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Autore: Montana    28/10/2011    4 recensioni
Una ragazza scampata alla strage della sua famiglia a soli 5 anni, non parla, si esprime solo con la musica.
Il suo serial killer è tornato a cercarla.
Ma questa volta con lei ci sarà un ragazzo dai capelli castani, e la sua squadra di esperti, pronti a proteggerla.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Veronika Gordon 2007-2012'
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Trio; presto, mezzo forte, molto staccato con tensione
 
Il secondo giorno, l’umore di Veronika cambiò. Nei suoi occhi scuri passavano nuvole di tempesta, stava sempre sulle sue, non suonava nemmeno il piano.
Chiesi a JJ secondo lei cosa potesse avere, e mi rispose che erano “cose da donne”.
Tuttavia non ne parlò nemmeno a lei, quando le chiesi di farlo.
“È un’adolescente, Reid! Non puoi pretendere che non sia lunatica!” mi disse Prentiss quando chiesi consiglio anche a lei “Tutti lo siamo stati, alla sua età.”
Non persi tempo a spiegarle per l’ennesima volta che io alla sua età non avevo il tempo e il modo di essere lunatico, tra il College e mia madre, ma rimasi comunque un po’ preoccupato per Veronika.
Intanto, lavoravamo come pazzi per trovare il nascondiglio dell’S.I.
“Garcia, cerca tutti i depositi e i magazzini abbandonati, tutte le case rimaste inabitate, tutti i luoghi dove Sanders possa nascondersi.” ordinò Hotch.
L’immagine sgranata di Garcia dall’altra parte dello schermo scosse la testa “Hotch, capisco che sono un genio, ma così è troppo poco persino per me! Hai idea di quanti luoghi di questo genere ci siano nelle città vicine a dove vivono i Gordon?!”
“Non c’è bisogno di estendere così tanto le ricerche! Cerca solo nella città!”
Garcia digitò qualcosa sul suo computer “Allora.. per fortuna quella città è un buco! Ci sono tre magazzini, un deposito e nessuna casa abbandonata.”
Ci guardammo “È ancora troppo poco!” esclamò Morgan battendo il pugno sul tavolo.
Riflettemmo tutti qualche minuto, poi JJ chiese “Garcia, qualcuno di questi è vicino ad un negozio di strumenti musicali?”
“Uhm.. No, direi di no!”
“Qualcuno era un negozio di strumenti?”
Garcia osservò attentamente “Sì! Uno! Al numero 325 di Washington Street, c’era un negozio di strumenti musicali fino a tre anni fa, chiuso per fallimento!”
Ci guardammo, esultanti: era il posto giusto!
“Garcia, mandaci le coordinate sui cellulari, noi andiamo là! Grazie mille, Bambolina!” le disse Morgan.
“Ogni vostro desiderio è un ordine! A presto!” rispose lei, chiudendo la comunicazione.
 
Un vecchietto che abitava lì vicino, proprietario dell’intero isolato, ci confermò che un uomo di circa trent’anni si era presentato lì la settimana in cui ricominciarono gli omicidi. Sembrava un ragazzo a posto, ci disse, fissato con la musica classica. In quella casa non c’erano state elettricità e riscaldamento per tre settimane dopo il suo arrivo, e anche adesso l’acqua arrivava poche volte e gelida, ma lui si era fissato con quel posto.
“Perché, ha fatto qualcosa di male?” ci chiese alla fine del discorso.
“No, vogliamo solo fargli qualche domanda.” rispose Rossi, mentre Hotch disponeva le squadre per entrare.
Il vecchietto ci guardò ironico “Certo, siete dell’FBI e volete solo fargli qualche domanda. Bah, fate un po’ come vi pare. Mettete pure tutto a soqquadro, ma non distruggete niente in modo irreversibile.”
“Grazie mille, signore.”
Ci avvicinammo a Hotch “JJ, tu e Rossi entrate là dal retro, solo quando Morgan vi avrà dato il segnale. Morgan, tu con Prentiss dal garage. Reid, tu sei con me, entriamo dal davanti. Nessuno faccia niente senza il mio consenso, e se trovate l’SI non attaccatelo singolarmente, è chiaro?”
Sapevo cosa voleva aggiungere, lo sapevamo tutti.
 “L’ultima volta che l’avete fatto Ashley è morta.”
Annuimmo, e ci disponemmo.
“FBI! Gordon, apra la porta!” gridò Hotch.
Nessuno rispose.
Abbatterono la porta, entrammo.
“Libero!” “Anche di qua, libero!” gridarono gli agenti attorno a noi.
“Morgan, puoi entrare.” disse Hotch all’auricolare.
Si sentì il rumore della porta del garage sfondata, poi le voci degli agenti “Libero!” “Libero!”
Altra porta sfondata, quella del retro. JJ gridò “Hotch, è libero anche qui!”
Hotch mi guardò “Com’è possibile?!” esclamò, e cominciò a guardare in ogni stanza.
Alla fine, dovette rinunciare anche lui: la casa era irrimediabilmente vuota.
“Dev’essere stato avvertito! Forse ha un complice..” ipotizzò Prentiss.
Rossi scosse la testa “No, non corrisponde al profilo. Forse era fuori di casa quando siamo arrivati e quando è tornato e ha visto le macchine fuori ha deciso che gli conveniva scappare.”
Qualunque fosse il motivo, il problema rimaneva quello: la casa era vuota, Sanders non c’era, Veronika era ancora in pericolo.
Tornammo a casa Gordon con delle espressioni scontente e dubbiose, ma ne trovammo di peggiori.
Tutte le luci erano accese, c’era una macchina della polizia fuori e lo sceriffo Jeck armeggiava col cellulare.
Appena ci vide però ci corse incontro “Eccovi finalmente! Avete trovato Sanders??”
“No, sceriffo. È scappato. Anche questa volta. Cosa ci fa lei qui?”
Lo sceriffo fece una smorfia “Speravamo foste riusciti a catturarlo, così non ci sarebbe stato nessun pericolo.”
“Pericolo? Per cosa, per chi, scusi?” chiesi io, che avevo un orribile presentimento.
“Veronika Gordon è scappata di casa, non riusciamo a trovarla da qualche ora.”


“VERONIKA! VERONIKA!”
Ragazzina stupida. Che cazzo le era venuto in mente di scappare di casa con un serial killer che la cercava per ucciderla?!
“VERONIKA! VERONIKA!”
Ci eravamo uniti alle ricerche da due ore ormai, e a quanto pare quelle andavano avanti da altrettanto tempo. Quella notizia, unita al fatto che Sanders non era in casa quando eravamo andati a prenderlo, faceva scendere le nostre possibilità di ritrovarla viva molto al disotto dello zero. Una sola cosa teneva accesa la flebile fiammella della speranza in me, e immaginavo anche in tutto il resto della squadra: l’SI aveva detto tre giorni, e tre giorni sarebbero stati. Speravamo.
“VERONIKA!”
Mi venne da pensare che forse il suo atteggiamento così distaccato e scontroso di quella mattina deriva proprio da lì, forse mentre cercavamo di parlarle stava lavorando al piano per scappare di casa.
Inciampai in una radice superficiale, per poco non mi ruppi una gamba cadendo per terra. Rialzandomi mi pulii la terra dalle ginocchia, maledicendo quel posto e anche un po’ Veronika: se proprio doveva scappare non poteva andare in città, prendere un treno verso chissà dove e evitare così per sempre Sanders?
No, doveva andarsi ad infilare in un qualche prato fangoso come quello dove mi aveva trascinato il giorno prima, che era proprio dove la stavo andando a cercare.
“VERONIKA!”
Il cellulare mi vibrò in tasca, era JJ “Spence l’hai trovata?” mi chiese concitata.
“No! Nemmeno voi, deduco. Hotch?”
“No, nemmeno lui. Dove stai andando tu? Ti mando dei rinforzi se vuoi..”
“No, non saprei come farli arrivare qui. Se tra cinque minuti non sono ancora arrivato però ti chiamo, manda degli elicotteri.”
Chiusi la comunicazione e ricominciai ad urlare “VERONIKA! VERONIKA!”
Nel frattempo si era alzato un vento freddo e in lontananza si sentiva un rumore di tuoni. Ci mancava solo un temporale, pensai.
Poi, un foglietto giallo colpì la mia caviglia e la mia attenzione.
Lo presi e lo osservai: era sporco di fango, piccolo e strappato, ma riconoscevo righe e pallini neri. Era un pezzo di uno spartito. E se in quella landa desolata c’era una persona che poteva portarsi dietro uno spartito quando decideva di scappare di casa, quella era “VERONIKA! VERONIKA GORDON DOVUNQUE TU SIA VIENI QUI!” gridai, ancora più forte, anche se sapevo che quel pezzo di spartito poteva venire da qualunque parte.
Invece, lontana e flebile, una voce rispose “Reid? Spencer Reid?”
“Veronika? VERONIKA!”
Corsi verso dove proveniva la voce, mentre nell’aria attorno a me volavano pezzi di spartito, e alla fine la trovai.
Tremante di freddo con solo una maglietta e un paio di jeans addosso, graffiata e infangata, ma viva. Ma con negli occhi lo sguardo di chi aveva visto in faccia la morte e ancora non sapeva com’era riuscita a scapparle.
  
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