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Autore: micho    07/11/2011    1 recensioni
Ricordate le squadre di Assassini sparse per il mondo di cui si accennava nelle emails di Brothethood? Mi è venuta voglia di parlare un po' di loro. E' un esperimento, non so cosa ne verrà fuori e neanche se riuscirò a proseguire.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GIULIA
 
La porta laterale dell’abbazia era aperta e i cardini perfettamente oliati. Ad Alex bastò appoggiare la mano sulla maniglia e fummo dentro. Dopo il buio compatto e il freddo delle ultime ore della notte, il fioco bagliore delle poche candele sembrò quasi scaldarmi.
-Sbrighiamoci.- sussurrò Alex.
-Tra poco ci sarà luce.-
Ci dirigemmo sicuri dietro l’altare, dove una scala a chiocciola chiusa solo da una catenella e da un cartello si arrampicava verso il soffitto a capriate. Il cartello recitava: “RIPARAZIONI IN CORSO VIETATO L’ACCESSO AI NON ADDETI AI LAVORI”.
Scavalcammo quell’esile barriera e percorremmo la scala rapidi e in silenzio, raggiungendo la botola che conduceva sul tetto. Con un tronchese prontamente estratto da una tasca interna della giacca Alex tagliò il debole lucchetto che la bloccava e uscimmo all’aperto su uno stretto pianerottolo. Le ringhiere che proteggevano il camminamento sul margine del tetto fino al campanile erano state smontate e sostituite da precarie barriere in legno la cui sicurezza lasciava molto a desiderare, ma quella non era la strada che noi dovevamo seguire. Posammo i piedi sulle tegole malferme e ci dirigemmo a passo leggero e spedito verso il colmo del tetto, tenendoci bassi per l’ultimo tratto di salita, fino a sdraiarci sullo spiovente.
Il cielo si andava ormai schiarendo.
Alex si sfilò lo zaino dalle spalle e lo aprì mentre io facevo lo stesso col mio. Lui estrasse un potente binocolo e scrutò in lontananza appoggiando i gomiti sul colmo, io tirai fuori una valigetta scura e l’aprii. Il silenzio era interrotto solo dal rumore delle parti del fucile di precisione che stavo assemblando che si incastravano una nell’altra. Avevo ripetuto quell’operazione centinaia di volte anche nella più completa oscurità, con il cronometro spietato di Alex che misurava ogni mio progresso.
-Pronta.-
L’appoggio era saldo nonostante la superficie non fosse delle migliori. Accostai l’occhio al mirino e posai il dito sul grilletto.
-Bersaglio.- disse Alex.
-652 metri. Visuale libera.-
La sagoma si trovava sul tetto di una cascina, aveva forma umana e la brezza la faceva ondeggiare leggermente. Rallentai il respiro e lo approfondii, rilassando i muscoli ad ogni espirazione, finché l’unica parte in tensione del mio corpo fu il dito che tenevo a contatto col grilletto. Espirai un’ultima volta e mirai, contando nella mia mente i secondi di apnea. Quando il mio dito si contrasse ero arrivata a cinque. L’arma silenziata produsse uno sbuffo soffocato.
-Confermato.- disse Alex.
-Nuovo bersaglio.- aggiunse poi.
-Indietro. Dodici gradi a sinistra.-
-598 metri. Visuale libera.-
Respiro, rilassamento, mira.
-Confermato. Nuovo bersaglio. Avanti. Ventuno gradi a destra.-
Nel mirino vidi solo un fienile abbandonato, con una macchina parcheggiata davanti. Non c’era proprio nulla che potessi identificare come bersaglio.
-703 metri. Non ho visuale.- non sapevo che altro dire.
-Aspetta.-
Aspettai, sforzandomi di dominare la tensione che sentivo mi stava afferrando. Aspettai , finché un’altra macchina non entrò nella mia visuale, trascinandosi dietro una nuvola di polvere. Non accadde nulla per un paio di minuti, la polvere ricadde al suolo, poi la portiera si aprì e un uomo scese.
La voce di Alex mi entrò nel cervello come una lama gelida.
-Bersaglio.-
 
 
 
Anche l’alba ha un suo crepuscolo, che la precede invece di seguirla. Si porta via gli strascichi della notte ed è carico di una tensione che si dissolve allo spuntare del sole.
Dopo colazione Gea mi ha messo in mano un vassoio con sopra un’enorme tazza di caffè e un cornetto scaldato nel tostapane.
-Porta questo a Davide, per favore. È sveglio da ore. Lo trovi nel fienile.-
L’aria è fredda e nella penombra immobile tutti i colori hanno una sfumatura uniforme. Non c’è un alito di vento. Affretto il passo verso il fienile, con la ghiaia che scricchiola sotto i miei piedi. Quando arrivo a destinazione sono intirizzita e il mio fiato si condensa mescolandosi col vapore del caffè bollente.
Spingo il battente con la spalla e quello che mi trovo davanti mi lascia decisamente interdetta.
-E’ un….?-
-Ultraleggero. Pendolare a due posti. Caffè?-
Davide butta la chiave inglese nella cassetta degli attrezzi e viene verso di me fissando la tazza con occhi bramosi. L’afferra e trangugia due sorsi.
-Grazie, ne avevo bisogno.-
Allunga la mano verso il cornetto, ma sottraggo il vassoio dalla sua portata, notando il grasso che gli imbratta le dita.
-Non c’è un rubinetto qui?- chiedo.
Lui sembra pensarci un attimo.
-No.- risponde poi.
-Oh…-
Mi sfilo un guanto con i denti, prendo il cornetto e glielo porgo. Ne stacca un morso e mastica soddisfatto, mentre il mio sguardo torna a posarsi sul velivolo che ingombra il fienile. L’ala ricorda molto quella di un deltaplano, e pur essendo più grande appare comunque fragile e delicata, è sospesa con tubi e tiranti sopra un carrello a tre ruote che ospita due sedili uno dietro l’altro, ancora più indietro si trova un’elica.
-Non hai paura di volare, vero?- chiede Davide afferrandomi il polso per poter addentare l’ultimo boccone di cornetto.
-No, ma certo non ho idea di che effetto faccia farlo su un affare del genere.-
-E’ molto divertente, di sicuro, sì. Non come il volo libero, lì ti senti davvero come un uccello, ma con un motore puoi essere sicuro della durata del volo, cioè finchè non finisci la benzina. E visto che la capienza del serbatoio è un dato noto …-
Poso il vassoio per terra e mi avvicino per toccare l’ala che è di un colore grigio azzurro.
-Tu lo sai guidare?-
-Sì, certo.-
Mi volto verso di lui e incontro il suo sorriso.
-Mi sembra di capire che non vedi l’ora di provare.- dice.
-In effetti mi incuriosisce molto la cosa.-
-Bene, perché ho giusto in programma un volo di prova.-
-E da dove pensi di decollare, scusa?-
-C’è un enorme campo abbandonato ai piedi della collina, credo che ci coltivassero il grano una volta. Bastano meno di cento metri per prendere il volo. L’unica rottura è che dovrò smontare l’ala, caricarlo sul pick up e portarlo fino là.-
-Ti aiuto io.-
Davide getta uno sguardo sulle mie mani bendate.
-Ti fanno male?-
-Non granché.- rispondo con un’ombra di fastidio.
-Zoppicavi ieri.-
-Va molto meglio oggi.-
-Che ti è successo? Se posso chiederlo.-
-Una grondaia non ha retto il mio peso.-
Lui mi squadra per un attimo.
-Non sembri molto pesante.-
-Infatti, doveva essere già rotta, la stronza.-
Si fa una risata. Vedere l’ironia della situazione fa scemare il mio risentimento per non essere al meglio.
-E tu che hai combinato?- chiedo indicando la sua faccia.
-Un colpo di striscio. Pare che sia svenuto per trenta secondi. Una vera pena.-
Non posso fare a meno di ridere.
-Vediamo il lato positivo.- continua lui.
-E quale sarebbe?-
-Abbiamo le ali.-
 
Dopo aver caricato sul pick-up il carrello e l’ala smontata stretta in un’ingombrante involto legato con delle corde abbiamo raggiunto il campo, mentre il cielo assumeva una sfumatura perlacea.
Ora che il velivolo ha ripreso il suo aspetto originale, devo ammettere un brivido che si insinua lungo la mia schiena. Sto pensando alle implicazioni strategiche di un simile mezzo, quando sento il rumore di una macchina.
Mentre mi volto vedo Alex scendere dal nostro vecchio Defender al limitare del campo. Lo raggiungo.
-Solita marca, modello e calibro.- dice porgendomi il fucile.
Controllo l’otturatore. Ovviamente è scarico.
-Grazie, avevo in mente proprio questo.-
Alex sorride, vedo la solita calma sul suo viso, ma anche qualcosa di nuovo e inaspettato, una sorta di… appagamento? Mentre torno verso il campo, mi domando se non abbia a che fare con la sua sparizione di ieri sera, in contemporanea, guarda caso, con quella di Gea. Ma quale domanda… non ho dubbi in proposito. Non riesco a trattenere un sogghigno, che è la prima reazione degli allievi quando hanno una prova tangibile dell’umanità dei loro maestri.
-Allora è questa la tua specialità.- commenta Davide notando l’arma tra le mie mani e rivolgendo ad Alex un cenno di saluto.
-Nella squadra sono quella con la mira migliore.- è la mia risposta. È una risposta che tende a sminuire la mia capacità e suona come una specie di bugia, di falsa modestia che Davide percepisce, visto che mi rivolge uno sguardo obliquo che sembra chiedere:”Tutto qui?”
Visto che non ho intenzione di soddisfare la sua curiosità mi indica il sedile anteriore.
-Sali, forza. Allacciati la cintura e metti questo.- mi porge un casco e ne infila uno a sua volta.
Mentre mi sistemo sul sedile e incastro il fucile accanto a me, il brivido di poco fa torna ad arrampicarsi per la mia spina dorsale.
-Quanta esperienza hai fatto qua sopra?- chiedo voltandomi indietro.
-Non molta, ma il brevetto me l’hanno dato.-
Touchè…
Con la coda dell’occhio vedo Alex, che ha seguito il nostro scambio di battute, ridacchiare sotto i baffi, mentre Davide grida: -Via dall’elica!!!-
Con uno buffo di vapori di benzina il motore si risveglia. Sembra un tagliaerba. Sto per volare su un tagliaerba. Non è possibile.
Con il motore che sale gradualmente di giri, Davide molla i freni e dopo un attimo stiamo correndo sul campo a folle velocità, con le scarse sospensioni che non riescono ad attutire le asperità del terreno. Sembra che da un momento all’altro le ruote debbano staccarsi, e quando ci solleviamo da terra è come una liberazione. La differenza è la stessa che c’è tra la cartavetro e il velluto. Il piccolo pendolare si arrampica nel cielo con facilità e morbidezza e curva dolcemente sopra il casolare, permettendomi di notare i nostri compagni col naso all’insù.
La nostra rapida salita sta accelerando l’alba e il sole si affaccia sulle colline con velocità innaturale. La sua luce sembra avere il potere di scacciare almeno in parte il freddo del vento sferzante su mio viso, mentre contemplo sotto di noi la campagna morbida ancora in ombra.
-Allora?- la voce di Davide mi raggiunge attraverso l’interfono del casco.
-Mi piace molto.-
-Facciamo un giro.-
Riconosco il bivio, la strada sterrata che abbiamo percorso ieri e il cancello principale. Davide mi indica i confini. La proprietà è costituita da una collina, circondata a una quarantina di metri dalla base da una recinzione alta a occhio e croce due metri e mezzo. È grande, ma facilmente difendibile. Il casolare si trova sulla sommità della collina e dal suo tetto potrei tenere sotto tiro chiunque si stesse avvicinando, anche perchè gli alberi si trovano alla giusta distanza e non sono abbastanza alti da togliere visuale. Questo posto sembra essere stato progettato proprio per questo scopo, non dico che potrei tenerlo da sola, ma già solo in due ci si potrebbe riuscire. Sapere che siamo in dodici mi trasmette un idea di sicurezza.
Dal mio palco privilegiato osservo la luce del sole che striscia sulla terra restituendole i suoi colori e le sue ombre lunghe e scure. Mentre ci allontaniamo dalla proprietà, i campi ordinati, le fattorie, i filari di cipressi scorrono sotto di noi: è una natura plasmata dall’uomo, ma non per questo priva di una sua civilizzata bellezza.
È una sensazione di armonica potenza quella che sto provando, qualcosa di nuovo e un po’ sconcertante; mi sento piccola in questo grande cielo, ma forte di averlo in qualche modo conquistato, grazie a un’ala dall’apparenza fragile e al motore di un tagliaerba… le implicazioni strategiche sono finite in un cantuccio in fondo alla mia mente ed è lì che voglio lasciarle ancora per un po’. Mi rendo conto che per la prima volta da parecchio tempo mi sto godendo davvero qualcosa. Che c’è di male se per qualche minuto allontano il pensiero del dovere? Mi lascio sfuggire un sospiro, che raggiunge Davide attraverso l’interfono.
-Ti stai rilassando?- sento il sorriso nella sua voce.
-Sì.- sento il bisogno di confessare.
-E’ tanto che non lo faccio. Non so perché ci riesco proprio ora. Questi ultimi giorni sono stati così tesi. L’attacco, la fuga, la procedura, la caduta. Ho rischiato di non arrivare in tempo al rifugio, ho pensato che non ce l’avrei fatta, che non ero all’altezza.- mi domando perché sia così facile lasciarmi andare a queste ammissioni, con qualcuno tra l’altro, che è un perfetto estraneo per me, ma non riesco proprio a resistere.
- Avevo paura di farmi ammazzare, o di farmi prendere. Stavo fallendo miseramente, e questo tradiva le aspettative di Alex che aveva buttato il suo tempo con me.-
-Ti capisco. Ma non sei morta, non ti hanno presa e sei arrivata in tempo. E ora sei un’aquila un po’ rumorosa.-
Sorrido. Mi diverte l’idea dell’aquila rumorosa. Ti capisco, ha detto Davide e sento per istinto che non è una semplice frase consolatoria. La consapevolezza di aver subito una seppur piccola batosta ci accomuna e il disagio che questo sia accaduto proprio adesso ci avvicina.
La cinta muraria di Monteriggioni getta l’ombra delle sue torri sui campi ancora addormentati. Si può resistere, sta dicendo, basta essere fatti del materiale giusto ed essere costruiti con maestria.
Penso ai miei occhi che sanno vedere oltre, alla mia mira infallibile, al tempo e al sudore dell’addestramento. Materiale e costruzione. È come se mi fossi liberata di un peso. Penso che avrei potuto anche non portare il fucile. So, in questo preciso istante, che da quassù non mancherei un solo bersaglio, perché essermi staccata da terra acuisce in qualche modo i miei sensi e approfondisce la concentrazione, portando al massimo livello le mie capacità.
Alex mi ha insegnato a fidarmi dell’istinto, ma anche a pianificare con esasperante precisione. Appoggio la mano sul freddo metallo dell’arma incastrata accanto a me.
-Puoi fare un giro su quelle cascine laggiù? Vorrei provare a mirare. Dovrai tenerlo il più livellato possibile.-
-Andiamo.-
La pigra curva della nostra fragile ala ci conduce verso il nuovo obiettivo puntando per un attimo contro il sole.
Vorrei che questo volo non finisse mai.
 
 
Nota dell’autrice
Ebbene sì, non ho resistito alla tentazione di portare alla ribalta un piccolo discendente della macchina volante di Leonardo, complici la mia passione per il volo e “Flight over Venice 1”.
Se volete dargli un’occhiata:
http://digilander.libero.it/aeronauticaitaliana/delta1.jpg
  
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