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Autore: KH4    11/11/2011    3 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Buon pomeriggio a tutti voi! E anche questa settimana, vi porto il nuovo capitolo ^^. Fintanto che riesco ad arrivare a venerdì, ne approfitto. Un grande ringraziamento a tutti quanto voi che leggete!

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“Levatevi dalle scatole, bestiacce! SONO DI FRETTA!!”

Le grida di Azu echeggiavano lungo i cunicoli di pietra, interrompendo bruscamente il flebile e appena impercettibile gocciolare dell’acqua di rugiada.
Correva a perdifiato giù come una forsennata, senza mai rallentare, seguita a ruota da Rufy scatenato quanto lei. Entrambi si stavano aprendo la strada con il solo uso delle mani, senza porsi il problema dell’orientamento: per quanto fosse difficile scegliere quale dei numerosi tunnel prendere, i due ragazzi erano presi da tutt’altro, per mettersi seduti e ponderare su tale questione. Quegli enormi gorilla li stavano ostacolando in ogni maniera, cercando di rendere ancor più angusto e stretto lo spazio a loro disposizione. Erano pochi, ma estremamente coriacei, coi muscoli di pietra e i denti aguzzi, il che li rendeva dei avversari assolutamente fighi per Cappello di Paglia.

Attaccavano con brutalità, ruggendo e facendo tremare la pietra circostante; la loro inarrestabilità sfilava in bella vista a ogni loro attacco, cozzando contro tutto ciò che li circondava. Indubbiamente, avrebbero portato avanti lo scontro fino all’esaurimento fisico, se la loro indole animalesca non li avesse illuminati su di un fatto molto lampante: quei due invasori, benché fossero di stazza inferiore, stavano distruggendo le loro difese e i loro attacchi con una forza pari alla loro, se non superiore. I pugni cicatrizzati venivano parati e ricambiati, la loro territorialità messa sempre più a rischio…in pratica, stavano perdendo su tutti i fronti, e, dall’alto della loro primitività, non avevano potuto fare altro che indietreggiare volontariamente. Con passi pesanti e grugniti ansimanti – senza contare poi la grande sorpresa dei due ragazzi -, i padroni della parte destra di Rocky Headland avevano lasciato spazio a un profondo silenzio, contornato dal flebile e alquanto suggestionante suono del vento che riempiva ogni angolo del posto. Luminosità e temperatura scendevano man mano che ci s'inoltrava in quella tana tortuosa, provocando brividi alla pelle umana e rendendo tutto ancor più uguale di quanto già non fosse. L’ambiente non forniva nulla che potesse essere considerato un punto di riferimento: tutto era grigio, bagnato, freddo, umido….un posto dove Azu non avrebbe passato mezzo secondo in più, se, a costringerla, non ci fosse stata una causa di forza maggiore.

Avanzando con passo svelto e spavaldo, l’albina teneva puntati i suoi occhi perlacei sulla vivrecard di Shion, alzandoli di tanto in tanto per evitare di finire col naso spiaccicato da qualche parte: il modesto pezzettino di carta, per tutto il tragitto, aveva continuato a trascinarsi verso il basso, quasi volesse scappare dal palmo della ragazza, tanto si agitava, ma poi, aveva iniziato a raddrizzarsi, cercando di mettersi in piedi. Nel suo osservarlo accuratamente, Azu vide la punta di esso cercare una stabilità al momento traballante, indicante l’alto e nessun’altra direzione. 
Un simile cambiamento non mancò di essere notato: rappresentava una svolta, poiché, dalla direzione, sembrava proprio che Shion stesse venendo nella loro direzione, ma la guardia del corpo non si scompose, ne mutò lo spirito battagliero dipinto sul suo viso. Poteva darsi che quegli animalacci della malora la stessero spostando apposta, giusto per rendere la loro ricerca ancor più difficoltosa. Una mossa che avrebbe fatto di loro delle belle pellicce per il suo guardaroba, se la sua ipotesi si fosse rivelata giusta.

Se provano anche solo a darle un morso, li scuoio vivi, pensò fermamente convinta.

Aumentò il passo, svoltando a destra e senza minimamente preoccuparsi di guardare se Rufy fosse dietro di lei o al suo fianco. L’idea che quella piccina fosse chissà dove, in quale accidenti di buco, impaurita e tremante, stava cancellando ogni altro pensiero dalla sua testa, al fine di averla completamente libera per le sue attuali priorità, ovvero:

Salvare la sua pucciosa protetta e strangolarla di abbracci.
Prendere a calci nel sedere quelle scimmie e fare di loro dei capi che enfatizzassero la sua vanità.
Ultima, ma non meno importante, sfottere suo fratello.

D’accordo, la terza non era strettamente necessaria, ma ci stava comunque bene.

Ogni occasione era buona per ribattezzare che lei non era inferiore al parente, in particolar modo quella, visto l’attuale vantaggio, ma mai si sarebbe permessa di trasformare il rapimento di Shion nell’ennesima sfida personale contro Lars. L’adrenalina pompava nelle sue vene come il sangue nel cuore, spronandola a tirare avanti e a compiere le azioni più disparate: sollevare un gorilla di duecento chili a mani nude e scaraventarlo contro altri suoi simili, era qualcosa che poteva risultare tanto impensabile quanto spaventoso, specie se a farlo, era una ragazza.

Nessuno avrebbe contestato l’invincibile forza di Azalea Gallower, ma ella, al momento, non era affatto interessata a dimostrare tale tesi. Shion aveva la priorità su tutto quanto.

“Bene, stiamo andando nella direzione giusta”, affermò lei, nel guardare la vivrecard della bambina “Anche se si sta muovendo, dovremmo riuscire a sbarrare la strada a quegli animali prima che si allontanino troppo. Rimani vicino, Rufy, questo posto è peggio di un labirinto e, francamente, più tempo ci passo e più mi viene voglia di demolirlo, capito?.....Rufy? Ru…”

Anche se l’albina avesse continuato a parlare, Cappello di Paglia non le avrebbe comunque risposto, e questo perché, quando si aveva a che fare con lui, bisognava tenere a mente una sola e semplice regola: non si doveva mai, mai, mai, ma proprio mai, perderlo di vista.
L’alzare lo sguardo e il volgerlo alle sue spalle, per poi scoprire di essere sola come un cane, fece cadere la mascella della ragazza a terra, allungandole le pupille e rendendo la sua espressione ancor più sbalordita. Così presa a guardare la vivrecard di Shion e immersa nel proprio flusso di pensieri, Azu non aveva fatto caso a quella piccola particolarità, che l’aveva accompagnata sino a quell’istante: lì c’era silenzio, decisamente troppo, considerati gli abitanti del posto e la persona con cui ci era entrata. Un tipo come Rufy era abituato a esplorare una nuova isola senza alcun genere d'imposizione, arrivando anche a cantare filastrocche stonate nel bel mezzo di una giungla, pur di esprimere la sua allegria, e sebbene ciò fosse talmente fastidioso da rendere più digeribile il pestaggio a suo carico, era la sola garanzia che permetteva ai suoi compagni di ciurma di non perderlo. Un solo essere umano negato del benché minimo senso dell’orientamento – ovvero Zoro –, era sufficiente.

“Maledizione!!! E ora dove si è cacciata, quella testa di gomma?!” sbraitò l’albina, battendo i piedi per terra.

Era troppo bello che stesse andando tutto liscio. Figurarsi se il fato non confabulava contro di lei!
Ringhiando coi denti chiusi, si scompigliò la zazzera argentata freneticamente, digrignando mugugni incomprensibili, ma ben carichi di esasperazione.

E pensare che sono stata proprio io a volere che la giornata si movimentasse, si ritrovò a pensare, sbuffando così tanto da sollevare la sua stessa frangia.

L’attuale livello di esasperazione aveva appena oltrepassato il punto di non ritorno. Azu non era mai stata una ragazza che credeva alle predizioni, così come non aveva mai creduto che i propri pensieri potessero prendere forma e ricaderle in testa, ma, a saperlo prima che finiva in quel modo, non si sarebbe mai azzardata ad aprire la bocca. Poteva lagnarsi quanto voleva, ma ormai il guaio era fatto, e a lei, povera anima disperata, non restava altro da fare che trovare il ragazzo di gomma e astenersi dall’accopparlo. Come si era detta prima, Shion aveva la priorità su tutto quanto.

Voltandosi completamente, prese a ripercorrere i propri passi, finché non udì qualcosa: un colpo, seguito da un tonfo molto pesante.

“Rufy.”

L’albina cominciò a correre, scorgendo sulla parete di destra una rientranza circolare che prima le era sfuggita: il ragazzo doveva esserci entrato, perché, come Azu vi si addentrò, avvertì i suoni farsi più forti. Stava combattendo, ne era sicura: quei ruggiti animaleschi non potevano di certo appartenere al capitano. Difatti, quando uscì dal tunnel percorso, si ritrovò in un altro di quei condotti rocciosi, identico in tutto e per tutto a quello che si era appena lasciata alle spalle, ma con un Rufy avente i pugni alzati e un gorilla steso a terra.

“Eccoti qua! Si può sapere che diav….?!”
“ Sta giù!”

L’indignazione di Azu, mischiata a un forte prurito alle mani, s'interruppe di colpo. Aveva tirato dritto verso l’amico, incurante del fatto che avesse abbassato la propria guardia. Vedere la faccia del capitano aveva portato il suo nervosismo all’apice, accecandola su quanto la circondava, compreso l’enorme scimmione comparso alle sue spalle e pronto a colpirla al collo. Non se ne era accorta, e, come udì l’ordine di Rufy, successe qualcosa.

Non comprese subito cosa fosse capitato: la sua mente, a un certo punto, aveva come smesso di funzionare, spenta da qualcosa che non era la sua volontà. Era calato il buio e la sua coscienza era stata colpita con violenza, traballando pericolosamente verso il nulla. Come avesse fatto a resistere, neppure lei sapeva dirselo, poiché quel colpo stava rimbombando dentro di lei con l’uguale intensità di tanti echi incapaci di susseguire un ordine crescente. 
Nel riaprire gli occhi - senza neppure ricordare per quale ragione li avesse chiusi -, Azu si ritrovò seduta a terra, col fiatone e in uno stato d'intorpidimento così acuto che pareva quasi le fosse stato tolto l’ossigeno dal sangue. La vista doveva essersi annerita per qualche istante e il ricordo di Rufy, che teneva un braccio piegato sul fianco e l’altro ben teso in avanti, col palmo della mano aperto, era l’unica cosa che al momento riusciva a rimembrare decentemente.

Ma che diavolo….è stato? Pensò lei, con la mano sulla gola, cercando di placare gli ansimi.

Le sue braccia erano tese, come le gambe, tremanti per qualcosa che superava di gran lunga l’emozione scaturita dalla paura. Non c’erano immagini a cui aggrapparsi, solo quella strana sensazione che, ad un certo punto, l’aveva trapassata da parte a parte senza lasciarle ferite mortali, ma scuotendola con così tanto vigore da farle quasi perdere i sensi. Era frastornata, con il corpo emotivamente sfatto e inibito. Sul piano fisico era intatto, privo di segni o lividi, il che la sbalordì ancora di più, poiché, per arrivare a provare una simile spossatezza, avrebbe dovuto combattere per sette ore di fila, se non di più. Lei era una che non demordeva neppure se si trovava sul punto di morire, capace di portare il proprio corpo in condizioni pietose, pur di dimostrare che non era una femminuccia, ma in quel preciso istante……. non sapeva che cosa pensare.
Neppure una scossa elettrica avrebbe potuto fare danni così ingenti e lasciarla senza fiato a quella maniera.

“Oi! Tutto bene?” le domandò Rufy.

Le ci volle qualche secondo per riuscire ad alzare la testa quanto bastava e dunque guardare in faccia il ragazzo di gomma.

“Ehi..”, rantolo lei, mandando giù in gola l’ennesimo ansimo "Che…accidenti hai...combinato?”
“Uh? Oh, scusa, non volevo colpire anche te”, le disse lui, portandosi una mano sulla falda del cappello “ Di solito faccio attenzione, quando uso l’Haki. Rayleigh-san mi ha insegnato come si fa e…”
“Che?” biascicò l’albina, massaggiandosi le tempie “Di che stai parlando?”
“Dell’Haki”, rispose Rufy, con semplicità “Tu non ce l’hai?”

Se ce l’aveva? Manco sapeva che cosa fosse.
Era la prima volta che lo sentiva nominare. Durante gli anni d’addestramento, si era impegnata a sviluppare alla perfezione le proprie capacità fisiche, portandole a un livello fenomenale grazie anche all’apprendimento delle Roku-shiki, di cui ora vantava una certa maestria. Mancava di una certa precisione e controllo in alcune di queste, giacché preferiva utilizzare quelle con cui più si sentiva a suo agio, ma non era una pecca così grande da metterla in pericolo di vita: le svariate ore passate ad allenarsi servivano appositamente a tenerla in forma e ad aumentare la destrezza appresa in tenera età. C’era stato quell’attimino in cui aveva dovuto applicarsi mentalmente – periodo molto cupo, data la sua grande avversità nei confronti dello stare seduta e dello studio - , ma alla fine, era arrivata a ricoprire la posizione attuale, dando prova di quanto una ragazza potesse fare, se ben decisa a dimostrare agli uomini che anche il gentil sesso poteva prendere a calci nel sedere pirati e gentaglia varia.

Aveva studiato, sudato……ma quel cosiddetto “Haki” menzionato da Rufy, le era completamente estraneo. Il nome non si ricollegava ad alcuna voce imparata e questo perché si trattava di un’energia talmente grande e complessa, da poter essere vista e appresa soltanto in mare aperto. Era la volontà di far risplendere le proprie convinzioni di luce viva, donando a esse una solidità capace di distruggere qualcosa di concreto come un’intera flotta navale. Era ciò che poteva arrivare a spezzare il cielo, dividere le acque e far tremare la terra con un solo battito di ciglia, una forza diversa da quella fisica, potente e nobile quanto il sogno che la muoveva. Non esisteva una definizione che spiegasse il suo funzionamento, ed era difficile credere che una cosa del genere esistesse, eppure, quando Azu vide il gorilla che aveva cercato di attaccarla, non scorse alcun segno di contusioni o ematomi: era semplicemente steso a terra, con gli occhi rivolti all’insù e la bava alla bocca, come tramortito da un martello invisibile.

“L’hai messo al tappeto…col tuo Haki?” domandò lei, nel gattonare vicino all’animale e accertandosi nuovamente che il ragazzo non lo avesse effettivamente preso a pugni in faccia.
“Certo. Stava per piombarti addosso”, le rispose lui, con ancor più evidente ingenuità.

Per il capitano non poteva apparire più normale di così, ma per l’albina, l’argomento “Haki” era divenuto un oggetto degno di approfondimento, che avrebbe chiarito non appena la loro missione di salvataggio si fosse conclusa. Mente liquefatta a parte, nessun torpore o indebolimento le avrebbe fatto dimenticare che Shion era in pericolo. Una visione che la fece saltare in piedi con energie nuove e pronte a essere utilizzate.

“Beh, Haki o non Haki, grazie per l’aiuto”, disse lei, ripulendosi le ginocchia “Sarà meglio proseg…”
“Azu-chan? Sei lì?”

Il silenzio stavolta fu rotto da qualcosa di più dolce: una vocina tenera e incerta si era fatta largo fra quelle mura, arrivando a solleticare l’udito dell’albina, la quale, schiuse la bocca e guardò Rufy come a voler accertarsi di non essersi sbagliata. Lo riteneva pressoché impossibile, poiché avrebbe riconosciuto quella voce anche se si fosse ritrovata in mezzo a una folla rumorosa, ma non voleva che il suo subconscio le avesse giocato qualche scherzo, vista l’attuale fretta.
Cappello di Paglia si guardò subito attorno, finché non arrivò a scorgere in cima alla parete di destra, poco prima di toccare il soffitto, una piccola rientranza dalle forme irregolari. La vocina si fece ancora sentire e lì, Azu, non poté non parlare.

“Shion? Shion, sei tu?”




“Toglimi le mani di dosso, dannato cuoco da strapazzo!” strepitò Zoro.
“Lo farei, se tu avessi la decenza di rimanere in piedi per più di tre secondi!” replicò Sanji, nel mentre cercava di alzarsi.
“E da quando in qua il tuo equilibrio dipende dal mio?!”
“Da quando Nami-san mi ha chiesto di starti dietro per evitare che tu faccia di testa tua! Hai idea di quanti problemi ci avresti creato, se ti fossi perso come al tuo solito?!”
“Ma che vai a blaterare, idiota?! Io non mi perdo mai!”
“Raccontala a qualcun altro!!”

Lo scoglio sinistro di Rocky Headland era completamente avvolto da un fittissimo strato vegetale, selvaggio in ogni punto. Esattamente come Nico Robin aveva ipotizzato. Non c’erano segni di civilizzazione o i più rudimentali tentativi, sintomo che quel posto non era mai stato esplorato. Trovare luoghi del genere era raro di quei tempi: la Marina aveva acquisito la brutta abitudine di piazzare un avamposto in qualunque territorio civilizzabile, e questo arrivava a comprendere paludi, grotte, e anche vulcani in piena eruzione. Il fatto che Rocky Headland fosse fuori dalla portata dei militari era un autentico sollievo, ma non completamente, considerata la piega che gli eventi stavano prendendo: il rapimento di Shion pareva essere stato soltanto il preludio di quella lunga serie di vicissitudini che attendeva la Ciurma di Cappello di Paglia. Al di là della splendida rigogliosità, la parte sinistra di Rocky Headland, come ogni foresta si rispettasse, implicava la presenza di certi fattori naturali alquanto fastidiosi: primi di tutti, i moscerini.

Piccoli, snervanti...si appiccicavano alla pelle peggio della colla!

Come avevano messo piede nella giungla, i ragazzi erano stati letteralmente assaltati da interi stormi di quegli insetti, finendo per prendersi a sberle a vicenda. Fra tutti, era stato Usopp a rimetterci maggiormente: nel vano tentativo di scacciare quei maledetti esserini, Franky aveva finito per mollare una manata contro il naso del cecchino, mostrandogli un cielo pieno di tantissime stelline luccicanti.
Non era stato il loro migliore inizio, ma, d’altro canto, se era la natura stessa a ostacolarli, poche erano le possibilità di procedere senza intoppi: il tasso di umidità stava al di sopra della norma, molto accentuato dal fatto che le folte fronde degli alberi e dei cespugli evitavano al cielo di illuminare l’interno, chiudendo il tutto come fosse una cupola. I loro tronchi erano incurvati, assomiglianti a degli archi, con i rami pendenti a destra e a sinistra, che andavano a intrecciarsi con altri loro simili per dare vita a chiome più grandi e resistenti. Il terreno era scivoloso, coperto da un’incolta erba alta che arrivava a solleticare il collo dei pirati, intenti ad attraversarla e a non rimanerci impigliati: strusciava contro le loro pelli come fosse una cinta di cuoio spessissima.

Cosa dire poi della mobilità….
Attraversare quel pantano umido, molliccio, avente la consistenza delle più putride melme che fosse mai state messe insieme, stava rendendo l’attraversata estremamente complicata. Arrancando col sudore che imperlava le loro fronti, i pirati di Cappello di Paglia, col valido aiuto delle loro braccia, cercavano di farsi largo in quella natura incontaminata, il cui silenzio era continuamente interrotto dalle imprecazioni di Zoro e Sanji, le cui cadute stava rallentando la già lenta andatura.

“Per la miseria, l’erba è altissima”, disse Usopp “Attenti a dove mettete i piedi.”
“A giudicare dalla temperatura del terreno, dovremmo trovarci nella parte più interna della foresta”, constatò Nico Robin.

La fanghiglia non era più bollente e maleodorante come lo era stata pochi attimi prima: stava iniziando a perdere calore, raffreddandosi gradualmente.

“Che fossimo dentro o fuori, la cosa non cambierebbe: questa umidità mi sta facendo arrugginire le giunture!” borbottò Franky, con Chopper appoggiato su una delle sue mastodontiche spalle.

Quel clima afoso era decisamente troppo per il povero dottore, bloccato in uno stato di semi-incoscienza, per via della calura che la sua stessa pelliccia gli stava arrecando.

“Yohohoho, concordo con te! Questo caldo è così insopportabile, che fra un po’ mi si scioglieranno le ossa!”

Come trovassero la forza di parlare, era un vero mistero. Quell’afa superava il sole cocente dei deserti di Alabasta, una ragione in più per chiudere la bocca e conservare l’ossigeno. Il fatto di trovarsi in una zona con poca pendenza, bastava a far intuire ai loro cervelli che avevano ancora parecchia strada da fare prima di arrivare a una sufficienza altezza e dunque escogitare un piano per passare dall’altra parte. La Gatta Ladra aveva già in mente un’ideuzza, ma era necessario fare un passo alla volta, specie se c’era il rischio che anche quella parte d'isola, fosse abitata da animali feroci. Per il momento non se ne erano visti, il che era un bene, giacché la loro mobilità stava venendo messo a dura prova da quella fanghiglia: in alcuni punti, la sua densità era tale, che dovevano per forza prendersi le gambe con le mani e tirarle su a più non posso, per riuscire a liberarle.

“Risparmiate il fiato e continuate a camminare”, borbottò Nami, passandosi il dorso della mano sulla fronte “Con un simile livello di umidità, non è il caso di rimanere qui più del dovuto. Dobbiamo proseguire e salire più in alto, dove il terreno è secco e l’aria è più respirabile.”
“Aw! Meglio secco che questa calura! I miei arti stanno iniziando a scricchiolare e i capelli non ne vogliono sapere di stare su!” esclamò il Cyborg, nel sistemarsi, per l’ennesima volta, il suo impeccabile ciuffo da “Vero uomo”.

Neppure impiastricciarsi la testa di gel era servito a tenere integro il suo orgoglio estetico: l’intruglio chimico stava colando incessantemente sul collo del carpentiere, lasciando che la chioma azzurrina si afflosciasse in avanti.

“La vegetazione è così fitta che rende uguale ogni angolo di questo posto. Non mi stupirei se stessimo girando in tondo”, disse l’archeologa.
“Che?!? Cioè, noi stiamo arrancando in questo schifo di fango da ore, e tu vieni a dirci solo adesso che forse siamo ancora al punto di partenza?!?!” esclamò Usopp, con gli occhi fuori dalle orbite.
“A….Aiuto……”, biascicò Chopper, completamente intontito “Mi gira la testa……”
“Yohohoho! Se fosse così, rischieremmo di rimanere imprigionati qui per sempre e di morire per colpa del caldo e della sete. Sarebbe davvero orribile, anche se sono già morto!” ridacchiò Brook.
“Vedi di farla finita con le tue stupide battute!” strillò Nami, nell’assestargli un destro impeccabile “E VOI DUE, PIANTATELA DI LITIGARE!” urlò rivolta al cuoco e allo spadaccino, rimasti per l’ennesima volta indietro, a causa dei loro battibecchi.
“Ha cominciato lui!” esclamarono all’unisono.

E ti pareva che non si comportassero come due bambini dell’asilo! Possibile che, in quei benedettissimi anni passati ad allenarsi, i loro cervelli non avessero compiuto un minimo di progresso? Certo che era possibile: si stava parlando di Zoro e Sanji.
Anche se avessero avuto a loro disposizione un intero secolo per maturare psicologicamente, sarebbe bastato che quei due si guardassero in faccia per regredire allo stadio infantile dentro cui sguazzavano.

La navigatrice sospirò pesantemente, battendosi una mano sul viso e sperando ardentemente che almeno il capitano non stesse facendo più danni di quanti lei si stesse già prefigurando.

“Sono i soliti id….!”

Riprendendo a camminare, Nami poggiò un piede in avanti, ma senza trovarvi la giusta stabilità: il terreno si era infossato all’improvviso, avvolgendosi attorno al suo piede e spingendola a traballare pericolosamente, senza neppure avere il tempo di tendere le braccia ai lati. Tentare di rimanere in piedi fu inutile: era troppo in bilico perché potesse raddrizzarsi da sé e non c’erano appigli a cui aggrapparsi. D’istinto, la ragazza chiuse gli occhi, pronta a vedersi coperta di fango dalla testa ai piedi, ma, contro ogni sua aspettativa, non avvenne nulla di quel che aveva previsto: anziché sentire il lerciume macchiarle la pelle, si ritrovò come sospesa a mezz’aria, con i piedi poggiati per terra, ma ancora in bilico. Il realizzare di non essere caduta, l’aiutò ad accorgersi di quella presa salda e rassicurante che le stava cingendo le spalle, sostenendo il suo peso senza risentirne.

“E’ tutto a posto?”

Dischiudendo le palpebre con fare incerto, la ragazza vide il volto di Lars guardarla attentamente. Le iridi ghiacciate di lui si stavano accertando che non si fosse fatta male e lei, nel osservarle di sfuggita, ne percepì tutta la fermezza: non vi era alcun briciolo di tensione in esse, così come non ve ne era nei muscoli. Solitamente il fisico di una persona risentiva quando doveva sostenere quello di un altro individuo: un leggero tremolio proveniente dagli arti, il viso contratto per la fatica……….segni tipici dello sforzo, facilmente riscontrabili in ciascun essere umano. Nami, da brava e scrupolosa osservatrice quale era, avrebbe notato subito quei piccoli dettagli, se Lars li avesse manifestati. Ma il punto era, che il ragazzo non emanava alcun tipo di vacillazione: sosteneva il suo peso come se nulla fosse, esattamente come aveva percepito in precedenza.

“Sta molto attenta: il terreno non è affidabile”, l’avvertì placidamente.
“Ah, si….ti ringrazio”, gli disse lei, nel mentre, con il suo aiuto, recuperava l’equilibrio.
“Oi, bell’imbusto!! Non ci provare con Nami-san!!” gli urlò dietro Sanji, intento a rimettersi in piedi e con Zoro che cercava di fare altrettanto.

L’albino ignorò il cuoco, così come la Gatta Ladra, grata al ragazzo per averle evitato una rovinosa caduta nel fango. Era stato talmente veloce da non averlo neppure sentito arrivare e lei, benché non fosse una combattente esperta quanto Rufy o gli altri, durante il periodo passato ad allenarsi, aveva imparato a percepire discretamente la presenza di una o più persone vicine a lei. Una piccola abilità che le permetteva di schivare e anticipare gli attacchi dei suoi avversari, senza che i suoi compagni corressero in suo aiuto.
Era qualcosa di cui poteva andare orgogliosa, perché, fra le tante cose che si era ripromessa di fare, vi era quella di non doversi più affidare ciecamente alla forza del capitano o dei suoi compagni. Per tanto tempo, troppo, aveva lottato ai margini della battaglia, limitandosi a un supporto secondario e lasciando il grosso ai suoi amici. Lì, il suo ruolo di navigatrice, inevitabilmente, perdeva valore e importanza, lasciandola disorientata e in balia di chi invece sapeva come agire.

Era sempre stato così, fin dai sui primi furti.
Aveva sempre fatto affidamento alla sua furbizia e al suo bel visino per uscire da situazioni intricate, ma per quanto affinate fossero le sue doti di ladra, Nami, a un certo punto del suo viaggio, si era resa conto di non poter continuare ad andare avanti a quel modo: non aveva senso affrontare il pericolo, se poi si lasciava che fossero gli altri a demolirlo.
Quante volte era stata salvata da Rufy, Zoro o Sanji? Quante volte aveva necessitato di un piccolo aiuto, laddove le sue abilità di combattente venivano annullate? Tante, tantissime. Saper gestire e creare eventi climatici diventava inutile, se non si aveva un po’ di agilità nella gambe, per questo, oltre allo studiare la tecnologia di Weatheria, la navigatrice aveva dedicato del tempo anche all’esercizio fisico.

Certo, non era arrivata a toccare i livelli del capitano, ma l’affrontare gli Uomini Pesce senza farsi salvare la vita, era stato alquanto gratificante. Era diventata forte, capace di badare pienamente a sé stessa e di avvertire la presenza di un nemico o di una qualunque persona alle proprie spalle……….ma con Lars, qualcosa non aveva funzionato.

Era stato talmente veloce, talmente rapido, che non era neppure riuscita a sentirlo arrivare, e questo le fece ulteriormente notare, che il suo livello di percezione non era ancora così elevato come le altre sue qualità. Nel guardarlo avanzare, immerso nei suoi pensieri, Nami si rese conto di quanto il ragazzo, fino a quel momento, fosse stato silenzioso: parlava quando lo riteneva necessario e, per il resto del tempo, se ne rimaneva tranquillo in un angolo, con quel suo volto apparentemente taciturno e serio. Lo avrebbe definito una persona fortemente schiva, forse addirittura scorbutica, se non avesse notato la gentilezza che dimostrava nei confronti di Shion; il vedere come interagiva amorevolmente con la piccola, faceva cadere ogni sorta di dicerie malevoli a suo carico, lasciando ampio spazio a un giudizio più positivo: Lars appariva freddo – anche grazie al suo aspetto -, ma era una persona su cui si poteva fare affidamento in ogni occasione, che osservava la situazione con fare silenzioso e agiva se qualcosa stava prendendo una piega storta.

Come in quel momento……

“Fermi”, ordinò lui, tendendo il braccio sinistro lateralmente.
“Che succede?” domandò la rossa.

Per una ragione strana, al momento inafferrabile, nella palude pareva essere subentrato un drastico cambiamento. Era invisibile ma palpabile, e sia Zoro che Sanji se ne erano accorti insieme all’albino, seguiti poi velocemente da Franky, Usopp, Nico Robin e Brook. I loro occhi vagarono con le lingue zittite, lasciando fuori dalla loro attenzione quel caldo asfissiante e qualsiasi altra fatica che, fino a qualche istante prima, li aveva visti respirare pesantemente.

“Abbiamo compagnia” sussurrò poi Lars, assottigliando lo sguardo e puntandolo sugli alberi che stavano davanti a loro.




“Shion, come stai? Sei tutta intera?” domandò Rufy, con le mani poste lateralmente alla bocca.
“Si, sono solo un po’ ammaccata”, le rispose lei, dall’altra parte della parete.

Azu e Rufy si trovavano davanti ad un grande muro di pietra, dietro cui la vocina di Shion risuonava debole ma chiara, grazie alla modesta apertura posta in cima, che lasciava passare i suoni senza ovattarli o rovinarli.

“Meno male…”, sospirò l’albina, sollevata “Ok, piccola, non muoverti da lì. Veniamo a prenderti.”

Il sentire la voce della sua protetta aveva immediatamente alleggerito l’animo della ragazza, riempiendolo di sollievo benefico: neppure la più potente delle medicine sarebbe stata capace di farla stare così bene. Polmoni e arterie si erano immediatamente irrobustiti di sangue e ossigeno, liberandola da quel filo di tensione che aveva fastidiosamente indolenzito il suo corpo. Forze a lei rubate inconsapevolmente, tornarono a loro legittimo posto, scaldandole i muscoli e rinvigorendole lo spirito battagliero. Si sentì come nuova, fresca e leggera: ogni sorta di preoccupazione, compresi i dubbi e pensieri rivolti alla salute della biondina, erano evaporati, lasciando posto al desiderio di volerla avere vicino a sé.

“Dobbiamo trovare un modo per arrivare dall’altra parte”, affermò risoluta, guardando con aria di sfida, la roccia che la divideva dalla sua protetta.
“Potremmo passare da lì”, propose il capitano, indicando la fessura con l’indice.
“Uhm…..” l’albina osservò il passaggio con diffidenza, inclinando al testa e storcendo la bocca “Non mi convince molto, sembra stretta”, mormorò poi.
“Proviamo!”

Allungando le braccia, Cappello di Paglia afferrò la rientranza del muro, per poi attaccarsi ad essa con il resto del corpo. Tirandosi su appena, cercò di infilare la testa e le spalle facendo leva sulla sua gommosità, ma dopo nemmeno dieci minuti, fu costretto a tirare il collo all’indietro e a estrarre la testa con un sonoro “Pop!”

“Niente da fare, non ci passo!”
“Te l’avevo detto. Su, scendi, provo a sfondare il muro. Shion, fatti da parte!”

Allentando la tensione dalle spalle, Azu puntò i piedi per terra, facendo roteare il bacino e caricando il suo micidiale destro sul fianco: un paio di pugni, a sua detta, sarebbero bastati.
Colpì la parete con un perfetto diretto, provocando una scossa che la fece vibrare con moto circolare, aprendo la pietra e tagliandola in più parti. Le crepe arrivarono a diramarsi fino al soffitto, spingendolo a contorcersi su sé stesso e enfatizzando il tremore creato dall’albina, bloccatasi all’istante, per come il pavimento sotto i suoi piedi si era messo a ballare.

“Whaaa! Azu-chan, qui trema tutto!!” esclamò spaventata Shion.

Imprecando mentalmente, la ragazza cancellò dalla propria mente l’intenzione di sferrare il secondo attacco. Il piccolo terremoto cessò dopo pochi attimi, ma sia lei che Rufy erano arrivati a intuire l’incredibile fragilità di quella roccia. Probabilmente, il fatto che la montagna fosse stata riempita di galleria e buchi, aveva contribuito a diminuirne la solidità, portando i due ragazzi al punto di partenza. Shion era ancora dall’altra parte del muro, vicinissima ma irraggiungibile, e nessuno dei due aveva idea di come arrivare da lei senza che dei macigni cadessero sulle loro teste.

“Fiuu! Ancora un po’ e ci crollava tutto addosso!” esclamò Rufy, battendo la mano suo prezioso cappello, di modo da tale da pulirlo dalla polvere cadutagli sopra.
“Bleah, che schifo!” esclamò l’albina, ripulendosi i capelli e le braccia “Ma quanta accidente di polvere mi è caduta addosso?!”

Con faccia stizzita, Azu si liberò dai detriti e dalla sporcizia attaccatesi dopo la scossa da lei provocata. Detestava essere sporca, aveva un certo limite che teneva sempre ben sotto controllo, salvo quando combatteva: in quei casi, le era difficile mantenersi perfettamente in ordine come soleva apparire, era una cosa pressoché impossibile. In quei cruciali momenti, se si fosse concentrata sul suo aspetto, avrebbe concesso al proprio avversario una vittoria spudoratamente facile. Vittoria che, poco ma sicuro, il suo orgoglio le avrebbe fatto pesare per tutta la vita. Quando s'impegnava, la stridula vocina della sua coscienza sapeva essere più saccente e irritabile di quella di Lars. Una tortura lenta come la morte.

Era una bella ragazza, molto affascinante e seducente, ma in simili situazioni, il mettere da parte la propria vanità era un obbligo inevitabile: apparire disordinata la faceva arrabbiare, ma perdere miseramente…….
No, era preferibile non toccare quel tasto. L’albina era consapevole di quanto uscisse disfatta da un combattimento, ma, per le restanti occasioni, non vedeva ragioni sufficientemente valide per cui non dovesse mostrare ai suoi potenziali ammiratori quanta femminilità possedesse. Amava riceve attenzioni e gioielli come qualsiasi femmina esistente al mondo, apprezzando gli uomini che le evitavano di aprire i portafogli e omaggiandoli se questi le regalavano i migliori amici che una ragazza potesse chiedere: i diamanti. Non era mai arrivata al punto di portarsi a letto i suoi ammiratori, considerato il decoro da mantenere e la reputazione. In fatto di uomini, era molto selettiva: solo ragazzi dai vent’anni insù, ben piazzati fisicamente, e, molto importante, capaci di istigare la sua maliziosità. Ok, come stile di vita lasciava alquanto desiderare, ma, in fondo, a quel mondo, chi era perfetto?

“Bah! Lasciamo perdere”, borbottò lei, finendo di sistemarsi “Shion, riesci ad arrivare all’apertura e a passarci dentro?”

L’albina non sapeva di preciso quanto quella rientranza fosse lunga ma, a occhio e croce, era abbastanza larga da farci passare un bambino. Una bambina, nel loro caso. Dall’altra parte, la biondina, da prima, si guardò intorno, per poi prendere a saltare nel tentativo di raggiungere la rientranza, ma senza riuscirci.

“Non posso, Azu-chan. E’ troppo in alto, non ci arrivo”, le disse lei.
“Dannazione…”, sibilò la più grande, assottigliando lo sguardo “Sarebbe tutto più facile se lo potessimo demolire, questo muro del cavolo...”

Se prima non aveva idee, ora non possedeva neppure un benché minimo straccio di queste. Aveva le mani legate e il saperlo, non fece altro che renderla più indisponente nei confronti di quella barriera naturale tutta grigia. Rufy, dal canto suo, ci aveva provato a infilarsi in quella benedetta apertura, ma per quanto il suo corpo potesse essere malleabile, non lo era a sufficienza da permettergli di strisciare dall’altra parte, il che lo portò a incrociare le braccia e a guardare la rientranza con la linea della bocca leggermente all’ingiù, in quella sua tipica espressione pensierosa.

“Uhm….visto che non possiamo sfondare il muro, tanto vale proseguire e cercare il canale giusto”, disse ad un certo punto “Non credo si possa fare altro.”
“Che? Scherzi? Hai idea di quanto ci impiegheremo a trovare la giusta via?” sbottò la ragazza, voltandosi verso il ragazzo.
“Lo so, però, se non possiamo abbatterlo, ne passarci in mezzo, mi spieghi come facciamo ad arrivare dall’altra parte?”

Rufy aveva perfettamente ragione: non c’era modo di togliere quella parete senza che il soffitto crollasse. Se volevano arrivare nello stesso tunnel di Shion, dovevano proseguire, ma la preoccupazione della ragazza, nei confronti della piccola, stava rendendo incerte le sue scelte. Non si era dimenticata dei abitanti di quel pezzo d’isola, ed era per tale ragione, che non voleva abbandonarla. Tuttavia, era anche vero, che se fosse rimasta lì e quelli fossero arrivati, non avrebbe potuto muovere un muscolo. Aveva ragione Rufy, e lei lo sapeva.

“Oi, Shion!” la chiamò il ragazzo “Adesso cerchiamo un’altra strada. Tu resta lì e aspettaci.”
“Va bene!” rispose la bambina.
“Aspetta un momento, Rufy”, lo fermò l’albina “In giro ci sono quei gorilla, non è una buona idea farla restare lì. E se quelli poi arrivano?”
“Oh…..giusto!” e batté un pugno sul palmo della mano “Shion, trovati un posto sicuro e restaci fino al nostro arrivo! Meglio?”

Tempo tre secondi, e Azu spiaccicò una delle sue mani contro la fronte, coprendo le già emergenti nervature pulsanti. Come accidenti faceva quel ragazzo a uscirsene con frasi tanto leggere? Mica era un gioco, quello!

“Ggggnnnfhhh…!!” trattenere i propri ringhi fra i denti non era mai stato tanto difficile “Rufy, non è questo il punto...”, sibilò lei, con voce tremante per l’irritazione.
“Azu-chan, non ti preoccupare per me!” esclamò Shion “Posso farcela a trovare una via d’uscita, so badare a me stessa e Red mi darà una mano.”
“Lo so che puoi farcela, ma….un momento! Chi è Red?”
“Il mio nuovo amico!” rispose lei, tutta contenta “E’ una scimmietta carinissima, mi ha aiuta…..”
“GROARRRRRR!!!!!!”

Un poderoso e inquietante ruggito strappò violentemente la serenità dal cuore dei presenti. Il silenzio fu spaccato, per poi essere sostituito da uno molto più pesante, carico di tensione, dove sottili e sommessi rumori provenienti dal basso cominciarono ad agitarsi. La scimmia Cresta di Fuoco rizzò il proprio pelo, alzando la coda più in alto che poté e ringhiando contro il tunnel da cui, insieme a Shion, era venuta: il buio stante sul fondo parve addensarsi  e nel guardarlo, la bambina cominciò a respirare irregolarmente, tenendo le mani strette attorno alla tracolla della sua borsa, nel mentre l’animale dischiudeva la bocca e mostrava i canini.

Erano loro, erano i gorilla. E stavano arrivando.

Col cuore impazzito, immaginò che questi le piombarle addosso, furenti per l’aver scoperto che era fuggita dalla buca dentro cui l’avevano buttata; il solo pensiero di trovarseli a una distanza inaccettabile le fece sbattere la schiena contro la fredda e umida parete che prima Azu aveva tentato di sfondare.
Boccheggiare, in cerca di ossigeno, spinse la sua gola a irrigidirsi. Si ritrovò più impaurita di prima, tanto da non riuscire nemmeno a chiamare i due amici, in allerta dall’altra parte del muro.

“Merda, stanno arrivando”, sibilò Azu, alzando la guardia “Shion, trova un nascondiglio alla svelta!”
“A-Azu-chan….”, balbettò la piccola “H-Ho paura…”

A malapena riusciva a scandire le parole, tanto avvertiva il tremore paralizzarla. Gli occhi le bruciavano e anche se avesse voluto sbatterli, le sue palpebre si rifiutavano di abbassarsi. Temeva il peggio, la concretizzazione del suo attuale incubo: vedere uno di quei grossi animali dal muso arcigno. La sola stazza di quella bestia le aveva impedito di muoversi per un periodo di tempo incalcolabile e l’immaginarsi i suoi occhietti neri, non l’aiutò a disfarsi da quell’orribile sensazione che le stava restringendo le vie respiratorie. Red, ai suoi piedi, aveva smesso di ringhiare, per attaccarsi a una delle sue gambe e guardarla con preoccupazione, squittendo come a volerla incitare a muoversi.

“Shion, è tutto ok”, le disse improvvisamente Rufy “Fa come ti ha detto Azu e andrà tutto bene.”
“Ma, Rufy, io…”
“Veniamo a prenderti subito, promesso!” le giurò lui “Tranquilla, non ti lasciamo sola.”

Le stava chiedendo di fidarsi di lui, delle sue parole.
Nonostante la vasta gamma di desideri che poteva esprimere, includente  la comparsa di un’immediata uscita da quel postaccio, Shion non desiderò altro che vedere il sorriso di Rufy. Fu qualcosa di immediato e istintivo, a cui voleva aggrapparsi prima che il panico la soggiogasse completamente. Stava sorridendo, ne era sicura, e lei lo voleva vedere, perché era sicurissima che questo l’avrebbe rincuorata senza esibirsi in gesti eclatanti o salti mortali. Fin dal primo istante, aveva capito che quando il ragazzo sorrideva, era pronto a compiere ogni genere d’azione, anche la più pazza, per quanto impossibile o impensabile che fosse. In quel modo, sanciva una promessa che alla fine manteneva sempre, rispettando la fiducia datagli e dimostrando che gli si poteva affidare la vita altrui. La bambina non aveva alcun dubbio su quella peculiarità che rendeva Cappello di Paglia così particolare, e il sentirlo incoraggiarla, la rese consapevole del fatto  che anche lui le stava dando fiducia, che anche lui aveva visto qualcosa in lei per cui valesse la pena aprirsi, sebbene, per una persona vispa come lui, l’elargire la propria amicizia con una stretta di mano arrivava anche a includere chiunque nella cerchia, compresi animali divoratori di uomini.

No, non doveva piangere, ne avere così tanta paura. Rufy le aveva appena promesso che sarebbero venuti a prenderla subito e lei non doveva dubitare della parola datale dal capitano. Non c’era motivo di mettersi a piangere o di rannicchiarsi a terra. Che venissero pure, quei brutti animali! Tanto lei non si sarebbe fatta prendere!

“Shion? Sei ancora lì?” le domandò il ragazzo.
“Si”, rispose lei, tirando su col naso e asciugandosi col dorso della mano le lacrime “Non preoccupatevi per me, sto bene. Adesso vado a cercare un riparo. Voi state attenti ai gorilla.”
“Semmai è il contrario. Quelle bestiacce hanno le ore contate”, replicò l’albina, facendo scroccare le nocche.

Detto ciò e senza perdere tempo prezioso, Cappello di Paglia e Azu partirono alla volta di quella discesa buia e stretta che era stata ad attenderli fino a quel momento.
Dall’altra parte del muro, Shion si sistemò al meglio la tracolla, prese in braccio Red e, con fare risoluto, guardò il passaggio che le si prostrava davanti.

“Non ci faremo prendere, Red. Non ci faremo prendere.”

E iniziò a correre.
  
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