“E
fu il principio…”
Il velivolo 339, targato Capsule Corp., era predisposto ad accogliere non meno di un centinaio di individui, eppure il sig. Brief ebbe qualche esitazione nell’azionare proprio questo quando sua figlia gli impartì telefonicamente ordini perentori ed indiscutibili.
L’attempato scienziato aveva capito soltanto che la
suddetta aveva fatto finalmente ritorno sulla Terra, dopo il lungo e
difficoltoso viaggio spaziale alla volta del pianeta Namecc, e che occorreva,
oltre lei, prelevare anche altra gente.
Quale fosse l’identità di queste non gli era stato
dato modo di capire, visto che Bulma Breif era stata a riguardo spiccia ed
elusiva.
Perplesso, si sistemò le lenti quando ad uno ad uno
vide entrare nell’abitacolo degli esseri di colore verde, che con un cenno
ossequioso del capo, incominciarono a prendere posto.
Solo alla fine montò sua figlia:
“Possibile che tu debba sempre prendertela comoda?!” si
rivolse al padre non appena si fu sistemata accanto “ti ho telefonato oltre due
ore fa!”.
“Ehm… cara… non ero proprio certo se scegliere
questo modello, mi sono accorto che i sedili non sono stati confezionati in
pelle…” spiegò mentre pigiava i bottoni della partenza e le eliche prendevano a
vorticare rumorosamente.
“Questa gente non ha bisogno di sedili in pelle…” lo
redarguì Bulma col solito piglio “soltanto di un po’ di ristoro!”.
Lo sbilanciamento dell’aeromobile produsse un
mormorio sommesso tra i passeggeri che durò fino a quando la radura sottostante
non venne distanziata a sufficienza.
Quando finalmente furono date le coordinate in
direzione della città dell’Ovest, il sig. Brief chiese spiegazioni su quelle
ambigue presenze:
“Non preoccuparti, sono esseri pacifici, il pianeta
Namecc è andato distrutto, ma le loro sfere ci consentiranno di far ritornare
in vita tutti i nostri compagni. Perciò saranno ospiti a casa nostra in attesa
che le sfere siano utilizzabili”.
“Così mio padre potrà ritornare in vita…” soggiunse
Gohan, che stringeva la mano alla ritrovata madre Chichi, pronta a partire alla
volta di Namecc pur di recuperare il proprio figlio.
Anche re Kaioh aveva creduto che Son Goku fosse morto
nella deflagrazione del pianeta.
Il suo corpo e quello di Crilin andavano evocati su
suolo terrestre.
Se fossero resuscitati su Namecc, ormai disintegrato,
avrebbero trovato solo il buio cosmico ad inghiottirli.
“Tesoro, ora che hai fatto ritorno, dovrai
riprendere i tuoi studi, sei stato già troppo tempo lontano da casa, non
tollererò più altre distrazioni…” gli accarezzò il capo amorevolmente, ma il
sopracciglio tirato su non metteva in discussione la materna autorità di
sempre.
Junior, seduto non lontano, ascoltava assorto e
meditava quanta soddisfazione avesse ricevuto da quel marmocchio.
Aveva combattuto con lo stesso coraggio di un
adulto, la sua partecipazione allo scontro con Freezer era stata determinante
in molti punti.
Davvero non sapeva cos’altro avrebbe potuto
insegnargli nell’arte raffinata del combattimento, sarebbe spettato a suo padre
completarne l’addestramento quando sarebbe ritornato alla vita, si sperava, al
più presto.
Il jet sorvolava le cuspidi delle montagne ricche di
vegetazione.
L’anziano capo ed il piccolo Dende osservavano
estasiati le verdi vallate disseminate di papaveri rossi e gli specchi d’acqua
che riverberavano scintilli di luce sotto il cielo sgombro di nuvole.
La natura rigogliosa delle sequoie e le acque
limpide dei torrenti rammentavano alle loro menti i colori della terra natia,
prima che Freezer sopraggiungesse ad imbrattare i loro campi di rosso carminio.
Nel cuore di tutti i namecciani superstiti albergava
la fiducia di un sereno soggiorno sulla Terra, in attesa che il drago li
piantasse su un nuovo territorio.
Il sig. Brief osservò nello specchietto retrovisore:
“Hanno tutte le facce verdi” mormorò alla figlia “ma
lì in fondo, più in disparte, vedo uno che sembra un terrestre…”.
Il principe dei saiyan aveva lo sguardo rivolto al
finestrino.
Pure lui, ma senza compiacimento, osservava
distrattamente i paesaggi sorvolati.
Nel suo cervello pulsava spasmodico il solo pensiero che
Kakaroth si fosse ammantato di oro.
Era stato lui a suggerire di richiamarlo alla vita
sul pianeta Terra e a risolvere così lo scompiglio generale che la rivelazione
di re Kaioh aveva suscitato.
Gohan lo aveva ringraziato porgendogli la mano, ma
gli era stato freddamente replicato lui lo facesse soltanto per vedere da
vicino le fattezze di un supersaiyan e per sconfiggerlo definitivamente.
Bulma aveva invitato pure lui a casa sua, senza fare
alcuna differenza, mossa da quella spontaneità e vivacità che tanto la
contraddistingueva.
Era rimasto sorpreso nel vedere che la ragazza si
era interessata anche alla sua sorte.
“Ma mi raccomando, tieni lontano le tue mani da me…
anche se sono molto affascinante!”
“Che tipa rozza…” aveva pensato il saiyan “dire certe
cose a voce alta…”.
Alla fine aveva suo malgrado accettato l’invito.
Dove altro sarebbe potuto andare?
Non aveva niente con sé, tranne che rabbia,
orgoglio, e… molta fame.
La sua presenza aveva generato un iniziale
malcontento tra i namecciani, ma il fatto che lui non avesse degnato nessuno di uno
sguardo e fosse rimasto in disparte da tutti, li aveva infine chetati alquanto.
“Quello è Vegeta” chiarì Bulma scrutandolo anche lei
dallo specchietto “il principe dei saiyan”.
Non sapeva perché avesse esteso l’invito a
quell’individuo.
Un conto erano i serafici abitanti di Namecc, un
altro quell’assassino.
Non aveva dimenticato che l’unica volta in cui
l’aveva visto era dovuta fuggire insieme a Crilin per mettersi in salvo la
pelle.
Forse perché appoggiato al tronco di quell’albero,
dopo la felice intuizione su come andassero sfruttati i tre desideri, gli era
apparso meno pericoloso o comunque non intenzionato per il momento a fare
danni.
I namecciani mormorarono di visibilio quando l’aereo
sorvolò le città brulicanti di individui.
La Terra non sapeva nulla della memorabile battaglia
avvenuta nel cosmo, né l’eco della deflagrazione l’avrebbe mai raggiunta.
Bulma poteva adesso scorgere da lontano la cupola
della sua casa:
“Finalmente…” sorrise sgranando gli occhi.
Il padre volle informarsi quanti giorni occorressero
in attesa che le sfere del drago fossero ripristinate:
“130” disse ed il velivolo vibrò malfermo.
* * *
Vegeta scese dall’abitacolo trovando ad accoglierlo
un’eccentrica signora bionda che cinguettò apprezzamenti sul suo aspetto.
Osservò il giardino fiorito e la facciata tinta di
giallo della villa.
La sua attenzione fu calamitata dalla capsula
spaziale che troneggiava in un angolo del vivaio.
Seppe dal sig. Brief che con una uguale Goku era
partito per lo spazio.
Questa non era pronta solo perché… sprovvista
ancora dell’impianto stereofonico.
Salì a bordo, dove ispezionò impressionato il
sapiente lavoro che era stato fatto.
Quando il terreno erboso tornò di nuovo ad essere
calpestato al suo balzo, la ragazza dai capelli azzurri aveva ripreso già
parola:
“Adesso entreremo in casa, dove potrete pulirvi e
sfamarvi, poi con calma decideremo per il vostro soggiorno sulla Terra”.
Il principe restò a guardare i namecciani entrare
all’interno in un brusio composto ed educato, ma non mosse un muscolo.
Fu di nuovo Bulma a fargli segno dal vestibolo:
“Ehi… non hai molta fame, forse?! Guarda che c’è da
mangiare in abbondanza, e tutto molto succulento! Non fare cerimonie! Avanti!”.
Vegeta emise un grugnito ed avvinto dai crampi allo
stomaco scese di nuovo a compromessi.
Nell’ampio salone la sig. Brief dispensava bevande
fresche, mentre sua figlia programmava i robot per preparare e servire le
pietanze.
Con tanta gente da sfamare, del resto, doveva pur
ricorrere all’ingegno e ai… cibi precotti.
Con un sorriso premuroso, niente affatto
corrisposto, la vispa signora andò a versare da bere anche a Vegeta, che se ne
stava in piedi in un angolo in disparte.
“Tesoro…” pigolò imbattendosi subito dopo nella
figlia “ma è proprio un bel giovanotto quello lì! Così serio e sempre da solo…
sembra un tipo molto misterioso, ma chi è?”
“E’ una storia troppo lunga, lascialo perdere e non
importunarlo” l’ammonì laconica “penso io a lui”.
“D’accordo, ma con questi abiti addosso…” indicò la
sua divisa spaziale “non riuscirai mai ad affascinarlo!”.
Bulma scattò sulle punte:
“Ma ti sembra questo il momento di blaterare simili
idiozie?!”
Vegeta osservava i dettagli tecnologici della casa.
Oltre il lusso ed il benessere era tangibile la
presenza di un intelletto superiore.
Ascoltava distratto il cicaleccio del gruppo,
disprezzandone l’amenità e l’affabilità
che si prodigavano gli uni con gli altri, quando al suo fianco sovvenne una
presenza.
Era la donna dai capelli azzurri che gli stava
elargendo su di un piatto cosce di pollo con patate fritte:
“So che non servirà questo a sfamarti, conosco molto
bene voi saiyan, ma intanto… mangia pure e non preoccuparti di farmi sapere
quando ne vuoi altro ” gli sorrise e gli mise avanti una sedia.
Vegeta si piantò sopra senza dire niente:
“Comunque mi chiamo Bulma…” disse invano, perché il
principe stava già addentando la tenera carne e non sembrava predisposto per il
momento a nessuna formale conoscenza.
Bulma lo lasciò di nuovo solo, preoccupata di
risolvere il problema più impellente di dove andassero sistemati i profughi.
La sua casa era abbastanza grande, ma quattro mesi e
più da trascorrere tutti insieme sotto lo stesso tetto erano decisamente tanti.
La soluzione più opportuna era quella di realizzare
un accampamento proprio nel retro del giardino.
Lì sarebbero stati al sicuro da sguardi indiscreti
senza rinunciare oltre tutto alla propria privacy.
“Perché non vengono a casa mia?” propose Gohan “lì
potranno muoversi nei boschi senza che nessuno li veda…”
“Non se ne parla affatto, Gohan” lo contraddisse la
madre risoluta “tu devi studiare, non dimenticarlo!” e alle contrazioni di
delusione che ebbe la piccola fronte, soggiunse alla fine “qualche volta ti
darò il permesso per venire a trovarli”.
“Che bello! Così potremo giocare insieme!” esclamò
Dende prendendogli le mani e saltellando in cerchio.
“Dunque… è deciso…” esclamò allora Bulma vedendo
l’approvazione collettiva.
“Ma non vogliamo che ci sia tra noi anche quello lì,
non intendiamo avere niente a che fare con lui” parlò il saggio capo
all’improvviso riducendo al silenzio tutti gli astanti.
Vegeta passò il dorso della mano sulla bocca
satolla:
“Non scaldatevi tanto” sogghignò “avete tutti quanti
voi i giorni contati, musi verdi e terrestri… senza distinzione alcuna”
Allora Junior si alzò.
La sua presenza infondeva sicurezza alla gente della
sua stessa razza:
“Perché non te ne ritorni da dove sei venuto?”
“Io faccio quello che mi pare e piace” scattò in
piedi.
Vegeta non aveva ancora meditato sulla sorte dei
giorni venturi, solo per fame aveva scelto di confondersi in mezzo a quella
gentaglia.
Ora che lo stomaco era stato messo a tacere, doveva
decidere il da farsi.
“Ehm… cerchiamo di calmarci tutti quanti” intervenne
Bulma conciliativa “voi namecciani avrete le vostre tende e vi trasferirete
tutti insieme nel giardino. Vegeta, visto che è solo può restare qui in casa,
avrà una stanza tutta sua…” guardò nella sua direzione ma scorse solo la parete
nuda.
L’uomo era già sparito.
* * *
Quando Bulma scoprì con meraviglia che i namecciani
avevano messo a coltura dei vegetali in un angolo del suo giardino ed alcuni di
loro erano intenti alla cura, erano trascorse già due settimane da quando tutti
insieme erano stati proiettati magicamente sulla Terra.
Le tende, dotate di ogni comfort, erano state
allineate all’ombra delle palme e l’atmosfera era smaltata di serenità e
buonumore.
Ai bambini erano stati regalati balocchi ed i più
anziani scoprivano il gioco delle bocce.
Non avrebbe saputo spiegare perché avesse preso a
cuore la sorte di questi sconosciuti, ma la sofferenza e le vicissitudini
provate su Namecc li avevano resi come una grande famiglia, senza dimenticare
che la loro amicizia era indispensabile
per il ripristino delle sfere del drago.
Bulma era veramente disposta ad aiutare il prossimo
solo laddove non c’era rischio di rimetterci la pelle e a contatto con quegli
esseri mansueti si sentiva a suo agio, soprattutto quando aveva saputo che
Junior non era rimasto nell’accampamento.
“Come vedi…” le mostrò il saggio capo “siamo
riusciti già ad ambientarci bene, la natura ci elargirà tra breve generosamente
tutto quello che ci occorre per vivere, che non è tanto… siamo un popolo di
semplici contadini, non impensierirti più di non farci mancare cibo”
“Sono lieta che vi sentite a vostro agio, ad ogni
modo sono sempre disponibile per tutto quello che vi occorre”.
Non lontano scorse il piccolo Dende ed allora gli si
appressò per domandagli se Gohan sarebbe venuto quel giorno:
“E’ già da una settimana che non viene” si rattristarono
i suoi grandi occhi “vorrei tanto rivederlo…”.
Il piccolo aereo atterrò in una radura
lussureggiante, lambita da un ruscello di acque fresche e linde.
A tergo del filare degli arbusti, si innalzava una
nuvola di fumo bianco.
Non era mai stata a casa di Goku da quando
quest’ultimo aveva messo su famiglia.
Del resto, una casa quest’ultimo non l’aveva mai
avuta, se casa poteva mai chiamarsi quel piccolo abituro in cui l’accolse tanti
anni prima, quando lo incontrò la prima volta.
Bulma e Dende si inoltrarono nella vegetazione per
scoprire trasecolati la graziosa casetta.
Poteva immaginare il padrone di casa intento ad
assecondare la sua insaziabilità proprio su quel tavolo di legno piantato nel
terreno oppure a giocare con il figlio sul prato spianato.
Goku si era scelto una vita molto semplice e
campestre, come era avvezzo fin da fanciullo.
Gohan li scorse da dietro la finestra, contro il
quale era poggiato il suo scrittoio, ed avvertita la madre della visita, si era
precipitato ad accoglierli sulla soglia di casa.
Chichi poteva ritenersi una donna molto fortunata,
pensò Bulma, entrando nell’accogliente cucina.
Oltre quell’adorabile figlio, aveva Goku al suo
fianco.
Per la seconda volta si ritrovò a riflettere sulle
scelte sbagliate del passato.
Lei e Iamcha litigavano sempre… se solo si fosse
accorta prima di cosa Goku sarebbe diventato!
Peccato non fosse più possibile tornare indietro e
le loro strade avessero preso un bivio dove non c’era più possibilità di
ricongiungimento.
Quel pensiero le punse il cervello senza il benché
minimo riguardo per il defunto fidanzato che sarebbe ritornato alla vita tra
130 giorni.
“E già da un bel po’ che non ti fai vedere…” si
piegò a salutare il bambino rabbuffandogli la chioma.
Oggetto delle ambizioni della madre, a Gohan in quei
giorni non era rimasto altro che scalpitare sui libri per recuperare il tempo
perduto, nella silente attesa la donna si decidesse ad accordargli il sospirato consenso.
Se quel giorno la trovò particolarmente docile, al
punto tale da consentire a Dende di trattenersi un paio di giorni, non fu per
la presenza complice di Bulma, ma solo perché aveva adempiuto il suo dovere
fino a quel momento senza batter ciglio.
Così quando l’aereo di Bulma si issò rompendo la
quiete della foresta, Dende e Gohan agitarono le braccia in segno di saluto.
Il jet prese quota e si indirizzò verso la città
dell’Ovest.
Planò sui fiumi e sorvolò le montagne sassose.
Il cielo, prossimo al tramonto, era terso ma i venti
vorticavano dando instabilità al velivolo.
Bulma imprecò quando si accorse di faticare a dargli
equilibrio e per questo preferì ridurre l’altitudine.
L’aereo ebbe nondimeno un’altra scossa.
“Ma che diavolo succede?!” una luce rossa
lampeggiava dal quadrante dei comandi ad indicarle che stava perdendo
ulteriormente quota per un guasto sconosciuto ai motori.
La scienziata che aveva viaggiato nel cosmo stellare
e che era scampata alla detonazione di un pianeta, non si perse d’animo e tentò
di spingerlo in alto.
Alla fine quando si accorse della inutilità di ogni
manovra, mise un kit di capsule nella tasca, uno zainetto dietro le spalle e si
gettò nel vuoto sottostante.
Vide il terreno appressarsi, mentre alle sue spalle
il piccolo aereo si schiantava contro il fianco di una montagna.
Il paracadute finì su una rupe, che franò
rovinosamente facendola rotolare e balzare fino a quando non trovò terra.
Restò per qualche minuto lì, immobile, mentre le
dita della mano si stringevano tremanti intorno ad un ceppo di erba adusta.
Le membra furono scosse da spasmi mentre tentavano
di rimettersi in piedi.
“Ahi… ahi… ahi…” gemette malconcia.
Quando finalmente riuscì a piegare le ginocchia
slabbrate e a fare perno sulle braccia per alzarsi, scorse due gambe massicce
che le stavano dinanzi.
Alzata la testa, rivide allora il principe dei
saiyan.
* * *
Semplicemente plebaglia!
I musi verdi erano soltanto un popolo infimo, privo
di qualsiasi capacità combattiva, a cui non si sarebbe mai mescolato più del
dovuto.
Già troppo aver fatto insieme quel viaggio e averli
lasciati in vita!
Lo stesso valeva pure per i terrestri!
Aveva lasciato la Capsule Corp. senza neanche sapere
dove andare.
Sapeva molto poco della Terra.
Quando aveva fatto arrivo con Napa, non c’era
neanche stato il tempo di perlustrare il pianeta.
Alla fine aveva arrestato il suo volo in mezzo alle
montagne, laddove la natura si faceva più impervia e selvatica.
Lì sarebbe rimasto in attesa del ritorno di
Kakaroth, approfittando del tempo avanti per esercitare il corpo e lo spirito.
“La Terra allora è veramente molto piccola…”
commentò con un ghigno riconoscendo la ragazza dai capelli celesti.
Il suo rifugio era nei pressi del dirupo sfaldatosi.
Si era ritrovato quel corpo letteralmente ai suoi
piedi.
Bulma barcollò all’indietro e si mosse per
distanziarlo con un ansito di paura.
Il pensiero di trovarsi in mezzo alle montagne da
sola con quell’individuo, gli fece perdere la disponibilità e la premura che
nei suoi riguardi aveva avuto solo due settimane prima.
Forse allora la presenza di Gohan e dei namecciani,
o semplicemente il fatto di trovarsi in casa sua, le erano bastati ad
alimentare la sua ordinaria sfrontatezza.
Alla fine riuscì a mettersi in piedi.
Almeno constatò di non avere ossa rotte.
“Cosa succede? Qui sulla terra… forse… le donne
piovono dal cielo?” le mostrò ancora quel riso beffardo.
Lei si scrollò la polvere da dosso: non un solo
centimetro della sua pelle era più visibile.
“Certo che no!” fiammeggiarono gli occhi sul volto fuligginoso “a quest’ora avrei già
fatto ritorno a casa se il mio aereo non avesse fatto cilecca!”.
La vide cercare con nervosismo qualcosa tra le
tasche.
Nel kit di capsule avrebbe recuperato un altro
velivolo e se ne sarebbe andata via il prima possibile.
“Ma… dov’è?” le tasche erano vuote.
Bulma gettò un’occhiata di panico intorno a sé.
“Oh… no… e adesso come faccio?
Rovistò con le unghie sanguinanti tra i ciottoli
franati insieme a lei trovando solo polvere ed erbacce.
Alla fine, ansimante, si rimise in piedi,
scostandosi i capelli che si erano appiccicati sulla fronte.
Alle sue spalle c’era ancora lui:
“Non ho più niente…” ammise con un risolino nervoso.
Allora lui le diede le spalle e si mosse per andare
via:
“Ehi… aspetta, non vorrai mica lasciarmi qui da
sola!” la prospettiva della compagnia del principe dei saiyan sembrava addirittura
preferibile alla solitudine della montagna, ora che per giunta l’orizzonte si
andava infuocando in prossimità del calar della notte.
Vegeta si accorse che lei lo stava seguendo:
“Vattene!” disse senza neanche voltarsi indietro.
“Ma… ma… come sarebbe… a dire?” incespicò nel
terreno sassoso mentre cercava di stare al suo passo sicuro “io ti ho aperto le
porte della mia casa, ti ho dato pure da mangiare!”
“Guarda che io non ti devo proprio niente!” si fermò
ad un tratto.
“Ti sei già dimenticato di me?” incrociò le braccia
“aveva ragione mia madre quando mi ha detto che non ero affatto affascinante
quel giorno!”.
Bulma vide allora che c’era un antro abbastanza
profondo nella fenditura della roccia.
“E così è qui che ti sei sistemato…” commentò
osservando la cenere di un focolare sparsa in un cerchio di pietre.
Era quello il suo riparo notturno.
“Allora, ti decidi ad andartene sì o no? Se non lo
fai di tua spontanea volontà, lo farò io con le mie maniere…”
“Allora non capisci?” appuntò i gomiti la donna “il
mio aereo è andato distrutto, non ho altro per tornarmene a casa, tra poco
scenderà il…”
“Hai già parlato troppo!” disse raccogliendo della
legna ammassata in un angolo buio ed apprestandosi ad accendere un fuoco.
“Facciamo così…” propose l’altra con toni più
accomodanti “visto che credo sia inutile chiederti di accompagnarmi a casa,
consentimi almeno di restare qui per la notte, domani alla luce del sole
cercherò di recuperare il mio kit e toglierò ogni disturbo… ti giuro che non ti
darò alcun fastidio”.
Non voleva avere nessuno tra i piedi, meno che una
petulante terrestre, ma se il saiyan non aggiunse altro fu solo perché
all’improvviso pensò che quella donna potesse ritornargli utile tra un po’ di
tempo.
L’aveva vista maneggiare con i robot di casa sua,
aprirne uno e riparare velocemente un guasto tra gli inestricabili fili.
Era lei l’intelletto superiore di quella casa, forse
anche più del vecchio.
Li avrebbe potuti sfruttare in futuro per ottenere
apparecchiature in vista di allenamenti speciali oppure per avere una capsula
tutta sua con cui lasciare quel dannato pianeta.
Considerato che chi tace acconsente, Bulma capì di
averlo in qualche modo convinto e così non disse altro.
Restò soltanto immobile a ponderare se davvero aveva
visto giusto a non inoltrarsi nella steppa che si allargava innanzi ai suoi
occhi: la città era ancora distante molte miglia.
Bulma non aveva avuto veramente altra scelta, per
quanto sapesse che con quell’individuo non sarebbe stata al sicuro lo stesso.
Che cosa conosceva di lui?
Solo l’efferatezza e la tracotanza.
Doveva essere vigile e coraggiosa invece, non dargli
a vedere la sua debolezza, non mostrargli che ora anche lei tremava come una
foglia al suo cospetto.
Lo vide allontanarsi.
Era certa che avrebbe fatto ritorno visto che con
l’imposizione di un dito aveva già acceso il fuoco per trascorrere la notte.
Si guardò intorno.
Tra tanti posti rigogliosi che racchiudeva la Terra,
si domandò perché avesse scelto proprio quella landa brulla e stepposa.
Aveva bisogno di acqua per pulire le ferite che
aveva sulle braccia e sulle gambe.
La buona sorte volle che proprio dall’interno della
spelonca sentisse provenire un gorgoglio stillante.
Scoprì così che una piccola vena d’acqua solcava una
roccia interna.
Strappò con i denti un lembo della manica della sua
camicetta, lo intrise d’acqua e con lentezza sfibrante prese a detergere le
lacerazioni, arrecando un debole sollievo al bruciore che si alimentava col
trascorrere dei minuti.
Quando Vegeta fece ritorno vide che la terrestre
aveva già scoperto la piccola sorgente.
Il cinghiale catturato nei boschi non lontani non
aveva neanche avuto il tempo di avvedersi del pericolo, giunto dall’alto e
senza alcun preavviso.
Fu gettato accanto al fuoco.
Bulma sentì il tonfo della carcassa e si voltò con
un sussulto.
Vide l’uomo dilaniarne la carne con una mano e tornò
a girarsi stomacata, sentì ugualmente le dita immergersi nelle interiora e
schizzare nel fuoco.
La donna si asciugò la fronte madida di sudore e
polvere chiedendosi cosa altro dovesse tollerare delle sue abitudini per quella
notte.
Solo quando un odore appetitoso di carne arrostita
solleticò il suo olfatto decise di tornare a guardarlo.
Il saiyan sembrava intenzionato a servirsene da solo
perché l’aveva già addentata con voracità senza che le venisse rivolto cenno di
accostarsi al banchetto.
Era come lei fosse trasparente.
“Di quale assurdo regno sei il principe…” ruppe il
silenzio “non hai la benché minima educazione, non mi hai neanche chiesto se
avessi fame!”.
Il saiyan non la degnò di uno sguardo:
“Trovatelo da sola…” disse soltanto.
Con uno scatto risentito si andò a rannicchiare in
un angolo, mortificando il languore che aveva sentito tra le mascelle.
Era decisamente un animale.
Quando del cinghiale non restò più nulla di
commestibile allora lo vide alzarsi e prendere altra legna per tenere vivo il
fuoco.
Ormai l’ultimo barlume di luce si era estinto e la
notte aveva assorbito come una spugna i profili smerlati delle montagne.
Bulma si mosse con disagio, stringendo le gambe:
“Ho bisogno di andare al bagno…” ammise quando capì
di non poter resistere oltre.
“Per me puoi anche farla dove sei” fece senza
voltarsi a guardarla.
La donna arricciò il naso.
“Grazie per l’interesse… sei disgustoso!|” si
ricordò quindi che all’esterno, in prossimità dell’entrata, c’era un macigno
abbastanza grande per nascondersi dietro, rovi permettendo.
Superò il fuoco ed uscì fuori:
“Mi raccomando, non provare a spiarmi…”.
Il saiyan la fissò indignato.
“Che tipa…” mormorò a denti stretti.
Non aveva mai guardato una donna senza che questa
provasse terrore al suo cospetto.
Eppure quella terrestre era insolente e volitiva,
capace di penetrarlo negli occhi come stesse fissando un qualunque individuo.
Doveva avere un carattere alquanto mascolino se era
l’unica donna della combriccola di Kakaroth, forse il suo talento era stato
utile per affrontare il viaggio alla volta di Namecc, forse era semplicemente
la puttana di tutti.
Era da molto che non stava con una femmina per
giunta.
Non ricordava neanche se l’ultima fosse del mestiere
o semplicemente una malcapitata aliena dilaniata, come tutte le altre, sotto le
sue spinte.
Quello che era certo era di non aver mai visto una
terrestre benché anche alle sue orecchie di mercenario fosse giunto l’eco della
loro impareggiabile bellezza.
Quando riemerse dal buio, Bulma si andò a sedere
questa volta accanto al fuoco.
Rabbrividiva stringendo le braccia intorno alle
gambe nude.
Lontano da lì l’aria fredda si insinuava dentro le
ossa come aculei invisibili.
La notte sarebbe stata probabilmente la più lunga di
tutta la sua vita in compagnia di quell’uomo altrettanto glaciale ed
insensibile.
Lui aveva poggiato la folta criniera contro la
ruvida parete e teneva gli occhi socchiusi.
Ai riverberi danzanti della fiamma, Bulma incominciò
ad ispezionare le linee granitiche del suo viso, il profilo delle spalle
massicce, curvate nell’abituale posa conserte delle braccia.
Si ritrovò a constatare, come, malgrado tutto, il
principe dei saiyan sprigionasse un fascino virile e selvaggio, fosse anche
solo per quell’aria misteriosa e adulta.
Pure Goku, così limpido e genuino, a confronto con
quel carisma perdeva molti punti.
Nel meditare il parallelo con Iamcha, che usciva
battuto più dell’anzidetto, si chiese se mai ci sarebbe stata possibilità di recupero
per quel saiyan, che pure assopito non perdeva la serietà e la gravità del
piglio.
La fantasia ardita che potesse riuscire lei in qualche
modo ad essere l’artefice di una sua incrinatura le fece accelerare un battito.
“La smetti di fissarmi?!” la fece trasalire.
Non stava dormendo.
Gli occhi indagatori della donna li aveva sentiti
fin sulla pelle.
“Ti guardo perché mi sei di fronte” ribatté
laconica.
Vegeta tornò ad attizzare il fuoco movendo la legna
con un virgulto secco.
“Per me puoi anche andartene fuori!”
“Lo farei se avessi come andarmene, ma il pensiero
di finire in pasto ad un animale non mi alletta particolarmente”.
Allora Vegeta sogghignò:
“Pensi forse che qui con me sei più al sicuro?”
penetrò ora il suo sguardo con una forza devastatrice.
Dovette passare qualche istante perché lei
recuperasse fiato:
“Tieni le tue mani lontano da me…”.
Allora lui rise sprezzante:
“Non scaldarti troppo donna, malconcia come sei, non
mi viene voglia di toccarti neanche se fossi l’ultima femmina in tutto
l’universo!”.
“Sei un villano!” l’apostrofò lei, risentita più
dell’osservazione che per il proposito temerario.
Solo ora, alla luce tremula del fuoco, si accorgeva
del lerciume che teneva attaccato sulla pelle e tra i capelli.
Era ruzzolata praticamente nella polvere e nel
fango.
“Anche tu non mi piaci per niente!” seguitò lei.
“Ora basta!” la ridusse ad un brusco silenzio “se ti
tengo in vita è perché tanto morirai lo stesso quando avrò sconfitto Kakaroth,
insieme a tutti gli altri terrestri!”
“Devi prima riuscirci…” osò sfidarlo ancora.
“Sono rimasto qui per questo!”.
Poi il silenzio, interrotto dallo scoppiettio del
fuoco.
Aveva rischiato molto, eppure continuava a non
averne veramente paura.
Giunti a questo punto, era ormai certa non potesse
farle più nulla.
Forse le traversie su Namecc avevano davvero
consolidato la sua predisposizione a mettersi nei guai.
Provava quasi compassione per il suo accanimento
contro Goku.
Era un uomo afflitto dalla competizione e
perseguitato dal suo stesso orgoglio, eppure erano sentimenti così umani,
portati all’estremo, ma pur sempre umani.
Bulma provò una strana ebbrezza nello scrutare
l’impenetrabilità di quella corazza.
“Goku ritornerà qui solo tra quattro mesi” parlò lei
su un registro più calmo “non te la passi proprio bene in questo posto. I
namecciani hanno piantato le tende nel mio giardino, ma tu… visto che non ti vogliono tra loro, potresti venire a
stare proprio a casa mia, avresti oltre che mangiare un letto su cui dormire…”.
Non avrebbe mai saputo spiegarsi cosa in quell’istante
la spinse a rinnovare quell’invito proprio al principe dei saiyan, eppure se
avesse potuto già sapere che con questo sarebbe cambiato l’intero corso della
sua vita, lo avrebbe ripetuto altre cento volte.
“Il tuo scommetto…” soggiunse Vegeta senza ritegno.
Le lunghe ciglia ebbero un fremito di
disorientamento, prima che, alzandosi, sbottasse su tutte le furie:
“Ma come ti permetti?! Per chi mi hai presa?! Io
sono una signorina perbene e si dia il caso abbia già un fidanzato, altrettanto
a posto, in attesa di essere risvegliato pure lui con le sfere del drago!
Intendevo dire che avresti avuto una camera tua!”.
Quando tornò a sedersi, il petto si sollevava ancora
ansimante.
Vegeta si adagiò a terra sistemandosi un braccio
sotto al capo, chiudendo le palpebre perché lei non seguitasse oltre.
Bulma lo imitò dandogli le spalle con un fremito di
stizza.
I suoi occhi restarono ancora desti fino a quando
non vennero imprigionati nelle maglie di una confusa e irrequieta sonnolenza.
Quando si risvegliò di soprassalto, non aveva idea
di quante ore fossero trascorse.
Il buio era ancora uniforme ed il falò era diventato
uno strato di carboni ardenti.
Con una smorfia dolente cerco di raddrizzare la
schiena.
Il freddo le faceva vibrare la mascella senza che le
riuscisse di farla stare buona.
Era vitale riattizzare il fuoco, ma per farlo doveva
raggiungere quel virgulto secco che era all’altro fianco di Vegeta.
Sentiva il suo respiro pesante, ma non fastidioso.
Strisciò piano nella sua direzione, si approssimò
con cautela ed allungò il braccio ergendosi sopra la figura assopita del
saiyan.
Neanche fosse stata una bestia feroce pungolata nel
sonno, Bulma si ritrovò sopraffatta dal suo corpo, con i polsi bloccati in una
morsa tremenda e due gambe poderose strette intorno ai suoi fianchi disarmati.
Sentì l’ansito trafelato dell’uomo fiatare sulla
curva delicata del suo collo.
Vegeta riconobbe l’odore della donna e si staccò
bruscamente con un ringhio:
“Non farlo mai più!” le disse rimettendosi in piedi
e respirando ancora affannato “ti faccio fuori la prossima volta…” con le dita
si stropicciò le palpebre come per recuperare lucidità mentale.
I raggi flebili della luna illuminarono due occhi
sbarrati e sgomenti.
Se l’era vista brutta.
“Volevo… volevo… solo… cercare di… ravvivare il
fuoco…”.
Il principe dei saiyan aveva imparato a tenere
sempre all’erta i sensi.
Troppi nemici si era fatto nell’insediamento di
Freezer per dormire sonni tranquilli.
Sotto la sollecitazione del tralcio, una fiammella
si sprigionò dalla cenere ed andò a lambire un altro ancora intatto.
Sulle pareti scabre dell’antro si proiettarono le
loro tremule ombre di nuovo distanti.
Quando le prime luci dell’alba le fecero strizzare
gli occhi, si accorse, con un indefinibile senso di disappunto, che il saiyan
l’aveva già lasciata sola.
Tornò allora ad inerpicarsi sul sentiero da cui era
venuta alla ricerca disperata del kit di capsule.
Le sua mani scavarono ancora tra le rocce frantumate
trovando polvere e niente altro.
Al sole del meriggio uno scorpione si nascose nella
fenditura del terreno riarso.
Era rimasta ancora lì, accasciata contro un masso,
senza forze e speranze, condannata ancora una volta ad un secondo Namecc, ma qualcosa finalmente piombò dal cielo e
saldamente la trascinò in alto.
Gohan, che solo da poco aveva scoperto per caso i
resti del suo aereo, era giunto finalmente a salvarla.
* * *
La schiuma avvolgeva il suo corpo in una soffice
nuvola bianca dal profumo muschiato.
Bulma era immersa fino al collo affinché ogni poro
della pelle ne assorbisse il fresco benessere.
Una grinza di fastidio tornò a disegnarsi ai lati
della bocca, quasi a volerle far dispetto, in una situazione che esigeva di non pensare proprio ad un bel
niente.
Non bastava soltanto che quel saiyan l’avesse
trattata malamente, anche ora che era fuori da ogni pericolo, l’immagine di lui
le creava uno strano turbamento.
Non riusciva semplicemente a scacciarla dalla sua
testa e proprio perché non era in grado di trovarne la ragione, ritornò ad
immergersi con la testa sott’acqua.
Alla fine gorgogliarono nelle tubature della vasca
acqua, sapone, sozzura e… idee senza senso.
Quando riemerse dalla toilette interna alla sua
stanza, avanzò con i piedi nudi ed asciutti in direzione del letto.
Non si accorse che proprio accanto alla porta del
bagno, appoggiato indolente vicino al muro, c’era ad aspettarla il principe dei
saiyan.
E forse sarebbe anche potuta passare
sull’intrusione, perché in fondo nel recondito del suo inconscio aveva sperato
lui si rifacesse vivo, se non fosse stato che ella però era completamente senza
vestiti.
Così guardò Vegeta il suo tornito fondoschiena senza
che un muscolo della faccia si scomponesse.
Solo un inavvertibile movimento di sinistra
compiacenza ai lati della bocca, prima che lei, indossata la vestaglia adagiata
sul letto, si voltasse e si accorgesse finalmente della sua presenza.
“Come ti sei permesso di entrare in camera mia?!”
proruppe dopo qualche istante Bulma, purpurea al solo pensiero di quanto lui
avesse visto.
“Da quanto tempo sei lì?! Si può sapere come sei entrato?! Dalla finestra suppongo!” vide la brezza serotina agitare le tende “ esattamente come un ladro! Nessuno ti ha insegnato a bussare?!”.
Il saiyan la lasciò sciorinare molto altro.
Poi, quando lei restò senza fiato, si incamminò
verso l’uscio.
“Avanti, mostrami la mia stanza…”
“La tua… cosa…?” pensò di non aver sentito bene.
“Esattamente quello che hai capito. Hai la memoria
corta, donna? Sei stata tu a dirmi che avrei avuto una camera mia”.
Lei appuntò i gomiti, in quella posa bisbetica che
aveva visto già farle:
“E pensi di meritartela? Mi hai trattato malissimo,
non mi hai dato da mangiare, non hai fatto altro che offendermi!”
“Ti lamenti per così poco? Avrei potuto farti fuori,
ringrazia il cielo che respiri ancora!” le schioccò quelle parole direttamente
in faccia, come uno schiaffo.
Bulma emise allora un respiro profondo, una manciata
di secondi in cui elaborare il da farsi.
I capelli bagnati prendevano a gocciolarle sulle
spalle.
“La vedi questa stanza?” fece un movimento circolare
del braccio “è la mia stanza, guardala bene perché è l’ultima volta che la
vedi…”.
Un fruscio della seta tra le gambe.
Passò avanti al saiyan lasciando una scia aromatica
di pulito.
Lui comprese che doveva seguirla.
Si era allenato tutto il giorno non lontano dalla
landa brulla in cui aveva trovato rifugio.
Aveva più volte vagliato la proposta che la
terrestre gli aveva fatto.
Non ritenne fosse una cattiva idea prenderla in
parola.
Avere un pasto più che decente, un letto in cui
dormire non era cosa da poco per chi sottoponeva il fisico ad un allenamento
rigoroso come il suo.
In più, lei o il vecchio gli sarebbero potuti
ritornare in futuro sempre utili.
La donna arrestò il passo presso l’ultima porta
disposta sul lungo corridoio.
All’interno un letto, un armadietto ed uno
scrittoio, in un ambiente rassettato e sobrio.
“Qui c’è il bagno” indicò “ti consiglio vivamente di
farti una doccia” storse il naso.
L’uniforme che teneva indosso recava ancora i segni
della battaglia contro Freezer.
Con quello era stato sepolto, con quello era
ritornato alla vita.
“Vedrò di procurarti qualche abito della tua
misura…”
“Non metterò mai i vostri stupidi vestiti!”
“Fai come credi, abbi almeno l’accortezza di
metterlo la sera in lavatrice e riprendertelo pulito ed asciutto al mattino!”
lo consigliò caldamente.
Quando se ne fu andata finalmente via, si gettò sul
letto e fissò a lungo il soffitto.
Non poteva ancora immaginare che in quella casa
avrebbe trascorso il resto della sua vita.
* * *
Bulma consultò il calendario posto sulla scrivania
del suo studio.
Il tempo trascorreva via come un vento incostante, a
volte vertiginoso, a volte come un zefiro che bisbiglia tra i rami degli
alberi, che increspa le acque dei mari, che sfiora appena i capelli.
Non sempre il suo pensiero si era rivolto a Iamcha,
non come avrebbe dovuto.
Mancavano due giorni allo scadere dei 130 e poi il
dio drago avrebbe esaudito i loro desideri.
La pacifica comunità namecciana aveva continuato a
trascorrere amenamente il tempo nel suo giardino, carichi di silenzioso
contegno ed affabili se gli si dava parola.
Tutt’altro il principe dei saiyan, che quanto a
gentilezza ne sapeva almeno quanto Bulma nell’arte del combattimento.
C’era da dargli il merito però di non farsi vedere
per buona parte della giornata, quella che prodigava agli allenamenti in vista
del ritorno di Kakaroth, lontano dai trambusti cittadini, a contatto con
l’aria e le forze più inesorabili della
natura.
Quando faceva ritorno all’imbrunire del cielo, si
intratteneva ancora in camera sua, solo quando tutto intorno era immerso nella
quiete della notte, scendeva in cucina a rifocillarsi, trovando sotto al forno
o sui fornelli le traboccanti pietanze già pronte.
Così lo sorprese Bulma una volta, allorché insonne,
andò a prendersi un bicchiere di latte caldo.
Lui si bloccò solo un istante quando nell’ombra
spuntò la pelle lattescente della terrestre sotto una camicia da notte di
colore rosa, poi, come se ella fosse stata solo un fantasma, riprese dove era
stato interrotto.
“Mangi al buio?” solo la luce lunare e quelle
artificiali del giardino penetravano dalla finestra, eppure sufficienti a farle
scorgere il torso nudo ed i fianchi cinti dal pantalone del pigiama che lei gli
aveva lasciato una volta sul letto.
“Dopo potresti almeno mettere in ordine, la mattina
ritrovo la tavola che sembra un secchio dell’immondizia!”
“Vedi di non essermi indigesta…” la liquidò lui
asciutto.
Questo era accaduto nei primi tempi del suo
soggiorno alla Capsule Corp. e la situazione non aveva avuto alcuna svolta visto
che tra i due non si era mai intavolata alcuna discussione più nutrita, che
fosse almeno normale e civile, neanche se lei riusciva a fare a meno dei soliti
rimbrotti e a mostrarsi un po’ più gentile.
E per quanto ella prendesse atto che imparare a conoscerlo
meglio sembrava dunque impossibile, la constatazione le lasciava
inspiegabilmente un retrogusto amaro e deludente.
A due giorni dallo scadere dei 130, Bulma andò a
bussare alla sua porta.
Non ricevendo risposta, con circospezione la sua
capigliatura, arrivata di nuovo sulle spalle, fece capolino all’interno della
stanza.
Lui se ne stava adagiato sul davanzale, con la
schiena nuda addossata allo stipite della finestra.
Dal bagno annesso proveniva l’odore del sapone
appena usato.
“Scusa il disturbo, ma visto che è molto difficile
incontrarti, e non è detto che domani accada di nuovo, sono venuta per
ricordarti che tra due giorni invocheremo il dio drago”.
Lui lo ricordava, eccome.
Ogni giorno trascorso era un giorno in meno al
ritorno di Kakaroth.
Lo scorrere del tempo pulsava nel suo stesso sangue
facendolo ribollire, come magma che procede inarrestabile la sua fuga.
“Non mancherò di certo, puoi stare tranquilla…” un
lampo sinistro gli illuminò lo sguardo.
“Speriamo che vada tutto bene…” sospirò la ragazza
sedendosi sul ciglio del letto “il dio drago non ci ha mai deluso…”
“Non preoccuparti” sogghignò lui “Kakaroth ritornerà
in vita e poi la perderà poco dopo”.
Bulma ascoltava quasi sempre i suoi propositi di
vendetta lanciandogli un’occhiata di eloquente silenzio.
Sospirò ancora una volta.
“Avanti, lasciami solo!” si sentì dire ad un tratto.
“Uffa!” sbottò in piedi “possibile che tu debba
essere sempre scontroso?! E’ così difficile per te parlare con qualcuno?!”
Lui ghignò di nuovo:
“Cosa c’è? Sei venuta a tenermi compagnia?”
“Perché no…” incrociò le braccia provocatoria “trovi
assurdo scambiare quattro chiacchiere perché sei il principe dei saiyan o
perché io sono una donna?”
“Forse perché con le donne sono abituato a fare
altro…” scese dal davanzale e si mosse con calma verso di lei.
Bulma indietreggiò:
“Ehi… tieni le tue mani lontano da me…”
“Non sai che non devi entrare nella stanza di un
uomo se non vuoi essere toccata?” le porse uno sguardo da figlio di puttana.
“Spero che Goku ti faccia fuori!” gridò lei prima di
andarsene via.
Sul volto del saiyan restò per qualche istante
l’ombra svanente di quel ghigno.
Almeno… qualche volta riusciva a spaventarla…
Bulma restò sorretta all’uscio.
Il respiro ansante non fu dovuto tanto alla paura,
quanto al pensiero sconcertante che le sarebbe piaciuto rimanere.
* * *
Il dio drago dei namecciani era molto più imponente
di quello dei terrestri.
Con la punta del naso rivolta all’insù, osservarono
trasecolati il prodigio compiersi magicamente dalle sette sfere.
Crilin fu accolto tra applausi e lacrime di
commozione.
“Ed io che sto qui a perdere il mio tempo con questa
gente…” mormorò Vegeta quando seppe della decisione di Goku, niente affatto
defunto, di attardarsi ancora nello spazio.
Il rombo della capsula che partì scosse la
concentrazione degli astanti.
Fu Junior a richiamare Bulma e a farle presente che
restava un altro desiderio da esprimere.
“Ehm… chi richiamiamo in vita?”
Sembrava che per lei uno valesse l’altro.
Alla fine Iamcha, dopo un imprevisto ruzzolone nello
stagno, comparve loro davanti.
“Ciao, Bulma, lo sai che sei diventata ancora più
carina?” la salutò il fidanzato completamente infradiciato.
Colma di gioia, i suoi occhi si fecero allora più
limpidi.
Non sarebbe trascorso molto altro tempo, prima che
si accorgesse di quali veri sentimenti si stesse nutrendo il suo cuore.
Questo fu solo il principio…
FINE
Leggi il seguito: “E poi passione…” ed “Infine fu
l’orgoglio…”.