Credo nel rumore di chi sa tacere
Che quando smetti di sperare
Inizi un po’ a morire
Spotlight
In
quattro giorni avevano fatto l’impossibile e Kei era sicuro che a una persona
normale servisse una vita intera per ballare così tanto come aveva fatto lui in
relativamente poche ore.
Come
Jermaine gli aveva accennato, loro erano gli ultimi a iniziare le prove il che
poteva considerarsi un vantaggio, poiché tutto era già stato deciso e il
rischio di cambiamenti improvvisi era minimo, ma allo stesso tempo uno
svantaggio per il pochissimo tempo che avevano a disposizione.
Quando
la sessione del venerdì giunse al termine il russo non poteva essere più
stravolto: se quella mattina sull’autobus diretto verso il centro tutte le sue
speranze erano orientate verso la possibilità che Jermaine si fosse scordato
dell’incontro fissato con Nonno J, quando il coreografo gli si avvicinò finito
di provare e lo invitò a seguirlo verso il parcheggio non poteva essergli più
grato.
Non
gli pesava tanto la lunghezza del viaggio, anzi a volte l’accoccolarsi sui
sedili con la musica nelle orecchie lo rilassava, quanto piuttosto la scomodità
e l’affollamento dei mezzi pubblici: seguì Jermaine lungo i corridoi e
sull’ascensore, ma l’uomo non gli prestò attenzione, impegnato in conversazioni
con persone dello staff o interlocutori misteriosi al telefono.
-Finalmente!-
esclamò Jermaine abbandonandosi sui sedili di pelle della Mercedes, si rilassò
pochi secondi e, dopo aver sistemato cellulare e altri oggetti nei vari
scomparti, mise in moto.
-Allora?
Come sta andando?-
Kei
sperava di riuscire a evitare qualsiasi tipo di conversazione, ma ovviamente
era un’aspettativa estremamente rosea rispetto alla realtà dei fatti.
-Mh..- disse facendo spallucce, non sapendo nemmeno lui cosa
rispondere: non poteva negare fosse dura, non era abituato a quei ritmi
incessanti, quel sovraccarico di informazioni da tenere a mente e via
discorrendo -..sto cercando di abituarmi..-
-Eh,
è una cosa nuova.. è normale!- uscirono dal parcheggio e si immisero nel
traffico, mentre Jermaine azionò un cd a basso volume –Ma te la stai cavando bene..-
-Se
lo dici tu..-
-Non
sei d’accordo?- si informò l’altro con un sorrisetto.
-Non
proprio- ammise indifferente: aveva trovato diverse difficoltà in quei giorni
e, come era nel suo carattere, essere a un livello mediocre lo infastidiva.
-Stai
facendo fin troppo.. ovvio, sei più indietro rispetto ad altri, ma stai facendo
esperienza.. tempo qualche settimana e andrà meglio! Devi solo impegnarti!-
Kei
lasciò che le note della canzone si appropriassero dell’abitacolo, ringraziando
mentalmente la comodità di quella macchina, ma Jermaine gli ricordò ciò che,
invece, avrebbe dovuto preoccuparlo.
-Come
si chiama il tuo tutore?-
-Ehm..-
Kei, frastornato e stanco, pensò al nome di battesimo di Nonno J e si accorse
di non conoscerlo, prima di realizzare che comunque al coreografo
quell’informazione non sarebbe servita -..Kinomiya,
signor Kinomiya..-
-Perfetto!-
-Mi
dispiace farti perdere tempo così..-
-Figurati..-
-Intanto
non è che me lo avrebbe negato..-
-E’
una cosa normale Kei..- il ragazzo si convinse di aver guardato l’altro con
espressione accigliata poiché quest’ultimo continuò -..non è la professione che
gli adulti solitamente si aspettano e soprattutto non è così semplice come
sembra.. non è solo questione di tenersi in esercizio, ma di mente e corpo legati
insieme.. un po’ di sfiducia è la norma!-
Kei
ragionò su quelle parole cercando di identificare quali fossero le reali
preoccupazioni di Nonno J, poiché quando gli aveva chiesto di incontrare
Jermaine era stato piuttosto criptico al riguardo; gli era sembrata da subito
un’esagerazione, ma se in effetti ci pensava poteva considerarla una ovvia
reazione considerando che era l’uomo a occuparsi di lui e di conseguenza a
preoccuparsene. Quei trattamenti paterni erano ancora parecchio strani per Kei
e si potevano avvicinare solo lontanamente a quelli di Yuri o Boris o Sergay
che, escluse alcune occasioni, lo consideravano loro pari.
-Devi
ricordarmi la strada..- disse Jermaine quando ormai le vie si erano fatte molto
più familiari; il russo gli diede alcune indicazioni e in pochi minuti
arrivarono a destinazione.
-Posso
lasciarla qui?-
-Sì-
Scesero
dall’auto esattamente davanti al portone in legno che Kei aprì con le sue
chiavi, invitando l’altro a entrare.
-Figo..
non ero mai stato in una casa del genere!- disse Jermaine guardandosi intorno,
mentre attraversavano il cortile fino all’ingresso: entrarono in silenzio e a
Kei risultò tutto normale, dai suoni alla temperatura dell’ambiente, eccetto
uno strano disagio che avvertiva alla bocca dello stomaco.
-Eccovi!-
Nonno
J gli venne incontro, uscendo dalla cucina illuminata; sicuramente avevano già
cenato e gli altri erano dispersi chissà dove nel dojo, così che l’uomo fu il
solo ad accoglierli.
-Buonasera
Signor Kinomiya, io sono Jermaine Crowde-
la voce del coreografo si levò sicura ed estremamente professionale: in quei
giorni aveva conosciuto diverse sfaccettature della personalità di quell’uomo
che riusciva a passare dall’essere il bambinone mai cresciuto, al
professionista in carriera, fino all’insegnante dispotico maniaco per i
dettagli. In quel momento, però, pensò Kei, era ancora diverso: la stranezza
derivava soprattutto dall’ambiente attorno a lui. L’accoglienza orientale che
Nonno J gli riserbò, in contrapposizione all’aspetto di Jermaine, lo colsero alla
sprovvista: non si era mai reso conto di quanto gli ambienti che aveva
frequentato nel centro di Tokio fossero occidentalizzati, rispetto alla
tradizione che invece lì nella periferia era ancora palpabile.
-Per
di qua-
Nonno
J lo invitò verso la cucina e gli indicò un posto alla tavola, già ripulita di
ogni segno della cena; degli altri ancora neanche l’ombra.
Kei
si sedette a sua volta, osservando i due conversare amabilmente, temporeggiando
prima di arrivare al fulcro del discorso.
-Posso
sapere quali sono le sue perplessità?- si decisero una decina buona di minuti
dopo.
-Kei
è maggiorenne e può decidere della sua vita, io voglio solo essere sicuro che
userà bene il suo tempo..- spiegò il giapponese composto e sereno come al suo
solito.
-Ovviamente..
posso garantirle che non gli avrei mai offerto nulla del genere se non credessi
nelle sue potenzialità..-
Kei
seguì il discorso come una presenza evanescente: gli era capitato altre volte
di ascoltare qualcuno parlare di lui senza essere interpellato, ma poteva
considerare quella come la prima volta in cui il contesto era positivo. Si era
sempre sentito trattato come l’oggetto degli adulti che decidevano della sua
vita, oppure il ragazzino da riportare sulla retta via, ma mai come la persona
che poteva creare qualcosa di concreto.
Probabilmente
si perse qualche frase, ma comunque arrivarono piuttosto in fretta al termine
dell’incontro: Jermaine, la cui giornata sembrava essere composta di più di
ventiquattr’ore, aveva un altro impegno e non poteva soffermarsi di più.
-A
lunedì.. riposati mi raccomando!- lo salutò sulla porta prima di prendere
l’uscita.
-Personaggio
singolare- appuntò Nonno J con tono neutro, tanto che Kei si stupì di vedere un
sorriso sul suo volto quando alzò lo sguardo su di lui –Ma credo sia affidabile..
mangi qualcosa?-
-No,
vado a dormire..- lo tranquillizzò, ripensando alla montagna di cibo che
solitamente il catering portava alle prove: augurò la buona notte all’uomo e
salì le scale diretto verso camera sua e, una volta imboccato il corridoio,
vide la porta della camera di Max chiudersi ovattando mezze frasi e borbottii e
Takao cambiare direzione guardandosi intorno.
-Oh..
ciao Kei!- squillò il giapponese facendo finta di niente.
Il
russo alzò un sopracciglio perplesso, sicuro che quei tre fossero stati tutto
il tempo ad origliare, ma decise di lasciar correre sentendo la stanchezza
continuare ad attanagliarlo.
-Notte-
borbottò poggiando la mano sulla maniglia della sua porta.
-Notte
Kei!-
Aveva
imparato diverse cose in quel periodo: che la sua memoria tanto decantata aveva
solo un tot di ore di autonomia, che i ballerini erano la specie più lunatica e
contradditoria dell’universo seguita solo dalle cantanti, le quali sapevano
essere davvero tremende se non le si assecondava, e che la famosa unione tra
corpo e mente di cui parlava Jermaine era davvero difficile da ottenere in un
ambiente del genere, o almeno sicuramente si rischiava di perdere l’uso di
almeno una delle due.
Dire
che avevano aumentato il ritmo era esclusivamente un eufemismo, poiché davvero
quel famoso venerdì era stato solo l’inizio: le prove era facile che si
prolungassero oltre l’orario prestabilito, per non parlare delle pause che
erano sempre più brevi, poiché montare uno show di quell’entità riguardava non
solo imparare coreografie, tempi e ordine di entrate e uscite, ma anche di
coordinazione tra il ballato e il cantato, l’interazione con le coriste, per
non parlare dell’assoluto dovere di rendere tutto ciò congeniale esclusivamente
all’esaltazione della vera protagonista: Lauren Bright.
La
ragazza era sempre presente e aveva l’ultima parola su qualsiasi decisione:
avevano dovuto assistere a diverbi tra lei e Jermaine, ma anche a drammi di
altro genere e diverse strigliate a vari membri dello staff.
Fu
allora che, a pochi giorni dalla partenza, Kei rientrò a casa totalmente
ammattito, sia fisicamente che psicologicamente: varcò la porta del dojo più
tardi del solito e la pace e il silenzio dell’ingresso gli parvero un toccasana
per la sua testa piena zeppa di informazioni. Mosse qualche passo, ma una volta
arrivato alle scale si bloccò osservando abbattuto la cima: non era sicuro di
potercela fare, nemmeno ad arrivare fino lassù. Aveva appena salito il primo
gradino quando poggiò esasperato la borsa a terra e, tenendosi alla ringhiera,
si sbilanciò per sedersi.
Abbandonò
i muscoli, sentendo le membra attirarlo inevitabilmente verso il basso,
sopraffatto dalla forza di gravità; chiuse gli occhi valutando la possibilità
di non muoversi da lì per il resto dei suoi giorni, ma lo scricchiolare del
legno lo portò a ridestarsi.
-Stai
male?- chiese la voce preoccupata di Rei fattasi improvvisamente troppo vicina,
tanto che Kei quasi si spaventò.
-No,
no..-
-Cosa
ci fai qui seduto? Quando sei arrivato?-
-Cinque
minuti fa- disse atono.
-E..
cosa hai intenzione di fare?- chiese il cinese sedendosi accanto all’altro.
-Sto
valutando di dormire qui-
-Perché?-
-Non
credo di riuscire ad arrivare fino in camera-
Rei
continuò a guardarlo perplesso e anche abbastanza preoccupato per la sua salute
mentale.
-Acido
lattico- disse Kei in risposta alla tacita domanda sell’altro,
sperando avrebbe capito subito la situazione.
-Capisco..
sei conciato così tanto male da non riuscire a fare nemmeno le scale?-
-Evidentemente-
Restarono
in silenzio qualche secondo, prima che altri passi ruppero la pace.
-Che
stareste facendo?- la voce di Takao arrivò dal piano di sopra, seguita da
quella di Max.
-Uno
scala party?-
-Ma
come ti vengono queste cose?- chiese Rei ridendo e guardando i due amici
sedersi insieme a loro due gradini più sopra.
-Generatore
di cazzate attivo tutto il giorno!- disse l’americano indicandosi la tempia.
-Davvero..
che ci fate qui?- provò nuovamente Takao.
-Acido
lattico..- rispose Rei indicando con il pollice Kei.
-Così
tanto?-
Kei
annuì stancamente valutando che, sì, sentiva ogni arto o parte del suo corpo
pesantissima e indolenzita.
-Forse
dovresti prenderti una pausa..- provò Rei, ma l’altro fece cenno di no col
capo.
-Posso
resistere-
-Ma
se non..-
-E’
una conseguenza naturale.. ne vale la pena..- sussurrò sovrappensiero.
-Secondo
me si è bevuto il cervello- sussurrò Takao nell’orecchio di Max, ma si fece
sentire anche dagli altri due.
Kei
sbuffò prima di dibattere –E’ segno che ho fatto qualcosa..-
Il
giapponese continuò a scuotere la testa incapace di comprendere.
-Ma
sì.. è un po’ come col bey.. quando ti alleni tanto da arrivare a fine giornata
con dolori ovunque che però ti dimostrano quanto ti sei impegnato, ne sono la
prova e per questo ti fanno stare bene.. lo sai benissimo di cosa sto parlando-
replicò spazientito.
Takao
finalmente annuì serio, prima di tirare fuori nuovamente la sua esuberanza.
-Ho
capito!- quasi urlò dando una pacca sulla spalla di Kei il quale si lamentò e
imprecò in russo verso l’amico per il dolore –Oh scusa.. comunque.. ho capito
perché ti hanno convinto così facilmente per questo tour!-
Il
ragazzo lo guardò male: l’aggettivo facile non gli sembrava appropriato, ma
decise di non replicare lasciandolo continuare.
-Perché
non vedevi l’ora di rivivere le fantastiche emozioni del girare il mondo come
al torneo di bey!- esclamò vittorioso –Anche se senza di noi non sarà
certamente all’altezza!-
Kei
ci pensò su, soprattutto sulla definizione di ‘fantastiche emozioni’: non
poteva dargli torto, l’esperienza del torneo aveva costituito l’inizio di una
fase nuova della sua vita, era stato il suo primo vero contatto col mondo
reale.
-Sì,
era stato bello..- affermò senza pensarci e accennando un sorriso: sentì il
silenzio cadere attorno a lui e, subito dopo, avvertì la presenza di qualcuno
avvicinarsi all’altezza della sua spalla. Sbirciò con la coda dell’occhio e si
ritrovò vicinissimo al volto di Takao che lo fissava con espressione
indecifrabile.
-Hai
appena detto ‘è stato bello’? Mi hai dato ragione?-
chiese con tono sempre crescente e gli occhi spalancati per lo stupore –Ma
allora sei un po’ umano anche tu!- esclamò infine dandogli un’altra pacca sul
braccio, dando il via a nuove imprecazioni.
I
tre continuarono a prenderlo in giro per qualche minuto, tra battute e risate,
prima di decidersi ad andare a dormire.
-Se
ora mi dici che ti mancheremo grido al miracolo!- rise Takao salendo le scale.
-Tu
gridi sempre, non sarebbe una novità- appuntò Kei, il quale ricevette solo un
‘buona notte’ come risposta sia dal giapponese che dall’americano.
-Vuoi
una mano per caso?- chiese Rei, una volta rimasti soli, visto che il russo non
si era ancora mosso dalla sua posizione.
-No,
tranquillo- sospirò Kei decidendosi ad alzarsi, reggendosi nuovamente al
corrimano.
Si
voltò come diversi minuti prima verso la scalinata e guardò la sua meta come
qualcosa di irraggiungibile.
-Forza
e coraggio!- lo incitò Rei prendendogli la borsa e iniziando a salire.
-Ma
non ce n’è bisogno..- provò a richiamarlo l’altro, ma non ci fu verso, tanto
che lo seguì facendosi forza, sentendo i muscoli tirare ad ogni scalino fino
all’arrivo davanti alla sua porta.
Rei
abbandonò lì la borsa dell’amico prima di salutarlo.
Dopo
quell’occasione non ebbero più il tempo di stare loro quattro insieme e ben
presto arrivò il giorno della partenza di Kei.
-Continua
a non andarmi giù questo fatto!- gli fece notare Takao poco prima che il russo
uscisse dal dojo.
-Cosa?-
-Che
te ne vai di nuovo! Ogni volta che vai via poi non si sa mai quando e se
tornerai..-
-Torno-
disse sospirando, ma un’occhiata scettica di Takao lo convinse a continuare
–Davvero!-
-Promettilo!-
-Prometto-
assentì esasperato, ma sicuro di non star dicendo una bugia.
-Almeno
ci fosse una data a Tokio ne sarei sicuro!-
-Ti
ho già detto mille volte che il tour in Giappone l’ha già fatto quindi non
avrebbe senso-
-Lo
so, lo so, ma..-
-Takao,
stai facendo esasperare pure me!- li interruppe Max a sorpresa.
-Ci
sentiamo- cercò di liquidarli Kei che, fortunatamente, ottenne solo pochi altri
saluti e diverse raccomandazioni da parte di Nonno J.
Non
sapeva ancora come aveva fatto a convincerli a non accompagnarlo all’aeroporto,
anche se gran parte del merito doveva andare alla scuola: non amava
particolarmente i saluti troppo lunghi e sentimentali, soprattutto in un luogo
pubblico, tanto che si diresse da solo oltre il portone del dojo.
Era
difficile dire se quel non trascorrere più di qualche mese nello stesso posto
gli dispiacesse, probabilmente la risposta era più negativa che altro, anche se
il dubbio di aver preso la decisione sbagliata a volte rispuntava nella miriade
dei suoi pensieri e lo costringeva a riproporsi in continuazione il quesito
riguardante il posto che sentiva suo a tal punto da considerarlo casa.
Aveva
elaborato ipotesi e supposizioni, ma non era ancora arrivato alla risposta
chiara: quando si sarebbe sentito realmente bene in un posto, allora lì doveva
essere casa, o almeno era quello che voleva scoprire. Nonostante girare il
mondo fosse la soluzione più poetica e scontata, anche un po’ inutile se ci
pensava bene, aveva optato per quella e la prima tappa era a mezza giornata di
distanza.
Non
appena raggiunse l’aeroporto controllò sul biglietto che gli avevano consegnato
di essere al terminal giusto e, solo una volta entrato, si guardò intorno in
cerca di facce conosciute, ma per fortuna fu qualcun altro a trovarlo per
primo.
-Ehi!-
una ragazza con grandi occhiali da sole attirò la sua attenzione: Kei la
riconobbe come una delle ballerine. Ovviamente non aveva stretto amicizia né
particolari rapporti con nessuno e, sinceramente, non sapeva nemmeno come
quella si chiamasse.
-Ehi-
rispose senza colori nella voce.
-Sai
dove dobbiamo andare?-
-Sto
cercando di capirlo-
-Posso
affidarmi a te? Se no rischio di perdermi!- disse lei sistemandosi la borsa
sull’avambraccio.
Si
incamminarono insieme scambiandosi qualche parola fino a che non si unirono con
altri due ballerini e finalmente, dopo aver fatto il check-in, si unirono alla
grande folla composta dalla troupe.
-I
miei ci sono tutti adesso!- sentì levarsi la voce di Jermaine dal gruppo, al
pari di quella di un qualsiasi professore che radunava gli alunni per la gita.
Venne
loro incontro con il solito largo sorriso iniziando a scherzare con alcuni dei
ragazzi.
Kei
rimase in disparte fino al momento dell’imbarco, ignorando persino la ragazza
di cui non aveva ancora capito il nome; fu uno dei primi a salire sull’aereo
riservato esclusivamente a loro e si sedette accanto a un finestrino
sprofondando sulla poltroncina bianca.
-Posso
sedermi qui?- chiese dopo qualche minuto Jermaine, facendo segno al posto vuoto
di fianco al russo che rispose solo con un cenno d’assenso disinteressato:
l’importante era che non iniziasse a parlare a macchinetta per le dodici ore
successive.
Il
suo desiderio sembrò esaudirsi, dato che, successivamente allo spegnimento
della spia che segnalava l’obbligo di tenere le cinture allacciate, il
coreografo si alzò per consultarsi con uno di quelli che aveva scoperto essere
i produttori di Lauren. Iniziò a preoccuparsi dopo che, perfettamente in pace
con se stesso, lo vide ritornare al posto e buttarsi letteralmente accanto a
lui.
-Come
va?-
L’incipit
del discorso era una frase di circostanza, segno palese dell’intenzione di
iniziare una lunga conversazione.
-Mh- rispose al suo solito facendo ridere l’altro.
-Ma
tu non socializzi mai con nessuno?-
-Non
devo rendere conto a te di questo-
-Certo,
certo.. solo che mi piacerebbe che il mio gruppo fosse unito!- esclamò
guardandolo col sorriso.
-Farò
il possibile..- acconsentì senza aver realmente intenzione di mettere in
pratica quelle parole.
Jermaine
fece una pausa evidentemente intento a trovare un modo per non far cadere il
discorso.
-A
casa tutto bene?-
Kei
annuì.
-E
con avvocati e quelle cose lì? Quest’estate ti avevo lasciato in
esasperazione..-
-Risolto-
liquidò il discorso ripensando a quando era riuscito a vietare a quell’avvocato
di contattarlo ogni cinque minuti sul cellulare.
Il
coreografo lo guardò male, evidentemente stupito dalla capacità di Kei di far
cadere ogni discorso con troppa facilità.
-Nessuna
domanda da farmi?- tentò ancora, deciso a non arrendersi –Su programma o robe
del genere?-
-Non
direi..-
-C’è
un modo per farti scomporre?-
Kei
fece per pensarsi su, ma poi rispose tranquillamente di no.
-Sei
impossibile- disse l’altro ridendo –Troverò il modo prima o poi!-
-Come
vuoi-
-Ho
un bel po’ di tempo.. se non ci riuscirò, ti considererò una causa persa!-
continuò sempre allegro.
Cercò
inutilmente per la mezz’ora successiva di scucire più di tre parole di seguito
a Kei, ma presto scoprì quanto il suo avversario in quel gioco fosse vincente.
-Non
sapevo fossi così tamarro!- disse infine, cercando di prenderlo in giro per
ottenere qualcosa.
-Ma
ti sei visto tu?-
-Sì,
ma nemmeno tu scherzi..-
-In
che senso?- si informò confuso quando Jermaine allungò una mano verso il suo
collo: si chiese cosa volesse fare, soprattutto quando sentì le sue dita
sfiorargli la pelle per afferrare poi quello a cui si riferiva, una sottile
catenella che teneva sotto la maglia –Ah quella-
-Dalle
mie parti fa molto tamarro!- rise ancora l’uomo lasciandola andare.
-E’
un regalo-
-Posso
chiederti di chi?-
-Di
un’amica-
-Un’amica
speciale?-
-Non
nel senso che intendi tu- lo corresse intuendo a cosa stesse alludendo: quella
catenella gliela aveva data Dana prima di ripartire il mese precedente. Ne
avevano due simili, comprate anni prima, ma lui aveva perso quella
appartenuta a lui e la ragazza aveva
deciso di regalargli la sua come simbolo, a detta sua, della loro amicizia; inizialmente
non aveva avuto intenzione di indossarla realmente, ma, una volta iniziate le
prove, dopo la confusione iniziale, aveva sentito il bisogno di qualcosa di
tangibile da portare con sé e aveva preso a metterla tenendola sotto la maglia.
-Mi
devo fidare?-
Kei
alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa.
-Ok,
ok, ti credo.. quindi non c’è nessuna fanciulla che ti aspetta da qualche
parte?-
-No-
-Perfetto..
allora puoi darti alla pazza gioia! La vita del ballerino ha i suoi vantaggi!-
esclamò facendogli l’occhiolino convincendo del tutto il russo di non voler
sentire una parola di più da parte di quell’uomo; fortunatamente quest’ultimo
resistette ancora poco in quel suo monologo, probabilmente poiché sfinito dalla
continua mancanza di risposte costruttive.
Il
viaggio continuò, quindi, pacifico e silenzioso e, quando si arrivò al momento
dell’atterraggio, la maggior parte delle persone era provata dalle tante ore di
volo: un pullman li venne a prendere all’aeroporto per portarli in hotel.
Non
appena sceso dal mezzo, Kei notò un capannello di persone davanti all’entrata
che scalpitava, ma non riuscì a identificarne il motivo, fino a quando non si
accorse che la maggior parte di loro brandiva macchine fotografiche o
telecamere.
-Deve
essere arrivata Lauren da poco..- gli sussurrò Jermaine stiracchiandosi -..dai
andiamo dentro prima che presi dalla disperazione chiedano qualcosa a noi!-
L’uomo
gli poggiò una mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo dentro: solo in quel
momento il russo notò il lusso che regnava in quel luogo. Possedeva tanti
soldi, ma non era mai stato accerchiato da così tanto sfarzo se non nella villa
del nonno e, a quel luogo, non riusciva ad associare proprio nessuna
connotazione positiva: anche durante il torneo di bey era stato trattato bene
in fatto di hotel, ma niente poteva superare il luogo in cui si trovava in quel
momento.
Si
guardò intorno accigliato, ma notò di essere l’unico in quanto gli altri si
diressero semplicemente alla reception, evidentemente abituati a quel
trattamento: si ricompose e li seguì, scoprendo in quale camera era stato
assegnato: una volta presa la tessera magnetica si diresse, insieme al
ballerino con cui l’avrebbe condivisa, fino al terzo piano.
-Mi
sa che non ci siamo mai presentati- iniziò il ragazzo amichevolmente mentre
erano in ascensore –Io sono Chayton!- aggiunse
allungando la mano.
-Kei-
rispose cercando di fare uno sforzo, ma si accorse che pretendere di sembrare
una persona simpatica era più difficile del previsto.
Nuovamente,
quando entrarono in camera, il russo si prese qualche secondo per guardarsi
intorno e notare l’eccessiva grandezza di quello spazio considerando si
supponesse fosse solo per due persone.
-E’
il tuo primo tour giusto?- chiese Chayton mentre
sistemava le sue cose, ma non aspetto nessuna risposta poiché ne era già a
conoscenza –Vedrai che abituarsi a tutto questo sarà semplicissimo e poi.. paga
la cantante quindi è ancora più piacevole approfittarsene!-
Rise,
mentre Kei si limitò ad abbozzare un sorriso, il che convinse l’altro a non
parlare più; erano trascorsi poco più di venti minuti dal loro arrivo e già si
stavano preparando per andare a dormire quando una serie di colpi alla porta e
una voce familiare si levarono dal corridoio.
Chayton andò ad aprire,
ma non vedendo nessuno si affacciò allo stipite, mentre Jermaine continuava a
urlare, probabilmente facendo avanti e indietro.
-Tutti
fuori a rapporto!-
Anche
Kei si decise ad andare a controllare cosa stesse macchinando quell’uomo e, una
volta raggiunto il suo nuovo compagno di stanza, vide il coreografo bussare a
tutte le porte, probabilmente senza uno schema preciso: diverse teste
spuntarono, tutte perplesse alla stessa maniera.
-Ehm..
tutti i ballerini qui fuori.. gli altri mi dispiace avervi disturbato!- disse
improvvisamente Jermaine, scusandosi con una coppia di anziani che
probabilmente si trovava in quell’albergo per puro caso. Altri membri dello
staff si richiusero la porta alle spalle ridacchiando, mentre Kei, dovendosi
includere nella categoria “ballerini”, rimase in attesa.
-Vi
do dieci minuti per prepararvi! Stasera si esce!-
-Jay, domani dobbiamo svegliarci presto e..- tentò Monique, la sua assistente, ma senza risultato.
-Questa
è un’uscita obbligatoria per tutti! Chi non viene lo licenzio!- esclamò l’uomo
sempre sorridendo.
-Sei
un tiranno lo sai?- chiese un altro ragazzo.
-Certamente!
Ora i minuti sono 9.. forza! Vi aspetto qui!-
Kei
maledisse mentalmente il coreografo limitandosi a cambiare la maglia e prendere
la felpa, considerando che lì era appena finito l’inverno.
Uscito
di nuovo in corridoio sulle facce dei suoi colleghi poteva leggere diverse
opinioni riguardo quell’uscita di gruppo: alcuni, probabilmente i più
festaioli, erano entusiasti, altri assolutamente contrariati, per finire con
quelli che, come lui, accettavano passivamente quella decisione.
Uscirono
dall’albergo che ormai erano le dieci di sera e, come ricordò a tutti Monique, il giorno dopo la sveglia sarebbe stata alle sei.
-Domani
ti vieto di lamentarti se sarò mezza addormentata!-
-Su
che la vita è breve!- la consolò Jermaine mettendole un braccio attorno alle
spalle in un mezzo abbraccio che mantenne fino alla loro destinazione finale,
un piccolo pub a pochi passi dall’hotel.
A
Kei sembrò che il coreografo non conoscesse realmente la loro meta, ma che
semplicemente si fosse infilato nel primo posto avvistato, presentimento che
doveva essere esatto considerando come l’uomo si guardasse intorno curioso.
-Sì,
è un posto carino.. può andare!-
Chiese
al barista se potevano sedersi e furono sistemati in un angolo dove due
tavolini condividevano un lungo divanetto: Kei si ritrovò seduto tra Chayton e la ragazza che aveva incontrato all’aeroporto di
cui scoprì il nome solo quando ordinarono da bere.
Il
russo la guardò per qualche secondo notando che, nonostante il lungo viaggio e
il pochissimo tempo che avevano avuto per prepararsi, lei sembrava lo stesso
uscita da una pubblicità di qualche marca famosa: guardandosi intorno,
comunque, si rese conto che lo stesso poteva valere per la maggior parte di
loro, convincendolo che, probabilmente, non era solo la bravura ad assicurarti
il lavoro, ma anche l’aspetto esteriore, o comunque uno stile particolare.
Ringraziò,
comunque, di non essere capitato seduto vicino a Jermaine il quale, quando
incrociò il suo sguardo, allargò il sorriso vittorioso e gli diede strane
occhiate indicando Carol, la ballerina a fianco a lui: quell’uscita era
sicuramente parte integrante del piano del coreografo per fargli conoscere gli
altri, poteva esserne sicuro, ma, d’altronde, doveva ammettere che stava
funzionando considerando che in quel momento conosceva il nome di quattro delle
nove persone che sedevano attorno a lui e, nel corso della serata riuscì a
coglierne almeno altri tre. Non che non li avesse sentiti chiamare prima, ma
semplicemente aveva sempre quel piccolo problema a ricordarsi delle persone, a
meno che non facessero qualcosa che lo colpisse.
Comunque
sarebbe rimasto sempre il solito asociale, di conseguenza non fu lui il primo a
tendere una mano verso gli altri, ma al contrario aspettò fossero gli altri a
farlo: a fine serata poteva dire di essersi fatto un’idea di tutto il gruppo
come probabilmente loro se l’erano fatta di lui. Tutti erano piuttosto
amichevoli, soprattutto quella Carol e Chayton
nonostante fosse ovvio sperasse in un compagno di stanza più chiacchierone,
Jermaine poi aveva sempre quell’incomprensibile fissa verso di lui; chi,
invece, doveva trovarlo insopportabile era Monique,
che fece finta tutta la sera che lui non fosse con loro e un’altra ragazza
asiatica, con un nome che iniziava per N quasi sicuramente, gli aveva riserbato
delle occhiatacce tutta la serata.
-Direi
che è l’ora di andare!- annunciò improvvisamente Jermaine, accolto da poche
proteste e molti assensi.
-Domani
vi voglio tutti freschi e pimpanti!- continuò quando arrivarono nel corridoio
dell’hotel.
-Ci
stai prendendo per il culo vero?- chiese un ragazzo.
-Ovviamente
no! Vi sto avvertendo e preparando per i prossimi mesi!-
-Prima
o poi qualcuno mediterà vendetta.. quindi guardati le spalle!- disse Monique facendogli l’occhiolino e augurando poi a tutti la
buona notte, seguita a ruota dagli altri.
-Dimmi
che tu non hai problemi a svegliarti presto- disse Chayton
a Kei una volta rimasti soli.
-No-
-Perfetto..
se domani spengo la sveglia e non mi alzo subito.. hai il permesso di fare
qualsiasi cosa per svegliarmi!- lo pregò.
-Ok-
Non
poteva essere compito più semplice: se riusciva a svegliare Takao, chiunque
altro rappresentava solo una passeggiata.
I
cinque giorni successivi furono assolutamente infernali. Pensava che Jermaine
esagerasse quando diceva che sarebbe stato intransigente e duro e, invece,
qualsiasi cosa al di sotto della perfezione non era minimamente accettata.
Il
primo concerto si sarebbe tenuto la domenica sera, ma il palazzetto di
Melbourne era stato affittato per tutta la settimana in modo da poter fare le
prove generali sul palco, già montato dal martedì.
Kei
lo vide per la prima dal parterre e subito gli fece uno strano effetto: era
grande e imponente, anche senza la scenografia completa e le luci normali
accese a illuminare il lavoro di un centinaio di persone che si affaccendavano
tra cavi, attrezzature, costumi o qualsiasi altra cosa possibile. Confrontare,
poi, quella sensazione iniziale con quella di solo poche ore dopo risultò
ancora più particolare; una volta salito sul palco e guardato verso la platea
vuota, metabolizzato l’effetto provocato, non ne era più sceso e quel suolo
inizialmente sconosciuto, era diventato improvvisamente familiare. Pochi giorni
dopo addirittura non ricordava nemmeno come fosse non conoscere quel luogo.
Trascorrevano tutta la giornata dentro al palazzetto, entravano quando il sole
iniziava a illuminare il paesaggio e ne uscivano a notte inoltrata.
Conoscere
il resto dei ballerini risultò improvvisamente semplicissimo, poiché
convivevano e condividevano tutte quelle ore a stretto contatto: consolidò
l’idea che si era fatto di ognuno di loro, soprattutto ebbe la conferma di non
andare a genio alle due ballerine principali, Monique
appunto e Nene. La seconda soprattutto si avventò su di lui e praticamente urlò
ai sette venti quale fosse il problema: a quanto pareva lo vedeva come essere
inferiore non degno di calpestare il suo stesso palcoscenico.
-Che
cazzo fai?- gli aveva ringhiato contro una sera.
-Potrei
farti la stessa domanda-
Si
erano praticamente scontrati, anche se erano riusciti a non darlo a vedere
tanto che nessuno si era accorto del problema fino a quando lei non aveva dato
di matto. Di chi fosse la colpa per Nene era chiaro, ma Kei non era del suo
stesso avviso, anzi era sicuro al cento per cento che fosse stata lei a
invadere il suo spazio.
-Tu
vedi di stare al tuo posto.. sei un pivellino e..-
-Basta!-
Jermaine li interruppe facendosi spiegare il problema –Nessuno se n’è accorto
quindi andiamo avanti e vedete che non accada mai più!- li liquidò tornando a
dare segnali agli addetti alle luci perché correggessero la direzione di un
occhio di bue.
-Vedi
di non intralciare.. sono una professionista e..-
-Nene,
hai sentito Jay?- la riprese Monique,
mentre Kei rimaneva fermo indeciso se arrabbiarsi o ridere per la pazzia di
quella ragazza.
Dopo
quell’episodio non ebbe comunque più il tempo di rifletterci riassorbito
totalmente dai ritmi delle prove: dovevano adattare tutto ciò che avevano
imparato in palestra alla larghezza del palco, memorizzare tutte le posizioni
corrette e inquadrare tutte le entrate e uscite, le parti danzate erano solo un
qualcosa di contorno in quella fase, considerando che si dava per scontato che
ormai le avessero imparate. In ogni caso, quando non erano impegnati ad
arrivare tutti esattamente nel punto predisposto, ripassavano ogni qual volta
Lauren provava microfoni, luci, interazioni con coristi e musicisti. Gli ultimi
giorni provarono tutto lo spettacolo senza sosta e videro per la prima volta
anche i costumi di scena: Kei ringraziò il fatto che Lauren non fosse una di
quelle artiste che amavano colpire con abiti strani o spettacolari, ma puntava
invece più sul semplice o al massimo sullo mostrare un po’ di materia prima, di
lei e del suo corpo di ballo.
Ciò
di cui si rese conto fu che non aveva avuto il tempo di fermarsi a pensare. Non
aveva tempo da concedere a qualsiasi altra cosa che non riguardasse quel tour,
persino la domenica mattina se la prese, come tutti gli altri, per riposare e,
quando aveva tentato di farsi occupare la mente da qualcosa di nuovo, ecco che
il trambusto delle poche ore che li dividevano dalla prima dello show lo
riassorbirono completamente.
Li
vennero a prendere come al solito in albergo con un pullman, ma quella volta,
una volta arrivati nella vicinanza del palazzetto, furono rallentati dalla
grande folla che aspettava le aperture dei cancelli e che quella sera avrebbe
assistito al concerto. Già nei giorni precedenti avevano avuto la visita di
qualche curioso che sperava di rubare una fotografia o un autografo alla
cantante, ma nulla in confronto alla miriade di persone che in quel momento si
accalcava per la strada.
Al
sicuro all’interno dei camerini iniziò una corsa contro il tempo: tutti coloro
che sarebbero saliti sul palco avevano bisogno di essere sistemati alla
perfezione e, completamente immerso nel vortice delirante che era il dietro le
quinte, Kei non si rese quasi conto che avevano intenzione di tagliargli i
capelli fino a quando non lo fecero sedere davanti a un grande specchio e un
tizio con forbici e occhiali anni 50 gli si avvicinò.
-Come
ti facciamo? Taglio drastico o diamo solo una sistematina?-
Il
russo tentò di ragionare sulle due opzioni e dare la sua opinione, ma si rese
conto che quella dell’uomo era solo una domanda retorica poiché sapeva già cosa
gli avrebbe fatto.
-Per
stavolta li lasciamo così..- disse spuntandoglieli solo leggermente.
Fu
invitato a rialzarsi per lasciare il posto a Chayton
e gli indicarono di raggiungere gli altri in un’altra stanza: si vestì a un’ora
dall’inizio dello spettacolo e, finalmente pronto, si sedette su un tavolino
sul quale erano appoggiati cappotti e teli dei quali non voleva neanche sapere
il motivo della loro presenza. A poco meno di un metro da lui un’altra serie di
specchi e sedie e, su quella più vicina, Carol era sottoposta a un’intensa
seduta di trucco.
-Avremo
il tempo di fumare?- chiese la ragazza quando, aperti gli occhi finemente
rifiniti, vide Kei.
-Lo
spero-
-Ho
quasi finito..- disse la truccatrice -..però attenta a non rovinare il
rossetto! Semmai ripassa da me un secondo!-
Ci
mise ancora diversi minuti per finire la sua opera e rimasero in silenzio ad
ascoltare il vociare e i rumori provenienti dal parterre dove ormai dovevano
essere accalcate centinaia di persone: si alzarono diretti verso un luogo dove
potevano fumare, quando la band supporter di quella sera iniziò il suo
spettacolo.
Carol
in quella settimana era diventata la sua compagna ufficiale di sigaretta,
insieme a un altro ragazzo che faceva parte della security.
-Riesci
a stare in piedi con tutti quei capelli?- chiese la bodyguard ridendo.
-Ma
sì.. non sottovalutare le capacità di noi fashion victim!-
rispose lei ridendo e passando una mano nella folta chioma: poteva essere
benissimo pronta per una pubblicità di una tinta invece che per ballare
considerare il colore rosso acceso e chiaramente artificiale e i boccoli
perfettamente definiti.
-Auguri-
disse Kei scettico.
Non
ebbero molto tempo da concedersi poiché furono richiamati all’interno dove
Lauren aveva radunato tutti, tra musicisti, coristi e ballerini, a pochi metri
dal retro palco.
-Abbiamo
lavorato tutti molto duramente e ora è arrivato il momento!- iniziò il suo
discorso ringraziando tutti e incitandoli a fare del proprio meglio: fu quando
chiese di prendersi tutti per mano che Kei si accigliò, ma non appena Carol e
una delle corista gli afferrarono i palmi decise di assecondare quella follia e
ascoltò la cantante iniziare una specie di preghiera e un ringraziamento a Dio.
Il russo osservò molti chiudere gli occhi e abbassare il capo: era una di
quelle classiche cose che vedeva fare agli artisti, pensò, come quando alla
vincita di qualche premio si rivolgevano a qualche creatore. Lasciò la cosa
evolversi incuriosito, notando la presenza delle onnipresenti telecamere
immortalare il momento.
Quando
finalmente il momento catartico terminò, Lauren invitò a riunire la mano
sinistra al centro sopra la sua e un rito, meno religioso, ma comunque molto
sentito, ebbe inizio.
-Merda,
merda, merda!-
La
parola ripetuta risuonò nel corridoio e poi iniziò la confusione di persone che
sgusciavano da una parte all’altra per dare una pacca sul sedere di quanta più
gente potessero.
Era
arrivato il momento: tutti si diressero alle loro postazioni, provate e
riprovate un centinaia di volte. Kei sarebbe entrato insieme agli altri
ballerini uomini, solo dopo l’uscita di Lauren che, stretta nel suo miniabito
sbrilluccicante, attendeva il suo momento fremendo: uno degli assistenti che
stava col loro gruppo e, al cenno della cantante, parlò nel microfono unito
alle grandi cuffie che portava e invitò i tecnici delle luci a dare il via allo
show.
Il
boato della folla che aveva capito che quello sarebbe stato l’inizio di tutto,
riempì ogni angolo, ostacolato esclusivamente dalla musica che partì. Kei
riuscì solo a leggere il labiale dell’assistente che doveva invece star urlando
‘fuori Lauren’.
La
tempistica prevedeva che da lì a 50 secondi sarebbero entrati anche loro.
Ancora
nessun pensiero che riguardasse il mondo esteriore passava per la testa del
ragazzo: sentiva una morsa allo stomaco, ma anche una certa impazienza. Sapeva
cosa doveva fare, era totalmente concentrato: quei pochi istanti sembravano non
trascorrere mai, eppure il momento arrivò e, a quel punto, fu tutto
estremamente veloce.
Era
diverso: non vide le persone tra il pubblico se non quando illuminate, ma per
il resto i fari accecanti rendevano i metri al di là dal bordo del palco come
una distesa nera di rumore. La stanchezza accumulata quella settimana non
esisteva, i momenti sul palco erano attimi di un’altra vita, ad ogni uscita,
tentando di ricordare qualcosa di ciò che era accaduto in scena, veniva a galla
solo il pensiero di ciò che sarebbe accaduto dopo, poche immagini, alcuni
flash, alcuni addetti dello staff che si accalcavano per portare gli strumenti,
facilitare il cambio dei costumi.
A
metà dello show, i ballerini avevano una ventina di minuti di respiro per il
momento soft del concerto: Kei scoprì che gli imprevisti erano pochi o comunque
velocemente risolti tanto che si ritrovò pronto prima del tempo e si appostò in
anticipo a lato del palco, spiando quello che stava accadendo oltre la
scenografia. Vide con la coda dell’occhio il vestito svolazzante di Lauren, ma
si concentrò su Nene e Blake, un altro ballerino, che davano inizio al loro
passo a due che accompagnava il pathos della canzone: aveva già assistito a
quella danza, ma da quella angolazione, con quell’atmosfera, gli sembrò che stesse
nascendo in quel momento, naturalmente, come se le estenuanti prove per
perfezionarla non fossero mai esistite e, per la prima volta, provò un
desiderio curioso, di farne parte, anche in quel modo, lì a osservare di lato,
ma voleva esserci. Fu così come era iniziato che finì riportandolo alla tabella
di marcia che conosceva a memoria, in una tirata unica fino all’ultima nota e
all’ultimo applauso.
Si
allontanò dai corridoi colmi di trambusto: tutti si persero a festeggiare e
catapultarsi sulle tavolate imbandite di cibo appena portato dalla ditta del
catering.
Kei
non aveva mai avuto l’anima festaiola e quindi cercò, come al suo solito, un
po’ di pace e solitudine. Era il suo modo per rilassarsi e scaricare tutta
l’adrenalina che aveva in corpo.
Riuscì
quindi ad allontanarsi dal trambusto e arrivò fino nel retro palco: non
proveniva più nessun rumore dall’altro lato, solo uno strano ronzio che, si
disse Kei, probabilmente era provocato dalla stranezza del silenzio dopo ore di
bombardamento di suoni.
Istintivamente
decise di andare a dare un’occhiata: il suo ultimo ricordo era un mare
indistinto di teste urlanti che si muovevano all’unisono accalcate l’una
sull’altra.
Imboccò
una scalinata e spuntò da una delle entrate laterali del palco che ormai
conosceva bene, però non vi salì del tutto, ma restò sull’ultimo gradino
appoggiandosi al corrimano a osservare una ventina di persone cercare di
ripulire stage e parterre per il giorno dopo.
Fu
quello il momento in cui riuscì a pensare nuovamente, a ragionare su se stesso
e sul mondo che stava oltre quel tour, quel mondo che aveva annullato in quella
settimana e al quale non aveva permesso di interferire con lo scorrere degli
eventi.
Semplicemente
quell’esperienza era un insieme di novità continue, ma allo stesso tempo,
ormai, sentiva come di far parte di quella vita da sempre: solo che lo stare
sul palco era qualcosa di indescrivibile, anche in quel momento, in quello
stadio vuoto, era la stessa struttura sul quale si erano esibiti il centro
catalizzatore di ogni sensazione. Durante i mondiali di bey gli era già
capitato di essere osservato da centinaia di persone, sotto la luce dei
proiettori, ma allora tutto ciò che gli interessava era giocare e vincere,
mentre adesso lui non era il centro della scena, ma faceva parte di un qualcosa
di più grande. Non che non avesse mai avuto la possibilità di far parte di un
qualcosa, ma, se ne rendeva conto solo in quel momento, prima non lo aveva mai
voluto davvero.
Cosa
stava quindi a significare tale disorientamento o torpore o come lo si voleva
chiamare?
-Che
cosa ci fai qui?-
Come
ogni qualvolta cercasse di far ordine nella sua testa incasinata, qualcuno
interruppe il flusso dei suoi pensieri e ovviamente quel qualcuno era Jermaine.
-Pensavo-
rispose semplicemente, facendo per scendere, ma l’altro gli si parò davanti e
al contrario lo invitò a risalire.
-Vieni
con me-
Lo
prese per il braccio e lo guidò verso il centro del palco: Kei non potè fare a meno di notare per l’ennesima volta quanto
quell’uomo fosse troppo un tipo fisico, che non si poneva problemi a prendersi
confidenza.
-Se
proprio devi pensare goditi per bene il panorama!- disse il coreografo
compiaciuto, per poi allargare le braccia indicando il pavimento –Accomodati!-
-Cosa?-
Jermaine
si sedette a gambe incrociate e, nuovamente, fece pressione sul braccio di Kei
per invitarlo ad imitarlo. Non oppose resistenza e osservò l’altro tirare un
sospiro osservando la platea.
-Bello
vero? Dopo tutto quel baccano è un piacere!- continuò l’uomo –Fossimo in un
film, ora partirebbe una musica sognante e tu mi confideresti il segreto della
tua vita del tipo.. ‘un giorno riempirò anche io uno stadio come questo’ o roba
del genere..-
-Non
è il mio caso..-
-Immaginavo!-
rise Jermaine senza poi abbandonare la sua espressione allegra –Parliamo un
po’!-
-Adesso?-
-Perché
no..-
-Non
dovremmo andare?-
-C’è
tempo! Non preoccuparti!-
Kei
non trovò vie d’uscita e si pentì di non essere rimasto con gli altri: eppure
sentiva ancora il bisogno della pace che provocava quel luogo silenzioso e
anche un po’ surreale.
-A
cosa stavi pensando prima?- Jermaine lo svegliò nuovamente dal flusso dei suoi
pensieri.
-Non
so..-
-Non
sai a cosa pensi?- lo interruppe l’uomo.
-No..
non so come spiegarlo- disse calmo Kei, abbassando per un momento le difese.
-Mh.. ti piace qui?-
-Qui?-
-Sì,
qui qui! Il palco..-
-Direi
di sì..- rispose spaesato, ma anche sorpreso della rapidità con cui il
coreografo aveva capito ciò che gli passava per la testa.
-Posso
farti una domanda?- chiese Jermaine, dopo alcuni secondi di silenzio.
-Anche
se ti dicessi di no me la faresti lo stesso, quindi..-
-Giusto!
Beh.. perché quest’estate ci hai messo così tanto ad accettare?-
-Perché
ci dovevo pensare..- diede la risposta più ovvia.
-In
verità avevi già deciso!- se ne uscì l’altro a sorpresa.
-Non
è vero..-
-Oh
sì.. appena te l’ho chiesto!-
Kei
lo guardò contrariato, ma l’altro non demorse.
-Tutto
di te mi diceva di sì!-
-Cosa..-
ma non continuò, ricordando la domanda che gli aveva posto Dana, sulla risposta
che avrebbe dato d’impulso.
-Sai..-
riprese Jermaine vedendolo in difficoltà -..non volevo darti tempo per
pensarci, ma non potevo negartelo.. sapevo che se ne avresti parlato con
qualcuno probabilmente troppi dubbi sarebbero spuntati e ti avrebbero assillato
e non sapevo se avresti avuto il coraggio di buttarti..-
Kei
fece di nuovo per parlare, ma l’uomo lo interruppe con una risata –Ora lo so
che non sei uno che si tira indietro, ma allora non ti conoscevo..-
-E
ora mi conosci?- non si trattenne dal dibattere.
-Beh,
in questo mese tra le difficoltà che hai incontrato e i tentativi di
boicottaggio di Nene direi che ho capito che non demordi facilmente-
In
effetti aveva avuto molta pazienza e si era rimboccato le maniche nonostante si
fosse ritrovato il più indietro e il meno abituato a quei ritmi totalmente
nuovi, mentre su Nene le parole di Jermaine lo fecero riflettere.
-In
che senso sabotaggio?-
-Diciamo
che quella ragazza ha un ego esagerato, perché è brava e sa di esserlo, e di
conseguenza esige il meglio da tutti quelli intorno a lei.. tu sei quello più
inesperto e ti ha preso di mira.. ecco tutto..-
-Ah-
non riuscì a dire altro: sospettava qualcosa, ma non credeva che fosse proprio
un’opera premeditata.
-Ma
non allontaniamoci troppo dal discorso principale..- lo interruppe ancora
-..cosa ti ha portato a ragionarci fino all’ultimo?-
-Avevo
dei dubbi..- cercò di temporeggiare Kei.
-Riguardo?-
-Non
so quale sia il mio posto nel mondo- si decise a rispondere.
-Non
sapevi..-
-Non
lo so ancora-
-Sei
proprio una testaccia dura tu!-
-Non
mi piace parlare del futuro-
-Ma
basta che guardi al presente.. guardati intorno ora!-
Kei,
pensando fosse una frase di circostanza seguitò a guardarlo negli occhi, ma
l’altro lo invitò a prendere sul serio le sue parole e voltarsi.
-Cosa
dovrei vedere?-
-Quello
che non mi sapevi spiegare prima!-
-Non
te lo sapevo spiegare prima e non lo so fare adesso-
Jermaine
inaspettatamente sembrò perdere il controllo portandosi il pugno chiuso tra i
denti, ma poi scoppiò a ridere.
-Ci
vuole proprio pazienza con te-
Kei
sbuffò e riprese a guardarsi intorno.
-Sai..
è difficile capirti, ma a volte.. veramente poche, ma a volte sei davvero un
libro aperto..-
-Cosa
vuol dire?- chiese il russo confuso, non capendo a che cosa di riferisse.
-Non
te lo sto nemmeno a spiegare!-
-Ma..-
-Non
eri tu quello che non voleva parlare?- lo prese in giro Jermaine.
-Ora
mi devi dire cosa intendevi-
-Eh
no.. è l’ora di andare!- disse solennemente alzandosi e lasciando Kei
interdetto e sorpreso.
Se
quell’uomo non gli avesse dato una buona ragione entro pochi giorni per non
ammazzarlo, avrebbe elaborato un piano per farlo sul serio.
Voi non vi
immaginate quanto io sia fusa ç___ç devo ancora
finire di scrivere la storia che già penso al discorso di commiato! Quindi l’ora
in poi farò finta che Leggero durerà in eterno e voi mi asseconderete xD
Blabla Time
In verità non ho
nulla da dire, ma mi andava di blaterare per un po’ come ai vecchi tempi ^^
Mmm.. vediamo di dare un senso a questo momento..
parliamo del caro amico Jermaine (o Jasmine o come lo volete chiamare xD) ora è lui il povero Cristo che si deve sopportare il
caratteraccio del nostro polaretto preferito e come
avrete notato è il suo completo opposto.. lui è un tipo che cerca il contatto,
che non si preoccupa nel prendersi troppa confidenza.. diciamo che lui e Kei
sono un po’ come lo stereotipo di italiano del nord e del sud XD
Poi, per quanto
riguarda Lauren Bright.. beh ecco il motivo per cui
mi sono inventata una cantante quel famoso giorno al negozio di dischi e non ne
ho preso una esistente.. non mi sarebbe piaciuto inserire un qualcuno in ‘carne
e ossa’! Ovviamente ho preso spunto e possiamo identificarla come una Britney
fuori e una Beyoncè dentro, con un pizzico di Rihanna e una spolverata di Lady Gaga
XD a parte questo delirio riassumo tutto in.. la classica cantante
pop/commerciale che va tanto in voga in questi anni!
Ho blaterato
abbastanza u.u aspetto i vostri pareri con tantissima
ansia, sempre quella che non mi abbandona mai!
Alla prossima
settimana,
un bacione :)