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Autore: Wave__    13/11/2011    2 recensioni
Ever è una bellissima umana, ammirata e apprezzata da molti. Ha 17 anni ed una bellezza fuori dal comune: i suoi capelli sono perfettamente lisci, anche con la pioggia. Ha un fisico snello, è alta quanto basta. Di certo non passa inosservata. Ha una memoria imbattibile. Ever adora la natura, adora camminare a piedi nudi sull’erba, adora fare il bagno nel fiume luccicante vicino a casa sua, adoro annusare il profumo dei fiori, adora stare in compagnia degli animali. Non mangia carne, infatti la sola vista la fa stare male. Si nutre di verdura e frutta. Tutto questo ha causato non pochi problemi, nonostante Ever sia sempre stata in ottima salute. Ever non è una semplice umana, è qualcosa di molto particolare e qualcosa fuori dal comune.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL DESTINO SEGUE SEMPRE IL SUO CORSO


La macchina sfrecciava rapidamente sull'autostrada. Vedevo passare davanti ai miei occhi paesaggi dopo paesaggi. Era già quasi otto ore che ero in macchina con i miei. Otto ore in cui non avevo parlato minimamente, martoriandomi le orecchie e il cervello con la musica sparata a tutto volume dal mio i-pod viola. Non avevo intenzione di parlargli, non ne avevo voglia e soprattutto non avevo nulla da raccontargli. Mi avevano portato via dalla mia città natale, dalla città in cui io ero cresciuta. Mi avevano fatto fare le valigie nel giro di due giorni, così su due piedi, senza una motivazione valida. Mi avevano portato via dalla mia vita, dai miei amici, dalle persone care che avevo a Toronto. Cercai una valida motivazione dentro di me, ma non ne trovai nessuno. Nella vecchia città non avevamo mai avuto problemi, anzi coloro che ci conoscevano bene, pensavano che eravamo dei vicini e delle persone a dir poco meravigliose. Passai le due ore successive a pensare a tutti i ricordi migliori che mi legavano a Toronto, a tutti quei ricordi che mi avevano riempito i miei diciassette anni.
Improvvisamente vidi il benedetto cartello con scritto "Welcome to Charlottesville".
Quando lo lessi tutto mi crollò addosso. Allora c’eravamo proprio trasferiti. Era davvero la realtà.
«Si, proprio benvenuto.» pensai tra me e me. Odiavo già quella cittadina, volevo tornare a casa. Nella mia vera casa. Quella casa in cui avevo vissuto tutta la mia esistenza e dopo volevo continuare a passare il resto della mia vita.
Papà ogni tanto mi lanciava degli sguardi nello specchio retrovisore, ma lo ignoravo. Anche la loro presenza m’irritava. Uscimmo dall’autostrada, immergendoci in una strada provinciale, quando mamma iniziò ad indicare la strada. Capii che eravamo quasi arrivati così decisi che era ora di spegnere la musica. Notai che dal centro città ci stavamo dirigendo in una delle strade di periferia, quasi fuori Charlottesville.
«Di male in peggio.» pensai nuovamente, dentro di me.
Ma poco dopo fui costretta a ricredermi. La macchina rallentò la sua corsa, entrando nel vialetto della nuova casa, per fermarsi di fronte a una villa a due piani. Appiccicai il viso al finestrino, osservando con occhi scintillanti il meraviglioso bosco che sorgeva vicino alla nostra nuova casa. Amavo la natura e stare a contatto con essa. Almeno anche qui c’era qualcosa che poteva farmi sentire a mio agio. Levai le cuffie dalle orecchie, anche se era già da un po’ che il ritmo della musica non c’era più nei miei timpani.
«Vi siete salvati solo perchè c'è un bosco tutto per me.» dissi in tono serio, ma allo stesso tempo divertito ai miei genitori, che per tutta risposta si misero a ridere.
«Chiavi, per favore. Devo essere la prima che metterà piede li dentro.»
Appena mia madre mi diede quello che le avevo chiesto, aprii lentamente la portiera, scendendo dall'auto, fermandomi ad osservare con occhi incantati quella casa. Era bellissima. Era un misto tra una struttura Ottocentesca e una struttura moderna. Ti lasciava senza parole al solo sguardo. Corsi al portico, osservando ogni minimo dettaglio. Era incantevole e dire incantevole sembrava riduttivo. Nelle colonne erano incisi dei disegni che non capivo. Sembravano fate, all’incirca. Le toccai, quasi con timore che potessero frantumarsi sotto le mie mani. Era come se qualcosa fosse entrato in me, un brivido mi percorse la schiena appena avevo sfiorato l’immagine impressa.
Decisi di dirigermi alla porta d'ingresso, girando lentamente la maniglia. Inserii la chiave nella serratura, girandola, fino a quando la porta non si aprì. Ci sbirciai dentro, timidamente, per poi aprirla totalmente. Di fronte a me si presentò un magnifico scalone, che saliva al piano superiore. Feci passare i miei occhi su ogni oggetto, su ogni parete. C'era ancora molto da fare, da sistemare e da imbiancare ma sapevo che quando sarebbe stata finita e arredata sarebbe diventata una magnifica abitazione. Arrivai al primo scalino e iniziai a salire lentamente le scale, poi sempre più velocemente, urlando verso i miei genitori, senza voltarmi.
«Mamma! Papà! Vado a scegliermi la mia camera!»
Quando arrivai sul pianerottolo, ero indecisa su quale corridoio prendere. Spostai il viso a destra e a sinistra.
Sentii come una voce dentro di me che mi diceva di scegliere il corridoio a sinistra, così alla fine seguii il mio istinto, imboccando il corridoio laterale. Tutte le porte delle camere erano scure, sembravano fatte di mogano. Soprattutto erano chiuse. Non mi andava di aprile tutte per vedere quello che contenevano. Una porta aveva attirato la mia attenzione già da quando avevo messo piede all’inizio di quel passaggio. Era l'ultima porta in fondo al corridoio, a destra del grande rosone che sorgeva come finestra. Il fatto strano era che tutte le altre porte erano chiuse, eccetto quella dove mi stavo dirigendo. Mi ci avvicinai lentamente, afferrando con una mano il bordo della porta e affacciandomi a poco a poco. Mi obbligai a farmi coraggio per aprirla totalmente.
Quando l’ingresso fu aperto, sbarrai gli occhi. La camera era stupenda. Sapevo che mi stavano luccicando gli occhi. Al centro della stanza sorgeva un letto a baldacchino a due piazze, con un fantastico copriletto rosso fuoco.
«Wow.» riuscii solo a dire. Vi entrai timidamente, toccando con dita attente la scrivania in legno antico. Ero avida di dettagli, di particolari. Sulla parete di fianco al letto v’era disegnata un’enorme fenice che rinasceva dalle fiamme.
Mi misi davanti al dipinto, guardandolo. La fenice era da sempre il mio animale preferito.
«Araba fenice. La rinascita. Qualcosa che rinasce dalle fiamme, per una nuova vita, una nuova esistenza.»
Stavo fissando tutto nella mia mente, pezzo per pezzo. Quella camera era mia. Era la mia camera e non l’avrei ceduta a nessuno. Neanche se il mondo stesse per crollare. Era come se mi appartenesse da sempre. Era come se ci avessi già vissuto. Corsi fuori e arrivai fino al pianerottolo. «L'ultima camera del corridoio a sinistra è mia! Guai al primo che me la prende!» urlai ai miei che erano ancora al piano terra. Corsi di nuovo in camera, gettandomi sul letto, chiudendo gli occhi e respirando l'antichità che si inspirava quel piccolo pezzo di casa. Mi ero già affezionata a quel piccolo sprazzo di intimità che si era creato con l'ambiente.
Chissà che cosa mi avrebbe destinato la vita, nel nuovo paese.
Iniziava così la mia nuova vita. La mia nuova vita nella cittadina di Charlottesville, in Virginia.
La mia vita sarebbe cambiata in così poco tempo che non me ne sarei neanche resa conto.
Tutto si sarebbe trasformato senza darmi il tempo di realizzare davvero cos’era successo.
La scoperta di essere una fata, mi avrebbe sconvolto la mia intera esistenza.
La comparsa delle mie ali azzurrine e trasparenti ancora di più.
Tutto era successo per un motivo ben preciso.
Meglio accettare quello che ero, subito.
Il Destino non si sarebbe fermato ad aspettarmi.
Il Destino non poteva essere fermato.
Il Destino non poteva essere cambiato.
Il Destino era destinato a fare il suo corso.
Il Destino prevale su tutto. Sempre e in qualunque caso.
  
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