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Autore: Ely79    10/11/2011    1 recensioni
Neryon fa ritorno presso il suo clan dopo anni di esilio. Il mondo è cambiato per gli uomini e per i licantropi. E anche per uno come lui: un Senza Luna.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sento profondamente a disagio in questo locale. Tovaglie bianche su tavoli di legno scuro, bicchieri di vetro e piatti di porcellana, posate di metallo dove luccica il riflesso delle lampade appese al soffitto. Grandi gomitoli di filo metallico punteggiato di luci vagamente dorate. Sulle pareti candide campeggiano quadri astratti dai colori accesi. Ogni cosa parla di pulizia e ordine, i miei esatti opposti.
Nonostante mio fratello abbia prenotato un tavolo in un angolo tranquillo e discreto, mi sento addosso gli occhi dei pochi avventori del tardo pomeriggio. Sguardi assillanti e indagatori, quanto irreali. Quando sai di essere diverso, sei portato ad ingigantire le percezioni, specialmente quelle ostili.
Manca una manciata di minuti all’ora dell’incontro e non posso fare a meno di chiedermi chi vedrò entrare da quella porta. Fatico ad immaginare quali cambiamenti siano avvenuti in lui.
Lo stomaco brontola già da qualche tempo ed il profumo dei manicaretti che fanno bella mostra di sé nella vetrinetta non mi aiuta per niente. Non ordinerò prima che lui si arrivato, ho tenuto a mente almeno un briciolo di buone maniere.
Tengo le mani fra le ginocchia da così tanto tempo che le sento formicolare. Provo a muoverle contro la stoffa ruvida dei pantaloni, curvandomi fin quasi a toccare la tovaglia con il naso. I capelli mi cadono sulla fronte e sulle palpebre; attraverso la loro cortina posso notare l’espressione di vaga commiserazione del cameriere. Probabilmente si sta domandando cosa diamine ci faccio nel suo locale. Io, un derelitto, un reietto. Un poveraccio. Almeno al momento. Chissà, forse fra qualche settimana o fra qualche mese, sarò solo uno dei tanti clienti da servire con un sorriso. Probabilmente mi sto illudendo per l’ennesima volta.
Sospiro, continuando a sgranchire le nocche. Mi sono accorto di farlo con una certa frequenza. Sospirare, intendo. Da quando ho ricevuto il permesso di tornare, è un continuo gonfiarsi e sgonfiarsi della mia cassa toracica. Ho la testa piena di dubbi, pensieri, parole attorcigliate come serpi. Respirare è un modo come un altro per cercare di svuotare le meningi. Eppure non dovrei stupirmene: tutta la mia vita da quindici anni a questa parte è stata improntata all’incertezza, eccettuato per quanto riguarda la mia diversità. Quella è sempre stata indiscutibile, fin dal suo manifestarsi.
Un ritaglio della mia faccia appare nella lama del coltello. Due tondi argentei sul metallo dello stesso colore. Quasi non c’è differenza. Eppure non condividono nulla. Non c’è traccia della durezza o del freddo dell’acciaio nei miei occhi. Sono troppo intensi, troppo guizzanti. Troppo vivi. Occhi da predatore, che avrebbero dovuto rendere fiero mio padre.
Sono costretto a raddrizzarmi per stendere le braccia e cercare un po’ di sollievo. L’imbottitura dello schienale tenta di spingermi di nuovo in avanti e le mie ossa si oppongono a malapena.
Finalmente, entra un uomo. È alto, il fisico massiccio ma proporzionato, i capelli corti e scuri. Tiene la giacca gettata su una spalla con noncuranza. Fa un cenno al cameriere e si volta sorridendo. Gli occhi ambrati scintillano nella mia direzione.
   
 
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