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Autore: SmokingRum    21/10/2011    1 recensioni
Layla, 19 anni. Odia e ama, si aggrappa a qualcosa per vivere. Ma se quella cosa le portasse dolore? Una storia sul dolore della vita di una ragazza, ma anche del suo amore, dei suoi interessi ma soprattutto... della sua storia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Un colpo. Il dolore. L’ adrenalina che ti scorre nelle vene… Mi leccai il labbro superiore: mi usciva del sangue.
Gli corsi incontro e gli diedi un pugno, facendogli perdere l’equilibrio. Quando fu a terra gli saltai addosso.
Un’ altro pugno, questa volta sul naso. Sentii il suo osso sgretolarsi sotto le dita, e il loro rumore che si confonde nelle orecchie.
Giù un altro pugno, poi un’ altro, poi un altro e un altro ancora. Mi fermai, ansimante.
-Le donne non si colpiscono neanche con un fiore, stronzo! –urlai.
Intorno a me gli schiamazzi e gli applausi dei miei compagni. Mi tirai su e sentii un braccio intorno alle spalle, un bacio sulla guancia e una risata.
-Bel lavoro, piccola.
-Non l’ ho fatto perché me l’ hai detto tu. –Scostai il braccio dalle MIE spalle –L’ ho fatto perché la sua faccia mi stava sul cazzo.
Kain sorrise. Il tizio che avevo picchiato a sangue si alzò a stento, guardandomi terrorizzato.
-Tu! Tu non sei una donna! –strillò, tenendosi il naso rotto e sanguinante –Tu sei un mostro!
Gli lanciai un’ occhiataccia. Gridò e scappò.
Mi girai e presi lo specchio che avevo appoggiato sul muretto, guardandomi il labbro che aveva picchiato il ragazzo di prima. Era un po’ gonfio, ma niente di grave. Feci una smorfia e mi sistemai i capelli rosso bruno.
Era l’ ennesima rissa alla quale partecipavo. Né la prime né l’ ultima. Guardai l’ orologio: erano le tre di notte.
Presi una sigaretta e la accesi. Ispirai a fondo, poi feci uscire il fumo dalla bocca… lentamente.
Guardai Kain. Il nostro capo. Il nostro bellissimo capo. I capelli blu tinti, corti. Il viso con i suoi lineamenti forti e ingiustamente soavi. Il corpo forte, come quello di un vero boss. Cosa che era, d’altronde.
Mi sarei potuta benissimo innamorare di lui, se non fosse stato quello che era: un idiota, come tutti gli uomini.
Gettai a terra il mozzicone.
- Kain, accompagnami a casa. –Non era una richiesta. Era un ORDINE. Kain sapeva che io non facevo richieste, ma pretendevo. io ero fatta così, ma badate bene! Non ero egoista, ero orgogliosa. Me lo potevo permettere.
Mi si avvicinò e mi carezzò una guancia.
-Sissignora!
Andammo verso la sua moto e salimmo. Poi partimmo.
Sfrecciavamo nella notte, come tutte le notti. Mi piaceva andare in moto con lui. Mi aggrappavo al suo petto forte e assaporavo il vento graffiarmi la pelle, sperando che me la portasse via, o che perlomeno mi pulisse della sporcizia che avevo dentro.
Quando arrivavamo a casa mia non lo ringraziavo nemmeno. Non ce n’era bisogno, e lui lo sapeva. Sapeva che odiavo quella casa perfetta. Quei pavimenti lustri e le pareti bianche immacolate.
Lui non era mai salito da me, ma poteva solo immaginare perché odiassi quel posto soltanto guardandolo.
Appena entrata, la solita scena. Nulla.
Nessuno che veniva a sgridarmi o a prendermi a ceffoni per l’ essere tornata a quell’ ora. Beh, era ovvio. Ormai lo facevo da così tanto che per loro era come se andassi a scuola.
Eppure non so cosa avrei dato per uno schiaffo da mio padre e una sgridata da mia madre…
Noi eravamo ricchi. Ricchissimi. Vivevamo in uno dei quartieri più chic e inutili di tutta Milano.
 La mia stanza, fresca e luminosa, mi accolse con dolcezza. Mi buttai sul letto, ancora vestita, e chiusi gli occhi.
Sarei potuta stare così per ore. Peccato che alle nove e trenta sarebbe entrata puntualmente la mia sorellina, buttandomi giù dal letto.
Avevo un matrimonio, il giorno dopo, di due persone che non avevo mai visto o conosciuto… Questo mi fece stare ancora più male… Tutti vivevano felici, nell’ omologazione più completa… Mentre io continuavo a ostinarmi di essere diversa e vivevo nell’ infelicità.
Ma avrei preferito una vita felice e omologata  o una vita triste e diversa?
Ah, di nuovo! Di nuovo questi pensieri…
Mi cacciai di nuovo dentro il cappotto soffocante di menzogne e falsi sorrisi… E’ l’unico modo in cui posso vivere.
Continua a sorridere! Sorridi! Sei bella, fatti guardare! Sei bella, fatti toccare! Sei bella, fatti fare una foto! Sei bella, devi sorridere! Sei bella, non devi mettere il broncio!
Ah, non va bene… I miei pensieri avevano preso a raschiarmi il cervello con le unghie…
Ricomincio a vivere dentro il mio mondo… Non mi accorgo di quanta bellezza ci sia intorno a me! Ma va bene!
Ah, non va bene… Di nuovo, le unghie mi lacerano il cervello.
Ero stanca… Tutti quei pensieri mi stancarono.

-Svegliati!! Svegliati, andiamo!!!! –quella vocina stridula e irritante fu la mia sveglia.
-Che giornata di merda… -Borbottai mentre mi svegliavo.
-Guarda che se ti lamenti dico a mamma che ieri sei uscita! –mi disse, con un sorrisetto sulle labbra –Guardati, sei ancora vestita! Tieni, almeno tenta di non dare sospetti a mamma e papà.
Mi buttò il pigiama in faccia e mi resi conto che mi ero addormentata vestita.
Mi alzai e le arruffai i capelli rossi come i miei, poco più chiari.
-Grazie Chris, sei un tesoro. –mi guardai allo specchio: i capelli rosso cupo erano tutti spettinati e il trucco che avevo la sera prima era colato…
Poi mi saltò all’ occhio il mio labbro superiore. Era leggermente gonfio e notevolmente rosso.
-Pezzo di merda… La prossima volta che lo vedo lo ammazzo.
Mi bloccai. La prossima volta? Perché, avevo già deciso che lo avrei rivisto? Stupida… Stupida che non sono altro… Eppure avrei davvero voluto liberarmi di quella vita fatta di sangue, alcol, fumo e menzogne… Stupida.
Sospirai.
Andai in cucina e trovai mia madre, già perfettamente vestita per la cerimonia, che sorseggiava un caffè fumante.
Mi guardò, solo per un istante, poi ricominciò ad ignorarmi.
Presi un cornetto dal forno a microonde e lo addentai.
-Che vestito metti? –mi chiese, senza guardarmi.
-Quello nero va bene?
-Si, ti dona molto.
Abbassai lo sguardo. Detestavo quei falsi complimenti. Li odiavo con tutta me stessa. Ma che potevo farci? Già mi parlava poco di suo, se le avessi anche detto che non volevo ricevere complimenti sarebbe finita.
Feci per andarmene.
-Layla.
Mi bloccai, quando mi sentii chiamare per nome.
-Si?
-Che ti sei fatta al labbro?
Non sussultai, non persi la calma, non fremetti nemmeno a quella domanda. Me ne aveva fatte talmente tante simili che ormai avevo una bugia pronta per ogni mia ferita.
-Mi sa che sono sonnambula. Mi ci sono svegliata.
-Capisco… -sentii che sorseggiava il caffè, poi poggiò con leggerezza la tazza sul tavolo di vetro trasparente –Vedi di coprirlo con del correttore o del rossetto. Non vorrei che gli altri invitati pensino che mia figlia abbia dei problemi.
-Certo.
Tutto qui. Era sempre così, sempre. Non era mai accaduto che lei mi dicesse altre cose. Nulla oltre alla raccomandazione di non far vedere a nessuno i miei tagli o i miei lividi. Che sciocchezza… Che donna superficiale che era mia madre…
Oh, ma io ci ero abituata ormai… Avevo solo passato notti intere a piangervi… Ma ora mi era passata. Non piangevo più perché non dormivo più. Semplice, no?
Mi misi il vestito nero. Era uno dei vestiti più belli che avevo. Lo avevo disegnato io e poi avevamo consegnato il disegno ad un sarto di, a quanto pare, fama mondiale.
Era un vestito semplice: un bustino di seta nera lucidissima dal quale uscivano altri due strati di seta nera a pieghe con del pizzo.
Non aveva le maniche, solo due fili di cuoio nero per tenerlo fermo. Sopra ci avrei messo uno scialle lilla.
Le scarpe erano, purtroppo, con un tacco di otto centimetri, ma per quanto dolorose potessero essere sapevo camminarci bene, senza problemi.
Lasciai i capelli sciolti, come piacevano a me. Mi passai l’ eye liner e la matita nera sugli occhi e un ombretto chiaro. Poi coprii il livido con del correttore e sopra vi passai del gloss rosato.
Osservai il risultato. Ovviamente ero bellissima. Per quanto ci provassi, non riuscivo ad apparire mediocre.
No, non ci riuscivo.
Siccome ero fatta di oscurità, non riuscivo ad apparire mediocre.
  
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