Changing (every breath you take).
Quel
pomeriggio pioveva. Pioveva tutti i giorni, dopo l’inizio della fine.
Ogni
goccia che cadeva sull’asfalto, ogni passo scandiva il tempo che
inesorabilmente passava, ogni battito del cuore che ormai non sentiva più nel
petto. Camminava lentamente lungo il marciapiede, l’ombrello che lo riparava dall’acquazzone, che
lo nascondeva al mondo.
Erano le
sedici esatte, e lui non aveva fretta. Non ne aveva più ormai. I rami di
cespugli incolti gli graffiavano la superficie liscia dell’impermeabile bagnato
di pioggia. Un lampo di luce squarciò il cielo e, immediatamente dopo, il rombo
di un tuono disturbò la quiete di quel quartiere di periferia, della vita dei
suoi abitanti, che al riparo nelle loro case continuava a vivere, senza
vederlo, senza ricordare nemmeno più quel giorno di
due anni fa.
Ma doveva
prevederlo. Gli uomini guardano, vivono, e dimenticano tutto, prima o poi. E
promettono anche. Si arrischiano a pronunciare quel –per sempre-, a
sussurrarlo, a urlarlo contro il cielo, a scriverlo in una lettera, in un
messaggio, e poi? Poi, le promesse si spezzano, nel momento esatto in cui gli
indici che avevano sfiorato le sue labbra nel dirgli quel lo prometto si sono allontanate. E lui ha smesso di credere, in
tutto.
Camminava
ancora, incurante di ciò che accadeva intorno alla sua figura quasi fradicia,
nonostante l’ombrello, minuscolo e a quel punto inutile. Un gatto attraversò la
strada di corsa, facendo sbandare leggermente la macchina che sbucava in quel
momento da dietro l’angolo. Il rumore del clacson lo distrasse dai suoi
pensieri, sconnessi ma unilaterali, e si rese conto di essere quasi arrivato
alla meta, quando invece pensava di dover camminare all’infinito. Alzò lo
sguardo sul negozietto che aveva davanti. Un’insegna lampeggiante ronzava sopra
la vetrina, illuminando i vari poster, attaccati contro il vetro
meticolosamente. Al si là di questi, due occhi verdi lo guardavano. Non sapeva
dire esattamente come, non era mai stato bravo a leggere le persone dentro. Sapeva soltanto che quegli occhi
erano come un tonfo nello stomaco, ogni volta che li incrociava vedeva un lampo
simile a quello di pochi momenti prima. Ovviamente neanche su questo sapeva
darsi una spiegazione. O forse, non voleva semplicemente pensarci, formulare
ipotesi. Infondo non valeva nemmeno più la pena, no? Non ne vedeva più la
ragione. E questo gli bastava.
Chiuse gli
occhi, sospirò per un attimo che sembrò infinito, si ravvivò i capelli che
ormai erano cresciuti a dismisura e poi entrò. Ancor prima del ridicolo
scampanellio dello scacciapensieri, il suo profumo avvertì la ragazza
all’interno del locale che una nuova giornata aveva inizio.
«Every
breath you take
Every move you make»
Se fosse
stato un giorno qualsiasi di qualche anno prima, entrando nel negozio avrebbe
sicuramente risposto con cordialità ai saluti dei clienti che si servivano
dagli scaffali, magari con qualcuno si sarebbe pure intrattenuto un po’, non
negando certamente loro qualche parola di cortesia. Forse avrebbe pure aiutato
la signora Corinne a prendere quel qualcosa che le serviva e che era troppo in
alto per la sua statura.
Ma quelli
erano altri tempi, altri giorni.
L’unica
cosa che intendeva fare era posizionarsi alla sua scrivania, nell’ufficio
dietro la porta infondo, e gestire la contabilità. O qualunque altra cosa fosse
necessaria per mandare avanti il negozio. Semplicemente concentrarsi su
quell’agglomerato di parole e cifre e non pensare. Passò davanti alla cassa,
limitandosi a guardare ancora quegli occhi verdi, che lo fissavano a loro volta
con intensità, ignorando tutto il resto, mentre il resto sussurrava alle sue spalle parole di commiserazione e
indignazione insieme. Non che lui non sentisse queste voci: il fatto era che
non lo scalfivano nemmeno più, gli scivolavano addosso proprio come poco prima
aveva fatto l’acqua sul suo impermeabile. Quando, però, una voce che non riconobbe
proruppe in un « Poverino, dovrebbe trovarsi una nuova fidanzata » non potè
proprio evitare di sbattere con forza la porta dietro di sé, e fremere di
rabbia, riuscendo a calmarsi soltanto sedendosi e respirando affondo.
«Every
move you make
Every vow you break
Every smile you fake
Every claim you stake»
Emma lo
sapeva, dentro di sé sapeva che in quanto lui le aveva detto giorni, settimane
prima non c’era nulla di vero. E la porta chiusa con forza dietro di sé alle
parole di quella vecchietta indisponente era stata la conferma. Non aveva
superato niente lui, non era riuscito ad andare avanti. Il tempo si era fermato
a quel giugno di due anni prima, lui era rimasto fermo sul ciglio di quella
strada, ad aspettare che qualcuno venisse a recuperarlo, a tirarlo fuori dal
baratro in cui lentamente stava scivolando. Forse, era arrivato il momento per
provare a farlo. Aspettò qualche minuto, il tempo necessario perché si
svuotasse il negozio e poi andò a bussare alla porta, non sapendo bene neanche
cosa dire. Aveva passato parecchio tempo ad un discorso da fare, alle parole
giuste da dire per salvarlo, e invece ogni volta le uscivano soltanto frasi di
circostanza, vuote, inutili. Aveva comunque deciso di rischiare, a Thomas
servivano delle parole per risvegliarsi, per tornare a vivere. E qualunque
fossero, Emma era decisa a donargliene delle sue.
«How
my poor heart aches with every step you take »
« Ehi
capo, posso entrare?»
Sospirò,
e poi le permise di entrare nel suo ufficio, nel suo tormento. Avrebbe dovuto
immaginare che prima o poi lei si sarebbe fatta spazio, ci avrebbe quanto meno
provato. Dal giorno dell’incidente Emma era stata una delle poche –o più
probabilmente l’unica- ad esserci stata sempre, ad averlo chiamato, ad aver
ascoltato con pazienza i suoi silenzi. Ma ora evidentemente aveva deciso di
andare oltre ai silenzi, cosa che lui, forse, non era più in grado di fare.
Gli
sorrise –no, non era compassionevole, come si sarebbe aspettato, ma
semplicemente un sorriso- e poi iniziò con un fiume di parole di cui non riuscì
a capire nemmeno la metà.
«Ehi,
Emma, calma okay? Non riesco a capire niente.» la
interruppe.
La
ragazza diventò rossa e ammutolì. Tom capì di essere stato brusco e cercò di
scusarsi ma non ci riuscì. Le parole non uscivano, non avrebbe saputo nemmeno
come fare. Lei, d’altra parte, rimaneva immobile, scagliata contro la luce di
un fulmine oltre la vetrata. Tremava un po’ e guardava il soffitto,non voleva che le lacrime scendessero giù. Era forte, lei,
tanto quanto Jane era bella e fragile.
Jane era
bella, da sempre. E là, immobile in fondo al vialetto,nel
pieno sole di giugno, lo era molto più del solito. I capelli dorati le
fluttuavano debolmente sulla schiena, creando meravigliosi giochi di luce.
Nulla, però, a confronto dei suoi occhi azzurri che sembravano splendere di
luce propria.
Era una
continua sorpresa con lei, gli pareva di innamorarsi di nuovo ogni giorno,
sempre per un dettaglio, una smorfia, dei gesti, un sorriso, degli sguardi
diversi dai precedenti.
Quella
mattina aveva deciso di uscire da casa più presto del solito, non perché non si
fidasse della sua puntualità –impeccabile- ma più che altro perché aveva paura
che sua sorella, logorroica e ritardataria cronica, le facesse fare ritardo
alle prove dell’abito da sposa. Infatti, qualche settimana prima Tom le aveva
chiesto di sposarlo e lei aveva accettato, buttandosi a capofitto
nell’organizzazione.
Sarà tutto perfetto, gli ripeteva ogni sera, sfinita
e accoccolata contro la sua schiena.
Jane si
girò verso di lui, affacciato alla porta-finestra del salotto, la tazza di
caffè in mano e il pigiama a righe blu e bianche. Un
sorriso gli spuntò sulle labbra quando lei gli urlò « Torno presto, spero!» e
poi incrociò le dita sulle labbra, a sigillare quel giuramento. Un ultimo
sorriso e si voltò, dirigendosi verso la macchina posteggiata dal lato opposto
della strada, cercando le chiavi nella borsa, perennemente sepolte sotto un
mucchio di oggetti più o meno inutili.
In quel
momento accadde. Non fu niente di clamoroso, quasi si aspettava di vedere la
scena al rallentatore, come spesso facevano vedere nei film. Non successe
invece, e non riusciva neanche a capacitarsi di come potesse essere accaduto. Una
macchina era arrivata a tutta velocità da dietro l’angolo, investendo Jane in
pieno. A nulla era valsa la folle corsa in ospedale, l’illusione che sarebbe
andato tutto bene, che sarebbe uscita dal coma in pochi giorni e tutto sarebbe
tornato come prima. Nell’esatto momento in cui sentì lo schianto –l’unica cosa
che ricordava ancora con chiarezza- seppe che i suoi sogni erano spezzati per
sempre, proprio come la vita della ragazza che giaceva ormai immobile
sull’asfalto, un beffardo accenno di sorriso sul volto e gli occhi spalancati,
a fissare il cielo, immenso e irraggiungibile, sopra di loro.
«Since
you've gone I been lost without a trace
I dream at night I can only see your face
I look around but it's you I can't replace»
Al
ricordo di quegli occhi spalancati sempre più spesso si sovrapponevano quelli
verdi di Emma, ora gonfi di lacrime a stento trattenute. Ricordare quei momenti
gli faceva ogni volta sempre più male: si sentiva
vuoto, disperso nel suo personale tormento, solo, incazzato col mondo, con se
stesso, col pirata che se l’era portata via. Non che non fosse un ragazzo
forte, ma non riusciva proprio a rispondere a delle domande che, lo sapeva,
risposte in verità non ne avevano.
«
Sono stanco. Stanco di cercare qualcosa che non c’è. Sono stanco di rimanere al
timone di una nave che sta rapidamente naufragando.»
le disse. La frase gli uscì di getto, non sapeva nemmeno se lei avrebbe capito. Emma, dal canto
suo, spalancò gli occhi, attonita e colpita da quelle parole. Era quanto più si
avvicinava alla prima vera richiesta di aiuto che lui le aveva mai fatto. Da
due anni a questa parte, i loro discorsi erano stati soltanto frasi a metà,
tanti silenzi ed emozioni non dette.
Contemporaneamente,
fecero un passo, uno verso l’altra: a separarli soltanto
pochi metri.
Nell’aver
pronunciato quelle ultime due frasi, Thomas sembrava aver perso tutto
l’ossigeno necessario per riuscire a respirare correttamente.
Emma non sapeva
più come doveva comportarsi, come interpretare quello che lui le aveva
faticosamente detto. Sì, lei era perdutamente innamorata di lui –questo avrebbe
potuto capirlo anche un pazzo, semplicemente guardandola negli occhi in
presenza del ragazzo- ma non voleva più stare a guardare, mai più. Non voleva
farsi scivolare dalle mani la vita che la attendeva fuori da quel maledetto
negozio e lontano dal suo proprietario. Aveva covato per mesi il desiderio di
vederlo rinascere, di vederlo sorridere almeno una volta nella sua direzione,
come aveva fatto tante volte, prima della fine. Si sentiva maledettamente
egoista a pensarlo ma lei era decisa ad abbandonarlo. Lasciare baracca e
burattini al suo destino, di fuggire lontano, prendere il primo treno disponibile
e farsi una nuova vita, perché lì dentro le sembrava soltanto di esistere. Era
schifosamente vigliacca, anche quando gli rivolse la schiena, abbandonandolo
là, in bocca un respiro e le sue frasi riecheggianti in testa.
Quel suo
voltarsi fece sì che accadesse. In quel preciso istante Thomas si rese conto
che stava perdendo anche quella minima speranza di vita che gli era rimasta,
quel minuscolo filo che collegava il suo tormento alla vita, quella vera. Non
sapeva che cosa sarebbe accaduto in seguito, in quel momento non era a
conoscenza di nulla, ma fu solo questione di pochi secondi, e poi decise di
fare quello che in realtà non si aspettava nessuno, lui per primo. Colmò la
poca distanza fra di loro afferrandole un braccio.
Percepì appena un sussulto al suo tocco. La fece voltare.
«Ti
prego, rimani.» le disse, guardandola negli occhi.
« Ci
ho provato, ho provato a starti accanto, a sopportare i tuoi maledetti silenzi,
e senza nessun risultato. Perché? Perché dovrei farlo ancora?» gli risposte tra le lacrime, in realtà per niente convinta.
Quello
che successe dopo fu confuso, strano, inaspettato, atteso. La pioggia
finalmente aveva smetto di battere sulle finestre e con sé aveva portato via
anche i dolorosi ricordi. Due ragazzi tanto diversi, con occhi che raccontavano
storie e vite diverse si trovarono nel bel mezzo di un market, in piedi e
abbracciati, a provare di rimettersi in piedi,
ricostruire le proprie vite.
Sulle
labbra una promessa e una speranza.
«I
feel so cold and I long for your embrace
I keep crying baby, baby please!
I'll be watching
you.
»
ashtray.
Questa os partecipa
al contest ‘write your song(fic)’ indetto dal bec’s stories.
Mi ritrovo senza parole. Nella mia ultima
storia dicevo di non essere pronta a scrivere di nuovo, e invece grazie a
questo contest ( e a Bea, che mi ha ‘esortato’ a partecipare (: ) sono riuscita
finalmente a riempire un po’ di fogli di word. Certo è che per leggere questa os bisogna premurarsi di una bella dose di coraggio e avere
tanta felicità in corpo, per non deprimersi troppo (mi sa che questo
avvertimento avrei dovuto metterlo all’inizio ma vabbè). Sì, sono consapevole
di straparlare –di cose inutili tra l’altro- dunque mi eclisso. A breve, credo, i risultati del contest.
La canzone è Every breath you take,
Police.
Turchese.
Edit:
sono usciti i risultati del contest (Y).
Io sono
arrivata prima e non so assolutamente che dire se non grazie, di tutto davvero.
Di seguito
il giudizio:
Ci hai lasciato
davvero senza parole. La tua OS è stupenda, è piaciuta ed è stata proposta come
prima classificata da tutte e tre: è scritta bene, lascia qualcosa dopo averla
letta, è coinvolgente e coerente con il testo e il tono della canzone. Ci hai
reso partecipi della vita di quest’uomo, ci hai fatto provare il suo dolore per
la morte di Jane, il suo sentirsi completamente vuoto, la paura che prova
quando capisce che anche Emma sta per uscire dalla sua vita. Abbiamo apprezzato
molto il fatto che fra i due protagonisti non ci siano state eccessive
smancerie: sarebbero state del tutto fuori luogo, il finale è assolutamente
perfetto così com’è, delicato, un nuovo inizio per entrambi. Lo stile è curato,
non sono presenti errori di grammatica ed il lessico è estremamente descrittivo
e articolato. Il testo è chiaro, scorrevole, non è stato necessario rileggere
più volte una frase per capirne il significato. Bene, direi che oltre a questo
non c’è molto altro da dire, se non complimenti. Al prossimo contest,
ovviamente. (: