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Autore: LilithJow    15/11/2011    3 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Persa. Ecco come mi sentivo.
Avevo pensato che rivedere Daniel, saperlo vicino comunque, anche dopo la sua morte, avesse alleviato almeno un po' il dolore costante che sentivo, ma non era così, anzi, aveva l'effetto contrario, perchè ero consapevole del fatto che non avrei mai più potuto averlo. Sebbene molte volte, come mio solito, mi perdessi in mille fantasie, il suo sguardo bastava a farmi ritrovare nella maledetta realtà.
Daniel non poteva tornare nel mondo dei vivi e io lo volevo: desideravo lui, il suo corpo, il suo calore. Avevo bisogno di sentirmi al sicuro tra le sue braccia, di percepire le sue labbra sulle mie. La soluzione a tutto ciò mi parve semplice: se non poteva tornare da me, allora sarei andata io da lui.
Nella mia mente avevo già progettato tutto. Sarei andata al lago, lo stesso dove mi aveva portato Daniel, il suo posto segreto. Era pieno inverno, l'acqua sarebbe stata gelida e ci avrebbe messo relativamente poco a congelarmi, a far fermare il mio cuore e il mio respiro. Sarebbe stata una morte tranquilla, dovevo solo lasciarmi andare e farmi trasportare da quel liquido trasparente.
Uscii di casa. Era sera, il sole era appena tramontato e in giro non c'era ancora nessuno: tutti a prepararsi per una serata fuori, o a studiare per un compito del giorno dopo, oppure semplicemente distrutti, sul divano, a fare zapping alla tv. Daniel non era con me. Capitava spesso che sparisse per ore ed ore, e tornasse, senza darmi una valida spiegazione, o comunque niente che non coinvolgesse un 'non posso dirtelo'. Cominciai a odiare quella frase.
Raggiunsi il lago in un paio di minuti, era poco distante da dove abitavo. Quando scesi dall'auto, la pace che mi avvolse era surreale. Se esisteva davvero un paradiso, era così che lo immaginavo: quella visione, l'acqua che rifletteva ogni cosa attorno, l'aria leggera che mi scompigliava di poco i capelli, e poi gli odori, profumo di fiori e pini. Era tutto magico, come se in quel luogo fosse stato posto una sorta di incantesimo.
Mi guardai per un po' attorno, mentre lentamente e quasi in modo meccanico, mi dirigevo verso la riva del lago.
Stranamente, non avevo paura e il panico non mi aveva assalito, come ci si aspetterebbe. Avevo intenzione di andare fino in fondo, sebbene non sapessi cosa sarebbe accaduto dopo. Non c'era alcuna certezza: nulla mi assicurava che, una volta morta, avrei potuto riconciliarmi con Daniel. Lui era buono, non aveva mai fatto niente di male e presumevo che chiunque si occupasse delle anime dei defunti, guardasse ciò che una determinata persona aveva compiuto in vita. Non che ci credessi veramente, almeno non prima che tutto quello accadesse, ma le visioni di Daniel erano reali, non accadeva solo nella mia testa, per cui, già da un po', mi ero convinta che esistesse davvero un'aldilà, dove si andava, alla fine delle vita terrena. Quel di cui non ero a conoscenza, appunto, era il mio aldilà. Non mi importava l'ambiente: volevo stare con lui, era il mio unico desiderio.
Così, continuai a pregare che ciò accadesse, mentre sentivo l'acqua bagnarmi i piedi, dopo che avevo tolto solo le scarpe, e successivamente salire di livello. Proseguii il mio cammino in quella distesa blu e gelida, fin quando l'acqua non mi arrivò alla gola. Sarebbe bastato solo un altro passo e non avrei più toccato terra. A tal punto, non avrei fatto nulla per restare a galla, mi sarei semplicemente arresa.
Un sorriso apparve sul mio volto, non appena feci quel gesto. Sprofondai, in quell'abisso. Chiusi gli occhi e sentii perfettamente l'acqua spingermi sempre più in basso, entrarmi nel naso e in bocca, raggiungere i polmoni e impedirmi di respirare. 'Va tutto bene, tra poco starò bene' continuai a ripetere a me stessa, in un misto tra verità e menzogna.
Era la seconda volta che tentavo di farla finita, ma alla prima, mi era mancato il coraggio. Ero stata patetica e codarda. Quella, invece, era definitiva.
O perlomeno, speravo lo fosse. Mancava poco, mancava così poco, che quasi mi sembrò di vedere il mio aldilà: perfetto, nitido, simile a come lo avevo immaginato. Ma, d'improvviso, sentii qualcosa, o meglio qualcuno, tirarmi via, con forza, vigore. Mi ritrovai di nuovo a contatto con l'aria e tornai a respirare. Avevo ancora gli occhi e sebbene fossi immobile e non toccassi terra, restai a galla. Mi decisi a sollevare le palpebre e davanti mi apparvero quei due fari azzurri. Daniel mi stava osservando, con aria dispiaciuta e preoccupata. Aveva le mani sui miei fianchi e.. Lo sentivo. Sentivo il contatto con la sua pelle, che mi sembrò calda considerando il gelo in cui mi trovavo. Era fradicio, esattamente come me, ma era comunque bellissimo.
“Non puoi farlo” disse lui. Io non risposi, mi limitai a osservarlo, nei minimi dettagli, cercandone nuovi, o esaminando quelli che troppe volte avevo tralasciato. “Non puoi decidere tu quando mettere fine alla tua vita, Sam. Non è così che deve andare, non è così che.. E' stato scritto” continuò. Se fossi stata più lucida, gli avrei chiesto da chi fosse stato scritto qualunque cosa, il destino mio e di tutti, sopportando anche la sua odiosa frase formulare. Invece restai in silenzio, ancora totalmente persa nella sua visione.
Avevo paura, non lo negai. Avevo paura che tutto ciò avrebbe potuto finire, che non lo avrei mai più visto, che quella avrebbe potuto essere l'ultima volta in cui potevo incrociare il suo sguardo. In realtà, era una paura che mi assaliva sempre. E allora, se un giorno tutto quello sarebbe finito, se fosse arrivato un addio definitivo, prima avevo l'estremo bisogno di dire una cosa, ciò che avevo ripetuto nella mia mente così tante volte, da farmi scoppiare la testa.
“Io ti amo, Daniel Monroe” mormorai. Il mio tono di voce era flebile, probabilmente dovuto al fatto che ero stata sul punto di annegare, ma non mi importava. Lui doveva saperlo e mi aveva sentito.
“Lo so”. Aveva il mio stesso tono, il che mi sorprese, non solo perchè nemmeno aveva un vero corpo, e quindi non poteva rischiare di affogare, ma soprattutto per quel che disse: 'lo so'. Come faceva a saperlo? Io ci avevo messo mesi a capirlo, quando in realtà era palese che lo amassi, e lui già lo sapeva? Rischiai di arrabbiarmi, ma il suo sguardo dolce e devoto mi ammaliarono.
“Lo so, perchè lo sento” proseguì, come se avesse colto i miei dubbi e le domande che avrei voluto porgergli. “E' una.. Nostra qualità. Sentiamo cosa provano le persone, anche quei sentimenti che si rifiutano di accettare”.
Ascoltando le sue parole, nemmeno mi accorsi che non eravamo più in acqua, bensì a riva, ma nella stessa identica posizione. Eravamo entrambi completamente bagnati, ma non avevo freddo. Stavo bene, come se il suo sguardo avesse potuto effettivamente scaldarmi.
“Dimmi cosa sei.. Ti prego, Daniel, io.. Ho estremo bisogno di saperlo”. Cominciai a supplicarlo. Non volevo davvero farlo, ma tra le lacrime che mi uscirono dagli occhi e i tremori per il freddo, il mio tono si tramutò in una supplica. “Io ne ho bisogno proprio perchè ti amo. Perchè voglio sapere il motivo per cui sei qui, voglio sapere se un giorno te ne andrai di nuovo, così che io possa prepararmi al nostro addio”.
Lui accennò un sorriso, mentre parlavo, che non capii. Sorrideva, ma che ragione aveva per farlo?
“Io rimarrò finchè tu ne avrai davvero bisogno” bisbigliò. A quel punto, rimosse le mani e fece un passo indietro. Non lo percepii più su di me, e fu come annegare di nuovo. “Io avrò sempre bisogno di te” singhiozzai.
“Non per sempre” disse Daniel. “I bisogni non durano per sempre, non è una cosa che appartiene loro. Andrai avanti, prima di quanto immagini. Io ho solamente il compito di assicurarmi che tu inizi a scrivere il nuovo capitolo della tua vita e di indirizzarti verso il tuo lieto fine, perchè tu avrai un lieto fine, Sam, io lo so”.
I suoi occhi. Dannazione, i suoi occhi, in quel momento, erano micidiali. Non svolgevano la solita ipnosi su di me, mi stavano.. Ferendo, uccidendo.
“Perchè tu non puoi esserci nel mio lieto fine?” osai chiedere, con timore. “Perchè sono morto” rispose lui, con incredibile naturalezza. Già, era morto e la colpevole ero io. Mi demoralizzò, ancora di più di quanto lo fossi già.
Tuttavia, mi ricordai quel che alla sua apparizione mi aveva detto, che non gli fosse permesso toccarmi e viceversa, ma ciò che aveva appena fatto, smontò tutto. “Mi hai toccato prima, io ti ho.. Ti ho sentito” esclamai. Bastò dire solo quello e capì subito a cosa mi stessi riferendo. Infilò le mani in tasca, abbassando lo sguardo e iniziò a giocherellare con la ghiaia. “Già. Facciamo che deve rimanere tra noi” replicò.
“Quindi.. Per farmi toccare, devo tentare il suicidio ogni volta?”.
“Sì, ma.. Non ci proverei, fossi in te”.
Lo guardai, con aria di sfida, ma solamente perchè nella mia testa era scattato qualcosa, che non sapevo fosse geniale o spregevole. “D'accordo. Io non ci provo più se tu mi dici chi sei”.
Daniel accennò una risata, che sebbene fosse sarcastica, mi riempì di gioia. Mi sembravano passati secoli dall'ultima volta che l'avevo sentita. “Mi stai ricattando? Non si ricattano i morti” disse. Lasciai perdere la sua affermazione e feci due passi indietro. Ero disposta a tutto, pur di scoprire la sua natura, e ripensandoci ora, mentre sto scrivendo, quella scena fu a tratti comica, considerando le espressioni di Daniel e il leggero panico che lo avvolse quando feci per rientrare in acqua. “Okay, okay!” esclamò, alzando le braccia, in segno di resa. “Te lo dico,ma.. Ma se lo vengono a sapere, sono guai”.
“Rimarrà tra noi anche questo”.
Sospirò e si mosse verso di me, fino a ritrovarsi a pochi centimetri dal mio viso. Dovetti sforzarmi enormemente per non fissarmi nel suo sguardo e perdere la percezione della realtà.
“Sono un angelo. Il tuo angelo, per l'esattezza” sentenziò. Mi sembrò che il mio respiro si fosse fermato in quell'istante. Avevo preso in considerazione una cosa del genere, ma mi ero costretta ad escluderla, perchè troppo surreale, non vera, quando invece.. Daniel era un angelo, lo era sempre stato e io lo avevo sempre pensato. Mi sentii una stupida per tutto il tempo perso a fare ipotesi su cosa fosse e in realtà avevo la soluzione sotto il naso, sin dall'inizio.
Sorrisi, non potei farne a meno, sebbene la sua espressione fosse ancora preoccupata. Io e le conseguenze, d'altro canto, viaggiavamo su due binari paralleli. Così, mi sporsi verso di lui e posai le mie labbra sulle sue. Non era come quando era in vita, era meglio. Migliaia di sentimenti, strani e ingarbugliati mi avvolsero.
Avevo appena baciato un angelo, uno vero, il mio angelo.

  
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