Capitò a lui,
come a molti altri,
di sentire quel brivido corrergli su per la schiena, proprio
lì in mezzo
all’attaccatura delle sue ali. Un brivido forte, potente, uno
di quelli che
raramente si percepivano.
Si
era affacciato alla finestra e
aveva visto moltissime scie luminose, intrecciandosi e sciogliendosi
come i
fili di una matassa, andare tutte verso la stessa direzione: angeli.
Non ne
aveva mai visti così tanti insieme, mai. Che cosa poteva
essere successo di
tanto grave?
Spinto
da quel brivido e dal suo
particolare istinto, posò un bacio sulla fronte della sua
protetta e poi seguì
i suoi simili, accodandosi al gruppo. Presto, però, si rese
conto di non essere
l’ultimo arrivato: man mano che sorvolavano i quartieri, le
periferie, le città,
le grandi metropoli, altri angeli – custodi e non solo
– si univano al grande
gruppo.
Si
ritrovò accanto ad una ragazza
dai lunghi capelli biondi e gli occhi verdi, sul viso
un’espressione
leggermente preoccupata. Lei si accorse del suo sguardo insistente ed
accennò
un sorriso, chiedendogli come si chiamasse.
«Franky»,
rispose, con lo sguardo
un po’ perso. «Dovrei fartela io questa domanda
ora, ma la verità è che vorrei
soltanto sapere dove stiamo andando tutti quanti e che cosa sta
succedendo».
La
ragazza si lasciò scappare un
sorriso amaro, mentre sul suo viso tornava l’espressione
tormentata che tanto
aveva attirato l’attenzione dell’angelo custode.
D’altronde, era proprio un tormento
quello che sentiva anche lui
dentro di sé, senza saperne il motivo.
Era certo che una volta arrivati
a destinazione avrebbe capito tutto, ma non era altrettanto sicuro di
voler
conoscere il perché si stessero muovendo tutti insieme,
perché tutti quegli
angeli servissero in un unico posto, perché tutti fossero
così tristi,
preoccupati, tormentati, addolorati. No, non ne era affatto sicuro.
Il
viaggio non durò molto e già
nelle vicinanze della loro destinazione, Franky percepì un
odore intenso e un
senso di inquietudine ancora maggiore.
L’odore era quello della
salsedine e delle macerie, che non riusciva però a
nascondere quello ancora più
fine ma allo stesso tempo intenso che tutti loro riuscivano ad
identificare
come quello della morte, della paura e del dolore. E quantificandone la
forza,
sarebbero dovuti passare mesi, forse anni, prima che
quell’odore sparisse del
tutto.
Il
cuore gli schizzò in gola,
bloccandogli il respiro; lo stomaco gli si rivoltò e i suoi
occhi non poterono
far altro che accogliere dentro di sé tutta la distruzione e
la sofferenza che
stavano vedendo: un intero paese spazzato via dalla violenza del
terremoto e
poi dallo tsunami; case trascinate e spazzate via dall’acqua
come se nulla
fosse; famiglie, amori, vite distrutte; sogni, speranze…
c’erano ancora?
Potevano ancora esserci, nascoste da qualche parte sotto le macerie,
sotto
l’acqua sporca; oltre le grida e i pianti di disperazione,
oltre il silenzio?
La
biondina che aveva conosciuto
poco prima lo prese delicatamente per un gomito e lo
trascinò verso un
gruppetto di angeli radunati intorno ad un essere probabilmente
superiore a
loro, visto che stava spiegando come agire per aiutare e sostenere quel
popolo
che doveva reagire e rialzarsi.
Franky
ascoltò poco o niente,
troppo impegnato a guardare sotto di sé quello sfacelo di
case e costruzioni.
Era impressionante.
Gli parve di vedere qualcosa sul
tetto di una casa mezza affondata, aguzzò la vista e si
accorse che si trattava
di una mamma con il suo bambino in braccio. Se ne infischiò
della spiegazione
dell’angelo superiore e come al solito fece di testa sua,
precipitandosi a
terra per cercare qualcuno che potesse aiutare quelle due povere vite.
Alcuni angeli, tra cui la
biondina, l’avevano imitato, pensando subito ad agire
piuttosto che ad imparare
la teoria, e insieme riuscirono a trovare i primi soccorsi. Con i loro
poteri
li diressero verso quella madre col bambino e quando li portarono sul
posto
videro anche gli altri angeli del loro gruppo che stavano tenendo la
casa a
galla, per dare ai soccorsi il tempo necessario per salvare i due
feriti.
Franky
era rimasto tutto il tempo
accanto all’uomo che si era esposto di più al
pericolo pur di salvare i due
connazionali, gli aveva dato il coraggio e la forza per compiere
quell’impresa,
e aveva potuto vedere da vicino gli occhi pieni di spavento del
bambino, che
non ne aveva nemmeno voluto sapere di staccarsi dal collo della sua
mamma. Ma
in quegli occhi Franky era riuscito a vedere anche una piccola luce che
brillava nel buio dell’orrore. Vedendola, l’angelo
aveva sorriso commosso:
forse, se quella luce era sopravvissuta nonostante tutto quello che i
suoi
occhi avevano visto, la speranza aveva ancora qualche
possibilità di esistere
nelle menti, nei cuori e negli occhi di tutto quel popolo.
Quando tornò dalla
sua protetta,
la mattina del giorno seguente, era stremato. Tutti quanti avevano
lavorato
tantissimo – ed era solo l’inizio, – ma
ognuno dentro di sé aveva come la
sensazione di non aver fatto abbastanza per risollevare quegli animi
affranti,
addolorati e con un futuro così arduo di fronte agli occhi.
Entrò
dalla finestra della sua
camera e la guardò svegliarsi e spegnere la sveglia con un
gesto molle della
mano, alzarsi ed andare in bagno per lavarsi e cambiarsi, proprio come
tutte le
mattine.
Lui
barcollò fino al salotto,
passando per il corridoio, dove incontrò la propria immagine
riflessa in uno
specchio appeso alla parete.
Sentì ancora i brividi della
mattina precedente, vedendo l’espressione ferita degli occhi
verdi di fronte a
lui. Gli sembrò di rivedere in quegli occhi tutto
ciò che aveva visto nelle ore
precedenti, lo stesso dolore, la stessa profonda paura che potesse
accadere di
nuovo una cosa del genere, ma anche quella più semplice di
quel bambino che non
voleva lasciare il collo della sua mamma.
Quando realizzò che quegli occhi
erano i suoi, li chiuse e si lasciò andare ad un respiro
profondo, che gli fece
percepire ancora meglio il pesante macigno che aveva sul cuore e sulle
spalle:
quelle immagini e quelle emozioni non l’avrebbero mai
lasciato, mai.
La
sua protetta lo superò proprio
in corridoio e lui la seguì appoggiandosi al muro con la
mano, per poi
lasciarsi cadere su una sedia del tavolo della cucina, proprio accanto
a lei.
La guardò mentre salutava sua
madre e si preparava la colazione.
Con la sua tazza di latte e
cereali davanti, seguiva distrattamente il telegiornale: parlavano del
Giappone, del terremoto e dello tsunami che aveva distrutto tutto,
della stima
dei feriti e dei morti.
Franky
chiuse di nuovo gli occhi
per non vedere, ma fu quasi del tutto inutile: come aveva
già appurato, tutto
ciò che aveva vissuto nelle ore precedenti era stato
marchiato a fuoco sulla
sua anima, non avrebbe mai potuto non vedere.
«Che
catastrofe», mugugnò la sua
protetta, abbassando lo sguardo, pensando ciò che avrebbe
pensato chiunque: Se
fosse successo a noi, che cosa avremmo
fatto? Bisogna aiutarli, hanno bisogno di tutto l’aiuto
possibile…
L’angelo
le accarezzò la guancia,
sorridendo lievemente, mentre una lacrima gli rigava il viso. La
ragazza però
si alzò ed andò a mettere nel lavandino la sua
tazza vuota, per poi correre in
camera sua per prendere lo zaino: era in ritardo per andare a scuola.
Franky
rimase lì fermo con la
mano a mezz’aria, sconcertato.
«Ciao
mamma, ci vediamo dopo!»,
gridò la ragazza e si sbattè la porta alle spalle.
La
madre ricambiò il saluto, lavò
la tazza della figlia, poi spense la televisione ed uscì
dalla cucina,
spegnendo la luce.
L’angelo,
ancora lì, al buio,
abbassò finalmente la mano e nascose il viso fra le braccia
incrociate sul
tavolo.
La
vita, purtroppo o per fortuna,
continuava.
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