Capitolo II
Inside & Outside the
Moon Dorm
Il
Sole era sorto da un bel pezzo, quando la new entry della Cross Academy si
svegliò. Ma non si svegliò di sua spontanea volontà, purtroppo: fu la luce che
entrava dalla finestra sopra il letto, a svegliarla. Certo, non la colpiva
direttamente in faccia, ma era sufficiente a darle noia: quando dormiva,
esigeva il buio più totale.
Biascicò
qualche parola disconnessa e si tirò su, stropicciando l’occhio sinistro con il
dorso della mano e guardandosi intorno leggermente confusa: doveva ancora
collegare il cervello al resto del corpo.
Ma,
nonostante non fosse ancora connessa, si accorse di un piccolo particolare che stonava; strizzò gli occhi per vedere
meglio e, non appena si voltò verso il divano, scoprì che sopra di esso,
sdraiato, vi era un ragazzo. Alla faccia del piccolo particolare!
Chi
era? Da dove veniva? Ma
soprattutto... come era entrato?
Queste
erano le domande che, in quel momento, giravano vorticosamente nella mente di
Aura.
Cercando
di fare meno rumore possibile, scese dal letto e si avvicinò al suddetto
ragazzo sconosciuto, osservandolo da vicino: biondo e di carnagione chiara.
Nell’esatto momento in cui si stava domandando di che colore fossero gli occhi,
quello si svegliò, ed Aura scoprì che erano azzurri. Il Principe Azzurro,
quello tanto agognato da tutte quelle ragazze che si credevano principesse,
anche se non lo erano – e non lo sarebbero mai state – era di fronte a lei!
C’era
qualcosa che non le tornava: o stava ancora dormendo, e di conseguenza
sognando, oppure nelle rose era stata messa un po’ di “polverina magica”. Lo
guardò con tanto d’occhi ma, non appena il biondo si voltò verso di lei, la sua
reazione fu quella di balzare all’indietro, finendo, però, a gambe all’aria.
Nonostante
fosse a conoscenza di aver fatto una bellissima
figura, si alzò di scatto, solo per rimanere con un piede intricato nel
lenzuolo e cadere di nuovo. Oggi non era affatto la sua giornata.
«Oggi
è la mia giornata... Che culo...»
mormorò Aura, mentre liberava il piede.
Il
biondo, dal canto suo, aveva osservato tutto lo svolgimento di quella specie di
teatrino senza fiatare, ma al sentir il commento sarcastico della ragazza, non poté
fare a meno di ridere: trovava la situazione piuttosto divertente.
Aura,
liberato il piede, si alzò e, tolta una ciocca di capelli che le copriva
l’occhio sinistro, si diresse verso il ragazzo per poi, sul più bello,
pestargli un piede, facendo cessare le risate di quest’ultimo.
«Mi
hai fatto male!» si lamentò il biondo, con tanto di finta lacrimuccia agli
angoli degli occhi.
«Se
non fossi entrato senza il mio permesso, e se non mi avessi fatto spaventare al
punto tale da cadere, non ti avrei mai pestato il piede» replicò Aura, seria
come non mai. «Ora» continuò «ti consiglio di levarti di torno, prima che passi
anche all’altro piede. La porta è quella» disse indicando alle sue spalle.
Però,
visto che lo sconosciuto non mostrò il minimo segno di volersi levare dalle
scatole, Aura fece per pestare anche l’altro piede ma, all’ultimo minuto,
quello si alzò e si diresse velocemente verso la porta e, prima di uscire, si
voltò e le disse: «Hanabusa Aidou». Ma vedendo che Aura non aveva capito quel
che aveva detto, aggiunse: «Il mio nome. Vedi di ricordartelo bene!». E se ne
andò.
Hanabusa
era uscito, ma era rimasto dietro alla porta per sentire eventuali commenti
della nuova arrivata, che aveva già prontamente preso di mira per la sua –
temporanea – vicinanza con Kaname.
«Il mio nome. Vedi di ricordartelo bene!»
fece Aura, scimmiottando la voce del biondo. «Ma chi si crede? Uno di quei stra-fighi
dei manga? Beh, mi dispiace per lui, ma non lo è affatto, e non lo sarà mai».
Quel
piccolo momento di gioia che Hanabusa già si pregustava, andò in frantumi; e per
completare il tutto, ci pensò Kaname, che era alle sue spalle con le braccia
incrociate al petto. «Aidou» lo chiamò, costringendolo a voltarsi.
«K-Kaname-sama»
mormorò l’altro, ben consapevole di quello che sarebbe successo.
«Avrei
bisogno di parlarti».
Hanabusa
deglutì a vuoto e, con grande riluttanza, seguì Kaname; ma, ovviamente, Aura
era all’oscuro di tutto questo... non si era minimamente accorta di quello che
era successo a pochi metri da lei.
E
mentre il biondo era a scambiare due
parole con Kaname, Aura si era cambiata: dal pigiama di pile con le zucche
e le ciabattine rosso scuro, era passata ad un semplice paio di jeans con
scarpe da ginnastica bianche, ed una maglietta nera a maniche lunghe con una
maglia di jeans smanicata disegnata sopra. E per completare l’opera, decise di
legarsi i capelli nell’unico modo che conosceva ed usava dalle elementari: la
classica coda di cavallo bassa.
«Bene,
adesso posso anche scendere giù ed uscire a prendere una boccata d’aria» disse,
prendendo il blocco note che era sulla scrivania; ma poi si fermò: «No, ma
aspetta... Perché sto parlando da sola!?» esclamò. «Lo sapevo che venire qua mi
avrebbe fatto male... Adesso ci mancherebbe solo la comparsa della Sadica con
una delle sue solite uscite, tipo “A te fa male tutto, dovrebbero ripararti il
cervello”, e sarei pronta per iniziare la giornata con la giusta carica di
sprint!» concluse il suo monologo ancora più perplessa di prima, uscendo dalla
camera.
Arrivata
nell’atrio, vi trovò Hanabusa, seduto su uno dei divani, intento a
giocherellare con un bicchiere ed il suo contenuto. Aura scese velocemente le
scale e senza degnare di un’ulteriore sguardo il biondo, si diresse verso il portone,
con il chiaro intento di aprirlo ed uscire. Mossa sbagliata.
Infatti,
non appena poggiò le mani sulla maniglia, Hanabusa si alzò di scatto e la
raggiunse, impedendole di uscire.
«Non
puoi uscire» proferì lui, guadagnandosi un’occhiata stralunata.
«E
perché non posso? Illuminami» ribatté lei, guardandolo storto. La sua giornata
era iniziata male, e sembrava voler continuare male.
«Perché
da sola non puoi. Decisione di Kaname».
«Aspetta,
aspetta, aspetta! Questa “decisione” è basata sul fatto che sono arrivata da
nemmeno un giorno, per caso?».
«Sì
e no» fu la risposta.
«O
è sì, o è no. Deciditi. Se non lo fai, niente mi impedisce, ed impedirà, di
varcare questa porta» fece Aura, leggermente seccata. Stava iniziando ad
innervosirsi.
«È
un sì. Contenta?» replicò l’altro. «Quindi» continuò lui «a meno che tu non trovi
qualcuno disposto a portarti “a passeggio”, starai qui» concluse, tornandosene
sul divano e prendendo nuovamente in mano il bicchiere, ricominciando a
giocherellarci.
Aura
rimase lì dov’era, indecisa sul da farsi: aprire di scatto il portone ed uscire
– infischiandosene della “regola” – oppure restare lì – rispettando la “regola”
– ed annoiarsi?
Alla
fine decise di rimanere: non voleva avere problemi, soprattutto ora che non
conosceva nessuno e sapeva a malapena dove fosse la sua stanza. Con una
lentezza tale da far invidia ad un bradipo, si diresse verso la poltrona vicina
al divano di Hanabusa, e si sedette sbuffando.
“Alla faccia della boccata
d’aria! Non posso uscire se non c’è un qualche povero beota a farmi da
baby-sitter! Ma che se ne vadano al diavolo tutti quanti!”
pensò, mentre scriveva ripetutamente la parola “Noia” sul suo blocco.
Dopo
aver consumato quasi tre pagine, si alzò e fece per tornare in camera sua,
venendo interrotta dal biondo, che le chiese: «Dove vai?».
«Adesso,
anche per andare nella mia stanza, ho bisogno di qualcuno che mi accompagni?»
rispose lei alquanto seccata, e lasciando Hanabusa senza alcuna possibilità di
replicare.
Era
nuovamente in camera sua. Che noia. Guardò l’ora sulla sveglia che aveva messo
sul comodino: le 17.30
Sospirò,
al solo pensiero di dover uscire per andare a scuola tra una mezz’ora. Ma la
cosa che le dava più fastidio, era il dover indossare la divisa, con quella
stramaledetta gonna. Avrebbe preferito indossare quella maschile, senza alcun
dubbio.
Purtroppo,
non aveva altra scelta; pertanto, con grande riluttanza, indossò quella cosa
mostruosa e si sciolse i capelli, in modo da poter nascondere il viso – in
particolar modo gli occhi – sotto di essi.
Quando
uscì fuori per avviarsi verso l’edificio scolastico, non solo trovò tutti gli
altri “coinquilini” già fuori e pronti per avviarsi, ma vide anche Yuuki sulle
mura che gridava a qualcuno e sembrava piuttosto disperata: evidentemente
questo “qualcuno” la ignorava bellamente.
Non
appena il cancello che separava l’ingresso del Dormitorio dal resto – se così
vogliamo chiamarlo – del “mondo”, si aprì, Aura capì a chi stava urlando Yuuki
poco prima: ai lati della strada vi era un’enorme massa di ragazzine che
gridavano come delle ossesse. Aura, tale “spettacolo”, l’aveva visto solo nei concerti
live in tv, ma mai in una scuola. Dove caspita era finita?
Il
suo istinto, da perenne vigliacca, le diceva di far dietrofront e chiudersi
nella sua stanza, anche a costo di murarsi viva, ma decise di far vedere che
aveva le palle – come diceva sua nonna – e si avviò, passando davanti a quella
marea di gente, che si ammutolì al suo passaggio.
“E adesso cos’è successo? Perché
si sono chetate di botto? E perché... Oh no. No, no, no. Dimmi che non è come
penso!” si ritrovò a rimuginare, mentre si guardava
intorno con sospetto.
Avvenne
tutto in un istante: le ragazze, che fino ad un nanosecondo prima erano mute ed
immobili, l’accerchiarono, sommergendola di domande e quant’altro; Zero ne
allontanò diverse con il suo solo sguardo, ma non fu sufficiente; Yuuki cercò
di rendersi utile, ma fallì miseramente. Alla fine fu solo con l’intervento di
Kaname, che venne riportato l’ordine, “liberando”Aura dalla cerchia di serpi.
Ristabilito
l’ordine, quelli della Night Class ripresero il loro cammino verso la scuola:
avevano perso tempo, e questo non andava affatto bene.
Aura,
con sommo disagio, camminava guardandosi i piedi; ma l’unica volta che alzò il
suo viso, vide, appoggiata con la schiena ad un albero e con le braccia
conserte, una ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi. Per qualche strano
motivo le era familiare, ma non aveva tempo per mettersi a cercare nei meandri
della sua mente il dove ed il quando l’avesse già vista: avrebbe rimandato il
tuffo nei ricordi ad un altro momento. Ora, ciò che più le premeva, era questa
prima maledetta lezione, in una classe dove non conosceva nessuno – escluso il
biondo, che aveva già segnato sulla lista nera – e con quella dannata divisa
bianca addosso che detestava con tutta sé stessa.
Uno
di questi giorni le avrebbe dato fuoco.