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Autore: Elle Douglas    24/11/2011    1 recensioni
A chi non è mai capitato di sognare? A me sì, tante e tante di quelle volte, ma questa volta è diverso, ho immaginato la mia storia con il mio attore preferito, colui che da due anni è entrato nella mia vita con uno dei suoi splendidi sorrisi, di chi sto parlando? Ma di lui: Robert Pattinson!
Ho immaginato un’incontro a Montepulciano e da lì si è sviluppata tutta la storia.
“Cosa succede se una ragazza come tante, un giorno riuscisse a realizzare il suo sogno e a realizzare una vita su quello?" Come sarebbe una vita insieme al suo idolo? Ho provato a immaginare ed ecco cosa ne è uscito... spero vi possa piacere a magari perché no? Anche emozionare!
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Ecco il nuovo capitolo.
Questa volta è dal punto di vista di Van, dopo un sacco di tempo. u.u
E' nato così, non apposta, in principio volevo continuare con un Pov Robert ma poi l'ispirazione mi è venuta dal punto di vista di Van, ecco. >.<
Spero comunque che vi piaccia come sempre e che mi diciate cosa ne pensate.
Ne approfitto inoltre per ringraziare come sempre tutte le persone che leggono e commentano la mia storia.
Mi sempre un gran piacere, perciò che dirvi GRAZIE di cuore!

Bene, ora che ho finito il mio monologo, vi lascio immedesimarvi..
Buona lettura!
Kiss.
 

Guardai il mio aspetto sempre più cadaverico allo specchio, causa del mio continuo dolore e del mio continuo rimettere, cercando un cambiamento, anche piccolo per sentirmi meglio con me stessa anche da sola.
Ashley era entrata, o meglio era venuta nella casa romana da circa un giorno con la scusa di una festa di Armani a cui era stata invitata e a cui, ovviamente, voleva imbucare anche me. Più volte cercai invano di persuaderla nel non farlo, lo sapevo che lo faceva per me, per il mio bene e perché in fin dei conti lei era la mia migliore amica in quel mondo, ma non ce la facevo. Non mi andava di sorridere, non mi andava di divertirmi, se mai ci fosse stato un modo per farlo, non mi andava di vivere, non più, non senza di lui.
Senza di lui nulla aveva più senso.
Senza di lui il mondo aveva perso i suoi colori abbandonandosi ad un perenne bianco e nero che a volte si alternava al buio perenne che abitava la mia stanza da giorni, se non da settimane che a me parevano un eternità infinita.
Senza di lui sembrava essersi spento anche il sole. O almeno il mio.
Non vedevo più la luce, e da quando era successo stentavo a credere a tutto ciò che era accaduto. Cercavo invano di credere che fosse tutto un incubo che mi attanagliava la mente cercando di distruggermi, ma quando aprivo gli occhi, lui non c’era e capivo che la verità era un altra.
La peggiore ovviamente.
Non era lì ad osservarmi e ad abbracciarmi come sempre. Tutto era svanito, i miei sogni, il mio futuro, tutto si era vaporizzato e del nostro amore non restava altro che cenere. Le sue ultime parole mi rimbombavano in mente scavandomi una voragine nel petto.
“Non ti fidi più di me?”
“Non lo so più..” quel quasi pari ad un no, mi squarciò il petto e il dolore mi mozzò il respiro.
Per la prima volta ai suoi occhi mi sentii un estranea incapace di ritrovarmici. In quegli occhi che mi avevano rapita sin dal primo istante. In quegli occhi che ormai erano diventati anche i miei. Quel mare immenso non era più mio.
Ed eccola, di nuovo quella fitta, proprio lì dove si dice risieda il cuore. Era questa che da giorni mi provocava il suo volto e il suo ricordo. Avrei voluto odiarlo pur di non amarlo più, ma per quanto cercassi e per quanto lo volessi, il cuore non obbediva mai al mio cervello, che ogni qualvolta si abbandonava al suo ricordo e alla sua completa autodistruzione.
Come poteva amare il dolore? Quanto poteva essere stupido quell’organo lì per continuare a deteriorarsi in quella maniera? E poi quante lacerazioni poteva subire un cuore prima di cedere completamente?

Un bussare ripetuto alla porta e un ticchettio di tacchi si stava avvicinando.
“Tesoro, sei splendida!”, disse quel follettino dark che amavo tanto.
Non le risposi e non le rivolsi nemmeno un sorriso convenevole e fintamente finto, mi buttai tra le sue braccia senza guardarla in faccia, iniziando di nuovo a lacerarmi dentro. Come poteva un cuore crearti tanto dolore?
Se un piatto o un bicchiere cadono a terra senti un rumore fragoroso.
Lo stesso succede se una finestra sbatte, se si rompe la gamba di un tavolo o se un quadro si stacca dalla parete. Ma il cuore, quando si spezza, lo fa in assoluto silenzio. Data la sua importanza, ti verrebbe da pensare che faccia uno dei rumori più forti del mondo, o persino che produca una sorta di suono cerimonioso, come l’eco di un cembalo o il rintocco di una campana. Invece è silenzioso, e tu arrivi a desiderare un suono che ti distragga dal dolore.
“Oh”, la senti dire quanto d’un tratto mi rincasai tra le braccia della mia migliore amica.
Avrei mai potuta ringraziarla per tutto quello che faceva per me e per il fatto di esserci sempre?
“Non amo vederti così sorellina. Farei di tutto per cancellare il tuo dolore ora, se solo esistesse Jasper..”, lasciò cadere il discorso lì, perché sapeva quanto quella saga valesse per me, sapeva cosa mi aveva portato e cosa mi aveva tolto.
Le lacrime sgorgavano dai miei occhi ormai involontarie. Troppi pensieri, troppi ricordi, troppe volte i suoi occhi mi si aggrovigliavano dentro facendomi dilaniare e troppe volte il ricordo delle sue labbra sulle mie, il calore e l’odore della sua pelle mi facevano soccombere accendendo il bruciore che nel mio petto divampava.
Pareva quasi di assistere alla lacerazione di un cuore in atto.
Il dolore lancinante mi andava alla testa, era un dolore assurdo, dal suono impercettibile e dalla potenza devastante, lo sentivo staccarsi pian piano da me per raggiungere mete lontane e per arrivare a lui senza nessun risultato. Probabilmente lui stava meglio.
Si, decisamente meglio, mi sforzai di pensare.
Avermi sempre intorno era sempre stato per lui un grande peso.
Ora poteva stare con Kristen per davvero, esaudendo così le richieste delle sue fan che gridavano “RobSten” ogniqualvolta lo vedessero.
Lo immaginavo ora, mano nella mano con lei a dare un altro servizio sgamo che insospettisse i fedeli fan di entrambi. Una rivelazione appena accennata, una parola appena smorzata, e una smentita subito dopo per creare ancora più suspance e il piatto era servito, magari con un bacio e un abbraccio finto a concludere l’opera. Ora poteva stare con lei, esaudire anche i desideri di Nick che tanto bramavano quella situazione, ora poteva vivere con lei o farsi benissimo una vita con qualcun’altra più degna di me. Una vita con una donna che l’avesse amato più di me, che gli desse quello che lui voleva e che non gli stesse sempre appiccicata. E magari, un giorno, quando tutto questo dolore sarebbe finito, e se fosse finito, avrei preso un giornale in mano, con un bel titolo in prima pagina che parlava chiaro: “Robert Pattinson si sposa!” e ci avrei riso su, senza commenti, senza rancori, senza che la ferita all’interno si riaprisse.
Si, magari, ma ora al sol pensiero di una cosa possibile il cuore si lacerava a dismisura, mostrando i segni di un’innaturale frattura.
Non riuscivo a chiederlo ad Ashley. Avevo paura di una qualsiasi conferma alle mie ipotesi.
Anche se vedevo che lei leggeva in me tutti i miei pensieri ormai.
Le avevo chiesto di non parlarmi di lui, di non accennare nemmeno il suo nome in mia presenza, nemmeno in un brusio. Non ne volevo sapere nulla di lui senza me. un solo accenno alla sua vita ora mi avrebbe fatta cadere nel baratro in cui mancava poco che io finissi.
“Tirati su, dai”, supplicò Ashley per l’ultima volta alle mie cantilene. Alzai lo sguardo di poco ancora appannato e scorsi i suoi occhi che nel frattempo erano diventati specchio dei miei. L’avevo fatta piangere, l’avevo costretta a sentire il mio dolore e a immedesimarsi.
“Scusa Ash..”, dissi tirando su con il naso cercando di asciugarmi le lacrime dal viso. “Sono una terribile bambina. Una terribile, stupida bambina che crede ancora nelle favole e non riesce a non smettere di piangere”. Giustificai per smettere.
Ashley mi accarezzò un braccio per consolarmi.
“Lo so che non ne vuoi sentir parlare Van..”,
“Non chiamarmi Van, ti prego Ash..”, e giù di nuovo un altro groppo in gola.
Alzò le mani in segno di difesa. “Scusa, hai ragione”. Ammise. “Comunque.. Vane, lo so che non ne vuoi sentir parlare, ma lui ti ama.. davvero e..”.
“Ash, ti prego, ti scongiuro, se mi vuoi anche un minimo di bene non parlarmi di lui, non dirmi che mi ama per consolarmi. Non è così, credimi non fai altro che farmi star male dandomi false speranze. Lui non mi ama. Forse mi ha amata, ma ora non più, ora non sono più niente per lui!”.
Un'altra lacrima scese giù dritta nel fosso.
“Mi hai detto di non pronunciare il suo nome, io non l’ho fatto, ma è giusto che ti dica come sta..”.
“Come sta? Come sta lui? Ash, non l’ho lasciato io, e lui che lo ha fatto, non io! Come dovrebbe stare? Beatamente felice ora. Non ha più nessuno intorno, nessuno che gli abbia mai regalato il cuore e messo tra le mani come ho fatto io.. Ash davvero se sei venuta come sua ambasciatrice sprechi il tuo tempo, non ne voglio più sapere. Sono stanca”. Dissi incrociandomi le braccia al petto e voltandomi.
“Okay, allora guardami negli occhi e dimmi che non ne vuoi più sapere davvero!”, disse alzandosi e venendomi incontro.
“Ti prego Ash, lasciami in pace. Ti prego davvero. Non voglio più parlare di lui. Basta!”, dissi sgorgando lacrime ancora più di prima e buttandomi sul letto con la testa fra le mani.
Ash rimase al suo posto per un po’, poi sbuffò dispiaciuta e mi sedette affianco.
“Ti disidraterai così..”, blaterò materna.
Non mi interessava un bel nulla del disidratarmi, non mi interessava più nulla del mondo intorno. Stavo male e nessuno sembrava capirmi.
Il mio cuore sembrava uscito da un conflitto, era completamente a pezzi, era ridotto in frammenti come se qualcuno lo avesse preso e buttato a terra per romperlo e camminarci sopra.
Era indescrivibile il dolore che mi travagliava.
Speravo di svenire, di perdere conoscenza e di perdere anche la memoria, qualunque cosa pur di togliermelo dalla mente e cancellare quel dolore insopportabile nel petto.
Un squillo ripetuto di un telefono iniziò a farsi sentire.
“Ashley..”, gridò qualcuno al di fuori della stanza. Doveva essere Giorgia o Hèllen per quanto mi riguardava. Non ne volevo sapere.
“Un attimo e arrivo subito..”, disse prima di uscire.
La porta si chiuse alle sue spalle ed io rimasi sola, sola con il mio silenzio e il mio dolore.
Mia madre chiamò un sacco di volte in quella settimana, evitavo di dirle dov’ero, per quanto ne sapeva lei, io stavo ancora con Robert a Los Angeles o giù di lì. Mia madre non era il tipo da comprare giornali dal gossip rosa, e non era tantomeno il tipo in cerca di notizie sul web, era difficile quindi che qualche parola le arrivasse al riguardo. E io, dal canto mio, quindi continuavo ad indugiare sulla verità della situazione.
Farle sapere che mi ero rifugiata a casa della mia amica a Roma, perché Robert mi aveva lasciata e stavo soffrendo come un cane l’avrebbe solo preoccupata e con lei anche i miei familiari, e non volevo. Quando sarebbe arrivato il momento giusto gliene avrei parlato, ora no, preferivo restare con me stessa a rimuginare su una vita ormai persa. Non chiedevo altro.
Mi sentivo una luna solitaria, dopo che il mio pianeta era stato distrutto e sbriciolato da un cataclisma, che si ostinava a orbitare attorno a uno spazio vuoto facendosi beffe della gravità.
 
“Dormigliona! Ti voglio sveglia e pimpante oggi”. Gridò Ashley intenta a farmi svegliare dal sonno in cui ero caduta. “Stasera, voglio far provare una nuova ricetta alle tue amiche, ma mancano gli ingredienti e quindi c’è bisogno che tu vada a fare la spesa in qualche supermarket”
Capi a stento tutte le sue parole dette in fretta, strizzai gli occhi più volte per abituarmi inoltre alla luce che entrava dalla finestra.
“Ash, ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che ti devi alzare e devi andare a far la spesa con le tue amiche, perché in casa non c’è nulla e io voglio preparare una ricetta speciale da far provare alle tue amiche! Su..”, disse per l’ennesima volta strattonandomi le coperte di dosso.
“Ma tu stasera, non devi andare alla festa di Armani?”, dissi mezza intontita, sbattendo le palpebre.
“Si, ma non ci vado, data la situazione, resto con voi”.
“Come non ci vai? Sei matta? Cioè Ash, è Armani, non puoi mancare!”, quasi gridai.
“Si, preferisco restare con mia sorella, ha più bisogno di me che di Armani ora”, disse contenta come se la cosa non le dispiacesse.
“No. Cioè.. no! Non voglio che ti sacrifichi per me Ash, davvero, tu…”. Esclamai incredula. Non poteva farlo. Stava pagando troppo per me. Non volevo nessun sacrificio. Ero io a stare male e non lei, e così doveva essere.
Lei sbuffò stufa. “Oh, quante storie! Ormai ho deciso, non si può tornare indietro. Ti ho preparato già la vasca. Ora tu vai e ti immergi in un bel bagno caldo con dell’ottima musica rilassante, senza pensare a nulla, ok?”, ripeté facendomi alzare e sorreggendomi per le spalle.
“Io..”, cercai di dire, ma lei mi zittì.
“Andiamo prima che l’acqua si raffreddi”, fece soddisfatta, come se avesse concluso un opera.
Non riuscivo a tollerare la cosa, migliore amica o no, non dovevi sacrificarsi.
Mi fece entrare in bagno e tra le note dolci di una canzone che non conoscevo mi rilassai in quel tepore che mi invase il corpo.
Per la prima volta senza pensieri e senza preoccupazioni, volevo estraniarmi dal mondo e rilassarmi come mi aveva detto Ash. Volevo avere almeno un attimo di pausa per riprendermi e non soffrire.
Dopo il bagno, il follettino mi venne a prendere sulla soglia della camera, costringendomi a tenere gli occhi chiusi perché diceva, c’era una sorpresa per me, una sorpresa di cui fino ad un momento prima non sapevo nulla.
Mi fece sedere sul letto e mi invitò ad aprire gli occhi solo dopo un suo ordine.
“Ora puoi!”, disse con una voce sprezzante di felicità.
La visione che mi ritrovai davanti era pari all’impossibile. Un vestitino di un colore pari al rosa pallido mi era parato davanti, era abbastanza scollato e corto fin sopra il ginocchio, arricciato poi sulla gonna, con una cintura nera cucita in vita, quasi non piansi di fronte ad un tale capolavoro.
“Ash, io..”, cercai di dire.
“Nessun ringraziamento. E’ un regalo di Armani, e te lo voluto cedere. Semmai devi ringraziare lui”. Risi tra le lacrime. “E poi..” aggiunse, lasciandomi il vestito tra le mani. “Ti ho scelto anche le scarpe:degli stivaletti neri che sembrano quasi delle decoltè. C’è anche un nastro”. Disse indicandomelo. “Che ne dici?”
“E’ tutto splendido Ash. Ma io non saprei mai dove e in quale occasione indossare tutto questo”. dissi spaesata di fronte a tutti quei regali improvvisi. “Non è che mi vuoi portare alla festa di Armani per caso?”, dissi seriamente preoccupata cercando di capirci qualcosa.
Non volevo andarci, non avevo voglia di un bel nulla, e se quello era il suo piano poteva riprendersi tutti i suoi regali. Mi accigliai.
“Tu intanto indossali, la situazione poi si crea, e comunque no, non voglio portarti alla festa di Armani e non voglio nemmeno vederti più soffrire in quel modo. Insomma guardati. Stai dimagrendo troppo e tra poco non potrò farti indossare più nulla che sottolinei le tue forme, dato che se continui così le perderai, perciò, volente o nolente, accetterai le mie condizioni!”. Esplose in un sorriso mentre io iniziavo a preoccuparmi.
“Ora indossa questi, ti trucco per bene e poi usciamo da qui!”.
 
Lo specchio ora riportava una nuova visione.
Una ragazza dalla pelle lucida, gli occhi brillanti, le ciglia folte, le labbra carnose mi osservava dall’altra parte dello specchio, e quasi non sembravo più io. Mi ricordava quando l’emozione mi pervadeva in quei momenti perché sapevo che fuori poi c’era Rob ad aspettarmi e a guardarmi. Sentii invadermi dal calore delle lacrime.
“Non ti permettere sai!”, uscii minacciosa Ash nei miei ricordi. “Se solo ti permetti a piangere sul capolavoro appena fatto, ti sbrano!”.
Ricacciai le lacrime indietro.
“Ok”, cercai di convincermi.
“Vedrai che dopo stasera starai meglio, o almeno me lo auguro. Sei pronta?”.
“Pronta per cosa Ash? Non so nemmeno cosa vuoi fare, e dove mi vuoi portare”.
“Ci credi se ti dico che non usciremo di casa stasera, anche se sei comunque invitata a una festa? Devi solo stare calma e fidarti di me”. esclamò guardandomi negli occhi infondendomi coraggio.
 
Quando aprimmo la porta della camera, la casa era invasa dall’oscurità.
“Ash, non ci vedo”, dissi stringendole la mano per controllare che ci fosse.
“Fidati!”, rispose lei divertita.
Il vestito iniziava a pizzicare o era il nervosismo dell’ignoto?
“Ash, ho davvero paura del buio, credimi. Mi stai ammazzando così”, dissi cominciando ad annaspare.
“Davvero stai calma!”, ripeté trovando un non so che di divertente nella situazione, dato che la sentii ridere.
Persi per un attimo il contatto con la sua mano e andai nel panico più assoluto prima di ritrovarlo subito dopo.
“Insomma, la casa non è così grande! Dove diavolo mi stai portando?”, dichiarai seccata da quel terribile mistero che mi chiudeva lo stomaco.
“Da un sogno, magari”, rispose una voce familiare, fin troppo familiare per me e per il mio cuore che iniziò ad accelerare i suoi battiti.
Ora immaginavo anche la sua voce.
La luce si accese e due occhi mi folgorarono l’anima.
Lui era lì, accanto a me e aveva preso la mia mano nella sua senza che io me ne accorgessi. Provai un brivido assoluto.
Mi si mozzò il respiro in gola e le mie corde vocali si annodarono, mentre il cuore andava a briglia sciolta.
Il suo sorriso, quel magnifico sorriso era rivolto a me, ancora una volta.
Lo stavo immaginando, lo stavo sognando, come al solito, o era un ricordo del mio inconscio a riemergere.
Speravo non lo fosse davvero, l’ennesimo sogno ingannatore che mi dava un illusione.
Non riuscivo a smettere di osservarlo in tutti i suoi dettagli: i suoi capelli sotto quella luce che parevano dorati, i suoi occhi più brillanti e magnifici, il suo naso perfetto, le sue labbra carnose e morbide che erano aperte in un sorriso mozzafiato solo per me.
Non ci credevo.
Volevo piangere, lo volevo fare per l’ennesima volta non riuscendo a parlare.
Poi il suono della sua voce mi invase l’anima riportandomi indietro.
“Scusa. Lo so che è poco, magari è un niente di fronte al tuo dolore, ma ti chiedo immensamente scusa per tutto ciò che è successo, per lo stupido che sono stato e per la sofferenza che ti ho recato. La gelosia mi ha accecato, e non l’avrei mai detto, ma è stato così. Ho avuto davvero paura di perderti, paura che il tuo cuore si potesse legare a quello di qualcun altro e sono diventato un mostro per questo. Non ci ho visto più e ti ho trattata nel peggiore dei modi. Quando ritornando non ti ho trovata più mi è crollato il mondo addosso, e metà del mio cuore se ne è andato con te. Sono stato male, davvero uno schifo, e se sono qui ora è perché io ti amo. E’ così e non posso negarlo, tu sei la donna con cui ho intenzione di passare una vita intera, tu sei la donna con cui io voglio sposarmi, avere dei figli e invecchiare insieme, non chiedo altro”. Ammise avvicinandosi ancora di più a me con gli occhi lucidi, mentre io inevitabilmente iniziavo a piangere a dirotto.
“Sempre ammesso che tu lo voglia ancora, e se sei pronta a riaccogliermi nella tua vita, perché se non lo facessi davvero, non saprei che fare”. Disse quasi sull’orlo di un pianto.
Non l’avevo mai visto in quel modo. Insomma tra i due ero sempre stata io la debole che doveva essere poi consolata da lui.
Si erano invertite le parti ora, e di sicuro avevamo sofferto entrambi.
Restai lì, incapace di rispondere incantata dai suoi occhi magnetici che mi penetravano.
Sembrava quasi di essere catapultata di nuovo al nostro primo incontro. Risi tra le lacrime.
“Sai cosa c’è Rob?” cercai di parlare. “C’è che ti amo e non posso farci nulla. Ero delusa dal tuo comportamento quando me ne sono andata, e forse ho sbagliato anche io ad andarmene in quel modo. Ma mi è sembrata una cosa giusta dato che nei tuoi occhi non vedevo più nulla del nostro amore. Mi hai fatto soffrire, è vero. Sono stata malissimo in questi giorni perché la mia mente e il mio cuore rifiutavano di dimenticarti, ma ora tu sei qui. Hai attraversato un mondo per venire da me, e questo significa che a me ci tieni”. Lo guardai negli occhi. “E significa indubbiamente che mi ami quasi quanto io amo te, quindi, come potrei rifiutarti ora mio umile eroe?”, sorrise facendomi perdere un battito. “Ti desidero e ti amo tutt’ora e non puoi farci nulla!”.
I nostri sorrisi si aprirono di più all’unisono prima che il suo viso andò ad avvicinarsi sempre più al mio per far incontrare le nostre labbra in un bacio morbido, dolce, bramoso l’uno dell’altro mentre stretti in un abbraccio ci abbandonavamo a noi stessi e al nostro amore.

 
 
 
   
 
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