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Autore: teardrops    02/11/2011    6 recensioni
Emma lo sapeva, dentro di sé sapeva che in quanto lui le aveva detto giorni, settimane prima non c’era nulla di vero. E la porta chiusa con forza dietro di sé alle parole di quella vecchietta indisponente era stata la conferma. Non aveva superato niente lui, non era riuscito ad andare avanti. Il tempo si era fermato a quel giugno di due anni prima, lui era rimasto fermo sul ciglio di quella strada, ad aspettare che qualcuno venisse a recuperarlo, a tirarlo fuori dal baratro in cui lentamente stava scivolando.
PRIMA CLASSIFICATA al contest 'write your song(fic)' indetto dal bec's stories.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche quella mattina pioveva

Changing (every breath you take).

 

 

Quel pomeriggio pioveva. Pioveva tutti i giorni, dopo l’inizio della fine.

Ogni goccia che cadeva sull’asfalto, ogni passo scandiva il tempo che inesorabilmente passava, ogni battito del cuore che ormai non sentiva più nel petto. Camminava lentamente lungo il marciapiede, l’ombrello che lo riparava dall’acquazzone, che lo nascondeva al mondo.

Erano le sedici esatte, e lui non aveva fretta. Non ne aveva più ormai. I rami di cespugli incolti gli graffiavano la superficie liscia dell’impermeabile bagnato di pioggia. Un lampo di luce squarciò il cielo e, immediatamente dopo, il rombo di un tuono disturbò la quiete di quel quartiere di periferia, della vita dei suoi abitanti, che al riparo nelle loro case continuava a vivere, senza vederlo, senza ricordare nemmeno più quel giorno di due anni fa.

Ma doveva prevederlo. Gli uomini guardano, vivono, e dimenticano tutto, prima o poi. E promettono anche. Si arrischiano a pronunciare quel –per sempre-, a sussurrarlo, a urlarlo contro il cielo, a scriverlo in una lettera, in un messaggio, e poi? Poi, le promesse si spezzano, nel momento esatto in cui gli indici che avevano sfiorato le sue labbra nel dirgli quel lo prometto si sono allontanate. E lui ha smesso di credere, in tutto.

Camminava ancora, incurante di ciò che accadeva intorno alla sua figura quasi fradicia, nonostante l’ombrello, minuscolo e a quel punto inutile. Un gatto attraversò la strada di corsa, facendo sbandare leggermente la macchina che sbucava in quel momento da dietro l’angolo. Il rumore del clacson lo distrasse dai suoi pensieri, sconnessi ma unilaterali, e si rese conto di essere quasi arrivato alla meta, quando invece pensava di dover camminare all’infinito. Alzò lo sguardo sul negozietto che aveva davanti. Un’insegna lampeggiante ronzava sopra la vetrina, illuminando i vari poster, attaccati contro il vetro meticolosamente. Al si là di questi, due occhi verdi lo guardavano. Non sapeva dire esattamente come, non era mai stato bravo a leggere le persone dentro. Sapeva soltanto che quegli occhi erano come un tonfo nello stomaco, ogni volta che li incrociava vedeva un lampo simile a quello di pochi momenti prima. Ovviamente neanche su questo sapeva darsi una spiegazione. O forse, non voleva semplicemente pensarci, formulare ipotesi. Infondo non valeva nemmeno più la pena, no? Non ne vedeva più la ragione. E questo gli bastava.

Chiuse gli occhi, sospirò per un attimo che sembrò infinito, si ravvivò i capelli che ormai erano cresciuti a dismisura e poi entrò. Ancor prima del ridicolo scampanellio dello scacciapensieri, il suo profumo avvertì la ragazza all’interno del locale che una nuova giornata aveva inizio.

 

 

«Every breath you take
Every move you make»

 

 

 

Se fosse stato un giorno qualsiasi di qualche anno prima, entrando nel negozio avrebbe sicuramente risposto con cordialità ai saluti dei clienti che si servivano dagli scaffali, magari con qualcuno si sarebbe pure intrattenuto un po’, non negando certamente loro qualche parola di cortesia. Forse avrebbe pure aiutato la signora Corinne a prendere quel qualcosa che le serviva e che era troppo in alto per la sua statura.

Ma quelli erano altri tempi, altri giorni.

L’unica cosa che intendeva fare era posizionarsi alla sua scrivania, nell’ufficio dietro la porta infondo, e gestire la contabilità. O qualunque altra cosa fosse necessaria per mandare avanti il negozio. Semplicemente concentrarsi su quell’agglomerato di parole e cifre e non pensare. Passò davanti alla cassa, limitandosi a guardare ancora quegli occhi verdi, che lo fissavano a loro volta con intensità, ignorando tutto il resto, mentre il resto sussurrava alle sue spalle parole di commiserazione e indignazione insieme. Non che lui non sentisse queste voci: il fatto era che non lo scalfivano nemmeno più, gli scivolavano addosso proprio come poco prima aveva fatto l’acqua sul suo impermeabile. Quando, però, una voce che non riconobbe proruppe in un « Poverino, dovrebbe trovarsi una nuova fidanzata » non potè proprio evitare di sbattere con forza la porta dietro di sé, e fremere di rabbia, riuscendo a calmarsi soltanto sedendosi e respirando affondo.

 

«Every move you make
Every vow you break
Every smile you fake
Every claim you stake»

 

 

Emma lo sapeva, dentro di sé sapeva che in quanto lui le aveva detto giorni, settimane prima non c’era nulla di vero. E la porta chiusa con forza dietro di sé alle parole di quella vecchietta indisponente era stata la conferma. Non aveva superato niente lui, non era riuscito ad andare avanti. Il tempo si era fermato a quel giugno di due anni prima, lui era rimasto fermo sul ciglio di quella strada, ad aspettare che qualcuno venisse a recuperarlo, a tirarlo fuori dal baratro in cui lentamente stava scivolando. Forse, era arrivato il momento per provare a farlo. Aspettò qualche minuto, il tempo necessario perché si svuotasse il negozio e poi andò a bussare alla porta, non sapendo bene neanche cosa dire. Aveva passato parecchio tempo ad un discorso da fare, alle parole giuste da dire per salvarlo, e invece ogni volta le uscivano soltanto frasi di circostanza, vuote, inutili. Aveva comunque deciso di rischiare, a Thomas servivano delle parole per risvegliarsi, per tornare a vivere. E qualunque fossero, Emma era decisa a donargliene delle sue.

 

 

 

«How my poor heart aches with every step you take »

 

 

« Ehi capo, posso entrare?»

Sospirò, e poi le permise di entrare nel suo ufficio, nel suo tormento. Avrebbe dovuto immaginare che prima o poi lei si sarebbe fatta spazio, ci avrebbe quanto meno provato. Dal giorno dell’incidente Emma era stata una delle poche –o più probabilmente l’unica- ad esserci stata sempre, ad averlo chiamato, ad aver ascoltato con pazienza i suoi silenzi. Ma ora evidentemente aveva deciso di andare oltre ai silenzi, cosa che lui, forse, non era più in grado di fare.

Gli sorrise –no, non era compassionevole, come si sarebbe aspettato, ma semplicemente un sorriso- e poi iniziò con un fiume di parole di cui non riuscì a capire nemmeno la metà.

«Ehi, Emma, calma okay? Non riesco a capire niente.» la interruppe.

La ragazza diventò rossa e ammutolì. Tom capì di essere stato brusco e cercò di scusarsi ma non ci riuscì. Le parole non uscivano, non avrebbe saputo nemmeno come fare. Lei, d’altra parte, rimaneva immobile, scagliata contro la luce di un fulmine oltre la vetrata. Tremava un po’ e guardava il soffitto,non voleva che le lacrime scendessero giù. Era forte, lei, tanto quanto Jane era bella e fragile.

 



 

 

 

Jane era bella, da sempre. E là, immobile in fondo al vialetto,nel pieno sole di giugno, lo era molto più del solito. I capelli dorati le fluttuavano debolmente sulla schiena, creando meravigliosi giochi di luce. Nulla, però, a confronto dei suoi occhi azzurri che sembravano splendere di luce propria.

Era una continua sorpresa con lei, gli pareva di innamorarsi di nuovo ogni giorno, sempre per un dettaglio, una smorfia, dei gesti, un sorriso, degli sguardi diversi dai precedenti.

Quella mattina aveva deciso di uscire da casa più presto del solito, non perché non si fidasse della sua puntualità –impeccabile- ma più che altro perché aveva paura che sua sorella, logorroica e ritardataria cronica, le facesse fare ritardo alle prove dell’abito da sposa. Infatti, qualche settimana prima Tom le aveva chiesto di sposarlo e lei aveva accettato, buttandosi a capofitto nell’organizzazione.

Sarà tutto perfetto, gli ripeteva ogni sera, sfinita e accoccolata contro la sua schiena.

Jane si girò verso di lui, affacciato alla porta-finestra del salotto, la tazza di caffè in mano e il pigiama a righe blu e bianche. Un sorriso gli spuntò sulle labbra quando lei gli urlò « Torno presto, spero!» e poi incrociò le dita sulle labbra, a sigillare quel giuramento. Un ultimo sorriso e si voltò, dirigendosi verso la macchina posteggiata dal lato opposto della strada, cercando le chiavi nella borsa, perennemente sepolte sotto un mucchio di oggetti più o meno inutili.

In quel momento accadde. Non fu niente di clamoroso, quasi si aspettava di vedere la scena al rallentatore, come spesso facevano vedere nei film. Non successe invece, e non riusciva neanche a capacitarsi di come potesse essere accaduto. Una macchina era arrivata a tutta velocità da dietro l’angolo, investendo Jane in pieno. A nulla era valsa la folle corsa in ospedale, l’illusione che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe uscita dal coma in pochi giorni e tutto sarebbe tornato come prima. Nell’esatto momento in cui sentì lo schianto –l’unica cosa che ricordava ancora con chiarezza- seppe che i suoi sogni erano spezzati per sempre, proprio come la vita della ragazza che giaceva ormai immobile sull’asfalto, un beffardo accenno di sorriso sul volto e gli occhi spalancati, a fissare il cielo, immenso e irraggiungibile, sopra di loro.

 

 

«Since you've gone I been lost without a trace
I dream at night I can only see your face
I look around but it's you I can't replace»

 

 

 

Al ricordo di quegli occhi spalancati sempre più spesso si sovrapponevano quelli verdi di Emma, ora gonfi di lacrime a stento trattenute. Ricordare quei momenti gli faceva ogni volta sempre più male: si sentiva vuoto, disperso nel suo personale tormento, solo, incazzato col mondo, con se stesso, col pirata che se l’era portata via. Non che non fosse un ragazzo forte, ma non riusciva proprio a rispondere a delle domande che, lo sapeva, risposte in verità non ne avevano.

« Sono stanco. Stanco di cercare qualcosa che non c’è. Sono stanco di rimanere al timone di una nave che sta rapidamente naufragando.» le disse. La frase gli uscì di getto, non sapeva nemmeno se lei avrebbe capito. Emma, dal canto suo, spalancò gli occhi, attonita e colpita da quelle parole. Era quanto più si avvicinava alla prima vera richiesta di aiuto che lui le aveva mai fatto. Da due anni a questa parte, i loro discorsi erano stati soltanto frasi a metà, tanti silenzi ed emozioni non dette.

Contemporaneamente, fecero un passo, uno verso l’altra: a separarli soltanto pochi metri.

Nell’aver pronunciato quelle ultime due frasi, Thomas sembrava aver perso tutto l’ossigeno necessario per riuscire a respirare correttamente.

 

 

 

Emma non sapeva più come doveva comportarsi, come interpretare quello che lui le aveva faticosamente detto. Sì, lei era perdutamente innamorata di lui –questo avrebbe potuto capirlo anche un pazzo, semplicemente guardandola negli occhi in presenza del ragazzo- ma non voleva più stare a guardare, mai più. Non voleva farsi scivolare dalle mani la vita che la attendeva fuori da quel maledetto negozio e lontano dal suo proprietario. Aveva covato per mesi il desiderio di vederlo rinascere, di vederlo sorridere almeno una volta nella sua direzione, come aveva fatto tante volte, prima della fine. Si sentiva maledettamente egoista a pensarlo ma lei era decisa ad abbandonarlo. Lasciare baracca e burattini al suo destino, di fuggire lontano, prendere il primo treno disponibile e farsi una nuova vita, perché lì dentro le sembrava soltanto di esistere. Era schifosamente vigliacca, anche quando gli rivolse la schiena, abbandonandolo là, in bocca un respiro e le sue frasi riecheggianti in testa.

 

 

 

 

Quel suo voltarsi fece sì che accadesse. In quel preciso istante Thomas si rese conto che stava perdendo anche quella minima speranza di vita che gli era rimasta, quel minuscolo filo che collegava il suo tormento alla vita, quella vera. Non sapeva che cosa sarebbe accaduto in seguito, in quel momento non era a conoscenza di nulla, ma fu solo questione di pochi secondi, e poi decise di fare quello che in realtà non si aspettava nessuno, lui per primo. Colmò la poca distanza fra di loro afferrandole un braccio. Percepì appena un sussulto al suo tocco. La fece voltare.

«Ti prego, rimani.» le disse, guardandola negli occhi.

« Ci ho provato, ho provato a starti accanto, a sopportare i tuoi maledetti silenzi, e senza nessun risultato. Perché? Perché dovrei farlo ancora?» gli risposte tra le lacrime, in realtà per niente convinta.

Quello che successe dopo fu confuso, strano, inaspettato, atteso. La pioggia finalmente aveva smetto di battere sulle finestre e con sé aveva portato via anche i dolorosi ricordi. Due ragazzi tanto diversi, con occhi che raccontavano storie e vite diverse si trovarono nel bel mezzo di un market, in piedi e abbracciati, a provare di rimettersi in piedi, ricostruire le proprie vite.

Sulle labbra una promessa e una speranza.

 

 

«I feel so cold and I long for your embrace
I keep crying baby, baby please!

 

 


I'll be watching you. »

 

 

 

 

 

 

 

ashtray.

 

Questa os partecipa al contestwrite your song(fic)’ indetto dal bec’s stories.

 

Mi ritrovo senza parole. Nella mia ultima storia dicevo di non essere pronta a scrivere di nuovo, e invece grazie a questo contest ( e a Bea, che mi ha ‘esortato’ a partecipare (: ) sono riuscita finalmente a riempire un po’ di fogli di word. Certo è che per leggere questa os bisogna premurarsi di una bella dose di coraggio e avere tanta felicità in corpo, per non deprimersi troppo (mi sa che questo avvertimento avrei dovuto metterlo all’inizio ma vabbè). Sì, sono consapevole di straparlare –di cose inutili tra l’altro- dunque mi eclisso. A breve, credo, i risultati del contest.

La canzone è Every breath you take, Police.

Turchese.

 

 

Edit: sono usciti i risultati del contest (Y).

Io sono arrivata prima e non so assolutamente che dire se non grazie, di tutto davvero.

Di seguito il giudizio:

 

Ci hai lasciato davvero senza parole. La tua OS è stupenda, è piaciuta ed è stata proposta come prima classificata da tutte e tre: è scritta bene, lascia qualcosa dopo averla letta, è coinvolgente e coerente con il testo e il tono della canzone. Ci hai reso partecipi della vita di quest’uomo, ci hai fatto provare il suo dolore per la morte di Jane, il suo sentirsi completamente vuoto, la paura che prova quando capisce che anche Emma sta per uscire dalla sua vita. Abbiamo apprezzato molto il fatto che fra i due protagonisti non ci siano state eccessive smancerie: sarebbero state del tutto fuori luogo, il finale è assolutamente perfetto così com’è, delicato, un nuovo inizio per entrambi. Lo stile è curato, non sono presenti errori di grammatica ed il lessico è estremamente descrittivo e articolato. Il testo è chiaro, scorrevole, non è stato necessario rileggere più volte una frase per capirne il significato. Bene, direi che oltre a questo non c’è molto altro da dire, se non complimenti. Al prossimo contest, ovviamente. (:

 

   
 
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