atterraggio, la maggior parte delle persone era provata dalle tante ore di volo: un pullman li venne a prendere all’aeroporto per portarli in hotel.

Non appena sceso dal mezzo, Kei notò un capannello di persone davanti all’entrata che scalpitava, ma non riuscì a identificarne il motivo, fino a quando non si accorse che la maggior parte di loro brandiva macchine fotografiche o telecamere.

-Deve essere arrivata Lauren da poco..- gli sussurrò Jermaine stiracchiandosi -..dai andiamo dentro prima che presi dalla disperazione chiedano qualcosa a noi!-

L’uomo gli poggiò una mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo dentro: solo in quel momento il russo notò il lusso che regnava in quel luogo. Possedeva tanti soldi, ma non era mai stato accerchiato da così tanto sfarzo se non nella villa del nonno e, a quel luogo, non riusciva ad associare proprio nessuna connotazione positiva: anche durante il torneo di bey era stato trattato bene in fatto di hotel, ma niente poteva superare il luogo in cui si trovava in quel momento.

Si guardò intorno accigliato, ma notò di essere l’unico in quanto gli altri si diressero semplicemente alla reception, evidentemente abituati a quel trattamento: si ricompose e li seguì, scoprendo in quale camera era stato assegnato: una volta presa la tessera magnetica si diresse, insieme al ballerino con cui l’avrebbe condivisa, fino al terzo piano.

-Mi sa che non ci siamo mai presentati- iniziò il ragazzo amichevolmente mentre erano in ascensore –Io sono Chayton!- aggiunse allungando la mano.

-Kei- rispose cercando di fare uno sforzo, ma si accorse che pretendere di sembrare una persona simpatica era più difficile del previsto.

Nuovamente, quando entrarono in camera, il russo si prese qualche secondo per guardarsi intorno e notare l’eccessiva grandezza di quello spazio considerando si supponesse fosse solo per due persone.

-E’ il tuo primo tour giusto?- chiese Chayton mentre sistemava le sue cose, ma non aspetto nessuna risposta poiché ne era già a conoscenza –Vedrai che abituarsi a tutto questo sarà semplicissimo e poi.. paga la cantante quindi è ancora più piacevole approfittarsene!-

Rise, mentre Kei si limitò ad abbozzare un sorriso, il che convinse l’altro a non parlare più; erano trascorsi poco più di venti minuti dal loro arrivo e già si stavano preparando per andare a dormire quando una serie di colpi alla porta e una voce familiare si levarono dal corridoio.

Chayton andò ad aprire, ma non vedendo nessuno si affacciò allo stipite, mentre Jermaine continuava a urlare, probabilmente facendo avanti e indietro.

-Tutti fuori a rapporto!-

Anche Kei si decise ad andare a controllare cosa stesse macchinando quell’uomo e, una volta raggiunto il suo nuovo compagno di stanza, vide il coreografo bussare a tutte le porte, probabilmente senza uno schema preciso: diverse teste spuntarono, tutte perplesse alla stessa maniera.

-Ehm.. tutti i ballerini qui fuori.. gli altri mi dispiace avervi disturbato!- disse improvvisamente Jermaine, scusandosi con una coppia di anziani che probabilmente si trovava in quell’albergo per puro caso. Altri membri dello staff si richiusero la porta alle spalle ridacchiando, mentre Kei, dovendosi includere nella categoria “ballerini”, rimase in attesa.

-Vi do dieci minuti per prepararvi! Stasera si esce!-

-Jay, domani dobbiamo svegliarci presto e..- tentò Monique, la sua assistente, ma senza risultato.

-Questa è un’uscita obbligatoria per tutti! Chi non viene lo licenzio!- esclamò l’uomo sempre sorridendo.

-Sei un tiranno lo sai?- chiese un altro ragazzo.

-Certamente! Ora i minuti sono 9.. forza! Vi aspetto qui!-

Kei maledisse mentalmente il coreografo limitandosi a cambiare la maglia e prendere la felpa, considerando che lì era appena finito l’inverno.

Uscito di nuovo in corridoio sulle facce dei suoi colleghi poteva leggere diverse opinioni riguardo quell’uscita di gruppo: alcuni, probabilmente i più festaioli, erano entusiasti, altri assolutamente contrariati, per finire con quelli che, come lui, accettavano passivamente quella decisione.

Uscirono dall’albergo che ormai erano le dieci di sera e, come ricordò a tutti Monique, il giorno dopo la sveglia sarebbe stata alle sei.

-Domani ti vieto di lamentarti se sarò mezza addormentata!-

-Su che la vita è breve!- la consolò Jermaine mettendole un braccio attorno alle spalle in un mezzo abbraccio che mantenne fino alla loro destinazione finale, un piccolo pub a pochi passi dall’hotel.

A Kei sembrò che il coreografo non conoscesse realmente la loro meta, ma che semplicemente si fosse infilato nel primo posto avvistato, presentimento che doveva essere esatto considerando come l’uomo si guardasse intorno curioso.

-Sì, è un posto carino.. può andare!-

Chiese al barista se potevano sedersi e furono sistemati in un angolo dove due tavolini condividevano un lungo divanetto: Kei si ritrovò seduto tra Chayton e la ragazza che aveva incontrato all’aeroporto di cui scoprì il nome solo quando ordinarono da bere.

Il russo la guardò per qualche secondo notando che, nonostante il lungo viaggio e il pochissimo tempo che avevano avuto per prepararsi, lei sembrava lo stesso uscita da una pubblicità di qualche marca famosa: guardandosi intorno, comunque, si rese conto che lo stesso poteva valere per la maggior parte di loro, convincendolo che, probabilmente, non era solo la bravura ad assicurarti il lavoro, ma anche l’aspetto esteriore, o comunque uno stile particolare.

Ringraziò, comunque, di non essere capitato seduto vicino a Jermaine il quale, quando incrociò il suo sguardo, allargò il sorriso vittorioso e gli diede strane occhiate indicando Carol, la ballerina a fianco a lui: quell’uscita era sicuramente parte integrante del piano del coreografo per fargli conoscere gli altri, poteva esserne sicuro, ma, d’altronde, doveva ammettere che stava funzionando considerando che in quel momento conosceva il nome di quattro delle nove persone che sedevano attorno a lui e, nel corso della serata riuscì a coglierne almeno altri tre. Non che non li avesse sentiti chiamare prima, ma semplicemente aveva sempre quel piccolo problema a ricordarsi delle persone, a meno che non facessero qualcosa che lo colpisse.

Comunque sarebbe rimasto sempre il solito asociale, di conseguenza non fu lui il primo a tendere una mano verso gli altri, ma al contrario aspettò fossero gli altri a farlo: a fine serata poteva dire di essersi fatto un’idea di tutto il gruppo come probabilmente loro se l’erano fatta di lui. Tutti erano piuttosto amichevoli, soprattutto quella Carol e Chayton nonostante fosse ovvio sperasse in un compagno di stanza più chiacchierone, Jermaine poi aveva sempre quell’incomprensibile fissa verso di lui; chi, invece, doveva trovarlo insopportabile era Monique, che fece finta tutta la sera che lui non fosse con loro e un’altra ragazza asiatica, con un nome che iniziava per N quasi sicuramente, gli aveva riserbato delle occhiatacce tutta la serata.

-Direi che è l’ora di andare!- annunciò improvvisamente Jermaine, accolto da poche proteste e molti assensi.

-Domani vi voglio tutti freschi e pimpanti!- continuò quando arrivarono nel corridoio dell’hotel.

-Ci stai prendendo per il culo vero?- chiese un ragazzo.

-Ovviamente no! Vi sto avvertendo e preparando per i prossimi mesi!-

-Prima o poi qualcuno mediterà vendetta.. quindi guardati le spalle!- disse Monique facendogli l’occhiolino e augurando poi a tutti la buona notte, seguita a ruota dagli altri.

-Dimmi che tu non hai problemi a svegliarti presto- disse Chayton a Kei una volta rimasti soli.

-No-

-Perfetto.. se domani spengo la sveglia e non mi alzo subito.. hai il permesso di fare qualsiasi cosa per svegliarmi!- lo pregò.

-Ok-

Non poteva essere compito più semplice: se riusciva a svegliare Takao, chiunque altro rappresentava solo una passeggiata.

 

I cinque giorni successivi furono assolutamente infernali. Pensava che Jermaine esagerasse quando diceva che sarebbe stato intransigente e duro e, invece, qualsiasi cosa al di sotto della perfezione non era minimamente accettata.

Il primo concerto si sarebbe tenuto la domenica sera, ma il palazzetto di Melbourne era stato affittato per tutta la settimana in modo da poter fare le prove generali sul palco, già montato dal martedì.

Kei lo vide per la prima dal parterre e subito gli fece uno strano effetto: era grande e imponente, anche senza la scenografia completa e le luci normali accese a illuminare il lavoro di un centinaio di persone che si affaccendavano tra cavi, attrezzature, costumi o qualsiasi altra cosa possibile. Confrontare, poi, quella sensazione iniziale con quella di solo poche ore dopo risultò ancora più particolare; una volta salito sul palco e guardato verso la platea vuota, metabolizzato l’effetto provocato, non ne era più sceso e quel suolo inizialmente sconosciuto, era diventato improvvisamente familiare. Pochi giorni dopo addirittura non ricordava nemmeno come fosse non conoscere quel luogo. Trascorrevano tutta la giornata dentro al palazzetto, entravano quando il sole iniziava a illuminare il paesaggio e ne uscivano a notte inoltrata.

Conoscere il resto dei ballerini risultò improvvisamente semplicissimo, poiché convivevano e condividevano tutte quelle ore a stretto contatto: consolidò l’idea che si era fatto di ognuno di loro, soprattutto ebbe la conferma di non andare a genio alle due ballerine principali, Monique appunto e Nene. La seconda soprattutto si avventò su di lui e praticamente urlò ai sette venti quale fosse il problema: a quanto pareva lo vedeva come essere inferiore non degno di calpestare il suo stesso palcoscenico.

-Che cazzo fai?- gli aveva ringhiato contro una sera.

-Potrei farti la stessa domanda-

Si erano praticamente scontrati, anche se erano riusciti a non darlo a vedere tanto che nessuno si era accorto del problema fino a quando lei non aveva dato di matto. Di chi fosse la colpa per Nene era chiaro, ma Kei non era del suo stesso avviso, anzi era sicuro al cento per cento che fosse stata lei a invadere il suo spazio.

-Tu vedi di stare al tuo posto.. sei un pivellino e..-

-Basta!- Jermaine li interruppe facendosi spiegare il problema –Nessuno se n’è accorto quindi andiamo avanti e vedete che non accada mai più!- li liquidò tornando a dare segnali agli addetti alle luci perché correggessero la direzione di un occhio di bue.

-Vedi di non intralciare.. sono una professionista e..-

-Nene, hai sentito Jay?- la riprese Monique, mentre Kei rimaneva fermo indeciso se arrabbiarsi o ridere per la pazzia di quella ragazza.

Dopo quell’episodio non ebbe comunque più il tempo di rifletterci riassorbito totalmente dai ritmi delle prove: dovevano adattare tutto ciò che avevano imparato in palestra alla larghezza del palco, memorizzare tutte le posizioni corrette e inquadrare tutte le entrate e uscite, le parti danzate erano solo un qualcosa di contorno in quella fase, considerando che si dava per scontato che ormai le avessero imparate. In ogni caso, quando non erano impegnati ad arrivare tutti esattamente nel punto predisposto, ripassavano ogni qual volta Lauren provava microfoni, luci, interazioni con coristi e musicisti. Gli ultimi giorni provarono tutto lo spettacolo senza sosta e videro per la prima volta anche i costumi di scena: Kei ringraziò il fatto che Lauren non fosse una di quelle artiste che amavano colpire con abiti strani o spettacolari, ma puntava invece più sul semplice o al massimo sullo mostrare un po’ di materia prima, di lei e del suo corpo di ballo.

Ciò di cui si rese conto fu che non aveva avuto il tempo di fermarsi a pensare. Non aveva tempo da concedere a qualsiasi altra cosa che non riguardasse quel tour, persino la domenica mattina se la prese, come tutti gli altri, per riposare e, quando aveva tentato di farsi occupare la mente da qualcosa di nuovo, ecco che il trambusto delle poche ore che li dividevano dalla prima dello show lo riassorbirono completamente.

Li vennero a prendere come al solito in albergo con un pullman, ma quella volta, una volta arrivati nella vicinanza del palazzetto, furono rallentati dalla grande folla che aspettava le aperture dei cancelli e che quella sera avrebbe assistito al concerto. Già nei giorni precedenti avevano avuto la visita di qualche curioso che sperava di rubare una fotografia o un autografo alla cantante, ma nulla in confronto alla miriade di persone che in quel momento si accalcava per la strada.

Al sicuro all’interno dei camerini iniziò una corsa contro il tempo: tutti coloro che sarebbero saliti sul palco avevano bisogno di essere sistemati alla perfezione e, completamente immerso nel vortice delirante che era il dietro le quinte, Kei non si rese quasi conto che avevano intenzione di tagliargli i capelli fino a quando non lo fecero sedere davanti a un grande specchio e un tizio con forbici e occhiali anni 50 gli si avvicinò.

-Come ti facciamo? Taglio drastico o diamo solo una sistematina?-

Il russo tentò di ragionare sulle due opzioni e dare la sua opinione, ma si rese conto che quella dell’uomo era solo una domanda retorica poiché sapeva già cosa gli avrebbe fatto.

-Per stavolta li lasciamo così..- disse spuntandoglieli solo leggermente.

Fu invitato a rialzarsi per lasciare il posto a Chayton e gli indicarono di raggiungere gli altri in un’altra stanza: si vestì a un’ora dall’inizio dello spettacolo e, finalmente pronto, si sedette su un tavolino sul quale erano appoggiati cappotti e teli dei quali non voleva neanche sapere il motivo della loro presenza. A poco meno di un metro da lui un’altra serie di specchi e sedie e, su quella più vicina, Carol era sottoposta a un’intensa seduta di trucco.

-Avremo il tempo di fumare?- chiese la ragazza quando, aperti gli occhi finemente rifiniti, vide Kei.

-Lo spero-

-Ho quasi finito..- disse la truccatrice -..però attenta a non rovinare il rossetto! Semmai ripassa da me un secondo!-

Ci mise ancora diversi minuti per finire la sua opera e rimasero in silenzio ad ascoltare il vociare e i rumori provenienti dal parterre dove ormai dovevano essere accalcate centinaia di persone: si alzarono diretti verso un luogo dove potevano fumare, quando la band supporter di quella sera iniziò il suo spettacolo.

Carol in quella settimana era diventata la sua compagna ufficiale di sigaretta, insieme a un altro ragazzo che faceva parte della security.

-Riesci a stare in piedi con tutti quei capelli?- chiese la bodyguard ridendo.

-Ma sì.. non sottovalutare le capacità di noi fashion victim!- rispose lei ridendo e passando una mano nella folta chioma: poteva essere benissimo pronta per una pubblicità di una tinta invece che per ballare considerare il colore rosso acceso e chiaramente artificiale e i boccoli perfettamente definiti.

-Auguri- disse Kei scettico.

Non ebbero molto tempo da concedersi poiché furono richiamati all’interno dove Lauren aveva radunato tutti, tra musicisti, coristi e ballerini, a pochi metri dal retro palco.

-Abbiamo lavorato tutti molto duramente e ora è arrivato il momento!- iniziò il suo discorso ringraziando tutti e incitandoli a fare del proprio meglio: fu quando chiese di prendersi tutti per mano che Kei si accigliò, ma non appena Carol e una delle corista gli afferrarono i palmi decise di assecondare quella follia e ascoltò la cantante iniziare una specie di preghiera e un ringraziamento a Dio. Il russo osservò molti chiudere gli occhi e abbassare il capo: era una di quelle classiche cose che vedeva fare agli artisti, pensò, come quando alla vincita di qualche premio si rivolgevano a qualche creatore. Lasciò la cosa evolversi incuriosito, notando la presenza delle onnipresenti telecamere immortalare il momento.

Quando finalmente il momento catartico terminò, Lauren invitò a riunire la mano sinistra al centro sopra la sua e un rito, meno religioso, ma comunque molto sentito, ebbe inizio.

-Merda, merda, merda!-

La parola ripetuta risuonò nel corridoio e poi iniziò la confusione di persone che sgusciavano da una parte all’altra per dare una pacca sul sedere di quanta più gente potessero.

Era arrivato il momento: tutti si diressero alle loro postazioni, provate e riprovate un centinaia di volte. Kei sarebbe entrato insieme agli altri ballerini uomini, solo dopo l’uscita di Lauren che, stretta nel suo miniabito sbrilluccicante, attendeva il suo momento fremendo: uno degli assistenti che stava col loro gruppo e, al cenno della cantante, parlò nel microfono unito alle grandi cuffie che portava e invitò i tecnici delle luci a dare il via allo show.

Il boato della folla che aveva capito che quello sarebbe stato l’inizio di tutto, riempì ogni angolo, ostacolato esclusivamente dalla musica che partì. Kei riuscì solo a leggere il labiale dell’assistente che doveva invece star urlando ‘fuori Lauren’.

La tempistica prevedeva che da lì a 50 secondi sarebbero entrati anche loro.

Ancora nessun pensiero che riguardasse il mondo esteriore passava per la testa del ragazzo: sentiva una morsa allo stomaco, ma anche una certa impazienza. Sapeva cosa doveva fare, era totalmente concentrato: quei pochi istanti sembravano non trascorrere mai, eppure il momento arrivò e, a quel punto, fu tutto estremamente veloce.

Era diverso: non vide le persone tra il pubblico se non quando illuminate, ma per il resto i fari accecanti rendevano i metri al di là dal bordo del palco come una distesa nera di rumore. La stanchezza accumulata quella settimana non esisteva, i momenti sul palco erano attimi di un’altra vita, ad ogni uscita, tentando di ricordare qualcosa di ciò che era accaduto in scena, veniva a galla solo il pensiero di ciò che sarebbe accaduto dopo, poche immagini, alcuni flash, alcuni addetti dello staff che si accalcavano per portare gli strumenti, facilitare il cambio dei costumi.

A metà dello show, i ballerini avevano una ventina di minuti di respiro per il momento soft del concerto: Kei scoprì che gli imprevisti erano pochi o comunque velocemente risolti tanto che si ritrovò pronto prima del tempo e si appostò in anticipo a lato del palco, spiando quello che stava accadendo oltre la scenografia. Vide con la coda dell’occhio il vestito svolazzante di Lauren, ma si concentrò su Nene e Blake, un altro ballerino, che davano inizio al loro passo a due che accompagnava il pathos della canzone: aveva già assistito a quella danza, ma da quella angolazione, con quell’atmosfera, gli sembrò che stesse nascendo in quel momento, naturalmente, come se le estenuanti prove per perfezionarla non fossero mai esistite e, per la prima volta, provò un desiderio curioso, di farne parte, anche in quel modo, lì a osservare di lato, ma voleva esserci. Fu così come era iniziato che finì riportandolo alla tabella di marcia che conosceva a memoria, in una tirata unica fino all’ultima nota e all’ultimo applauso.

 

Si allontanò dai corridoi colmi di trambusto: tutti si persero a festeggiare e catapultarsi sulle tavolate imbandite di cibo appena portato dalla ditta del catering.

Kei non aveva mai avuto l’anima festaiola e quindi cercò, come al suo solito, un po’ di pace e solitudine. Era il suo modo per rilassarsi e scaricare tutta l’adrenalina che aveva in corpo.

Riuscì quindi ad allontanarsi dal trambusto e arrivò fino nel retro palco: non proveniva più nessun rumore dall’altro lato, solo uno strano ronzio che, si disse Kei, probabilmente era provocato dalla stranezza del silenzio dopo ore di bombardamento di suoni.

Istintivamente decise di andare a dare un’occhiata: il suo ultimo ricordo era un mare indistinto di teste urlanti che si muovevano all’unisono accalcate l’una sull’altra.

Imboccò una scalinata e spuntò da una delle entrate laterali del palco che ormai conosceva bene, però non vi salì del tutto, ma restò sull’ultimo gradino appoggiandosi al corrimano a osservare una ventina di persone cercare di ripulire stage e parterre per il giorno dopo. 

Fu quello il momento in cui riuscì a pensare nuovamente, a ragionare su se stesso e sul mondo che stava oltre quel tour, quel mondo che aveva annullato in quella settimana e al quale non aveva permesso di interferire con lo scorrere degli eventi.

Semplicemente quell’esperienza era un insieme di novità continue, ma allo stesso tempo, ormai, sentiva come di far parte di quella vita da sempre: solo che lo stare sul palco era qualcosa di indescrivibile, anche in quel momento, in quello stadio vuoto, era la stessa struttura sul quale si erano esibiti il centro catalizzatore di ogni sensazione. Durante i mondiali di bey gli era già capitato di essere osservato da centinaia di persone, sotto la luce dei proiettori, ma allora tutto ciò che gli interessava era giocare e vincere, mentre adesso lui non era il centro della scena, ma faceva parte di un qualcosa di più grande. Non che non avesse mai avuto la possibilità di far parte di un qualcosa, ma, se ne rendeva conto solo in quel momento, prima non lo aveva mai voluto davvero.

Cosa stava quindi a significare tale disorientamento o torpore o come lo si voleva chiamare?

-Che cosa ci fai qui?-

Come ogni qualvolta cercasse di far ordine nella sua testa incasinata, qualcuno interruppe il flusso dei suoi pensieri e ovviamente quel qualcuno era Jermaine.

-Pensavo- rispose semplicemente, facendo per scendere, ma l’altro gli si parò davanti e al contrario lo invitò a risalire.

-Vieni con me-

Lo prese per il braccio e lo guidò verso il centro del palco: Kei non potè fare a meno di notare per l’ennesima volta quanto quell’uomo fosse troppo un tipo fisico, che non si poneva problemi a prendersi confidenza.

-Se proprio devi pensare goditi per bene il panorama!- disse il coreografo compiaciuto, per poi allargare le braccia indicando il pavimento –Accomodati!-

-Cosa?-

Jermaine si sedette a gambe incrociate e, nuovamente, fece pressione sul braccio di Kei per invitarlo ad imitarlo. Non oppose resistenza e osservò l’altro tirare un sospiro osservando la platea.

-Bello vero? Dopo tutto quel baccano è un piacere!- continuò l’uomo –Fossimo in un film, ora partirebbe una musica sognante e tu mi confideresti il segreto della tua vita del tipo.. ‘un giorno riempirò anche io uno stadio come questo’ o roba del genere..-

-Non è il mio caso..-

-Immaginavo!- rise Jermaine senza poi abbandonare la sua espressione allegra –Parliamo un po’!-

-Adesso?-

-Perché no..-

-Non dovremmo andare?-

-C’è tempo! Non preoccuparti!-

Kei non trovò vie d’uscita e si pentì di non essere rimasto con gli altri: eppure sentiva ancora il bisogno della pace che provocava quel luogo silenzioso e anche un po’ surreale.

-A cosa stavi pensando prima?- Jermaine lo svegliò nuovamente dal flusso dei suoi pensieri.

-Non so..-

-Non sai a cosa pensi?- lo interruppe l’uomo.

-No.. non so come spiegarlo- disse calmo Kei, abbassando per un momento le difese.

-Mh.. ti piace qui?-

-Qui?-

-Sì, qui qui! Il palco..-

-Direi di sì..- rispose spaesato, ma anche sorpreso della rapidità con cui il coreografo aveva capito ciò che gli passava per la testa.

-Posso farti una domanda?- chiese Jermaine, dopo alcuni secondi di silenzio.

-Anche se ti dicessi di no me la faresti lo stesso, quindi..-

-Giusto! Beh.. perché quest’estate ci hai messo così tanto ad accettare?-

-Perché ci dovevo pensare..- diede la risposta più ovvia.

-In verità avevi già deciso!- se ne uscì l’altro a sorpresa.

-Non è vero..-

-Oh sì.. appena te l’ho chiesto!-

Kei lo guardò contrariato, ma l’altro non demorse.

-Tutto di te mi diceva di sì!-

-Cosa..- ma non continuò, ricordando la domanda che gli aveva posto Dana, sulla risposta che avrebbe dato d’impulso.

-Sai..- riprese Jermaine vedendolo in difficoltà -..non volevo darti tempo per pensarci, ma non potevo negartelo.. sapevo che se ne avresti parlato con qualcuno probabilmente troppi dubbi sarebbero spuntati e ti avrebbero assillato e non sapevo se avresti avuto il coraggio di buttarti..-

Kei fece di nuovo per parlare, ma l’uomo lo interruppe con una risata –Ora lo so che non sei uno che si tira indietro, ma allora non ti conoscevo..-

-E ora mi conosci?- non si trattenne dal dibattere.

-Beh, in questo mese tra le difficoltà che hai incontrato e i tentativi di boicottaggio di Nene direi che ho capito che non demordi facilmente-

In effetti aveva avuto molta pazienza e si era rimboccato le maniche nonostante si fosse ritrovato il più indietro e il meno abituato a quei ritmi totalmente nuovi, mentre su Nene le parole di Jermaine lo fecero riflettere.

-In che senso sabotaggio?-

-Diciamo che quella ragazza ha un ego esagerato, perché è brava e sa di esserlo, e di conseguenza esige il meglio da tutti quelli intorno a lei.. tu sei quello più inesperto e ti ha preso di mira.. ecco tutto..-

-Ah- non riuscì a dire altro: sospettava qualcosa, ma non credeva che fosse proprio un’opera premeditata.

-Ma non allontaniamoci troppo dal discorso principale..- lo interruppe ancora -..cosa ti ha portato a ragionarci fino all’ultimo?-

-Avevo dei dubbi..- cercò di temporeggiare Kei.

-Riguardo?-

-Non so quale sia il mio posto nel mondo- si decise a rispondere.

-Non sapevi..-

-Non lo so ancora-

-Sei proprio una testaccia dura tu!-

-Non mi piace parlare del futuro-

-Ma basta che guardi al presente.. guardati intorno ora!-

Kei, pensando fosse una frase di circostanza seguitò a guardarlo negli occhi, ma l’altro lo invitò a prendere sul serio le sue parole e voltarsi.

-Cosa dovrei vedere?-

-Quello che non mi sapevi spiegare prima!-

-Non te lo sapevo spiegare prima e non lo so fare adesso-

Jermaine inaspettatamente sembrò perdere il controllo portandosi il pugno chiuso tra i denti, ma poi scoppiò a ridere.

-Ci vuole proprio pazienza con te-

Kei sbuffò e riprese a guardarsi intorno.

-Sai.. è difficile capirti, ma a volte.. veramente poche, ma a volte sei davvero un libro aperto..-

-Cosa vuol dire?- chiese il russo confuso, non capendo a che cosa di riferisse.

-Non te lo sto nemmeno a spiegare!-

-Ma..-

-Non eri tu quello che non voleva parlare?- lo prese in giro Jermaine.

-Ora mi devi dire cosa intendevi-

-Eh no.. è l’ora di andare!- disse solennemente alzandosi e lasciando Kei interdetto e sorpreso.

Se quell’uomo non gli avesse dato una buona ragione entro pochi giorni per non ammazzarlo, avrebbe elaborato un piano per farlo sul serio.

 

 

 

 

 

Voi non vi immaginate quanto io sia fusa ç___ç devo ancora finire di scrivere la storia che già penso al discorso di commiato! Quindi l’ora in poi farò finta che Leggero durerà in eterno e voi mi asseconderete xD

 

Blabla Time

In verità non ho nulla da dire, ma mi andava di blaterare per un po’ come ai vecchi tempi ^^

Mmm.. vediamo di dare un senso a questo momento.. parliamo del caro amico Jermaine (o Jasmine o come lo volete chiamare xD) ora è lui il povero Cristo che si deve sopportare il caratteraccio del nostro polaretto preferito e come avrete notato è il suo completo opposto.. lui è un tipo che cerca il contatto, che non si preoccupa nel prendersi troppa confidenza.. diciamo che lui e Kei sono un po’ come lo stereotipo di italiano del nord e del sud XD

Poi, per quanto riguarda Lauren Bright.. beh ecco il motivo per cui mi sono inventata una cantante quel famoso giorno al negozio di dischi e non ne ho preso una esistente.. non mi sarebbe piaciuto inserire un qualcuno in ‘carne e ossa’! Ovviamente ho preso spunto e possiamo identificarla come una Britney fuori e una Beyoncè dentro, con un pizzico di Rihanna e una spolverata di Lady Gaga XD a parte questo delirio riassumo tutto in.. la classica cantante pop/commerciale che va tanto in voga in questi anni!

 

Ho blaterato abbastanza u.u aspetto i vostri pareri con tantissima ansia, sempre quella che non mi abbandona mai!

Alla prossima settimana,

un bacione :)

 

   
 
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