Moment without end
Gli spalti pullulavano di gente in preda alla frenesia
più acuta.
Centinaia di spettatori pendevano dalla sua voce; decisa, sicura e molto
ironica, senza sapere che egli stava morendo silenziosamente dentro.
«Un ragazzo bello come te! Ci deve essere una ragazza speciale. Coraggio, su,
come si chiama?» domandò con una certa impazienza l’intervistatore.
Tacque per quello che gli sembrò un momento senza fine.
Con ogni probabilità, non ce ne sarebbero stati altri così.
Il mormorio si affievolì e, senza osservare un punto preciso, fissò lo sguardo dinanzi
a sé.
Sospirando, il ragazzo rispose: «Be’, una ragazza c’è. Ho una cotta per lei da
che mi ricordo. Ma sono certo che lei non sapeva nemmeno che esistessi, prima
della mietitura».
Un “oh” generale si librò nell’aria, come un uccello spiccava il volo.
Sentì una fitta alla base della nuca, come capitava ogni volta che lei posava
lo sguardo sulla sua figura. Accadeva raramente, ma per lui era una sensazione
unica.
S’illudeva, quelle poche volte, di essere l’uomo giusto per lei, chi lei
avrebbe scelto.
Un’illusione stupida, effimera ma, finché rimaneva un sogno, lui poteva
continuare a fantasticare.
«Ha un altro compagno?»
Be’, tante volte se l’era chiesto Peeta, eppure non notava nessuno al suo
fianco che non fosse quel suo amico con i capelli corti, scuri.
Si chiamava Gale, almeno così aveva udito. Ma lei non lo guardava come si fa
tra innamorati.
No, si disse Peeta.
C’era affetto, o almeno sembrava fosse così.
«Non lo so, ma piace a molti ragazzi». Almeno aveva risposto sinceramente, si
disse ancora una volta.
Caesar, l’intervistatore, batté una mano sulla sua spalla, sorridendo per
incoraggiarlo. «Non c’è problema, ti suggerisco io cosa puoi fare. Vincere e
tornare a casa. A quel punto, non potrà respingerti, ti pare?»
Già, roba da nulla, pensò con sarcasmo il ragazzo.
Con le mani sudate e appiccicose era difficile credere che quella per lui non
fosse la prova del fuoco. Tutti lo guardavano come se lui fosse un re, con un
carisma da colpire dritto nei cuori di ogni spettatore presente per quelle
file.
Peccato che ora il discorso si stesse dirigendo verso terreni inesplorati
persino per i suoi genitori.
Nessuno sapeva a parte quell’ubriacone del suo “maestro”.
E finché fosse stato soltanto lui, allora si riteneva in una botte di ferro.
«Non credo che funzionerà. Vincere… non servirebbe, nel mio caso» gli fece
notare Peeta.
«E perché mai?» domandò ancora una volta Caesar.
Poteva rispondere dicendo “be’, perché significherebbe vederla morire”, oppure
“perché tanto sono destinato a perdere”, oppure ancora “perché la amo più della
mia misera vita”.
Un sorriso laconico fiorì su quelle labbra carnose, con le quali sognava di
poter sfiorare quelle dell’acclamata e ammirata ragazza di fuoco, mentre si
apprestava a rispondere.
Katniss avrebbe saputo.
Katniss l’avrebbe biasimato.
Katniss avrebbe dichiarato di non amarlo.
E infine…
Katniss avrebbe distrutto con una frase tutto il suo mondo, fatto di fantasie,
sogni e illusioni. Lei e lui.
Katniss e Peeta.
Arrossì e balbettando rispose: «Perché…
perché lei è venuta qui insieme a me».