Fumetti/Cartoni americani > Ben 10
Segui la storia  |       
Autore: The Theory    13/11/2011    5 recensioni
Questa è la mia primissima FanFiction sul pairing Ben/Gwen! Spero sia di vostro gradimento in quanto la mia esperienza relativa a questo cartone è poca...
La vita di Ben subì un poderoso cambiamento quattro anni prima, quando l'Omnitrix si spense. I sentimenti di Ben sono da allora un altalena confusa tra la voglia di recuperare la sua passata natura aliena e l' abbandonare l'impresa. Una corsa contro il tempo, una pericolosa storia d'amore ed un racconto dal sapore dolce di ciliegia, rivisto in chiave allo stesso modo comica e triste, che spero faccia sorridere sul primo grande amore e le follie che per esso si fanno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 Sienna osservò il cielo per un istante. Il chiarore fioco della luna si propagava seppure con fatica con gran ostinazione. La ragazza si sentì all’improvviso ricompensata. Come se d’un tratto avesse dimenticato i suoi mali, il suo passato. E la sua amata Cerise.
 
Ben lasciò andare il polso di Gwen che scivolò inerme lungo il suo corpo, con un fiacco fruscio.
In quell’istante non fu in grado di parlare se non cogitare febbrilmente dentro sé, chiedendosi cosa sarebbe stato meglio rispondere a quella scomoda ed al medesimo tempo straziante domanda. Ben non fece a meno di pensare – seppur fosse per un istante – quanto Gwen pretendesse da lui così all’improvviso, per la prima volta. Gli parve che volesse una soluzione facile ai suoi problemi, che le desse ragione, che non volesse che si limitasse solo a consolarla – o almeno così interpretò l’atteggiamento di sua cugina. I pensieri del ragazzo si fecero ancor più avviluppati quando ricordò un particolare su sua cugina. Lo sapeva per certo, a Gwen, sin dall’infanzia era sempre stato offerto un certo accomodamento ai propri guai, una disponibilità quasi esagerata a risolvere per mano d’altri qualsiasi a partir dai più lievi disagi. Ma lei aveva sempre rifiutato. Ben non capiva perché sin dalla tenera età ella s’ostinasse così cocciutamente a voler far da sé, respingendo caparbia qualunque mano protesa. E dunque – si chiese – a cos’era dovuto questo cambiamento così inopinato nei suoi confronti? A cosa doveva quel trattamento divinatorio e supplichevole che dal pomeriggio sua cugina s’accingeva a dimostrare? Non seppe dire, non seppe rispondersi.
Il flusso piretico delle sue meditazioni venne interrotto bruscamente da un commento di Gwen: – Se solo mi si dicesse il vero…se solo mi fosse stato detto da sempre, ora non starei qui a trarre conclusioni. Alla fine, tanto vale vivere.
Ben si alzò in piedi facendola sbilanciare: – se la verità viene nascosta con la menzogna vuol dire che quella verità…non è poi tanto mansa. Ma via, se ci dicessero sempre il vero, la noia di vivere verrebbe compensata con il desiderio della morte per dar sfogo alla voglia di saper come sia qualcosa di diverso.
Gwen l’osservò sbattendo le palpebre: – non pensavo fossi tanto acculturato.
– Qualche volta mi capita di studiare – sorrise Ben.
Sua cugina riuscì finalmente a dipingersi in volto un lieve riso e, tossendo, si alzò anch’ella in piedi.
– Ed ora spicciati, che è tempo di metter qualcosa sotto i denti. Ho fame – ordinò Ben spingendola per le spalle verso la tavola.
Gwen si lamentò: –  smettila di spingermi, idiota! Mi gira la testa…
Ben tirò indietro la sedia anteriore alla propria e la lasciò sedere: – in proposito, come stai?
– Male – rispose Gwen raccogliendo il capo tra le mani – anche se il mal di testa non sembra più esserci ho comunque la febbre.
– Si vede – ammise Ben ispezionandole il viso biancastro.
– Ad ogni modo non sto poi così male – si corresse la ragazza, senza riuscire a guardarlo direttamente negli occhi. Senza sapere perché, arrossì. Gwen non poté fare a meno di riflettere sull’accaduto odierno ancora una volta, quella che pensò fosse la centesima. Eppure, per quanto cercasse di farne a meno non riusciva a non pensare a quelle ultime ore, susseguitesi tanto velocemente e così intensamente da metterle ansia.
In quel momento, Gwen preferì lasciare da parte il proprio scontento e dare la precedenza alla malattia, che anche se attenuatasi restava pur sempre un gran ostacolo. Non aveva mai sopportato i periodi di convalescenza, in vita sua. Credeva rappresentassero un gran dispendio di tempo.
Sedutasi a tavola borbottò: – non ho molta fame …anzi, proprio per nulla.
– Non ti scomodare – avvertì dunque guardando finalmente verso il cugino.
– Non fare la bambina viziata, Gwen – la riprese Ben alzando il coperchio dell’ampia pentola che conteneva l’acqua a bollire – dovresti sforzarti, o morirai di fame.
– Ti avverto, cugino, che non sono solita ad ingozzarmi alla tua pari. E soprattutto non ho fame perché ho la febbre, non perché sono anoressica, non preoccuparti.
Ben sbuffò: – hai mangiato almeno a pranzo?
Gwen rifletté per quanto l’affaticamento le concedesse e poi rispose: – No. E neanche tu, di conseguenza.
Ben mosse il capo in segno affermativo:–  proprio così, cara mia. Quindi più che un suggerimento il mio diventa un ordine. Sbrigati a farti venire fame, anche solo per finta.
– E se poi vomitassi ? – rimandò Gwen prendendo le proprie posizioni con più decisione.
– Ammetterò che è stata colpa mia – rispose Ben inarcando le sopracciglia.
La ragazza si lamentò riconoscendo dentro sé la bruciante sconfitta, ma poi, abbandonando il capo sulla spalla sinistra, si arrese. Di norma, come aveva sempre saputo, verso sera la febbre tende ad aumentare: Gwen pregò ardentemente tra sé che nel suo caso avrebbe fatto eccezione, anche se sapeva fosse una possibilità minuscola. L’idea di stare ancor più male e quindi infrangere quella tregua del momento con il suo corpo l’inquietava. Non tanto per paura del dolore, ma per il fatto che ad assisterla in quell’istante ci sarebbe stato Ben. Sapeva bene che era stata lei ad andare da lui ma non era stato molto intenzionale, se non istintivo. D’altra parte non sarebbe potuta restare a lungo a casa propria.
 
Ben aprì con uno strattone la confezione trasparente della pasta.
Gwen, con il capo lasciato a ciondolare a mezz’aria tra le braccia, lo rimproverò percependo il rumore: – che razza di buzzurro…
Ben emise quello che parve essere un nitrito e ribatté: – bada, cugina, faresti meglio a tacere.
Gwen alzò lo sguardo: – e se non tacessi?
Ben s’avvicino alla cappa aspirante soprastante ai fornelli e premette il pulsante sulla destra, accendendone quindi la luce soffusa e spegnendo l’illuminazione principale. In quell’istante salotto e sala da pranzo, cucina comprendendo, si rabbuiarono, chiazzati solo dalla luce soffusa della lampadina della cappa e dallo scoppiettio irriverente della stufa.
– Taci, o il lupo cattivo ti divorerà – sussurrò Ben portandosi all’orecchio della ragazza.
Gwen sussultò emettendo un gridolino impaurito.
– Che fifona! – rise Ben divertito.
Gwen gli rispose stizzita: – piantala con questi giochi infantili, Ben Tennyson!
– Piantala di farmi divertire, Ben Tennyson! – la corresse Ben canzonandola.
– Non mi sono divertita – rimandò Gwen incrociando le braccia.
– Oh, invece sì! Eccome, da pazzi. Ci scommetto.
– Impossibile. Non trovo divertente uno scherzo del genere.
– Perché mai? Pensavo ti piacesse essere stuzzicata come tu fai agli altri.
Gwen gelò. Avvertì una sorta di cattiveria nelle parole di Ben.
– E comunque volevo vedere come reagivi alle provocazioni di un ragazzo.
– Non dire cose del genere, sciocco! – lo zittì Gwen arrossendo.
– Vuoi dire che non ti piace che un ragazzo ci provi con te?
– Ci stavi provando?! – urlò sbigottita Gwen sbarrando gli occhi.
Ben ridacchiò:– Assolutamente no . Ma non ho mai ben capito il tuo orientamento. Sai…la quaglia…!
– Cosa staresti insinuando, maledetto?! – strillò Gwen rossa in volto come mai l’era stata.
– Sto scherzando – sorrise dolcemente Ben – scherzavo per tirarti su il morale.
Gwen l’osservò rimanendo in silenzio.
– Sei sempre stato così, Ben – mormorò Gwen sorridendo lievemente.
– Così come, di grazia? – chiese Ben leggermente indispettito. Non capiva se tali parole fossero positive o meno.
– Disponibile ad affievolire i mali degli altri – puntualizzò Gwen abbassando lo sguardo.
Ben tacque. Svuotando metà dose del sacchetto di pasta in pentola non osò fiatare, cercando di godere di quel (addirittura secondo) momento di raro apprezzamento da parte di Gwen.
– Se ho la febbre è colpa tua, certo…che mi hai abbandonata sotto la pioggia.
Ben ricordò all’improvviso il volto straziato dalle lacrime della ragazza sotto il piovasco di quel pomeriggio dal cielo color cenerino. Ma non poté ribattere poiché sua cugina proseguì:– ma è pur vero che se ho patito solo per poco lo devo a te, alle tue attenzioni. Hai lo strano potere…di medicare le ferite che procuri con una velocità incredibile, Ben. È per questo che sotto sotto ho sempre pensato a come fare per poter essere come te. Entri a fondo nel cuore delle persone e dai lezioni difficili da dimenticare, positive, negative, checchessia. Ma fulmineamente accomodi il danno disinfettando le precedenti con parole nuove, più dolci ma pur sempre vere, vere come le prime. Riesci a dire le medesime cose inizialmente con rudezza e poi con dolcezza, o viceversa, tanto da farle sembrare dissomiglianti prima ed identiche poi. Eppure non esiste differenza.
– Fondamentalmente…penso che tu sia un ragazzo che si dona molto agli altri.
Ben all’udire tali parole si bloccò e lasciò cadere le braccia lungo il corpo.
– Non sono la persona poetica che dici io sia, Gwen – ribatté allora con un filo di voce.
La ragazza dunque tacque, zittita dal commento di Ben. Anche se non vi erano tracce di prepotenza o cattiveria alcune, le parole del giovane la bloccarono impedendole di proseguire.
– Devo proprio correggerti. Sono Ben Tennyson, un eroe fallito che una volta era qualcuno, ma ora non più. Non ci sono questi gran ricami attorno alla mia persona, non ho l’aria dell’angelo, non sono poi così buono. Sono una persona vuota, Gwen che deve i suoi momenti di gloria ad un orologio che ora è morto. Se volevi ringraziarmi bastava solamente una parola.
Gwen non fiatò nemmeno. Rimase a capo chino come s’era rannicchiata pochi istanti prima ed assunse un’espressione quasi insoddisfatta.
– Bada, Ben. Non sono una che ama arricchire di fronzoli i ringraziamenti, per questo sei totalmente fuori strada se credi che sia qui unicamente per mostrare il mio lato poetico. Nonostante io non stia poi così bene sono qui a tirarmi fuori di bocca per la seconda volta gratitudini che sento di dover porgerti. Se mi metti a tacere mi offendi, dato il fatto che se decido di ringraziarti è perché mi sento in dovere di farlo. Dico davvero.
Il ragazzo scosse il capo: – il fatto è che vorrei sapere perché vieni da me, perché chiedi il mio aiuto. L’aiuto di qualcuno che ti sei sempre rifiutata di guardare in faccia sin dall’infanzia se non quando ne sei stata costretta! Dimmi Gwen, quando sono nato?
La ragazza alzò il capo ma non rispose. In quell’istante poté solo scorgere in volto contrito di Ben alla luce fioca che la lampadina della cappa propagava nella stanza. Ma nulla di più.
Eppure quegl’occhi l’impressionarono tanto da farle morire le parole in gola.
– Dimmi quando cazzo sono nato, Gwen! Dimmelo!
Gwen tacque. In quell’istante non ricordava, annebbiata da un sudaticcio sentore d’ansia, strozzata dal torpore della malattia. E da quello sguardo denso di fastidio e desolazione che le si piantava addosso. Eppure quella data penzolava sulla punta della sua lingua tanto facile era.
– Il ventuno settembre, Gwen! Il tuo stesso giorno, il tuo stesso anno! – urlò Ben in preda all’ira.
Gwen sentì un violento tumulto al cuore. Come aveva potuto dimenticare una cosa del genere…?
– Ed allora…se ti importo così poco tanto da non sapere nemmeno da quando esisto, perché chiedi il mio aiuto, Gwen?!
Silenzio.
Ben cadde sulle ginocchia con un tonfo.
Gwen, impaurita, scostò la sedia tanto da portarsi a sedere dinanzi a lui: – Ben…!
– La verità…– sussurrò il ragazzo chinando il capo.
– …è che ho paura di non poterti essere d’aiuto, Gwen…ho paura di non poterti sostenere a dovere in questo momento… – mormorò flebilmente. La voce del ragazzo iniziò a tremare.
Gwen lo vide lasciar cadere la testa sulle sue ginocchia, sicché fu invasa dalla preoccupazione: – Ben…!
– … perché al momento non riesco a sostenere nemmeno me stesso e le mie stesse priorità…
Gwen chinò anch’ella il capo: – alludi all’Omnitrix…?
Ben non si mosse. Ma in cuor suo annuiva animatamente.
In quell’istante stava piangendo, ma non avrebbe permesso a Gwen di vederlo. Piangeva tanto da sentire il cuore contrarsi per lo sforzo di trattenere al massimo il dolore del pianto.
Gwen si sentì rigare il capo dalle lacrime. Non aveva capito quando Ben in realtà stesse soffrendo e s’era appoggiata a lui pretendendo asilo senza preoccuparsi molto. In quell’istante si odiò davvero.
Lasciò correre le dita della mano destra lungo il collo di Ben carezzandogli i capelli.
– Perdonami, Ben… – sussurrò cercando di controllarsi.
– Perdonami…Ben.
 
Continua!
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Ben 10 / Vai alla pagina dell'autore: The Theory