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Autore: Angemon_SS    26/11/2011    2 recensioni
Il mio primo giorno di scuola superiore fu alquanto movimentato. Mi accusarono di omicidio, mi ruppero il naso e feci una visitina al pronto soccorso. Ci furono anche rimpatriate con vecchie facce come quella di merda di Shaorang e la mia vecchia amica Tomoyo. Potevo lasciar perdere le accuse di omicidio ma quando la polizia cercò di arrestarmi dovetti correre verso il luogo dove accadde tutto. Se non sbaglio il colpevole torna sempre sul luogo del delitto, ed oltre l'avventura da Road Movie non dimenticherò mai che ho rischiato di morire e di cancellare un'intera città dalle cartine mondiali. La storia spero vi piaccia però va letta solo da chi è in grado di credere davvero alle carte di Clow Reed e all'esistenza dell'esoterismo del sud Europa. Vostra Sakura
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Terzo

 

Per il terzo giorno consecutivo saltai la scuola e m’incontrai con Li allo Starbucks della via principale di Tomoeda. Essendo un posto molto affollato nessuno badava a noi due e potevamo pianificare il viaggio in Italia senza interruzioni. La cosa però si rivelò molto difficile dato che un viaggio simile comportava una spesa enorme e tempi di spostamento molto larghi. Tomoeda era una grande città ma si serviva dell’aeroporto di Tokyo ed un volto per Roma aveva una durata di oltre 20 ore, senza scalo.

“Non dispongo di tutti questi soldi!” Li svuotò la tazzina del caffè in un secondo.

“Non…potresti chiedere un prestito a tua madre? La tua mi sembra una famiglia molto ricca.”

“Sei davvero incredibile! Non ti fai scrupoli.”

“Voglio solo che tutto questo finisca il prima possibile e vorrei ricordarti, nel caso te ne fossi scordato, che in tutta questa faccenda ci sei dentro anche tu.”

“Uff! Una volta lì dovremo anche mangiare, dormire, lavarci e cambiarci…non è così facile come sembra ed anche disponendo di una carta di credito infinita non diventa tutto più facile.”

            “Non importa, ho anche io un po’ di soldi da parte, inoltre, sono sicurissima che una volta arrivati tutto si sistemerà nel giro di poche ore.” Non so perché, ma avevo questa sensazione.

            Mentre attendevo alla fermata dell’autobus insieme a Li, entrambi percepimmo una strana sensazione. Come se qualcuno nelle vicinanze avesse cominciato ad esultare. Lo sentivamo nell’aria, era stranamente frizzante e fresca, noi però non lo percepimmo come una bella sensazione e lo capii non appena arrivai a casa.

            Mi stavo congedando da Li quando notammo una voltante della polizia gironzolare per la via. Non disse nulla e con piccole spinte mi fece capire che era meglio entrare in casa. Papà era un bagno di lacrime e l’avvocato scrutava nervosamente dei fogli sparsi su tutto il tavolo; non erano arrivate buone notizie e corsi in camera lasciando Li in balia di mio fratello al piano di sotto.

            “Sakura!” Kerochan aveva messo a soqquadro la stanza ed aveva gettato alcune cose in un angolo del letto. “Ci sono cattive vibrazioni nell’aria, prepara le tue cose, dobbiamo andar via.”

            Non parlai e gettai tutto dentro una valigia senza soffermarmi a lasciare gli indumenti piegati correttamente. Suonò il campanello e sbircia fuori dalla finestra, davanti a casa c’erano tre inconfondibili volanti con i lampeggianti rossi. Dopo qualche istante entrò nella camera anche Li e chiuse a chiave, era completamente bianco: “Tokyo ha autorizzato al tuo espatrio, sono qui per arrestarti.”

            “Aiutami a chiudere la valigia.”

            Quando riuscimmo a chiudere la zip bussarono alla porta in modo minaccioso.

“Signorina Kinomoto, Polizia, dovrebbe venire con noi.”

“Sakura, apri per cortesia.”

La prima era una voce sconosciuta mentre la seconda, quella di mio padre. Sapevo che mi sarebbe mancato tantissimo una volta che me ne fossi andata, così come mio fratello. Le nocche dei poliziotti sulla porta si facevano sempre più minacciose e provarono anche ad aprire sperando che fosse aperta.

“Dobbiamo andare via!” Kerochan gettò dentro la mia tasca alcune delle sue caramelle.

“Scappiamo?” Li rimase a pensarci per alcuni secondi. Nello stesso istante in cui mi sorrise consenziente forzarono la porta e due poliziotti piombarono in camera mia. Tirai fuori la carta del tempo e congelai la situazione con calma, memore che se avessi eseguito l’incantesimo senza la dovuta concentrazione non sarebbe durato più di alcuni secondi, in quel modo potevamo avere un vantaggio di svariate ore.

Dietro ai poliziotti  si trovavano papà e mio fratello che lo tirava per la camicia. Erano immobili e non potei fare altro che abbracciarli sperando di potervi rivedere il prima possibile. Uscimmo di casa passando sotto le gambe degli agenti di polizia ed evocai la carta del volo.

“Andiamo ad Haneda?”

“No! Penso sia meglio puntare su Narita.” Risposi a Li mentre ci libravamo nel cielo senza vento.

“Ma, l’aeroporto di Haneda è il più vicino.”

“Appunto, ma ne abbiamo già parlato, non vedendoci penseranno che siamo scappati abbiamo la possibilità di prendere un aereo; sceglieranno di controllare per primo l’aeroporto interno a Tokyo dato è il più vicino in linea d’aria. Se andiamo a Narita, riusciremo a guadagnare qualche ora in più. Inoltre, ho visto su internet che ha voli più frequenti verso l’Italia, se siamo fortunati dovremo riuscire a partire subito.”

“Ok, io non so dove siano questi posti, ma spiegami perché il cinesino lo devo portare io!” Kerochan aveva assunto la sua forma completa e portava in groppa Li, non lo volevo insieme a me durante il volo. Passammo rapidamente a casa sua e dopo che ebbe preso anche lui alcune cose agganciai la valigia sullo scettro, insieme alla mia, e volammo verso Tokyo.

A causa del tempo immobile non c’era neanche un filo di vento, eppure il fresco dell’alta quota poteva essere avvertito lo stesso; passammo in mezzo a stormi di uccelli e sciami di insetti. Una volta fuori da Tomoeda seguimmo i binari della ferrovia in direzione della capitale.

Mentre mi trovavo in volo riuscii a rilassarmi un po’. Dal momento in cui avevo visto la volante della polizia attorno a casa il mio cuore era impazzito, batteva così forte da farmi male nel petto, dovetti prendere grandi boccate d’aria per rallentarlo un po’. Kerochan volava accanto a me mentre  Li giocava con il cellulare per passare il tempo, sembrava non gradire il panorama. Mi sentii tremendamente in colpa, lo stavo trascinando contro la sua volontà in qualcosa di enorme, per la mia paura di crescere, di lasciarlo andare, di vederlo solo come un conoscente, come un amico, come una bellissima esperienza. Che egoista!

Quando fummo sopra Tokio ricominciai ad avere paura. Avevo appena lasciato indietro la mia casa, papà, mio fratello, tutte le mie amicizie e Tomoyo. Piansi! L’avevo trattata così nell’ultimo periodo da farla allontanare, mi sentivo un verme, potevo anche sforzarmi e darle un abbraccio, parlarle con calma, farle capire che la volevo solo come amica del cuore.

Proprio quando stavo riuscendo a superare il male che mi aveva fatto Li Shaoran, mi fu molto vicina, a dir la verità mi fu vicinissima per tutto il tempo, ma ci fu il momento nel quale decisi che fosse ora di voltare pagina, per farmi smettere di pensare a lui in modo definitivo, decise di trascinarmi a Tokio e di passare il venerdì al Museo Ghibli e, il resto del fine settimana, al Tokyo Disneyland. Acconsentii un po’ controvoglia, lo ammetto e mi ritrovai in autostrada verso Mitaka; passammo un sereno pomeriggio tra le meravigliose ambientazioni del museo ed il cappuccino più buono della mia vita. Dopo quella tappa, e un’oretta di macchina, finalmente arrivammo al Tokyo Disneyland Hotel, in una delle camere più grandi e belle di tutto il parco. Letti morbidissimi, cioccolatini sul cuscino, grandi finestre che davano sul parco ed una inaspettata visita di Paperino subito dopo il nostro arrivo. Ricomincia a sorridete e per alcune ore riuscii a scacciare l’opprimente fantasma di Li che mi portavo appresso ogni giorno.

Mollati i bagagli, seguimmo Paperino nella hall e ci indicò dove cenare, poi se ne andò a passo goffo. La cena, ricordo, era favolosa e ci fu anche uno spettacolino di mimi nel teatro annesso all’albergo. Ma era solo l’inizio e il giorno dopo ci svegliammo presto per correre alla galleria World Bazar e curiosare nelle vetrine, in attesa del vero divertimento. Prima andammo alla ToonTown, dove c’erano tutte le mascotte della Disney, lo ricordo benissimo anche perché ho tutt’ora una mia foto con Pippo sulla scrivania; poi venne la volta di Westernland, Tomorrowland la trovammo in ristrutturazione  - cattivi! -, optammo per Critter Country e ci infradiciammo nella Spash Mountain. Ricordo i nostri capelli gonfi come quelli di Simba e le risate mentre tentavamo di asciugarli nei bagni pubblici con altre due ragazze conosciute durante l’attesa del gioco; era tutto così speciale e semplice, non pensavo più a nulla, solo a stringere la mano di Tomoyo e correre insieme a lei da un’attrazione all’altra, diciamo che la trascinavo, per lei non era la prima visita del parco. Io invece, mi sentivo di nuovo bambina e proprio come una bambina, mi sentivo incredibilmente felice.

A fine serata eravamo distrutte, letteralmente! Dopo una rapida doccia siamo atterrate sul lettone, era enorme e come spesso capita cominciammo a picchiarci con i cuscini e poi a rubarci le coperte l’un l’altra. Durante la notte continuammo a tirare quelle coperte finché non ci girammo faccia a faccia e dopo qualche risata calò il silenzio; era buio ma si riuscivano a distinguere i contorni del viso grazie alle luci che provenivano dall’esterno. Lentamente si avvicinò e, complice la stanchezza e la fantastica giornata, mi baciò per la prima volta.

Era un bacio così delicato, uno di quelli che è in grado di donare solo una ragazza davvero innamorata, labbra morbide e bagnate per il nervosismo, il suo fiato sapeva di dentifricio alla menta ed io mi persi in quel bacio così semplice. Durò nemmeno un secondo ma fu come se fosse durato ore. Eravamo così vicine e ci fissammo per molti istanti negli occhi ma nessuna delle due disse nulla. Il secondo fu un po’ più lungo ma io non lo feci durare più di tre secondi, la spinsi via facendola quasi cadere dal letto, corsi in bagno e mi chiusi dentro per quasi venti minuti; ero sicura che lei stesse piangendo ma non avevo il coraggio di andare a chiederle scusa o di provare a consolarla. Sebbene dato da una ragazza, quel bacio aveva fatto riaffiorare i ricordi dei baci dati a Li. Quando uscii lei era immobile, nascosta sotto le coperte come un bruco. e dava le spalle alla mia porzione di letto, mi coricai in silenzio e spensi la luce. Mi sembra superfluo dire che dal giorno dopo non ci parlammo per molte ore.

            Mi ripresi da quel ricordo proprio mentre sorvolavo la baia di Tokio. Li e Kerochan si erano datti addosso quasi tutto il viaggio ma non avevo voglia di fare da paciere, si sarebbero stancati da soli. In quel momento il tempo ricominciò il suo corso, ed un aereo partito dall’aeroporto di Haneda ci passò proprio sopra le teste facendo un gran frastuono.

            “Il tempo è tornato normale.” Disse Li. Mitico capitan ovvio. “Mi piacerebbe vedere la faccia dei poliziotti.”

            “Io, invece, vorrei rivedere quella di mio padre.” Non era la prima volta che andavo a Tokio ma ogni volta mi veniva nostalgia di casa. Era un posto così grande, praticamente mastodontico, caotico, veloce, oppressivo, con più di trentotto milioni di abitanti nell’area metropolitana, che si incrociavano in modo incalcolabile ogni giorno, aveva un ritmo di vita al quale non ero abituata; preferivo la tranquilla Tomoeda. Individuai da lontano la torre di Tokio e sotto di me Disneyland con i suoi colori e suoni, il viaggio volgeva al termine; in quel momento i poliziotti stavano rivoltando la casa nella mia furiosa ricerca, subito dopo sarebbero passati all’intero quartiere. Avrebbero poi bloccato le strade e le stazioni da e verso Tomoeda, per evitare che io potessi scappare, nel frattempo interrogavano i miei compagni di classe e i miei parenti, avrebbero messo a soqquadro anche le loro case e non trovandomi avrebbero deciso di cercarmi fino a Tokio e quindi, gli aeroporti.

            Cominciai ad intravvedere i confini della città, oltre c’era l’aeroporto, il mio volo per l’Italia e soprattutto, la possibilità di sistemare tutto.

            “Sakura.” Kerochan mi si affiancò. “Perché non mi sali in groppa, voleremo più veloce.”

            “Non è necessario.” Non volevo stare così vicino a Li. Presi perciò la carta della velocità e la utilizzai per poter andare più veloce, il tanto che bastava affinché Kerochan non dovesse per forza andare piano, anzi, faticò nel starmi dietro. Grazie a quella potrei sorvolare più rapidamente la città ed individuai l’aeroporto di Narita in pochi minuti. Percorsi gli ultimi venti chilometri planando e finalmente atterrai. Avevo le gambe addormentate e gli occhi in lacrime per quell’ultimo tratto ad alta velocità.

            “Perché non hai utilizzato la carta della sparizione? Ora dovremo camminare.” Li scese dalla groppa di Kerochan e mi diede subito sui nervi. Nel frattempo Kerochan tornò piccolo e mi si posò stremato sulla spalla.

            “Perché sono stanca! Abbiamo volato da Tomoeda fino a qui, ho fermato il tempo per quasi quattro ore ed ho le gambe addormentate. Inoltre, camminare fa bene.” Ci trovavamo sopra uno dei passaggi pedonali sopraelevati, era ora di pranzo e le macchine in transito erano poche. Ci siamo messi in cammino seguendo le indicazioni per il Terminal 1 attraversando altri passaggi pedonali e marciapiedi. Dopo alcuni minuti, finalmente entrammo nel terminal e potemmo sederci su di una panchina, finalmente potevo riprendere un po’ si fiato; ero stremata per il volo e mi pentii di averlo fatto con lo scettro.

            Li non si era seduto, si avvicinò al tabellone che esponeva i voli in partenza ed in arrivo, rimase ad osservarlo per parecchio tempo ma alla fine puntò il dito verso una di quelle scritte luminose e mi fece cenno di avvicinarmi. Sbuffai mentre mi alzavo contro voglia, anche Kerochan non fu molto d’accordo, cadde dalla mia tasca e dovette nascondersi dietro le valige.

            “Sono un po’ fuori allenamento con gli ideogrammi.” Mi indicò la riga del tabellone.

            “Roma-Fiumicino, ore 14:15” Lessi e mi rallegrai, erano quasi le 13, avevamo più di un’ora di tempo per fare il biglietto e salire a bordo.

            “Cerchiamo la biglietteria e imbarchiamoci.”

“Non avremo problemi dato che siamo minorenni?”

“Beh, io viaggio molto spesso tra Giappone ed Hong Kong, questo perché ho una liberatoria firmata da mia madre in caso di problemi. Per te ci inventeremo qualcosa. Tranquilla”

Cominciammo a vagare per l’aeroporto a passo spedito, trascinandoci dietro le valige finché non trovammo la biglietteria dell’Alitalia, la compagnia che segnalava il tabellone. Li riuscì a comprare il biglietto senza problemi ma gli chiesero se fosse accompagnato e dovette tirare fuori la liberatoria della madre. Biglietto stampato. Per il mio utilizzammo un metodo diverso: mi nascosi nella toilette delle donne, ed in silenzio, utilizzai di nuovo la carta del tempo. Fu relativamente facile, Li scavalcò il bancone e dopo aver smanettato un po’ con il terminale riuscì a stampare un biglietto anche per me, pochi istanti dopo il tempo ricominciò a scorrere ma ci eravamo già allontanati verso il controllo di sicurezza, dove nessuno fece domande o provò a fermarci; finalmente passammo le valigie nel metal detector ed entrammo nella zona sicura.

Sia ben chiaro che sto raccontando in stile romanzo: so’ che tutto ciò che stai leggendo ti sembra assurdo ed impensabile. Se cominciassi a raccontare per filo e per segno, minuto per minuto, tutto il viaggio ti addormenteresti: da Tomoeda a Tokyo ci sono quasi trenta chilometri di tragitto in linea d’aria e all’aeroporto, dalla città, sono altri sessanta; sorvolare un’area metropolitana di milioni e  milioni di abitanti poi, necessita di molto tempo. Sto cercando di essere breve anche per quanto riguarda l’aeroporto, entrare di soppiatto e senza accompagnatori, per due adolescenti di quindici anni è difficile, vengono subito notati, siamo quindi dovuti restare in mezzo alla folla, abbiamo evitato i continui giri delle guardie giurate e, quando Li mi ha stampato il biglietto ha dovuto fare molti tentativi dato che non conosceva i passaggi per l’emissione; anche superare i controlli di sicurezza non è stato facile: ci siamo dovuti accodare nella fila più lunga insieme ad altre famiglie con figli al seguito. Kerochan, poi, se fosse passato come un peluche dentro il metal detector, avrebbero rilevato le ossa e i tessuti – anche lui è un essere vivente – e quindi ci sarebbero stati non pochi casini: ha perciò deciso di volare raso al tetto il più rapido possibile ed attendermi nel bagno delle donne, oltre il controllo di sicurezza. Ovviamente per tutto il tempo abbiamo lasciato i cellulari spenti e con la batteria disinserita, questo per evitare di essere rintracciati, e tante altre piccole cose. Siate pazienti, volevate una storia e ve la sto dando, se volete il copione dettagliato di un film, chiudete subito questa pagina, non fa per voi.

“Ecco la nostra fila.” Li si diresse verso la fila per l’imbarco. Il grande tabellone indicava la scritta B165 Roma Fiumicino. Avevano già cominciato le operazione di imbarco e la fila stava lentamente passando oltre il gate. Osservammo attentamente il modo con il quale le hostess convalidavano il biglietto.

Bloccai di nuovo il tempo e strappammo in due i biglietti seguendo la linea tratteggiata. I pezzi piccoli li mettemmo in mezzo a quelli che tenevano le hostess ed attraversammo il lungo corridoio bianco fino all’aereo. Un piccolo slalom tra gli altri passeggeri e, notammo che una seconda hostess vidimava con una firma il resto del biglietto, facemmo lo stesso imitando quasi perfettamente lo scarabocchio e prendemmo posto mentre il tempo ricominciava a scorrere. In mezzo alla confusione dei passeggeri nessuno ci notò, fortunatamente. Li sistemò i nostri bagagli ed io sorrisi immaginando le maledizioni che in quel momento ci stava lanciando Kerochan, rinchiuso nel bagaglio per le successive venti ore.

Eh si, avevamo davanti a noi quasi un giorno di volo ininterrotto, mi sentivo male solo al pensiero di dover restare dentro quella scatola con le ali con Li Shaoran accanto a me.

“Speriamo che i film siano recenti.” Li si mise subito comodo sul sedile accanto al finestrino e si assicurò nuovamente che nessuno ci stesse osservando. Sembrava che fosse molto a suo aggio, doveva viaggiare parecchio. Io avevo già la gola secca a causa dell’aria condizionata e pensare che dovevo stare chiusa li dentro per tutto quel tempo non mi rallegrava.

“Saranno in giapponese o in italiano?” Tanto valeva fare un po’ di conversazione.

“Dovrebbero avere i sottotitoli, ma credo proprio che siano film italiani.”

Le hostess, due o tre parevano modelle, invitarono tutti coloro che erano ancora in piedi a prendere posto e ad allacciare le cinture, controllarono ogni singolo passeggero dell’aereo. Dopo alcuni minuti iniziò il solito teatrino delle indicazioni di sicurezza partendo con l’italiano, successivamente un giapponese molto stentato e per finire ad un accettabile inglese; mentre venivano lette le istruzione in quest’ultima lingua l’aereo cominciò le operazioni di rullaggio verso la pista.

Mi resi conto di essere, al contrario di Li, molto nervosa solo dopo il decollo, quando ci fu dato il permesso di togliere le cinture di sicurezza. Non perché le fossi così vicina, bensì perché avevo paura di ciò che sarebbe successo una volta atterrati a Roma; non ero mai andata così lontano da casa, andare all’avventura in un posto totalmente diverso, dove non conosco la lingua e dove non appena la polizia avesse fatto due più due, mi sarebbe saltata addosso, cavoli se mi spaventava!

Sicuramente non vi interessa sapere che cosa ho fatto in venti ore di volo; oltre dormire non si poteva fare un granché, al massimo leggere qualche rivista o guardare i film proposti tra un passaggio e l’altro del carrello con le vivande, di chiacchierare con gli alti passeggeri non se ne parlava nemmeno, la maggior parte erano uomini d’affare che non staccavano gli occhi dai loro portatili e i pochi ragazzi che c’erano si trovavano al seguito di famiglie straniere.

            Mi accorsi di essere arrivata a destinazione perché l’aereo rimbalzò sulla pista svegliandomi dall’ennesimo assopimento. Cercai di stiracchiarmi e la prima cosa che ricordo di aver notato era la testa di Li appoggiata sulla mia spalla. Era incredibile che l’atterraggio, e il rumore dei freni non l’avessero svegliato. Comunque, era davvero carino quando dormiva, quindi lo svegliai nel modo più dolce che mi venne in mente: lo lanciai verso la parte opposta affinché sbattesse la testa contro il finestrino; tornò tra noi comuni mortali con un bel bernoccolo vicino al sopracciglio destro, sembrava disorientato. Non nascondo che risi sotto ai baffi mentre guardava fuori dal finestrino con un occhio aperto e l’altro chiuso.

            Le operazioni di sbarco erano snervanti, fortunatamente non avevamo bagagli nella stiva ed una volta scesi dall’aereo ci dirigemmo a passo spedito fuori dalla zona passeggeri, verso il bar duty free più prossimo e finalmente, un caffè decente!

            “Sia ben chiaro, prima di andare sul luogo del misfatto voglio vedere il Colosseo, San Pietro e la Fontana di Trevi.” Ovviamente la prima a parlare fui io. Lui rispose solo con un rapido segno della mano, sembrava abbastanza seccato da quella mia richiesta, lo stavo sbattendo da una parte all’altra per i miei capricci. In quel momento si avvicinò a noi una persona altissima, in gessato grigio scuro, aveva due enormi baffi neri e fece un leggero inchino.

            “Salve, mi chiamo Roberto e sono il corrispondente sud-europeo per la Daidōji Toy Company. Prego, seguitemi verso la macchina, vi scorterò al vostro albergo.” Aveva una perfetta pronuncia giapponese e l’inchino fu eseguito alla perfezione. Li prese la propria valigia e seguì quell’individuo verso l’uscita senza proferire parola.

Io ero sconvolta: quel tipo faceva parte della ditta di famiglia di Tomoyo ed era venuto a prenderci all’aeroporto, su ordine della mia amica. Ok, più che sconvolta ero davvero incazzata. Raccolsi le mie cose e li seguii fuori dall’aeroporto a passo spedito e rumoroso, entrammo nel cortile di un parcheggio a pagamento e poi dentro una macchina elegantissima con il logo della compagnia sulla fiancata. Lanciai la mia valigia nel portabagagli – di questo Kerochan non fu molto contento - e presi posto nei sedili posteriori.

 

            “Ora, voglio che mi spieghi, perché uno uomo dell’azienda di Tomoyo è venuto a prenderci?” Il viaggio fino a Roma fu molto più riposante di quello aereo e l’albergo era davvero bello: avevamo due camere comunicanti ed io feci irruzione nella sua, senza bussare, mentre si cambiava la maglietta. Per lo spavento rimase incastrato.

            “Che c’è da spiegare? Ho semplicemente detto a Tomoyo che saremo andati a Roma, ed ha voluto aiutarci.”

            “E perché Tomoyo è al corrente di dove ci troviamo? Sai benissimo che sarà la prima ad essere interrogata sulla mia sparizione.”

            “Scommetto che non è questo il problema.”

            “E’ uno dei problemi, direi il più grosso.”

“Ho comunicato tutte le nostre decisioni, utilizzavamo canali sicuri, dei cellulari usa e getta, l’ultimo l’ho fatto sparire prima che entrassimo nella zona sicura all’aeroporto di Narita, lei avrà fatto sicuramente lo stesso.”

“Perché Tomoyo è al corrente di tutto ciò?” Ero sempre più furibonda.

“Perché non dovrebbe esserlo? Mi ha chiesto lei di tenerla informata.”

“Nessuno ti ha dato il permesso di renderla partecipe dei nostri problemi o dei nostri spostamenti, volevo che non fosse coinvolta, che non avessero motivo di darle fastidio.”

“Non è solo tua amica, è anche mia, e mi ha chiesto di tenerla aggiornata perché voleva aiutarci, se hai avuto problemi con lei e non riesci a dormire per ciò che è successo sono affari tuoi.”

“Quanto sai di ciò che è successo?”

“Abbastanza, me lo ha detto di sua spontanea volontà.”

“E quanto siete amici? Da quanto siete in contatto? Che cosa c’è tra voi due?”

“Che stai dicendo?”

“So’ che tornavi spesso a Tomoeda, ti incontravi con i nostri vecchi compagni delle elementari, con Tomoyo, con tutti tranne che con me, ed ora voglio sapere quanto siete, per così dire, amici

“Non c’è niente tra me e Tomoyo, non c’è mai stato e stai tranquilla che non ci sarà mai.”

Piansi. “Perché dovrei crederti? Ho dovuto sapere da tua cugina che stavi con una tua compagna delle medie, non posso crederti anche adesso. Lascia stare Tomoyo.” L’ultima frase la gridai con tutto il fiato che avevo e me ne andai sbattendo la porta tra le nostre camere. Anche lui si era infuriato. Mi seguì in camera, era ancora a petto nudo ed aveva tutte le vene in evidenza. “Adesso basta!” Urlò e mi diede una spinta per farmi cadere sul letto. Ebbi paura ma rimase in piedi, ansimando.

“La verità fa male?” Lo stuzzicai.

“La verità un corno, so bene che a pensare male si indovina ma sei completamente fuori strada. Non c’è niente tra me e Tomoyo, non voglio più ripeterlo. Sono venuto qui in Italia, a migliaia di chilometri da casa solo per aiutarti, quasi per un tuo capriccio, non voglio passare tutto il tempo a litigare. Inoltre, non sei arrabbiata per il fatto che possa essere successo qualcosa con Tomoyo, ma per l’esatto contrario. E’ Tomoyo che vuoi, non me!”

Non dissi nulla. Mi resi conto che aveva pienamente ragione.

“Vado a farmi una doccia. Faresti bene a fare anche tu lo stesso, l’aria condizionata dell’aereo deve averti disidratato il cervello. La cattura carte che conosco non fa di queste scenate, non sei la vera Sakura. Ci vediamo fra un’ora per andare a pranzo.”

Chiuse sbattendo la porta e rimasi immobile, ed in ascolto, finché non udii l’acqua scorrere nella doccia. Poi, ricordo, desiderai tanto un abbraccio di della mia amica.

 

 

 

P.S.Curiosità

 

            L’area metropolitana di Tokio conta 37'730'064 abitanti. È la più popolata area metropolitana del mondo e copre circa 13.500 km². Dopo Tokio si trovano San Paolo in Brasile, con 26’831'058 abitanti; e Città del Messico, con 23'610’441.

            La sola città di Tokio conta quasi nove milioni di abitanti ed è l’undicesima città più popolosa al mondo. La prima è Shangai, in Cina, con quasi 14 milioni.

 

   
 
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