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Autore: francy13R    08/11/2011    1 recensioni
"Eccomi qua! Sulla soglia dei quarant'anni ormai e mi ritrovo a scrivere su questo diario consumato che mi ha accompagnato per più di vent'anni durante l'esperienza che mi ha stravolto, ma allo stesso tempo stregata. Talvolta ripenso a Milano, alla mia vecchia casa, alla mia vecchia scuola, alla mia vecchia vita e vengo invasa da un senso di vuoto come se dovessi ritornare là e riprendermi quella parte di me che quella città mi ha strappato involontariamente e presa senza alcun diritto! D'altronde tutto è iniziato lì, ma nonostante questo sento che il mio posto è qui! Dopo mille dubbi, difficoltà e avvenimenti raramente positivi ho trovato un posto in questo mondo dove sono riuscita a liberarmi, a mostrare la vera me e non la Eve che s nascondeva dietro la maschera della scontrosità!
Ho pagato con la mia stessa pelle gli errori commessi fino a sentire il mio cuore lacerarsi, eppure alla fine la vita, la vita che tanto avevo odiato, quella che mi era sempre stata contro e quasi mai favorevole, mi ha premiata e sono orgogliosa del mio punto di arrivo. Adesso sono qui nella mia casa, la mia vera casa, il rifugio che tanto avevo sognato per proteggermi da questo mondo selvaggio. Ho fatto scelte sbagliate, quasi sempre, ma è inutile pentirsene perchè mi hanno portato a dove sono ora, con l'uomo che amo nel paese in cui ho sempre desiderato passare il resto dei miei giorni e... credo che sia ora di smetterla di scrivere, quello era un modo per sfogarmi, ma ora non c'è più niente di storto, è tutto perfetto! Quindi caro diario siamo arrivati alla fine, probabilmente ti sistemerò in qualche angolo della soffitta però non ti scorderò mai, sei pur sempre l'unico oggetto che mi è rimasto della mia vecchia vita e avrai sempre un posto speciale nel mio cuore! Grazie per avermi tenuto compagnia! Devo andare a prendere i bambini a scuola, ciao mio caro amico, confidente e unico testimone del mio viaggio terminato! Addio!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sono partita questa mattina alle cinque, ho lasciato come al solito un biglietto sopra il tavolo della cucina con scritto -non chiamare la polizia, ho bisogno di tempo, ti voglio bene papà-. Fa male, ma dopo qualche giorno passerà, è sempre stato così. Non me ne pento minimamente. Forse il mio babbo starà meglio senza di me, una preoccupazione in meno, spero solo che la sera prima di addormentarsi tra le braccia di quella donna si ricordi di me qualche volta! Chiedo troppo?

La camera sembrava così spoglia...”

 

Una lacrima scivolò lungo la mia guancia. Il mio piccolo e caldo rifugio era diventato un semplice spazio vuoto e prima di abbandonare per sempre quella stanza avevo sentito come se un pezzo del mio cuore si fosse staccato e fosse rimasto là.

 

“Non è che sto disseminando parti del mio cuore per il mondo? E se fosse così mi rimarrebbe una parte di esso per rimanere in vita?”

 

Alzai lo sguardo verso il finestrino del treno. Erano le 10:13 e le nuvole quel giorno si potevano sfiorare alzando la mano. Era una di quelle giornate che avrei sicuramente passato seduta nel parco davanti al castello Sforzesco a leggere un libro rallegrata dai turbini di vento e dalle foglie che avrebbero accarezzato il suolo. Le montagne del Piemonte si alzavano imponenti davanti a me e la ricca flora dorata mi fece sorridere. Si, di sicuro l'autunno era la stagione più bella dell'anno. Tutti quei cambiamenti, il sole che tramontava sempre più velocemente, le nuvole che si addensavano creando un immenso spettacolo che mi lasciava senza fiato e il primo freddo; quello che la mattina ti svegliava dal breve letargo e ti faceva rabbrividire, quello che ti conduceva inevitabilmente davanti ad un tè caldo, quello che ti solleticava il naso e le gote appena uscivi di casa.

Forse tutte quelle sensazioni sarebbero durate anche nel mio viaggio.

 

“Ieri sera verso le due ho infilato tutte le fotografie che avevo in un album, certo non mi è bastato tutto, le altre le ho ficcate sotto il solito asse del parquet. Accipicchia, sembra quasi un film! Non ho portato tanta roba con me, dei vestiti posso farne a meno. Però Matthew ha detto che se avessi avuto bisogno di spazio avrei potuto portare un po' di cose nel suo appartamento, quindi ho preparato una valigia con dentro l'album, un po' di libri e devo dire che la scelta è stata davvero difficile con tutti i volumi che volevo portarmi dietro, da 235 sono passata a 45, gli altri sono sotto l'armadio. Spero almeno che Nancy non li butti, quella Barbie.... Ah, il cellulare l'ho lanciato dal balcone, spero almeno che nessuno l'abbia ricevuto in testa, di questo si che me ne sentirei in colpa! Il cellulare direi che non mi servirà, forse un giorno me ne comprerò un altro, avrò un altro numero di telefono e nuovi numeri sulla rubrica, ma in quel momento potrò dire che la mia vita sarà perfetta, quindi mi sa che manca ancora molto al mio acquisto! Ho preso i soldi che, devo dire, sono un bel po'...Sono fiera di me, per il lavoro fatto e per tutte le pizze e i piatti consegnati, ogni goccia di sudore significava un passo in più verso la libertà e adesso che ce l'ho fatta non mi sembra vero!”.

 

Dopo aver scritto sul quaderno iniziai a sentire la stanchezza, infatti la notte precedente avevo dormito poco più di un'ora per l'agitazione. Ma adesso che mi trovavo su un treno diretto a Parigi con le cose a me più care sopra la mia testa, avrei anche potuto schiacciare un sonnellino. E fu così che dormii per tutto il viaggio.

Mi svegliai quando sentii una mano sulla spalla scuotermi leggermente. Aprii gli occhi di botto e mi sistemai sul sedile.

-Signorina, mi dispiace svegliarla ma siamo arrivati!-, disse in perfetto francese un uomo in divisa.

-Oh, grazie-, risposi.

Presi la mia roba e stranamente con poca fatica ed evitando orribili capitomboli per il corridoio del treno ancora pieno di gente, scesi da esso. Matthew mi avrebbe aspettato di fronte alla Tour Eiffel, lo stesso luogo dove era avvenuto il nostro primo incontro esattamente tre anni prima.

Mi sentivo agitata, nonostante avessi visto le sue foto su Twitter, sapevo che lo avrei trovato diverso: un vero e proprio uomo e sapevo anche, anzi lo sapevo benissimo, di avere una cotta per lui, ma quello era solo un piccolo, insulso, insignificante e aggiungerei misero dettaglio.

Mentre camminavo notai che non era cambiato niente, era come se fossi sempre vissuta lì. Il panettiere dove avevamo comprato le focacce quel pomeriggio, il negozio di pelle dove Matthew mi aveva regalato una borsettina in pelle persa nel mio armadio e.... e la Tour Eiffel davanti a me. Così imponente, maestosa, il simbolo di quella città maledettamente raffinata e chic. Prima di raggiungerlo davanti alla “nostra” cabina telefonica mi diressi verso un caffè all'angolo della strada ed entrata mi sedetti ordinando una tortina con la glassa rosa che avevo visto al di là della vetrina e un caffè macchiato.

Ecco cosa mi erano mancate più di tutte: le tortine. Quei pasticcini che non potevano essere chiamati tali perchè erano troppo grandi e non potevano essere chiamati torte perchè troppo piccoli. Pagai la cameriera che aveva posato il mio “pranzo” (leggermente scarno, ma non avevo fame), ma questa vedendo che le avevo dato i soldi contati non si spostò. Già, dimenticavo quanto fossero esigenti a Parigi...

Posai annoiata e leggermente contrariata un euro sulla sua mano e cercai di non notare la sua faccia insoddisfatta, dopo di che si dileguò e mi lasciò in pace.

La tortina si rivelò ultraterrena, infatti al suo interno mi stava attendendo una dolce crema pasticcera con piccoli e croccanti pezzetti di zucchero colorato che divorai famelica. Altro che bon ton...

Il caffè mi scaldò e mise a tacere il mio stomaco.

Nel bel mezzo delle mie considerazioni sulla bellezza del parco davanti a me e sul disgusto provato guardando due ragazzi che si stavano mangiando a vicenda, mi ricordai dell'appuntamento. Diedi un'occhiata all'orologio e sbuffai: in ritardo come al solito.

Da quella postazione potevo vedere benissimo la malridotta cabina telefonica nella quale tre anni prima mi scontrai con Matthew, quindi se fosse arrivato lo avrei sicuramente riconosciuto.

Il rumore di una sedia che grattava il pavimento dietro di me mi distrasse dallo scrutare attentamente qualsiasi persona vicino alla cabina.

-Sai, all'inizio non ti ho riconosciuto, ma quando hai iniziato a girarti i pollici e a sbuffare ho capito che eri te, dimmelo, dimmi che sono un fottuto genio-, sussurrò qualcuno al mio orecchio. Non sobbalzai come mio solito perchè lo riconobbi subito.

Mi girai di scatto e senza neanche guardarlo in faccia lasciai la sedia e lo abbracciai. Si, era Matthew.

Lui mi strinse a se e affondò il viso nei miei capelli. Quanto mi erano mancati quei ricci di quel colore indefinito che andava tra il rosso al biondo e la loro morbidezza. Se li era sicuramente appena lavati, perchè quando lo strinsi sentii il forte profumo di shampoo e senza esitare infilai una mano tra di essi sorridendo.

Matthew mi prese delicatamente una spalla e mi fissò negli occhi. Era alto almeno dieci centimetri in più di me e la prima cosa che si notava di lui erano gli occhi: era un colore speciale. Non il solito azzurro tipico dei biondi, ma era un azzurro mischiato a delle pagliuzze verdi e più ci si avvicinava più si vedeva che intorno alla pupilla quei due colori intensi si miscelavano creando un blu oltremare unito ad un verde smeraldo abbagliante. Forse quello era l'elemento più bello in lui, ma non c'era da tralasciare quella magnifica barba che spuntava sulle sue guance e che lo faceva assomigliare ad un'artista di strada tutto trasandato. Eppure i vestiti lo tradivano, infatti quel giorno, per proteggersi dal freddo aveva indossato sopra la camicia a scacchi rossa e nera dell'Abercrombie un cardigan nero e una sciarpa dello stesso colore, mentre ai piedi calzava un semplice paio di converse rosse. Non era di certo un poveraccio, vista la sua lussuosa villa ad est della città.

-Matt! Ma sei altissimo e guardati! Sei un uomo-, esclamai in francese, ma purtroppo la pronuncia era storpiata dall'accento italiano che non voleva sparire.

-E tu ti sei vista? Sei bellissima!-, commentò facendomi arrossire.

Dopo di che mi prese la mano e mi condusse verso il ponte D'Ièna proprio davanti alla Tour Eiffel.

-Allora? Come va a Milano?-, mi chiese guardando dritto davanti a se senza lasciare la mia mano.

-Mah, solita vita-, commentai distratta dal luccichio del fiume sotto di me.

-Immaginavo, sennò perchè saresti qui?-. Puntò quegli occhi sorprendentemente chiari nei miei senza accennare ad un sorriso, era preoccupato.

-Perchè..-

-Perché scappi dalla tua vita? Eve? Guardami! Non è normale!-, disse serio.

-No, Matt, ti prego, sei l'unico che mi capisce, non rovinare tutto!-.

Perchè la gente voleva rendere le cose più complicate di quello che già erano? La mia vita era uno schifo, lo sapevano anche i muri, ecco perchè mi ero allontanata da essa. Non provavo più niente a stare seduta sul mio banco di scuola e nemmeno a studiare. Avevo capito che quello non era il posto in cui avrei passato il resto dei miei giorni semplicemente quando mi resi conto che non provavo più niente, ne' gioia, ne' rabbia, ne' delusione....niente, ero vuota. Ero un corpo senza anima e quel viaggio mi sarebbe servito per ritrovarla, infatti una parte di essa si era fatta strada nel mio cuore quando avevo rivisto Matthew.

-Ok, hai ragione! Scusa!-. Dopo di che calò il silenzio. Un silenzio però a mio parere sereno, come se quell'atmosfera carica di tensione si fosse dileguata nell'aria frizzante di Parigi.

Arrivati in via Victor Hugo aprì un cancello sulla strada e mi fece entrare per prima. Salimmo sette rampe di scale e alla fine giungemmo in un bellissimo appartamento dal quale si godeva una vista magnifica. Lo guardai confusa.

-Ho diciotto anni bellissima! Questo è il mio regalo di compleanno!-, disse ridendo.

Emisi un piccolo fischio facendo cadere lo zaino e poggiando la valigia a terra.

-I tuoi non dovrebbero fidarsi così tanto di te!-.

-I miei non hanno tempo per fidarsi di me, è diverso! Comunque fai come se fossi a casa tua, ma ti avverto: essendo il padrone di casa dovrai fare esattamente quello che ti dirò!-, mi avvertì serio e alzando l'indice in segno di comando. Risi della sua goffaggine e mi buttai stremata sul divano di pelle marrone togliendomi gli stivali. Mi massaggiai i piedi mentre Matt si sdraiava sulla poltrona davanti a me e mi esaminava divertito.

-Cosa devo fare?-, chiesi preoccupata. Quel ragazzo avrebbe potuto tirarmi matta per il resto del mio soggiorno.

-Spogliati!-, ordinò. Spalancai la bocca e rimasi a fissarlo sbalordita. Giuro che non me lo sarei mai aspettato.

Improvvisamente scoppiò a ridere fino a rotolarsi a terra e tra le lacrime disse: -Ci credevi davvero? Non sei cambiata vedo!-. E continuò a ridere a crepapelle finché non gli tirai un calcio sul fianco e lui mi prese la caviglia facendomi cadere sul tappeto insieme a lui.

-Parlando seriamente! Stasera c'è un party a casa di Anne, sai, quella ragazza è diventata una vera e propria troia e questo più il fatto di avere una casa grande può portare solo ad una cosa: feste tutte le settimane-, disse Matt che si era appoggiato alla poltrona e anche lui si stava togliendo le converse.

Anne...Si, la conoscevo eccome, era la prima persona che il mio amico mi aveva fatto conoscere. Si presentava come una delle solite viziate ragazzine, ma quella era capace di farti sparare se le stavi antipatica, quindi avevo cercato di prenderla con il piede giusto.

La cosa che più ti colpiva di lei era la sua energia, un concentrato di vita in un misero metro e sessanta. L'ultima volta che l'avevo vista era stato alla stazione, mi aveva pagato il viaggio assicurandosi che non dovessi neanche mettere un piede fuori dalla prima classe e ormai le ero affezionata. Quel piccolo mostriciattolo!

-Troia, tu hai concezione un po' troppo ampia di quella parola! Se ti raccontassi tutto quello che ho fatto negli ultimi tre anni lo sarei anche io, te l'assicuro-, commentai trattenendo una risata.

-Ma tu sei la mia Eve, la piccola fanciulla smarrita! Nah, non ti ci vedo a limonarti mezza città-.

Alzai gli occhi al soffitto.

-Dai, ti faccio vedere la tua stanza così ti prepari per stasera!-, esclamò lui alzandosi e sistemandosi i jeans.

-Ehi, non ti ho mica detto che verrò-.

-Ehi ricordati che io sono il padrone di casa-.

















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Ecco a voi il terzo capitolo! 
Se volete seguirmi su Twitter il mio nickname è: Francy13R :D
Buona serata baciiiiiiiiiii :D

  
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