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Autore: Ely79    12/11/2011    1 recensioni
Neryon fa ritorno presso il suo clan dopo anni di esilio. Il mondo è cambiato per gli uomini e per i licantropi. E anche per uno come lui: un Senza Luna.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 4

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4


All’epoca avevo tredici anni e Soyi dodici. Andavamo a scuola, giocavamo con gli amici, prendevamo castighi per i guai che combinavamo. Due ragazzini come tanti. Tuttavia, già a quell’età, avevamo abbastanza chiaro cosa ci avrebbe atteso in futuro. E lo attendevamo con ansia.
Nostro padre aveva decretato, pur senza dirlo apertamente, che sarei stato il suo successore nella famiglia. Io, il primogenito, il nuovo vertice del nostro piccolo mondo.
«Diventerò come papà e tu mi starai dietro, vero?» dissi a Soyi una sera, mentre osservavamo i nostri genitori ed i familiari radunarsi nell’interrato della nostra casa.
Là c’era il posto che chiamavamo “la buca”, il luogo in cui si tenevano le assemblee. A noi era proibito l’accesso, ma la sognavamo tutte le notti.
«Certo, capo!» rise Soyi. «Mica ti mollo solo perché sei il preferito! Ognuno ha il suo compito».
Non passò molto tempo, prima che cominciasse il cambiamento.
Una sera, mio fratello cominciò a sudare e a contorcersi. Cadde a terra urlando e corsi a chiamare aiuto. In breve, Soyi venne portato di sotto. I parenti andavano e venivano, eccitati e festosi. Verso mezzanotte, giunse la notizia: mio fratello era mutato, era ufficialmente entrato nel clan. Era un licantropo. Ero felicissimo, perché era ovvio che entro breve, sarebbe toccato a me.
Passarono i giorni, le settimane. I mesi. Compii quattordici anni. E nulla in me cambiava. Nonostante tenessi testa alla forza ed all’agilità crescenti di Soyi e degli altri giovani mannari del clan, la luna, la nostra Grande Madre, non mi chiamava. Venivo guardato con commiserazione, gli altri clan mi deridevano e sbeffeggiavano mio padre. Il suo erede era un Senza Luna, un pericolo. E il pericolo, per legge, andava eliminato.
La disperazione ebbe la meglio.
Un giorno, mia madre mi trovò nella grotta. Non m’importava d’essere venuto meno al divieto, ero a pezzi. Mi lanciavo contro le pareti e sul pavimento, gridando come un ossesso. Speravo di costringere il lupo nascosto in me ad uscire dalla mia pelle. La notte precedente, gli occhi mi avevano fatto male e, al sorgere del sole, li avevo trovati diversi: il verde aveva lasciato posto al grigio. Sapevo cosa significava e non potevo accettarlo. Non volevo. Non capivo perché il richiamo della Grande Madre avesse prodotto quell’effetto su di me. Volevo essere come i miei fratelli, la mia famiglia, i miei compagni di clan. Volevo essere come tutti. Un lupo mannaro qualunque.
E sopra ogni altra cosa, mi odiavo per aver deluso mio padre. Quale capobranco poteva desiderare per figlio un Senza Luna? Uno che non era licantropo e neppure umano?
«Neryon» chiamò mia madre.
Ero pesto e sanguinante, quei maledetti occhi chiari pieni di lacrime e la gola riarsa dalle troppe urla. Cercò di calmarmi, ma ero troppo sconvolto per accettarlo e la allontanai, riprendendo a massacrarmi. Riuscirono a portarmi fuori solo quando caddi a terra stremato.
C’era una sola soluzione, se volevo sopravvivere: sparire. Mi mandarono a vivere lontano, sulle montagne, insieme ad altri Senza Luna. Non sarei morto, ma avrei perso per sempre i miei cari.
O così avevo pensato fino ad un mese prima.
   
 
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