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Autore: adamantina    24/10/2011    2 recensioni
Sono passati tre anni da quando Vanessa, Damien, Lily, Charlotte, Blake, Arthur e Jonathan si sono separati con l’intenzione di tornare alla loro vita normale. Ma cosa significa normale per chi è dotato di poteri che potrebbero cambiare il mondo? Blake non si è arreso e continua a lottare. Ma anche chi ha da tempo rinunciato a combattere per un mondo più giusto dovrà tornare in campo quando le persone a lui più care saranno minacciate …
«Non puoi biasimarci per averne voluto restare fuori, Blake. Quello che tu stai facendo è fingere di essere ancora al Queen Victoria’s, e ti rifiuti di andare avanti con la tua vita. […]»
«Stavo cercando di impedire un omicidio!»
«Sei un idealista» taglio corto, incrociando le braccia. «Ammettilo, lo sei sempre stato. E credo che il tuo vero scopo sia riportare Lily sulla retta via. Ammettilo, ancora ci speri […].»
Genere: Dark, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Queen Victoria's College'
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~LOST~

 

[Jonathan]

 

Osservo con gli occhi stretti Noah Brown mentre parla in tono entusiastico. A dire la verità, fatico a concentrarmi sulle sue parole a causa del dolore bruciante alla gamba destra, sotto il ginocchio –dove mi hanno colpito quando sono stato portato qui.
«Tutta l’America –no, che dico? Tutto il mondo aspetta di potervi guardare. Certo, il preavviso che ci hanno dato è breve, ma da oggi per una settimana bombarderemo di pubblicità ogni singolo canale televisivo, ogni rivista, tappezzeremo di volantini Manhattan, Trafalgar Square, il Big Ben, la Tour Eiffel e persino il Colosseo … »
Brown vaneggia ancora un po’, dimostrando una preoccupante tendenza alla megalomania, e nessuno di noi apre bocca. Ci guardiamo con un misto di disgusto e confusione.
«”Mutant Wars”, si chiamerà. Prevedo un sacco di sangue, una vena leggermente melodrammatica, magari un filo di romanticismo per rendere il tutto più interessante … »
«Ma di cosa diavolo sta parlando?» sbotta alla fine Arthur.
Brown lo guarda con stupore.
«Di cosa sto parlando? Ragazzo mio, del reality show che surclasserà ogni altro programma! Veri mutanti che combattono tra di loro per la sopravvivenza!»
«Sta scherzando?» ringhia Charlotte. «Non avete il diritto di fare questo. Noi siamo cittadini degli Stati Uniti. Siamo esseri umani, non potete trattenerci senza una ragione valida né tantomeno sfruttarci come marionette in un reality show!»
«Tesoro mio» sorride Brown «Non sai di cosa stai parlando. Voi siete considerati una specie sconosciuta, e in quanto tale … com’era, Candy?»
«Ritenuti potenzialmente pericolosi, classificabili come animali selvatici» cita lei a memoria, sorridendo, orgogliosa di se stessa.
«Che cosa?» ancora una volta, è Charlotte a parlare, furibonda. «Siamo persone … o perlomeno lo siamo fino a prova contraria.»
«La prova contraria c’è già stata» replica Brown con un sorriso. «E anche piuttosto evidente, se posso dirlo. Quando due uomini sono stati inviati per tentare di catturare vivo uno di voi –e, mia cara, mi pare che sia proprio di te che stiamo parlando- in modo del tutto inoffensivo, un altro» e guarda me «ha reagito in modo eccessivo, ferendo gravemente entrambi.»
«In modo del tutto inoffensivo?!» sbotto, sentendo la rabbia salire. «L’hanno aggredita! Stavano per … per … »
«Temo che questo non sia rilevante, adesso» taglia corto Brown. «In ogni caso, gli unici che avranno diritto di protestare saranno gli animalisti –e nessuno li ascolta mai, dico bene? Torniamo a noi. Credo che per la prima puntata ci serva qualcosa di davvero efficace e d’impatto, per creare interesse nel pubblico. Quindi pensavo a quello che lancia fulmini contro quello che diventa un animale, che ne dici?»
«Trovo che sia un’idea deliziosa» sorride Candy. «Ma la cosa davvero importante è che ci sia un palco al di fuori del recinto dove io possa restare al sicuro e commentare lo spettacolo senza correre rischi.»
«Ci sarà senza dubbio. Con riflettori e tutto.»
«E se ci rifiutiamo di combattere?» prorompe Arthur.
«In tal caso» risponde Brown, con tutta l’aria di volersi godere la scena «Ne andrà della vita dei vostri compagni.»
La minaccia aleggia nell’aria a lungo, poi Brown si volta verso Candy.
«In ogni caso, stavamo dicendo … come secondo incontro che te ne pare dell’invisibile contro il veggente?»
«Oh, cielo, no. Pensavo di mettere il veggente con il genio, ne verrà fuori uno spettacolo molto … intellettuale, se capisci cosa voglio dire.»
«Certo, ma stai dimenticando qualcosa, Candy. La parte emozionale, romantica della situazione. Voglio dire, i due innamorati che combattono l’uno contro l’altro, capisci?»
«Sì, naturalmente, ma non rischiamo di scatenare un dibattito ancora più forte così, facendoli vedere quasi come umani
«Ma è esattamente quello che voglio che accada! Voglio che se ne parli, e comunque non esiste cattiva pubblicità, giusto?»
Mentre continuano a parlare tra loro, mi volto verso gli altri. Charlotte ascolta attentamente, gli occhi socchiusi e le mani sulle tempie –credo stia cercando di immagazzinare informazioni nonostante in Pentothal. Blake e Jack parlano tra loro sottovoce, nervosi. Arthur è accanto a Damien, che sembra stare poco bene. Vanessa è sola, in silenzio, e si accarezza pensosamente la pancia.
Candy e Brown, alla fine, aprono la gabbia e ci tolgono le catene, lasciandoci solo le manette con l’iniettore di Pentothal. Poi escono, ancora chiacchierando amabilmente.
«Allora?»
Il silenzio dura a lungo. È Vanessa la prima a parlare.
«Non c’è niente che possiamo fare.»
«Io non voglio combattere con nessuno» sibilo.
«Certo che no, ma abbiamo altra scelta?»
«Forse una c’è» mormora Charlotte senza neanche guardarci, le mani premute sulle tempie e gli occhi chiusi.
«Sarebbe a dire?»
«Avete un cellulare?»
«Io ce l’ho» dice Arthur «Ma ci tengono qui legalmente, almeno secondo il governo. Cosa possiamo fare?»
«Chiamare Lily.»
Spalanco gli occhi, sconcertato, insieme a tutti gli altri.
«Che cosa? Sei impazzita?» sbotto. «Ci sono il … non so, il novantanove percento di possibilità che siano lei e Vahel gli artefici di tutto questo!»
«Dove avrebbe preso tutte le informazioni sui nostri poteri, altrimenti?» mi fa eco Vanessa. «Non ce l’hanno in molti.»
«Il presidente sì. Le ha ottenute dall’Area 51» replica Charlotte, riaprendo gli occhi e puntandoli su ognuno di noi. «Secondo me le probabilità sono un cinquanta e cinquanta.»
«Il presidente?» commento, affatto convinto. «Perché mai dovrebbe volere uno spettacolo del genere?»
«Perché pensa che abbiamo tentato di ucciderlo. E, in più, siamo in pieno periodo di elezioni. Se riesce nel tentativo di farci sembrare un pericolo per la società –e ci riuscirà, magari anche citando quell’attentato- e mostrare in questo show l’unico modo per tenerci sotto controllo, guadagnerà punti per aver debellato una minaccia. Ma questo significa comunque legarsi pubblicamente allo show, dichiarandosi a favore di esso contro … gli animalisti, o chi per loro.»
Osservo Charlie con un certo stupore.
«Pensavo fossi sotto Pentothal anche tu» le faccio notare.
«Evidentemente il mio cervello si adegua più rapidamente degli altri» replica lei alzando le spalle, ma con un’aria vagamente compiaciuta.
«Comunque sia, questo non ci dà certezze» controbatte Blake. «Non ci dice che Lily e Vahel siano completamente al di fuori della faccenda.»
«No» ammette Charlotte. «Ma se corriamo il rischio, e chiamiamo Lily, cosa abbiamo da perdere? Se è lei la responsabile, ci riderà in faccia. Se non lo è, c’è una possibilità che decida di aiutarci. Magari in cambio di quello che cerca da anni, il potere di Arthur.»
Mi volto con gli altri verso quest’ultimo, che però non sembra star seguendo la discussione. È accanto a Damien e ha un’aria preoccupata.
«Charlotte, i farmaci sono rimasti in macchina, vero?»
Lei sussulta.
«Oh, cielo. Temo di sì.»
«Sto bene» ribatte Damien, ma è bianco come un cencio e la sua voce debole.
«Ok» dice Charlotte con voce decisa. «Opzione uno: restiamo qui senza fare nulla. Opzione due: chiamiamo Lily e speriamo che ci aiuti.»
«Opzione tre» interviene Arthur «Proviamo a rompere queste manette in modo da poterci teletrasportare.»
Per qualche intenso minuto ci dedichiamo a provare l’opzione tre, ma senza alcun successo. Quindi torniamo a parlare della due.
Alla fine giungiamo alla conclusione che tentar non nuoce.
«Chi chiama?» chiede Charlotte.
«Sono l’ultima persona che vuole sentire» dice subito Blake.
«E io ti faccio concorrenza» aggiunge Arthur.
«Non la conosco» dice Jack.
«Non penso di poterlo fare» ammette Damien.
«Mi odia» commenta Vanessa.
Quindi la patata bollente resta nelle mani mie o di Charlotte.
«D’accordo» cedo con un sospiro, prendendo il telefono di Arthur. Cerco il suo numero e premo il tasto di chiamata.
«Pronto?»
Deglutisco prima di parlare, nervoso.
«Ehm, Lily? Sono Jonathan.»
Segue un attimo di silenzio.
«Cosa vuoi?» chiede poi, bruscamente.
«Beh, io e … gli altri … abbiamo un problema. Non so se … ne sei a conoscenza, ma siamo … prigionieri in un appartamento a Manhattan. Sì, insomma, c’è questo tizio, Noah Brown … lui ha intenzione di farci partecipare ad un reality show e farci combattere tra di noi.»
«E allora?»
Il suo tono freddo mi fa perdere quasi tutte le speranze.
«Allora ci chiedevamo se tu potessi aiutarci.»
«Perché dovrei?»
«Beh» replico, piuttosto innervosito «Forse perché non vuoi che moriamo tutti?»
«Nah. Trovami un altro motivo.»
«Perché sei nostra amica.»
«Ero, al massimo. No, Jon. Arrangiatevi, come ho fatto io quando mi avete mollata nel bel mezzo di Las Vegas da sola.»
E chiude la telefonata.
 
I giorni passano lenti, e non succede quasi nulla, a parte qualche occasionale visita di Brown, oppure di fotografi per i manifesti pubblicitari di Mutant Wars.
E alla fine arriva il grande giorno. Per quarantotto ore io e Blake siamo rimasti in stanze isolate, ognuna perfettamente equipaggiata per contrastare il nostro potere, proprio come all’Area 51, e senza Pentothal.
Al mattino, un’equipe di truccatori e consulenti d’immagine visita ogni stanza.
E poi, eccoci. Senza sapere nemmeno come, mi ritrovo in uno studio televisivo. Ovviamente io e Blake siamo stati trasportati qua in due diversi blindati, ognuno pensato appositamente per noi, e resteremo qui fino al momento di entrare sul palco. Mi hanno dato un piccolo auricolare per poter sentire le loro istruzioni.
Attraverso le porte sento confusamente la voce di Candy subito dopo la sigla.
«Benvenuti» trilla con entusiasmo «Alla prima puntata di questo straordinario, innovativo reality show. Mutant Wars vi farà rabbrividire, vi farà emozionare … »
Continua a blaterare per un po’ e poi passa a presentarci. Annuncia me e Blake come “migliori amici, costretti a combattere l’uno contro l’altro”, quindi, dopo altre parole entusiaste e presentazioni di ospiti importanti qui presenti, mi ritrovo spinto fuori dal blindato direttamente nel recinto.
È un’arena di grandi dimensioni, al coperto, con un pavimento di cemento ricoperto da uno strato di sabbia e una rete metallica che la circonda. Mi ricorda vagamente l’arena del Queen Victoria’s College, dove Vahel mi aveva lanciato quella rete.
Non esattamente una cosa positiva.
Lancio un’occhiata a Blake, che entra nel recinto dalla parte opposta. Il microfono nel mio orecchio crepita fastidiosamente prima che la voce di Noah Brown ne esca, distorta.
«Bene. Ci siamo. Ascoltatemi attentamente. Se vi voltate dalla parte opposta al pubblico –sì, esatto- potrete vedere, in uno schermo, uno dei vostri amici insieme ad uno dei miei.»
Con estremo orrore seguo le istruzioni di Brown e vedo una televisione che trasmette un’immagine in bianco e nero di mio fratello in compagnia di una grossa guardia armata, con tutti gli altri ragazzi dietro.
Oh, no.
«Se fate qualunque cosa che mi possa contrariare, sarà lui a pagarne le conseguenze. È chiaro?»
Per un attimo la voce viene oscurata dalle urla festanti ed eccitate del pubblico. Sembra che le cose non siano cambiate molto dai tempi di leoni e gladiatori.
«Perfetto. Allora cominciate a combattere. In tutto voglio che duri circa mezz’ora –non troppo, non troppo poco.»
Guardo Blake con aria rassegnata e lui si stringe nelle spalle. Quindi cominciamo ad avvicinarci al centro dell’arena.
Ci studiamo in silenzio per un minuto, quindi Blake attacca per primo. Lancia una scarica di energia non troppo intensa che mi passa a un centimetro dal viso. Mi sfugge un sorriso di scherno.
Lui stringe gli occhi e avanza, per poi lanciare una nuova scarica, stavolta diretta davvero a me. Per evitarla mi trasformo in lupo. Mi avvicino di corsa, mentre Blake comincia a scagliare una raffica di colpi in serie, uno dopo l’altro. Quando riesco ad avvicinarmi a sufficienza, spicco un salto e riesco quasi a gettarlo a terra –ma resiste e mi allontana con altra energia.
«Vuoi fare sul serio, quindi» dico sottovoce, un lampo divertito negli occhi.
Continuiamo a lungo con questo tira e molla, e il pubblico esulta con fischi o incitamenti. Alla fine, non è male come pensavo. Somiglia a quei combattimenti che abbiamo affrontato tante volte al Queen Victoria’s prima dell’arrivo di Vahel –divertente, impegnativo e innocente.
Decido di optare per una vecchia tattica. Mi trasformo in una formica e Blake, già pronto a colpirmi, esita, non vedendomi più. Lo raggiungo rapidamente e aspetto che si volti dall’altra parte per tornare lupo e saltargli addosso alle spalle. Lo getto a terra amichevolmente, senza usare zanne o artigli.
«Bene. Adesso mordilo» mi ordina Brown.
Se fossi umano, direi “che cosa?”, ma non lo sono, quindi mi limito a ringhiare piano.
«Avanti, fallo» mi incita bruscamente, ma scuoto la testa.
È Blake a reagire –mi lancia un lampo di energia che mi fa saltare indietro. Torno umano e rotolo sulla sabbia per qualche metro, per poi tossire, tentare di rialzarmi e venire bloccato da una fitta al ginocchio.
«Colpiscilo!» intima Brown a Blake.
Lui esita, lanciando un’occhiata allo schermo, dove Jack è tenuto ben stretto dalla guardia.
Io faccio appena un cenno affermativo prima di ricevere un’altra scarica di energia che mi fa sollevare in aria. L’istinto mi dice di trasformarmi prima di atterrare, ma non lo faccio. Voglio solo che Brown sia soddisfatto. Cado male e il ginocchio mi lancia un’altra fitta lancinante. Provo a mettermi in piedi, appoggiandomi alla parete.
«Colpiscilo ancora!» urla Brown nel mio orecchio, e Blake, dopo un’ulteriore esitazione, obbedisce.
Finisco a terra altre tre, quattro, dieci volte. Perdo il conto delle cadute e delle contusioni, e anche delle volte in cui Brown ha incitato Blake a continuare.
Poi, a un certo punto, la voce cambia.
«Perfetto. Adesso falla finita. Lancialo contro la parete. Forte. Non voglio che si rialzi. Se riuscissi a rompergli qualche osso sarebbe perfetto.»
Muovo lentamente la testa per guardare Blake, che scuote energicamente la testa.
«No?» commenta Brown, una nota aspra nella voce.
Vorrei muovermi, fare qualcosa, perché ho una bruttissima sensazione, ma non faccio in tempo. I miei occhi guizzano sullo schermo, dove vedo la guardia estrarre una pistola.
«No!» riesco a urlare, tentando di alzarmi, di muovermi, qualunque cosa –ma è inutile. Non sento nulla, ma vedo il braccio dell’uomo spostarsi per il rinculo e Jack cadere a terra, fuori dallo spazio visivo della telecamera.
«Fallo, o ammazzo anche gli altri!»
È questa l’ultima cosa che sento prima di essere scaraventato contro la parete e scivolare nel buio dell’incoscienza.
 
Mi risveglio nel blindato insieme a Blake, il bracciale con il Pentothal di nuovo legato al polso. Non ho neanche il tempo di pensare che il blindato si ferma e vengo spinto giù –di nuovo all’interno della stanza con gli altri.
Tutto il mio corpo duole a causa delle cadute, e il mio ginocchio non è più in grado di reggere il mio peso. Ma niente di tutto questo importa.
Quando, incespicando e zoppicando, entro nella stanza, mi precipito verso il corpo disteso a terra.
È vivo.
È questa l’unica cosa a cui riesco a pensare quando vedo il petto di Jack sollevarsi lentamente in un respiro ansante. Il proiettile lo ha colpito al petto. Il sangue cremisi macchia tutto il suo corpo e gocciola lentamente sul pavimento nonostante il bendaggio improvvisato eseguito con strisce di tessuto strappato da una maglietta.
Charlotte è inginocchiata accanto alla sua testa. Quando incrocio il suo sguardo, vedo le lacrime nei suoi occhi.
«Mi dispiace» mormora, senza fiato. «Ho fatto tutto quello che potevo.»
Sostiene il mio sguardo per qualche secondo in più, abbastanza da farmi capire. Non c’è nulla in questa stanza –niente che possa essere usato come strumento di cura.
Poi abbasso gli occhi e afferro la mano di Jack, stringendola forte.
Lui apre gli occhi e li punta su di me.
«Jon» ansima, dopo qualche colpo di tosse. Vedo un rivolo di sangue scivolare sul suo mento e devo lottare per mantenere il controllo di me stesso.
«Ssh» mormoro. «Non parlare. Riposati. Andrà tutto bene, te lo prometto. Sono qui con te, fratellino.»
Lui mi guarda ancora per un po’, gli occhi spaventati ma fiduciosi, poi chiude gli occhi e rafforza la presa sulla mia mano.
Resiste per qualche minuto. Il suo respiro si fa sempre più lento e irregolare. Quando respira per l’ultima volta, io sono ancora accanto a lui e gli tengo la mano.
Non succede altro.
Delicatamente, stacco la sua mano dalla mia.
Un’occhiata rapida in giro per la stanza mi mostra l’immobilità degli altri, sospesi –tranne Charlotte, che allunga incerta una mano verso di me.
La guardo, senza capire –niente ha più senso.
Vorrei tornare nel buio, perdere i sensi e poter non pensare –ma questo lusso non mi viene più concesso.
E allora rimango sveglio, immobile, accanto al corpo senza vita di mio fratello.
 
 
 
 
*scappa per sottrarsi al linciaggio* a presto!
   
 
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