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Autore: RIP    05/11/2011    2 recensioni
Cosa lega il fornaio Neil con l'affascinante Signora T.?
e, soprattutto, che fine hanno fatto i clienti di questa donna misteriosa?
La risposta è tutta da gustare...magari racchiusa nel croccante involucro di un pasticcio di carne al "Niel's Pies Shop"
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero chino sul tavolo da lavoro, illuminato solo da un piccolo lume che gettava ombre cupe lungo le sudice pareti della mia oscura cantina.
Con un ritmo forte e deciso lavoravo l’impasto che man a mano si modellava nell’apposito contenitore di legno, le mie mani si muovevano velocemente e, quasi con un gesto meccanico regolato da un orologio psichico, la mano destra s’alzava fino a prendere la brocca d’acqua sopra la mensola mentre la sinistra era impegnata a cospargere la farina sull’ammasso di pasta per amalgamare il tutto.
Era un lavoro a cui ero abituato e che, solitamente, m’annoiava a morte, ma da quando tutto era cambiato, da quando il mio negozio aveva...come dire.. “cambiato fornitore”, tutta la mia vita era stata assalita dall’ansia e dal terrore.
Era come se qualcuno avesse cucito sulla mia pelle piccoli sassi, incastrati in qualsiasi parte del corpo, dovevo sopportare il peso delle pietre ogni giorno, dovevo compiere ogni singolo movimento dettato dallo sforzo, era per questo che ogni volta che mi ritrovavo in quella lugubre cantina, ad ammassare, non potevo far a meno di tremare per il terrore, ogni tanto giravo il viso dietro le spalle in preda al nervosismo, sentivo il mio cuore iniziare a battere forte ed il sangue pompato che sprizzava su e giù per le mie vene; osservavo il muro, una parete ammuffita con lastroni di pietra incastonati e aspettavo che qualcuno dall’altra parte bussasse. Quel “qualcuno”, purtroppo, era la causa di tutte le mie angosce.
Mi girai una prima volta, poi un’altra e un’altra ancora...guardavo il lastrone di pietra più grande, aspettavo quel rumore...dopodiché posavo lo sguardo sul orologio da taschino appoggiato sul tavolo, “E’ ancora presto..”, mormoravo...così  mi scrollavo le mie paure di dosso e, per un momento, ricominciavo a lavorare sull’impasto.
 
Alla fine la persona arrivò.
Anche se qualcosa mi diceva che era giunta l’ora del nostro incontro non riuscii a reprimere un sobbalzo quando sentii quei tre tocchi, quei tocchi secchi e tetri; anche se in un certo senso avevo aspettato questo momento non riuscivo a capacitarmi che adesso dovevo vedermi fisicamente con il soggetto in questione, restai per un po’ immobile ad osservare la massa gonfia dell’impasto che adesso avevo coperto con un canovaccio...dovevo farlo...era diventato il mio lavoro adesso.
Sospirai, poi presi una lama affilata dal mio piano da lavoro...era ancora sporca di lardo...pulii il coltello con un canovaccio e poi lo infilai nella fondina di cuoio che tenevo incastrata all’interno dei miei folti capelli castano scuro.
Dopo queste operazioni mossi qualche passo verso il muro di pietra, non so perché ma il peso del coltello che incombeva sulla mia testa mi rassicurava...mi fermai...infilai le mie dita nell’incavo vuoto che c’era fra una pietra e l’altra e con un colpo secco e deciso tirai la pietra verso di me, dal grosso buco nel muro si poteva scorgere una stanza, grande, buia, angusta...al centro della stanza c’era una sagoma, una donna alta ed esile, posai il lastrone di pietra per terra; -Sto venendo signora T.- dissi e m’addentrai nella stanza oscura.
 
L’unica luce che illuminava la stanza era quella che scaturiva dal lume dalla mia cantina, mossi un passo nella penombra allungando un braccio verso la sagoma femminile...nella stanza c’era un fetore orribile che si strinse come una tenaglia attorno al mio stomaco, riuscii a trattenere con grande fatica un conato di vomito.
Naturalmente ciò non sfuggì alla mia Signora che rise di gusto mentre afferrava la mano che gli avevo teso e mi guidava verso di se -Credevo ti fossi abituato Neil...- aggiunse in tono civettuolo...-Ormai è il tuo lavoro caro- accentò con malizia la parola lavoro, lo faceva sempre...sapevo che era solo una tattica per farmi sentire colpevole, ma nonostante ciò non riuscivo a reagire alla sua provocazione, era la sua influenza che gravava su di me come una spada affilata, pronta ad infilzarmi...influenza causata dall’attrazione che provavo per lei...ma forse anche dalla paura; abbassai la testa e senza guardarla negli occhi mormorai -Certo...- ero in suo potere ormai...non doveva far altro che comandarmi qualcosa affinché acconsentissi...ero il suo schiavo, il suo cane...qualcosa che manipolava a suo piacimento.
-Cosa mi hai portato oggi...tesoro?-
-Mmh...carne succulenta ovviamente- notai nella penombra che si stava leccando il labbro superiore -...fresca, di giornata...ma, soprattutto, tenera e saporita.
-Ed...il cliente è....?- domandai impassibile; lei sorrise mi prese per mano e mi condusse in un angolo remoto della stanza.
Accasciato a terra, circondato da scheletri umani e chiazze di sangue secco, vi era il corpo senza vita del reverendo Priest.
Sbiancai in volto, iniziai a tremare convulsamente e portai le mani alla bocca, dietro di me la signora T. rideva, mi mise una mano sulla spalla e mi sussurrò nell’orecchio -Si...io ed il reverendo ci siamo divertiti molto stasera...non era la prima volta che commetteva questo genere di peccati però...- rise di nuovo.
Deglutii a fatica e imposi a me stesso di smetterla di tremare come un fuscello, -Correvano...delle voci...- riuscii a dire
-...povera canaglia...- disse lei, assestandogli un colpetto con la punta del piede nudo -...comunque...peccati della carne o no...è comunque fresca...- disse, poi mi prese il volto fra le mani e avvicinò le nostre bocche, riuscii a scorgere sul suo mento una piccola macchia rossa che, gocciolando, era scesa fino al collo -Ti lascio al tuo lavoro- sussurrò e, sorridente, usci dalla stanza buia.
 
Per un po’ rimasi lì, immobile, in preda al panico più assoluto.
Una lacrima mi rigò il volto, stava per scenderne un’altra quando chiusi gli occhi e la ricacciai indietro...il mio corpo fu scosso da un tremore poi mi fermai di nuovo.
Con cautela mi accasciai sul cadavere e cominciai ad esaminarlo, la modalità dell’omicidio era sempre la stessa, un taglio netto e deciso alla gola, i vestiti del reverendo erano fuori posto, segno evidente che il rapporto con la signora T. non era durato granché, a quanto pare la mia signora non si divertiva abbastanza.
Estrassi il coltello dai miei capelli e cominciai a tagliare i vestiti del reverendo Priest, era stato un uomo corpulento quand’era in vita, di sicuro avrei potuto preparare un centinaio di pasticci con tutta quella carne, forse anche di più.
Senza esitazioni, cominciai a squartare il corpo...in fondo, adesso, era questo il mio lavoro.
 
 
 
 
 
 

   
 
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