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Autore: Hiromi    08/11/2011    6 recensioni
"Tesoro, è finita l'era dell'anti-innocenza: qui le persone girano come trottole ventiquattr'ore al giorno per lavorare, studiare, e per fare sesso - hai capito bene: Sesso! - Cupido è volato via dal condominio sdegnato e il principe azzurro per la disperazione è diventato gay!"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Mao, Mariam
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I used to be lunatic from the gracious days 
I used to be woebegone and so restless nights 
My aching heart would bleed for you to see 
No more "I love you's" 
The language is leaving me 
No more "I love you's" 
Changes are shifting outside the word 

 

No more I love you’s  - Annie Lennox

 

********************

 

 

“Sono due settimane che uscite e mi stai dicendo che ancora non sai cosa siete?”

 

Raùl abbassò lo sguardo, sentendosi un completo idiota. Mao aveva ragione ad usare quel tono, ma non poteva farci nulla: era nella sua indole essere insicuro. “Beh… Usciamo quasi ogni sera ormai, ci divertiamo tanto, ma non so se obbiettivamente io le piaccia.”

 

La cinese spalancò la bocca, prendendo a fissarlo malissimo. “Ma se giorni fa, all’inizio di tutto, vi siete dichiarati!” sbottò, ravviandosi i capelli con gesti nervosi. “Come diamine fai a dire che non le piaci se te l’ha detto lei?”

 

Lui arrossì. “Non lo so. E’ che dopo due settimane siamo arrivati a quel punto dove… Mmm… Dovrebbe scattare qualcosa, no?”

 

Mao sbuffò stancamente, appoggiando la testa sulla mano. “Ti prego, dimmi che l’hai baciata.” Quando il suo colorito divenne tutt’uno con i capelli, la ragazza non seppe se urlare o scoppiare a ridere. “Raùl! Si starà chiedendo che diamine c’è che non va, o se non hai cambiato idea su qualcosa..!” si passò una mano sulla faccia, avvilita. “Povera Mathilda..!”

 

“Lo so, sono un disastro.” Mugugnò lui. “Ma quando la vedo c’è qualcosa che mi blocca all’altezza dello stomaco… Io vorrei essere sciolto, disinibito, ma… Non ci riesco!” prese a sbattere la testa più volte contro il tavolino. “Odio la mia timidezza, la odio!”

 

All’ennesima testata, lo bloccò, mettendogli una mano sulla fronte. “Stasera vi vedete, giusto?” lui annuì, imbronciato. “Parlale: Mathilda è una ragazza dolce, ma sa quello che vuole. Credo che se continui così, presto ti scaricherà.”

 

Lo spagnolo roteò gli occhi. “Odio me stesso e il mio carattere.”

 

“E allora fai qualcosa al riguardo!” Raùl stava per rispondere quando Mao prese sistemarsi freneticamente i capelli, prendendo ad osservare un punto lontano. “Come sto, come sto?”

 

“Ehm… Molto bene.”

 

“Non te l’avevo detto, ma… Hilary è lì, si sta avvicinando con il suo collega con cui esco da poco. Adesso te lo presento.” Fece, parlando talmente veloce da mangiarsi quasi le parole.

 

Cosa?” lui ebbe solo il tempo di sibilare il suo disappunto, perché l’amica giapponese della ragazza si avvicinò, sorridendo; era accompagnata da due ragazzoni alti e belli, palesemente americani in due modi assolutamente differenti.

 

“Ehi, ragazzi!” Hilary sorrise ad entrambi. “Ciao Raùl, come stai?”

 

“Ehm… Non male.” Balbettò, cercando di non parere lo sfigato della situazione come al suo solito – cosa che pensava fosse più ardua che altro, di fronte ai due ragazzi. Uno aveva una certa somiglianza con Ken il fidanzato di Barbie, l’altro era tutto di un’altra pasta: era il classico bello e dannato che piaceva alle adolescenti, con uno stile assolutamente metal con tanto di borchie, piercing e tatuaggi a più non posso.

 

“Prendete una sedia e accomodatevi, forza!” sorrise Mao, spostandosi per far loro spazio. “Raùl, loro sono Chris e Kurt, due colleghi di università di Hilary. Ragazzi, lui è Raùl, il mio migliore amico.”

 

I due fecero un cenno di saluto piuttosto amichevole nella sua direzione, ma lui notò come Chris si fosse avvicinato a Hilary, che sembrava non essersene nemmeno accorta, totalmente impegnata a  versarsi un po’ di tè; quindi il ragazzo con cui usciva Mao doveva essere…

 

“Kurt è il solista che ci fa concorrenza.” Rise la bruna. “E’ appassionato di hip-hop e nel tempo libero suona in una band metal che si esibisce nell’Upper East Side.”

 

Mentre la conversazione verté amabilmente sulla musica e poi sul beyblade, Raùl aggrottò le sopracciglia osservando quel ragazzone alto tutto borchie e piercing: doveva avere perlomeno una decina di tatuaggi visibili, e quello che lo inquietava erano i suoi capelli blu e grigi… Faceva uno strano effetto ottico vederlo accanto a Mao.

 

 

 

 

 

Quando un gemito fuoriuscì dalle labbra di lei, per tutta risposta affondò il naso nella pelle del suo collo, aspirandone il profumo forte e deciso ma, allo stesso tempo, incredibilmente dolce e stuzzicante.

Fece scorrere le labbra su quella pelle liscia e morbida fino ad arrivare al suo orecchio, che prese a stuzzicare lentamente con i denti, come sapeva che le sarebbe piaciuto. Lei rovesciò la testa indietro, inarcandosigli contro, e fu allora che prese a succhiarle in maniera lenta e logorante il lobo dell’orecchio, facendole cacciare un gemito che lo fece esultare interiormente.

 

Non avrebbe mai creduto che il sesso con una persona potesse essere così. E vi erano decisamente diversi modi per definirlo – esaltante, grandioso, fantastico, incredibile… Esplosivo. – ma tutti i termini del mondo non avrebbero minimamente reso l’idea.

Julia era passionale, calda, eccitante, ed aveva il potere di trascinarlo in un vortice di libidine non indifferente. In quelle due settimane, dopo aver scoperto che insieme avevano decisamente un gran potenziale, si erano ritrovati a farlo ovunque, a qualunque ora del giorno e della notte.

 

 

Quando lei gli affondò le unghie nella schiena, inarcandosi definitivamente contro di lui, si ritrovò a stringere i denti per non cacciare un’imprecazione piuttosto colorita: quante volte le aveva detto di limarsele? E lei per tutta risposta lo provocava, lui le rispondeva a tono, ed andava a finire come sempre…

Peccato poi si ritrovasse ad avere la schiena tappezzata di graffi rossi, nemmeno tenesse nella suite una tigre addomesticata.

 

“…¡Vaya!”* con le gambe ancora strette attorno alla sua vita, Julia dapprima rovesciò la testa indietro, dopodiché si staccò da lui. Lo fissò per un istante, e il suo sguardo color prato tradì una certa lascivia in quegli occhi che erano fatti per essere solo ridenti e vitali.

“Non l’avevo mai fatto contro il muro di un ripostiglio.” Esclamò in maniera sognante, andando in cerca di qualcosa. “¿El mi sostén?” al suo sguardo interrogativo, lei si ritrovò a ridacchiare. “Il mio reggiseno dov’è?”

 

Yuri sbuffò, andando verso di lei e facendole fare tanto d’occhi, per poi allungare una mano oltre la sua persona, verso uno scaffale. “Qui.”

 

La ragazza inarcò le sopracciglia. “Come ha fatto a finire lì?” il russo scrollò le spalle, rimettendosi la maglietta. “Muy bien: ahora vado nel bagno che c’è qui vicino e vedo de darmi una sistemata…” disse, come ad organizzarsi mentalmente: mentre faceva il punto della situazione si passò una mano tra i capelli luminosi che le ricaddero sulle spalle abbronzate, con un sensuale contrasto, e non poté fare a meno di inarcare le sopracciglia quando si rese conto di starla osservando.

“Sei un poco arrabbiato, chico?” lui inarcò le sopracciglia e fece per rispondere, ma Julia lo precedette. “Ah, no: questa è la tua espressione di sempre.” Rise, facendogli roteare gli occhi.

 

“Com’è che dopo ti diverti sempre a prendermi per il culo?” chiese, aggrottando la fronte.

 

La ragazza scrollò le spalle, sorridendo largamente. “Sarà il tuo bel faccino che mi ispira. Ci vediamo, querido!”

 

Il moscovita la fissò con uno sguardo apparentemente neutro, ma parlò prima che lei potesse chiudersi la porta alle spalle. “Okay…” borbottò.

“Fossi in te mi sistemerei meglio la gonna: hai il sedere scoperto.” Quando Julia lo mandò a quel paese in spagnolo, riuscì soltanto a sogghignare, soddisfatto. Incredibile come si sentisse stuzzicato dalla sua sola presenza.

 

 

 

* “Accidenti..!”

 

 

 

A volte ciò di cui aveva bisogno era tentare di fuggire dalla realtà in cui si trovava; in una dimensione in cui il suo cuore si ritrovava ad essere sfracellato e fatto a pezzi, in cui non sapeva come reagire e se il modo in cui lo stava facendo era il più giusto e congeniale, la soluzione ideale era prendere lo zaino, mettervi le cose essenziali e tramite mustang andare alla ricerca – o almeno tentare – di quel qualcosa che, per pochi minuti poteva farla stare sospesa. Per poi farla cadere di nuovo.

 

Si era svegliata presto quella mattina, e la decisione di fare un giro nella New York che non conosceva le era venuta per caso, quasi all’improvviso: aveva semplicemente pensato al fatto che era lì da sei settimane e ancora non ne conosceva la City, quella di cui si parlava tanto nei film, nei libri, che veniva tanto decantata nelle canzoni. La New York pazza, sconclusionata ma assolutamente adorabile di cui tutti finivano per innamorarsi.

Così, tempo una colazione veloce e uno zaino preparato in fretta, aveva messo su un post-it per Hilary, lasciandole detto che sarebbe tornata in tempo per andare al lavoro.

Aveva comprato due cartine geografiche e chiesto un sacco di informazioni per uscire dall’Upper West Side, aveva voglia di vedere questo East Side così figo di cui tutti parlavano tanto.

 

In quel momento, seduta da Starbucks a sorseggiare un frappé, sospirò; per essere caotica era caotica, era rumorosa, vitale, energica, e anche così… Chiassosa. Non poteva dire fosse nella top ten delle sue città preferite, ma nemmeno che la odiasse. C’era qualcosa che la convinceva.

 

Hilary le aveva parlato così tanto dell’Upper East Side che alla fine era esattamente come se lo era immaginato: lussuoso.

I grattacieli, gli edifici, le strade, le persone che vivevano lì… Tutto urlava a gran voce questa grandiosa maestosità che circondava ogni millimetro del quartiere più in di New York. Era la zona delle grandi industrie, dei ristoranti più chic, delle famiglie più altolocate, delle scuole private. E la sensazione che senza dubbio le piaceva di più era quella di confondersi in quella massa di gente, tra il chiasso e la folla, e che quella grossa mandria di persone fosse così massiccia tanto da farla sentire piccola con i suoi pensieri e preoccupazioni.

 

Si alzò decisa a fare una passeggiata per le numerose Avenues di quella zona così grande ed immensa; tirar su le cuffie ed azionare l’I-pod le venne spontaneo, così come mettersi ad ascoltare la musica che si sprigionò da quell’oggettino che fino all’anno prima non aveva nemmeno tutto questo significato per lei.

Mordersi le labbra le venne spontaneo, soprattutto quando premette la riproduzione casuale e il primo brano fu proprio quello.

Everything.

 

Inaspettatamente ed apparentemente calma ma come se stesse vivendo la cosiddetta quiete prima della tempesta, cacciò fuori dalla tasca una sigaretta, che venne portata alle labbra con gesti misurati.

 

Nelle vicinanze di un parco, non rifletté nemmeno sull’idea di entrare e sedersi su una panchina: lo fece e basta.

Con la sigaretta tra le dita, la bocca piena di fumo e il cuore anestetizzato anche solo per un istante, le sole cose piene di ricordi erano le orecchie, che parevano volerla tanto trascinare e farla sprofondare nei ricordi tanto da farla annegare.

 

 

 

Posso essere la più grande stronza Posso nasconderlo come se stesse cominciando ad essere fuori moda Posso essere la più incazzata del mondo E non hai mai incontrato nessun altro Pessimista quanto a volte lo sono io*

 

 

“Che fai?” inarcò le sopracciglia quando le fu posta quella domanda apparentemente senza senso, ma che con Max era spesso ripetuta. Pareva che volesse sapere ogni cosa di lei, dal suo gruppo sanguigno alle sue fobie, al suo titolo di studio, e la domanda ‘che fai’ era volta a capire un po’ di cose, l’aveva capito osservandolo.

 

“Ascoltavo un po’ di musica, ma mi sono rotta e ora ho spento l’I-pod.” Rispose, curiosa della sua reazione: sapeva sempre sorprenderla con frasi o discorsi assurdi, ecco perché stare con lui era interessante, eccitante e divertente allo stesso tempo.

 

“Cosa? Ma come fai ad annoiarti?” il suo viso, con tanto di occhi azzurri spalancati, le fece venire voglia di ridere, ma si trattenne. “La musica è vita, la musica è ritmo, vitalità… Ispirazione!”

 

Non ce la fece; si fece scappare un sorriso mentre lo osservava sproloquiare. Ecco che, se si toccava un tasto che comprendeva qualcosa a lui caro, si infiammava. Erano così diversi loro due: lei così fredda, posata, metodica, e schematica, e lui così energico, spigliato, dinamico, vitale…

 

“Peccato che la pensi così sulla musica, sai?” concluse, mettendo su un broncio da bimbo adorabile. Con uno sguardo divertito, Mariam gli chiese il perché di quella strana frase, e lui la fissò, brandendo un sacchettino tutto ben impacchettato con tanto di nastrino. Con un’espressione divertita, la ragazza lo aprì, rivelando un paio di cuffie professionali per I-pod simili alle sue.

“Ti piacciono? Così ce le abbiamo uguali.”

Mariam scoppiò definitivamente a ridere, prima di annuire e venire baciata da lui.

 

 

Tu vedi tutto vedi ogni cosa vedi tutta la mia luce e ami il mio buio porti alla luce tutto ciò
di cui mi vergogno non c'è niente che non ti possa raccontare e sei ancora qui
*

 

 

 

Spense il mozzicone di sigaretta poco distante, pensando a quanto in realtà avesse sfruttato, dopo quell’episodio, sia cuffie che insegnamento. Molto spesso era stata la musica a consolarla, molto spesso pur di non sbottonarsi con la gente aveva preferito sparare a palla le sue canzoni preferite che non comunicare al mondo ciò che aveva dentro, che le era irrimediabilmente cresciuto, raggiungendo dimensioni spropositate.

 

Sapeva che con il suo atteggiamento schivo aveva spesso fatto soffrire le persone che amava, ma non era solita confidarsi immediatamente o ripetutamente. Lei aveva i suoi tempi, le sue modalità, ed era lei a decidere quando e con chi parlare.

Peccato che a volte le sembrasse di vivere intrappolata in una lunga ed apatica prigionia di se stessa.

 

 

 

* Traduzione di Everything- Alanis Morrisette

 

 

 

Julia lo fissò storto, non capendo perché diamine ci tenesse a farla arrabbiare; era stata via tutta la mattina, si era allenata con suo fratello, era andata alla sede americana che si occupava dell’organizzazione del torneo per chiedere a che ora fosse il suo turno l’indomani, e quando era tornata al Plaza per incontrare Raùl non l’aveva trovato, ma in compenso aveva trovato qualcun altro. Qualcun altro che le stava facendo saltare le scatole, a furia di provocarla sempre e comunque.

 

“Se sei nervoso per i fatti tuoi, non venire a rompere me.” Sibilò, accelerando il passo e richiamando l’ascensore. Ascensore che doveva essere occupato, perché non arrivò.

 

“Non sono nervoso.” Replicò lui, inarcando brevemente le sopracciglia. “Quante storie.”

 

Julia si voltò per fronteggiarlo, gli occhi verdi brucianti di rabbia. “Quando mi salutano, io ricambio il saluto, non guardo male la persona solo perché ho i coglioni che saltano!”

 

Yuri aggrottò la fronte. “Metafora interessante.”

 

Lei scosse la testa, quasi disgustata. “ ¡Vete a la mierda!”* sibilò, entrando nell’ascensore le cui porte le si erano appena spalancate davanti. Quello che non si aspettava, di certo, era che lui la seguisse dentro, volendo dimostrare chissà che cosa. “Beh, che vuoi?”

 

“Niente, Fernandéz: premi pure il pulsante del piano.” Rispose, con voce annoiata.

 

Julia batté con forza la mano sul tasto dove spiccava, luminoso e ben visibile, uno zero: non vedeva l’ora di andarsene da lì e di mandarlo a quel paese.

 

“Quando mando affanculo una persona lo faccio parlando in una lingua che possa capire.” Esordì, un secondo più tardi. “Non mi nascondo dietro lo spagnolo.”

 

Yo no me-” Julia si morse le labbra, fulminandolo con lo sguardo. “No sé hablar bien el ingles, okay?”*¹ sbottò. “Mi mancano le parole e quando non mi vengono uso quelle della mia lingua! E’ un problema?”

 

“No, figurati.” Fece lui, scrollando le spalle: quando le porte dell’ascensore si aprirono la ragazza scosse la testa, facendo per uscire. “Sei eccitante quando urli nella tua lingua.”

 

Si voltò di scatto, facendo tanto d’occhi, e non seppe né perché né come mai, ma si ritrovò ad attraversare le porte del mezzo di nuovo e a premere un tasto a caso, per farle chiudere. Mentre gli buttava le braccia al collo e lo baciava in maniera famelica e quasi arrabbiata, non si volle domandare come mai questo ragazzo così strano e diverso da lei aveva così tanto potere sulla sua persona. Non si volle chiedere niente.

Quando lo vide premere il pulsante di stop per bloccare l’ascensore e toglierle la camicetta con gesti veloci ed eccitanti, sorrise: non era tempo per pensare.

 

 

 

* “Vai a cagare!”

*¹. “Io non mi-”…“Non so parlare bene in inglese, okay?”

 

 

 

“Allora? Come ti sono sembrati?”

 

Raùl fissò con tanto di sopracciglia inarcate le figure di Chris e Kurt che si allontanavano, dopodiché scosse la testa. “Non posso credere che tu sia uscita già due volte con quel tizio.”

 

Mao fece tanto d’occhi. “Perché?”

 

Hilary sorrise in direzione dello spagnolo, capendo quello che voleva dire. “Diciamo che non è proprio il tuo genere, ecco.” Mao guardò male l’amica e Raùl decise di intervenire immediatamente per dirottare la conversazione a proprio piacimento.

 

“Non mi aspettavo che ti piacessero questi tipi. Diciamo che lui e quel… Chris? Si davano man forte come fossero alle elementari. Erano patetici.”

 

Hilary assunse un’espressione arrabbiata. “Senti un po’, tu...!” lui si ritrovò a sgranare gli occhi: aveva parlato con la massima franchezza, non pensava avesse davvero potuto offendere una delle due ragazze. “Ma noi abbiamo scelti apposta, vero Mao?” fece, ridendo e cambiando faccia. “Io il bravo ragazzo e lei il fattone, così poi ci diciamo come sono.”

 

“Hilary!” la rimproverò Mao, sdegnata.

 

“Ehi, è vero.” ribatté lei, scrollando le spalle. “E’ bello uscire con due persone uguali che non siano gemelli, fa senso! E poi Chris non è questa gran mente ma, diamo a Cesare quello che è di Cesare, ci sa fare, e parecchio nell’ambito...!” esclamò, maliziosamente. “Kurt no?”

 

La cinese arrossì furiosamente. “Non lo so! Mi ha solo… Baciata!” Quando lo spagnolo si scambiò uno sguardo con la bruna, sentì una rabbia cieca montarle su.

“Potrebbe essere importante! Potrebbe essere un’occasione che ho per dimenticarmi di Rei.”

 

“Con quello lì che puzza di droga da qui a quaranta chilometri?” alla battuta di Raùl, Hilary scoppiò a ridere della grossa.

 

Quei due si stavano coalizzando un po’ troppo contro di lei per i suoi gusti: piccata e nervosa, li fissò male, cercando di difendere il difendibile. “Kurt non è… Drogato! Lui è gentile, è premuroso… E quanto mi guarda con quegli occhi, io mi sciolgo..!” sbottò, rossa in viso.

 

Hilary incrociò le braccia al petto. “Chi è che stai descrivendo, adesso?”

 

Ora hai rotto!

“Sei una stronza!” sputò fuori la ragazza, le lacrime agli occhi. “Ti credi superiore agli altri perché presumi di non avere bisogno di queste cazzate, vero? Ma non è così! Non tutti sono James, non tutti ti tradiranno con la tua amica! E non tutti sono Kai, non tutti saranno troppo impegnati con lo sport per accorgersi di te!”

 

Il fatto che in quel frangente si trovassero al Plaza e che stessero dando spettacolo non importava a nessuna delle due, perché la giapponese si scaldò nella stessa maniera dell’amica.

“Ma che ne sai tu, di come mi sento io? Ti stavo solo dicendo che mettersi con uno alla stregua di Kurt non ha senso, perché tu meriti molto di più-”

 

“Merito sesso, vero?”

 

“Cosa c’è di sbagliato in questo?”

 

“Per piacere, prendere i maschi e scartarli come fossero caramelle non fa parte di me.” sibilò, prendendo la sua borsa e alzandosi.

 

Hilary la seguì, furiosa. “Ma fa parte di me, no? Perché-” la voce le morì in gola quando all’entrata della sala da pranzo si trovò di fronte Kai: gli occhi sgranati, la fissava come se si fosse trattata di una bomba ad orologeria.

Mao la superò, lanciandole un’occhiataccia, e scomparve dalla sua visuale.

 

Dopo qualche secondo il russo si schiarì la voce, trapassandola da parte a parte con quelle sue ametiste che sapevano farla sentire così male come in quell’istante. “Devi parlarmi, vero?”

 

 

 

 

 

“Perché mi hai portato qui?” Mariam si voltò nella direzione del ragazzo: non lo aveva mai visto così incerto e balbettante: pareva quasi… Emozionato.

Tutto il giorno era stato strano, ma incredibilmente meraviglioso. Non aveva fatto altro che portarla in posti che piacevano a lei, essere dolcissimo come solo lui sapeva essere, sorprenderla anche più del solito… E infine, la sera, si era ritrovata sulla grande terrazza della sede americana degli All Starz con tanto di cena su un tavolino a parte e cannocchiale professionale dall’altra.

 

“Perché sapevo che ti piacevano le stelle.” Rispose, scrollando le spalle e tentando di assumere una posa naturale. “Abbiamo patatine, filetto della migliore qualità, e persino pasta del ristorante italiano qui all’angolo.” Sorrise. “Maionese?”

 

Mariam gli si avvicinò. “Che succede?”

 

Il biondo scrollò le spalle con semplicità. “In queste settimane ho capito quanto sei importante per me, e voglio fartelo capire.”

 

La ragazza inarcò le sopracciglia. “E lo hai capito dopo settimane e settimane che ci frequentiamo?”

 

“Beh, sì. Sono tardo, che vuoi farci?” l’irlandese roteò gli occhi, ma non fece in tempo a ribattere che venne presa per gli avambracci ed attirata dal ragazzo fino ad essere ad un centimetro dal suo naso. “Ti amo, Mari.” Sorrise largamente, come se si fosse tolto un gran peso dallo stomaco. “Scusa, ma se non te lo dicevo scoppiavo.”

 

Lei prese a ridacchiare. “Sei proprio scemo.” Sussurrò ad un millimetro dalla sua bocca per poi provvedere ad azzerare la distanza.

 

 

Certe volte i ricordi avevano una lama molto più affilata di qualunque arma, e fu questo pensiero che spinse la ragazza a togliersi di dosso cuffie ed I-pod per metterli via. Non era giornata. Quando i flashback prendevano a tormentarla, la sola cosa che c’era da fare era chiudersi in casa oppure distrarsi, distrarsi a mai finire.

 

Si alzò, determinata ad andare in giro e a visitare vari ed eventuali monumenti e caratteristiche del quartiere quando delle voci piuttosto alte la fecero voltare inevitabilmente: poco lontano da lei c’erano un ragazzo e una ragazza, entrambi sui sedici anni, e stavano palesemente litigando.

 

“Questo è il tuo bracciale del cazzo! Riprenditelo e non farti più vedere!” urlò la ragazza, lanciandogli un oggetto non meglio identificato.

 

Beth, ci guardano tutti… Piantala!” sussurrò il ragazzo, rosso in volto e palesemente imbarazzato.

 

“Che guardino! Devono sapere che razza di verme tu sia!” ora la ragazza stava piangendo, disperata. “Tu e… Quella puttanella bionda da quattro soldi!”

 

Mariam inarcò le sopracciglia, pensando a quanto quella scena fosse familiare e a quanto capiva quella ragazza laggiù che, in quel momento pareva stesse per piangere tutte le sue lacrime.

Mentre osservava il ragazzo tentare di riavvicinarla, la ragazza schiaffeggiargli via la mano e fuggire via, lei si sentì paradossalmente un po’ meno sola.

Perché i comportamenti scorretti e sleali erano diffusi dalle alpi alle piramidi in tutto il mondo, e ora lei sapeva bene, finalmente, qual era la cosa giusta da fare.

 

 

 

 

 

Yo no estoy fuera come un balcon: ¡yo soy un balcon!*

 

Julia se lo disse mentre pigiava il tasto dell’ascensore, quello stesso povero mezzo che ne aveva viste di cotte e di crude, quel pomeriggio.

In un giorno si era ritrovata coinvolta in ben tre incontri ravvicinati del terzo tipo con Yuri Ivanov, e quella era la più assoluta normalità – niente di troppo esagerato o inopportuno come era capitato talvolta! – da quando avevano iniziato ad essere scopamici era come se non riuscissero a stare l’uno lontano dall’altra, a togliersi le mani di dosso. Bastavano un cenno, uno sguardo e… Boom! Esplosione in arrivo.

 

Ma quella volta… Quello era praticamente troppo. Giorni prima, subito dopo aver finito di fare sesso, il russo le aveva rivelato quanto sarebbe stato interessante – cioè eccitante – se lei si fosse vestita da principessa Leila, quella di Star Wars, con tanto di bikini dorato e capelli raccolti in due chignon.

Ma andare in un negozio che affittava abiti ad ore, prepararsi di tutto punto nemmeno stesse gareggiando per la più in delle sfilate, ed infine presentarsi al Plaza conciata in quel modo – le signorine della reception in quel periodo ne stavano veramente vedendo di cotte e di crude! – era veramente troppo.

 

Julia sbuffò, roteando gli occhi: rendere alla perfezione i due chignon era stato complicato, per non parlare del dannatissimo bikini che prudeva da morire, succinto e che lasciava all’immaginazione veramente poco.

 

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, ringraziò mentalmente che non vi fosse nessuno nel corridoio, e individuò la suite della Neoborg. Bussò in maniera decisa, assumendo una posizione provocante, mettendo in mostra il decolleté.

“Vengo da una galassia molto, molto lontana.” Dichiarò nel suo inglese migliore, la voce roca.

 

“Scusa?” Probabilmente aveva parlato troppo presto, perché colui che aveva aperto la porta non era affatto Yuri, ma Boris, uno dei suoi compagni di squadra, che la stava fissando come se le fosse spuntata un’altra testa.

 

“¡Perdona!”*¹ esclamò, assumendo la stessa colorazione di un’aragosta. “Ho sbagliato stanza, sì!” balbettò, girando sui tacchi ed andando verso l’ascensore, sperando che la terra la inghiottisse o che un fulmine la centrasse in pieno proprio in quell’istante.

 

L’ascensore proprio non ne voleva sapere di arrivare, perché aveva premuto il tasto di richiamo due volte con zero risultati: probabilmente era impegnato o chissà che altro. Inveendo contro il mondo ma soprattutto contro Yuri Ivanov, Julia ripassò tutte le imprecazioni da lei conosciute in tutte le lingue da lei parlate.

 

“Ehi, Fernandez.” Roteò gli occhi nell’udire quella voce, e lo stomaco le si contrasse in una morsa piuttosto piacevole. “O dovrei chiamarti Skywalker?”

 

Le porte dell’ascensore le si spalancarono davanti, e si affrettò ad entrare, furiosa. “Fottiti.”

 

“So che avresti voluto farlo tu.” E qui avrebbe tanto voluto prenderlo a testate o comunque lapidarlo – tanto per essere gentile –  ma l’imminente chiusura del mezzo in cui era salita glielo impedì.

 

 

 

* “Io non sono fuori come un balcone. Io sono un balcone!”

*¹ “Scusami!”

 

 

 

“Per me?” il tono di voce usato era incerto, forse incredulo, due cose per lui nuove; abituato ad essere sul podio dei vincitori, non aveva mai avuto tempo per insicurezze o sbagli, e quando li commetteva li ammetteva a malapena a se stesso, preso dall’orgoglio, sua caratteristica da sempre.

Il fatto che quella ragazza lo svoltasse come un calzino spingendolo a provare emozioni che nemmeno pensava potessero essere sue, lo sconvolgeva, e nemmeno poco.

 

“Sì, per te.”

Kai la fissò: era sempre stato un tipo da poche, mirate parole ma che, se provocato, non esitava a dire la sua. Invece in quel frangente non sapeva cosa replicare: era senza parole, assolutamente sotto shock, e ce ne voleva per ridurlo in quel modo.

“E questo è tutto. Ciao.” Borbottò, alzandosi e prendendo le sue cose per poter andare via.

 

Ma nulla era terminato se non lo diceva Kai Hiwatari. “Non mi dirai che è a causa di una cotta presa a quattordici anni che ti sei messa a fare miss autonomy.”

 

Incrociò le braccia al petto con aria di sfida, sparando il naso in aria. “Si può sapere che hai contro le mie idee? E’ esagerato che una donna sia indipendente e sappia badare a se stessa? Forse in una società bigotta e maschilista come questa tutto ciò è considerato fuori dalla norma ma-”

 

“Stai tergiversando.” Incredibile come con una sola occhiata sapesse bloccarla e farla zittire, cosa che gli altri nemmeno si sognavano.

 

Hilary fece una smorfia. “Non stiamo parlando di me, stiamo parlando della cotta che da ragazzina avevo per te.” Fece seccamente. “Avevo quattordici anni, ero nell’età in cui ci si innamora dei belli ed impossibili; tu lo eri e io ti morivo dietro. Tutto questo fino a quando Takao non mi consigliò di dimenticarti perché eri tutto beyblade e nient’altro.”

 

Tacque un istante, soppesando accuratamente le parole dette dalla ragazza, dopodiché annuì con apparente indifferenza. “Aveva ragione.”

 

“Già.” 

 

“Coloro che hanno affittato la casa a Mao e Julia sono tue amiche?”

 

La vide sbattere gli occhi per il brutale cambio d’argomento. “Sì; Carrie e Phoebe sono grandiose, delle ottime amiche.”

 

“Sono una coppia, vero?” al suo sorriso, Kai annuì distrattamente. “Quel quadro è un po’ troppo vistoso e…” Con un aggrottamento di ciglia, lo invitò a continuare. “Troppo gay.”

 

Lei scoppiò a ridere per poi scuotere la testa. “E’ la prima cosa che ho detto loro quando l’hanno comprato, ma Phoebe mi ha risposto: ‘Ehi: questa è casa mia, questo è quello che siamo e questa è la prima fottuta cosa che voglio che tutti vedano quando entrano!’” lui inarcò le sopracciglia con aria divertita, e Hilary gli si avvicinò.

“Ma quando si sono trasferite Carrie ha fatto in modo di lasciarlo dove stava.”

 

“Ti sei integrata bene a New York.”

 

“Sì, anche se i primi tempi è stato difficile… Credo sia la città più caotica del mondo, e se non hai dei punti di riferimento è un casino. Io avevo Carrie, Phoebe e-” chiuse la bocca di scatto, irrigidendosi. Lì Kai capì di aver trovato il tasto dolente.

 

“Come le hai conosciute?”

 

La vide sospirare pesantemente, chiudere gli occhi e perdersi nei ricordi.

Le maschere di Hilary Tachibana stavano per cadere, almeno temporaneamente. Cadere come birilli, dettate dalla stanchezza di una persona che aveva giocato troppo tempo a fare la forte e che ora aveva solo voglia di rivelarsi.

Mandy fu la mia prima coinquilina, diventammo amiche strettissime. Mi insegnò i trucchi per uscire ed avere a che fare con la città, insieme a Carrie e Phoebe. Una sera incontrammo Jamie: mi chiese di uscire subito, e dopo tre appuntamenti eravamo una coppia.” Si arrestò e, lo sguardo lontano, prese a corrucciare le sopracciglia.

“Due mesi dopo tornai a casa in anticipo e trovai lui a montare lei sul mio letto. Fine.” La Hilary di prima tornò ad impossessarsi del suo viso, e la maschera dell’impenetrabile donna vissuta si pose sul suo volto, prendendone parte.

 

Fu una cosa incredibile il cipiglio crudele con il quale lo disse, quasi cattivo, consapevole.

Il pensiero che Hilary fosse una passionale che si nascondeva dietro un atteggiamento cinico e freddo lo sospettava da un po’, ma ora ne aveva decisamente la prova. Essere traditi in amore e in amicizia contemporaneamente doveva esser stato qualcosa di non bello da digerire,

 

“Certe persone è meglio perderle per non trovarle mai più.”

 

Si accese una sigaretta sotto il gazebo in cui si trovavano, lasciando che il fumo creasse quasi una nuvola eterea attorno alla sua figura. “Oh, non saprei.” aspirò una boccata dalla sigaretta, poi lasciò che le sue labbra si atteggiassero in un sorriso malizioso, quasi sadico. “L’ho rivisto due o tre settimane fa; è incredibile quanto voi uomini vi vantiate di essere più forti e resistenti di noi donne, e quanto, invece, basti una figa a farvi diventare nostri schiavi.”

Esibendo un sorriso soddisfatto, scrollò le spalle, buttando fuori dalle labbra il fumo appena aspirato. “Mi sono bastate due moine. Poi l’ho legato ad una stanza del Plaza.” Spiegò, annuendo. “Dici che è ancora lì?”

 

Ancora una volta si ritrovò senza parole e senza poter replicare: era evidente che dinnanzi a lui ci fosse una ragazza ferita, ma non pensava che una delusione potesse far cambiare tanto la gente. Specie se riguardava una cosa eterea e metafisica come l’amore. “Non tutti gli uomini sono come lui.”

 

Lei roteò gli occhi. “Sì, come no. Intanto più ne conosco più sembrano fatti in serie.” fece con aria annoiata, sbadigliando. “Sarà che maturate dopo…”

 

La fissò male. “Perché devi mettere anche me nel mezzo?”

 

“Sei un uomo.”

 

“Quindi sono sleale, cattivo ed infedele.”

 

Hilary sospirò pesantemente, per poi fissarlo. “Senti, a New York maschi ne ho conosciuto tanti, okay? Veramente tanti. Persone che hanno circondato me, le mie amiche, le mie colleghe, persone con cui lavoro, con cui studio, con cui collaboro… E ti assicuro – ti assicuro – che sembrano usciti da una fabbrica. Modi di fare, di agire, di pensare, di vivere… Dio, non un po’ di originalità.”

 

Takao però è originale.”

 

All’inizio non capì la frase buttata lì che all’apparenza non c’entrava nulla, poi si ritrovò ad affilare lo sguardo. “Lui fa parte di quello 0,5% che si distingue dagli altri, sì.”

 

Si ritrovò dinnanzi due ametiste pronte a fissarle in lungo e in largo. “Mi fa piacere che ce ne sia uno degno della tua stima, a questo mondo.”

 

“Non è questione di essere degni, è semplicemente che sono nel periodo della mia vita in cui non capisco gli uomini. E li rifiuto.”

 

“Allora prova con le donne: magari le capisci di più.” Sbottò, alzandosi e andandosene, non capendo perché quelle parole gli avessero dato così fastidio.

 

 

 

 

 

Alla sua collezione di sventure varie ed eventuali mancava soltanto di litigare con Hilary: era stata la ciliegina sulla torta, ci voleva come il cosiddetto cacio sui maccheroni.

Scuotendo la testa, Mao si affrettò ad andare alla fermata del bus per raggiungere al più presto l’appartamento e consolarsi a casa con qualcosa da mangiare: aveva voglia di cucinare; che fosse una torta, dei biscotti o un semplice uovo non importava. Dopo essersi allenata a beyblade nell’immenso spazio attiguo all’hotel, sfogando parzialmente la rabbia derivata dal litigio con l’amica, decise che era meglio di andare: quello era già un periodo di casini mentali, senza che lei ve ne aggiungesse già di ulteriori come aveva appena fatto.

Quando il bus che l’avrebbe lasciata a pochi isolati da casa si fermò davanti a lei, ne scese la persona che meno si aspettava di incontrare in quel periodo.

 

A proposito di casini.

 

“Ciao.” la salutò, non sapendo cos’altro fare e incrociando le braccia al petto, in imbarazzo.

 

Mathilda la fissò, dinnanzi a lei, rossa in viso e a disagio. “Ciao.” balbettò. “Dovevi prendere l’autobus, è passato…”

 

L’orientale scrollò le spalle con aria di noncuranza. “Figurati, tra due minuti ne arriva un altro.”

 

“Già.” replicò, annuendo lentamente e facendo calare un silenzio assoluto che si espanse tra di loro a macchia d’olio, arrivando ad angosciarle nel profondo: entrambe avrebbero voluto dire all’altra tante cose, ma l’una non trovava il coraggio di dire all’altra ciò che voleva, soprattutto perché non sapeva come fare né che parole usare.

 

Mao si morse le labbra, torturandosele. “Quindi oggi esci con Raùl?” si decise a chiedere, balbettando.

 

Quella scosse la testa. “No, non ci siamo messi d’accordo.”

 

“Ah.” Bell’argomento che hai scelto, Mao! “Uscirete sicuramente: lui è così timido-”

 

“Con te non lo è.” sbottò lei, inarcando le sopracciglia e fronteggiandola. Non l’aveva detto con aria di sfida, era semplicemente sincera, e l’aveva detto nel tono di chi mira a carpire un’informazione.

 

“No, ma perché siamo amici…” provò a spiegare, ma la motivazione sembrò debole alle sue stesse orecchie.

 

Mathilda storse il naso. “Anche noi siamo amici. Non siamo altro.”

 

“No!” alla sua esclamazione fatta con veemenza, si volsero un paio di passanti, e Mao prese a ridacchiare, dandosi della maldestra. “Ascolta: lui è molto timido, ed è anche goffo, okay? Mi risulta che all’inizio delle vostre uscite vi siate detti delle determinate cose. Ci sei?” quando la vide arrossire, capì di aver fatto centro. “Beh, tienile a mente queste cose, e capisci che lui di tanto in tanto ha bisogno di una spintarella.”

 

Vide i lineamenti dell’europea distendersi ma l’atteggiamento di lei rimanere sulle sue. “Okay. Grazie, suppongo.”

 

Mao scrollò le spalle, in imbarazzo. “Ma ti pare.”

 

Il silenzio tornò ad aleggiare tra loro, fino a quando Mathilda, vedendo l’autobus dell’altra star per arrivare, non la fissò un’altra volta. “Puoi andare dove ti pare e piace, vedere chiunque, ma il cuore e la mente saranno sempre le tue, e i problemi te li porti con te, non puoi cambiarli.”

 

Non capendo cosa volesse dire così all’improvviso, inarcò le sopracciglia. “Scusa?”

 

L’europea sospirò, allargando le braccia. “L'amore è una tragedia, siamo tutti attori su un palco instabile e spettatori su scomodi posti; è come un coltello senza manico e con cui non possiamo smettere di tagliarci, quindi siamo tutti masochisti.” spiegò, scrollando le braccia. “Siamo tutti sulla stessa barca, so cosa stai passando. E solo perché so che tu sei innamorata di Rei e che cosa avete combinato tu e Raùl mi spinge a non detestarti.”

 

 

 

 

 

Creo qué tu debba andare.” riuscì a dire tra una boccata d’aria e l’altra, ansimando a più riprese per cercare di tornare a respirare perlomeno normalmente, cosa non facile dopo quello che le aveva appena fatto.

 

“Rilassati Fernandéz: è così che si tratta un ospite?” Julia gli lanciò un’occhiataccia che venne ricambiata da un sogghigno glaciale.

 

Mai si sarebbe aspettata di ritrovarselo davanti il suo appartamento con tanto di bottiglia di vodka e bicchieri. ‘Non potevo certo farmi sfuggire così la principessa Leila’ aveva commentato, ed era bastata quella frase per farli dimenticare persino della bottiglia: si erano dati alla pazza gioia, dimentichi di ogni cosa attorno a loro come sempre: in quell’istante, però, la spagnola si rese conto dell’orario, e che le sue amiche sarebbero state di ritorno a minuti.

 

Lo fissò, facendo viaggiare lo sguardo dai suoi capelli rossi agli occhi color ghiaccio alla pelle lattea ricoperta di efelidi. Stoppò i suoi pensieri prima che se ne aggiungessero altri, molto più gravi e pericolosi, e si morse le labbra. “Le mie amiche saranno di ritorno tra poco.” balbettò, cercando le parole giuste. “Devi andare.” categorica, si alzò dal letto, iniziando a vestirsi. Si sciolse i capelli, arrotolati a due chignon di massa ormai informe e scompigliata, e quando le ricaddero sulla schiena, li pettinò cercando di ignorare e fermare tutti i pensieri che potevano accavallarsi in quel frangente nella sua testa.

 

“Ménage à trois.”

Si voltò talmente di scatto quando lo udì da rischiare il colpo della strega; quando ebbe appurato di aver sentito bene, si sforzò di restare calma e di ostentare il suo atteggiamento di sempre.

 

Caliente.” commentò. “Ci sto.”

 

Lui sorrise, soddisfatto. “Dobbiamo pensare alla terza persona, allora.”

 

“Oh, la troviamo… Facilmente.” fece, cercando la parola e anche il discorso per provocarlo. “Nella tua squadra ci sono tanti bei ragazzi: scegline uno che ti vada bene.” disse, con aria di noncuranza.

 

Lo vide sgranare gli occhi e divenire bordeaux: solo allora poté sogghignare, soddisfatta. “Io intendevo un ménage con un’altra ragazza!” sbottò. “Io non…!” Julia scoppiò a ridere, facendolo incavolare ancora di più. “E’ fuori discussione che io mi accoppi con gli uomini!”

 

La spagnola incrociò minacciosamente le braccia al petto. “Il pensiero di me a… Strusciarmi contro un’altra chica invece va bene, eh?”

 

“E’ eccitante, sì.” ribatté lui, con un sorrisetto.

 

Julia posò la spazzola che aveva in mano con un gesto secco, dopodiché lo fissò, infuriata. “E invece non ne ho alcuna intenzione.”

 

Lui la fissò, annoiato. “Perché devi sempre alzare la voce, Fernandéz? I menage a trois sono composti da un uomo e due donne, lo sanno tutti...”

 

“¡Por un tubo!” esclamò, inviperita. Es verdad qué tu-”* quando si vide fissare in maniera ironica e strafottente, dovette richiamare a sé tutto il suo autocontrollo – poco, in effetti – per non dare definitivamente di matto. “La verità è che vuoi decidere siempre todo tu, e se a me non va bene-”

 

“…Però poi ti va bene lo stesso; non so se mi spiego.”

 

Forse fu il tono sardonico con cui lo disse, o forse quelle labbra atteggiate a ghigno: fatto sta che Julia esplose e che, prima che se ne potesse rendere contro, Yuri Ivanov si ritrovò fuori dall’appartamento vestito delle sole mutande.

 

“Che cazzo significa Vete a tomar por el culo?!”

 

 

 

*. “Col cavolo!”... “La verità è che tu-”

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ultima frase in spagnolo è abbastanza complessa, e magari si potrebbe indicare con un ‘va a farti fottere’ ma in realtà Julia gli sta augurando di fare il passivo durante un rapporto anale. Ahahahahah! xDDD Adoro la nostra spagnolita focosa.

Ma la nostra madrilena si ritroverà intricata in qualcosa di più tosto e assurdo di lei, come ben vedremo nel prossimo capitolo “Split personality”.

 

Nei prossimi capitoli – a partire da questo – ci saranno riferimenti a cose o persone (Lexy90, sto guardando te!) soprattutto in chiave ironica, quindi non prendete le cose sul serio! U.U

 

Malgrado da un po’ latitate, vi adoro lo stesso anche perché il numero delle letture non è calato, ma qualcuno si è perso per strada. T.T  Che pigroni!

 

Ma vi abbraccio lo stesso salutandovi. Un bacione schioccoso,

 

Hiromi

   
 
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