Fumetti/Cartoni americani > Ben 10
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Autore: The Theory    31/10/2011    5 recensioni
Questa è la mia primissima FanFiction sul pairing Ben/Gwen! Spero sia di vostro gradimento in quanto la mia esperienza relativa a questo cartone è poca...
La vita di Ben subì un poderoso cambiamento quattro anni prima, quando l'Omnitrix si spense. I sentimenti di Ben sono da allora un altalena confusa tra la voglia di recuperare la sua passata natura aliena e l' abbandonare l'impresa. Una corsa contro il tempo, una pericolosa storia d'amore ed un racconto dal sapore dolce di ciliegia, rivisto in chiave allo stesso modo comica e triste, che spero faccia sorridere sul primo grande amore e le follie che per esso si fanno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Gli occhi di Ben ebbero un lampo improvviso. La sua fronte si corrugò dallo spavento quando udì aprirsi con violenza la porta d’entrata. Il turbamento lo invase nel momento in cui vide il corpo di sua cugina Gwen accasciarsi al suolo come privo di forze; un tremolio impietoso scivolava addosso alla ragazza smuovendo quella sagoma che gli si mostrava dinanzi passiva ed indebolita dal dolore. Gwen, facendosi coraggio e raccoltasi sulle ginocchia tese la mano verso Ben, una mano tremante ed insicura, appigliandosi alla sua felpa, senza parlare, senza mormorare se non gemere, a capo basso, quasi priva di quel suo usuale orgoglio superbo per qualche spicciolo secondo spoglia di sé stessa. Carente di forze, il braccio le scivolò a ridosso della gamba di Ben anche se l’ansia l’ingoiava spietata.
– Gwen cos’è successo?! – chiese allarmato Ben con l’impeto di chi s’aspetta brutte nuove.
Il ragazzo, a negata risposta, non poté che chinarsi sulle ginocchia a prestarle soccorso, sollevandola con le braccia ed accoccolandola al petto.
Gwen non riusciva a parlare, non avrebbe potuto farlo nemmeno se l’avesse desiderato più intensamente che potesse, strozzata dal tumultuoso affanno di certi poderosi gemiti, gemiti opprimenti, possenti, sospiri perfidi che le serravano la gola in una morsa soffocante.
Aveva corso senza sosta, senza riguardo nei confronti del proprio corpo, incurante del gelo, del buio, della paura; si fidava solo della certezza che Ben le avrebbe prestato soccorso, anche se non sapeva perché, una certezza nata d’improvviso ma che dentro lei pareva tanto ovvia da lasciarla basita.
Ed ora eccola, fra le braccia di Ben, giunta a destinazione senza nulla da poter dire, ostacolata, tradita da quello che fino poco prima era stato il mezzo che l’aveva trasportata sin lì, il suo corpo, che aveva martoriato senza ritegno.
La sua pelle chiara chiazzata spietatamente dal rosso venereo del sangue impressionò e fece presupporre a Ben il grosso sforzo fisico da lei tentato. Il ragazzo, preoccupato, l’accolse a sé come meglio ne fu in grado, chiudendo peraltro con sveltezza la porta, onde evitare – si disse – di peggiorare il traballante stato fisico della cugina.
Gwen adagiò il capo al petto di Ben seguitando a respirare con sforzo.
Anche se forse non era proprio il momento adatto, Ben non si risparmiò in rimproveri:- Gwen che diamine fai?! Sei malata, lo hai dimenticato?! – la sgridò sentendosi addosso quel gracile corpo freddo e tremante che stentava a riconoscere.
Gwen scosse la testa e pur di metterlo a tacere si cavò di bocca un ordine claudicante: – sta zitto…!
Ben tacque, punto sul vivo da quelle improvvise e acide parole, zoppicanti tra gli svariati sospiri. Si chiese tra sé cosa potesse essere successo, cosa l’avesse spinta ad uscire di casa con quel freddo immane e soprattutto, perché mai fosse venuta a cercare asilo proprio da lui. C’era un controsenso in quella ragazza che ora giaceva sul suo petto, inerme e strozzata da un respiro appesantito dalla malattia e dalla fatica: quel suo viso provato e che – fondamentalmente – le donava un che di tenero ed indifeso si mischiava inesorabilmente a quella sua solita indole di spietata preminenza, pregiudizio, a quel suo quasi perverso gusto per il comando e l’aver ragione, che s’impadronivano delle sue poche parole violentando quell’apparenza docile e rendendola la solita, cinica Gwen. Era questo che disgustava Ben.
Vi fu un attimo di profondo silenzio, fatta eccezione per gli spasmi ansanti di Gwen che riempivano l’atmosfera egemonizzanti.
Ben non si mosse, rimase immobile con lei fra le braccia; il capo della cugina si posava giusto in linea con il suo collo sicché Ben potesse avvertire la morbidezza quasi innaturale e fiabesca di quei lunghi capelli che l’avevano sempre stranamente attratto. Ecco che ricominciavano i pensieri, pensieri che a Ben parvero pericolosi.
 
Gwen non osò parlare nemmeno quando s’accorse d’aver ripreso qualche briciolo d’energia. Si rese conto infatti di quanto enorme fosse stato l’errore da lei commesso. Aveva fatto un passo troppo lungo rispetto a quello che le sue gambe, allo stato attuale delle cose, le avrebbero concesso. Le fu facile capire come grazie agli eventi burrascosi ed a loro modo anche profondi del pomeriggio, quella mano tesa di Ben che le prestava soccorso l’aveva illusa che nell’arco di qualche ora si fosse ricucito un lungo e tormentato rapporto sdrucito dagli anni, una relazione familiare fatta di indifferenza e menefreghismo che si protraeva oramai da sedici anni. Gwen non seppe dunque come ricavare il benché minimo coraggio per poter guardare Ben in volto. Aveva sbagliato.
 
Ben non poté che ricominciare a riflettere, seppure si rese conto di quanto questo fosse inusuale a farsi in quel momento. Ricordò le sue parole, quelle parole pronunciate con la vergogna di chi si sente in dovere si mettersi a nudo, le parole con le quali pregava Gwen di mantenere un adeguato rapporto durante quel periodo di convivenza. In quell’istante quasi si pentì di quelle sue affermazioni e avrebbe ben voluto rimangiarsele poiché provava un certo disappunto, come la certezza di poter essere il primo ad infrangere il limite. Tremò. Quella situazione lo tentava ed imbarazzava nonostante ne riconoscesse la gravità. Il fascino di quella nuova Gwen, quella ragazza che nell’arco di un solo giorno passato assieme, Ben aveva potuto conoscere veramente, quella sua cugina che non si era mai aperta molto a lui fatta qualche rara eccezione. In quel momento Ben provò quasi un moto di commozione ed un profondo legame nei suoi confronti. Ma, abbassando lo sguardo, cancellò quegli strani sentori incolpando la tale sua misteriosa incertezza d’indurlo in inganno. Ora voleva solo risollevare quella che da sempre riteneva la sua migliore cugina. Non si sarebbe risparmiato anche se mai l’avrebbe ammesso.
 
Sienna Butcher e Kevin Levin si ritrovarono fuori dal locale appena frequentato con le giacche indosso ed un gran freddo.
– Si è fatto ormai buio – si lamentò il giovane guardando il cielo e gli sprazzi luminosi che i lampioni proiettavano a terra lungo le strade circostanti del centro città.
– Ti ringrazio per la disponibilità, Kevin – intervenne di punto in bianco Sienna arrossendo lievemente.
Il ragazzo le passò una mano sulla testa:- gli amici fanno così, suppongo.
– Allora devo riconoscere che sei un amico prezioso – rispose la ragazza sorridendogli.
Vi fu un breve momento di silenzio che tra i due, peraltro da sempre stato usuale.
– Mi ha fatto piacere rincontrarti, alla fine – ammise Kevin abbassando il capo.
– Fondamentalmente anche a me – rimandò Sienna ridacchiando.
– Senti…quanto hai intenzione di rimanere qui…?
– Fino alla fine delle vacanze.
– Non ti andrebbe…se uscissimo, qualche volta?
Sienna rimase spiazzata. Per un momento mise in dubbio la posizione di Ben nel suo cuore. Quel ragazzo, quel Kevin l’aveva conosciuto non appena s’era trasferita e da sempre l’era stato amico. Sempre, anche quando era caduta troppo in basso. In quel momento di solitudine ed afflizione, dopo il rifiuto di Ben, non voleva restarsene sola. L a sua amata Cerise l’aveva ferita ma era pur vero che non se la sarebbe sentita d’abbandonare il pensiero di Ben per così poco dopo tanti anni di ammirazione segreta e passioni celate a chilometri di distanza. Se si fosse lasciata andare sapeva benissimo che sarebbe ricaduta nel circolo vizioso che l’aveva accompagnata per parecchio poco tempo prima. Allora, ripensando con spavento al passato e necessitando di un appiglio in quel mare di incertezza aggiunse:- ne sarei felice.
Kevin rise battendole la spalla:- ottima scelta!
Sienna si limitò a sorridere debolmente. Non avrebbe potuto fare altro.
 
Ben decise che la cosa migliore sarebbe stata intervenire subito con gran tatto, far sfogare Gwen per poi calmarla una volta per tutte. Così si decise: – Gwen…dimmi cos’è successo…– mormorò rompendo il silenzio tombale venuto a crearsi.
La ragazza si limitò a scuotere il capo. Non capiva più nulla, se non il fatto che Ben l’avesse accolta in quell’attimo di pazzia furiosa senza obiettare. Sentiva un gran vuoto all’interno di sé. Le sembrava di stare cadendo da un’altezza di proporzioni indecifrate senza sapere in cosa sarebbe consistito il suo avvenire. Viveva ora, il poi non avrebbe saputo riconoscerlo, costruirlo, anche solo immaginarlo. Viveva al momento grazie a Ben ed alla sua disponibilità, al suo sostegno in quel attimo di dislessia affettiva.
– Voglio aiutarti, Gwen. Basta solo che mi spieghi. – aggiunse il cugino offrendole sussidio.
La ragazza tacque ancora. Volle prima riflettere, formulare un discorso, farsi capire da subito ed a dovere, perché in quello stato non avrebbe saputo o potuto ripetersi.
– Non è facile – sussurrò allora assottigliando lo sguardo.
Ben l’osservò dall’alto della sua posizione con una espressione materna:– sarebbe stupendo se le cose fossero sempre facili e non richiedessero alcun minimo impegno, Gwen. Credimi,parlo per esperienza: me lo hai sempre detto, a me non riesce nulla. Ma è proprio per questo, proprio perché siamo intralciati da cose difficili giorno per giorno che ci impegniamo con costanza a cercare di sbrogliare queste scomode situazioni.
Gwen rimase colpita nel profondo da tale affermazione. Le si fermò il cuore in petto per un istante al solo udire quelle parole, uscite dalla bocca del cugino come fossero ovvietà, pronunciate con quella sua semplicità rara e affascinante. Era la realtà. Si sentì ora come mai profondamente sciocca, stupida. Si stava comportando come una bambina piagnucolosa, voleva la soluzione immediata ai propri problemi senza nemmeno aver provato a districarli.
– Devi scusarmi, Ben – borbottò poi schiarendosi la voce con un colpo di tosse per metà dovuto alla malattia e per metà al poderoso imbarazzo. Il respiro ed ella stessa si stavano finalmente rilassando accomodati dal tepore dell’abbraccio di Ben.
Il ragazzo si dipinse in volto un’espressione di stupore.
– Ti ho sempre bistrattato e riconosco solo ora…quanto tu in realtà abbia ragione – proseguì. Per Gwen pronunciare frasi del genere era un gran supplizio, uno sforzo fisico, qualcosa che si estraniava da lei come mai nessun altra. Non aveva mai dato veramente ragione ad altri se non a sé stessa e trovarsi a lodare suo cugino Ben l’indisponeva. Il suo cugino repellente, inetto, sciocco, insensibile. Ma non poté più tacere poiché sentiva da dentro un bisogno frenetico di confessarsi a lui come stava facendo.
Il ragazzo riconobbe che il comportamento e l’essenza di Gwen stavano abbandonando quell’apparenza  ingannevole di poco prima che s’andava man mano ad appianare raggiungendo un buon  rapporto proporzionale fra le due personalità. Sorridendo dolcemente, senza che lei lo vedesse, le fu sinceramente grato.
– Ti va di dirmi quello che è successo? – chiese allora.
Gwen sentì una stretta al cuore; posò un palmo sulla spalla di Ben e mormorò:- io…mi sento così insicura…
– Capisco…ma mi sto preoccupando…! – mormorò Ben abbassando il capo imbarazzato.
– Non te lo dirò…fidati, sarà più facile così – convenne Gwen esalando un considerevole sospiro.
– Cosa…?
– Voglio dire…è molto…è così…difficile…!
– Cristo, e se non te ne libererai cosa otterrai?  – obiettò Ben con cinismo, infastidito dal solito lamentio tipico di Gwen.
– Non lo so…! – bisbigliò Gwen prendendosi il capo tra le mani con inquietudine.
– Sono qui ad ascoltarti, che ti costa Gwen?! Mi stai facendo preoccupare!– si lamentò Ben preso dalla frenesia di un’ansia improvvisa.
– Lo so…! Voglio dire…! Non è colpa mia…io so solo…!
– So che non sono io ad aver sbagliato! – asserì Gwen portandosi una mano alla bocca.
Ben rimase in silenzio. Si sentì profondamente sdegnato da quelle parole. Quel piccolo grande odio che covava per sua cugina rivenne a galla tutt’un tratto.
– Tu…tu non hai mai colpe, vero?!
Gwen tremò nel mentre il ragazzo le prese il polso stringendolo con la mano destra.
– Cerca di andare un po’ oltre dai tuoi soliti concetti di superiorità, Gwen! Cerca di abbandonare l’idea che solo tu capisci tutto di tutti e tutto di te stessa perché…!
Gwen alzò lo sguardo verso Ben, impaurita da quel tono minaccioso.
– Perché…non è così – sussurrò Ben lievemente calmatosi all’osservare gli occhi affranti della ragazza – mi pareva di avere già fatto questo discorso…
Gwen abbassò il capo. Si chiese con smania cosa stesse accadendo, perché all’improvviso provasse gran conforto,come avesse potuto la foga di Ben quietarla almeno per un attimo quando solitamente era impossibile per chiunque. Ad ogni modo Gwen si rattrappì. Non potevano star bisticciando ancora. Era assurdo; persino in quell’occasione. Era un atteggiamento stupido,dissennato. All’improvviso rivide tra sé le sequenze del litigio fra i suoi genitori e non ne poté davvero più. L’ansia la stava strozzando; voleva chiedere umilmente ed ufficialmente l’asilo ed il perdono di Ben; eppure per quanto lottasse, si sforzasse e si odiasse per non esserne capace, non era in grado di arrivare a tanto.
– Smettiamola di litigare, per favore. Non lo sopporto – sbottò Ben con tono tagliente.
D’un tratto, però, osservando il polso della ragazza sollevato a mezz’aria ed il suo capo chino Ben fu colto da un pericoloso sentore.
– Gwen è successo qualcosa che per caso riguardi i tuoi genitori? – domandò Ben impensierendosi d’improvviso. Gli venne in mente il discorso che la zia stava per fargli ed un terribile dubbio cominciò a nascergli in capo.
Gwen impallidì. Ecco inaspettatamente arrivare la verità nuda e cruda proprio come non aveva avuto il coraggio di guardarla. Fu per un attimo incapace di formulare persino tra sé una frase di senso compiuto. Rivide quelle immagini che poco prima l’avevano fatta scappare, il sangue sulla guancia di sua madre, l’acidità di suo padre e quelle parole che egli aveva adottato nei suoi confronti, tanto agghiaccianti e distaccate da sembrare ad emarginarsi senza riserbo dal legame famigliare.
– Lo so che è successo qualcosa, Gwen…! Voglio solo che tu mi dica cosa, sono qui per aiutarti! – l’incoraggiò Ben. Voleva smuovere quel meccanismo indeciso all’interno della cugina al fine di farla sfogare completamente, vomitare quel disagio assillante e farle spiegare l’accaduto. Ma specialmente voleva sapere. Ben già prevedeva qualcosa di preoccupante.
Gwen, dal canto suo, aveva ripreso a respirare affannosamente come se quelle poche parole l’avessero riportata allo sconforto iniziale.
– Ben…!–  pianse la ragazza stringendosi al ragazzo con forza.
– Gwen, calmati ti prego! – la scongiurò Ben terrificato nel vederla soffocare all’improvviso tra tali grossi, spaventosi singhiozzi di dolore in quell’inaspettato scoppio d’afflizione.
– …Ben…!
– Sono qui, sono qui per te! Ma parla, Gwen! Parla ed io ti ascolterò, è una promessa!
Il ragazzo sentì le dita di Gwen intrecciarsi ed impigliarsi alla sua felpa con spaventosa fame di soccorso come se all’improvviso si fosse risvegliata quella ruggente e disarmante costernazione di poco prima. Pareva quasi che avendo nominato i suoi genitori avesse scaturito nella giovane un meccanismo inquieto, la causa di tutto quel dolore.
– Cos’è successo? – ripeté dunque Ben preoccupato.
– Hanno litigato, Ben…ancora…! – gemette Gwen divincolandosi.
– Hanno litigato…ancora? – ripeté Ben incredulo. Non sapeva affatto che i suoi zii all’apparenza tanto uniti potessero addirittura “litigare”.
Gwen si limitò a muovere il capo in segno affermativo. Parendo incapace a calmarsi, nell’agitarsi, nell’affanno dello sfogo, specificò:- hanno detto cose strane…su di me
Ben le strinse il polso che ancora non aveva lasciato andare :- calmati, Gwen! Ti prego, calmati! Che genere di cose…?
– Non lo so…so solo che mio padre ha affermato con chiarezza, ch’io sia figlia di mia madre.
Ben inarcò un sopracciglio cercando di capire. Poi aggiunse:- Non ci vedo nulla di strano…alludeva alle somiglianze immagino – obiettò dunque la testa.
Gwen tacque per un secondo lasciando cadere le braccia a terra fatta eccezione per quel polso sinistro che Ben teneva bloccato a mezz’aria.
– Non hai capito, Ben…– sussurrò.
Il ragazzo assottigliò lo sguardo.
– Sembrava quasi…che si escludesse completamente dalla parentela... – concluse Gwen mordendosi il labbro inferiore della bocca fino a farsi male.
Ben sentì un tumulto al cuore. Quelle parole rimasero sospese in aria: gli rimbombarono in capo, si insinuavano subdolamente dentro di lui proprio mentre iniziarono a scorrergli in testa l’immagini di sua zia che poco prima aveva tentato di dirgli qualcosa. Ben cogitò. Qualcosa. Qualcosa che non era stato detto e che avrebbe dovuto sapere lui solo. Non  poteva essere quello che pensava. Sarebbe stato troppo duro. Troppo crudele per Gwen.
– Cosa pensi…che volesse dire…?
Ben fu colto dall’ansia. La scelta che avrebbe fatto avrebbe segnato il futuro di entrambi. Perché se il suo dubbio, quel dubbio pericoloso ed inquietante che gl’era appena venuto, fosse davvero la realtà allora sarebbe stata la fine, anche se il significato di quella parola, “fine”, lo sapeva solo lui. In cuor suo equivaleva all’esatto contrario, ovvero “inizio”.
 
Continua!
   
 
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