Questa storia l'ho scritta per l'iniziativa "Autori per il Giappone"; è quasi totalmente autobiografica, pur avendoci inserito dettagli di fantasia. So che non conta, ma mia madre si è commossa nel leggerla, e lei non ha mai guardato di buon occhio la mia passione per la scrittura; questo è stato il mio miglior premio, la migliore recensione che io abbia mai ricevuto, ma se voi volete lasciarne una la vedrò di buon occhio :)
Il
Tiranno
«Attenta,
il mare è un tiranno», mi diceva mio nonno;
ricordo ancora questa frase, mi è rimasta dentro da quando
ero bambina, da
quando si è capito che l’acqua era il mio
elemento.
Sin da
piccolissima non avevo mai avuto paura del
mare, come invece era per tanti bambini, che strillavano come se
stessero
andando al patibolo, non appena i loro piedini toccavano il pelo
dell’acqua.
Era mio
nonno, che per anni aveva fatto del mare la
sua vita, che mi aveva fatto provare per la prima volta il brivido
dell’acqua.
Non ricordo la prima volta che successe, ero poco più di una
neonata, ma ancora
oggi, quando il mio corpo sente i brividi dell’acqua fredda,
mi sento quella
bambina allegra e stupita dal mare, un ambiente così strano
e familiare allo
stesso tempo, una specie di freddo utero materno.
«Attenta,
il mare è un tiranno»; già, non sempre
porta gioia, il mare. Anche questo l’ho imparato da piccola,
quando per la
prima volta un’onda mi ha prepotentemente travolta durante un
giorno di mare
grosso, entrandomi nella bocca, nel naso, impedendomi di respirare,
facendomi
piangere; e mio nonno, quando questo succedeva, sorrideva, mi prendeva
in
braccio, mi dava un bacio per consolarmi, e ripeteva, «Il
mare è un tiranno».
Ho solo
pochi ricordi di lui, purtroppo se n’è
andato che ero molto piccola; me lo ricordo come un uomo alto e fiero,
dallo
sguardo dolce, la pelle olivastra e i baffi grigi. La sua storia
assomiglia a
un film, ma è vera. Era un orfano, e, appena era stato poco
più di un ragazzo
si era imbarcato su di una nave come mozzo. Aveva solcato i mari di
tutto il
mondo, giungendo in terre che, negli anni tra le due guerre mondiali,
poche
persone avevano visitato, e che alcuni nemmeno conoscevano.
Quando
tornava nella sua Genova, scendeva dalla
nave, atteso dalla sorella sul molo, e le andava incontro con le
braccia
cariche di doni per lei e per tutta la sua famiglia, che, anche se lo
aveva
rifiutato e mandato in collegio quando era poco più di un
bambino, lui
continuava ad amare, perché era il suo punto di riferimento,
la sua terraferma;
perché il mare è un tiranno, e spesso si perde
l’orientamento, quando si è in
mezzo alla vastità del blu, e i contorni tra mare e cielo si
confondono.
Avrei voluto
conoscere meglio mio nonno, farmi
raccontare tutte le sue avventure, ma non c’è
stato abbastanza tempo; il
destino non si è curato del fatto che io fossi troppo
piccola per sedermi ad
ascoltare le sue storie, perché lui era troppo vecchio e
stanco per
raccontarmele.
Ogni tanto
mi fermo a osservare le sue foto, che già
mi sorprendono nel momento in cui le prendo in mano, per via della
strana carta
su cui sono stampate. Nel mio sguardo rivedo il suo, i suoi occhi dolci
sono i
miei, la sua generosità e il suo amore per il mare sono gli
stessi che provo
io. In mezzo alle foto che lo ritraggono, vi sono anche quelle che lui
stesso
ha scattato, i cui soggetti sono le navi su cui ha percorso il mondo
intero, i
suoi compagni sorridenti, le donne che, come dice un vecchio adagio, i
marinai
hanno in ogni porto.
Ma il mare
è un tiranno, e non tutte le foto sono
allegre; alcune ritraggono altre navi naufragate, in fiamme in mezzo al
mare,
affondate per una buona parte, altre uomini che lavorano duramente per
riparare
una falla causata dalla furia dell’acqua, rallentati e messi
in difficoltà dal
gelo e dalla pioggia battente, altre ancora testimoniano la cattura
della nave
su cui si trovava mio nonno, una nave ovviamente italiana, che si
trovava nelle
acque territoriali statunitensi al momento della loro entrata in
guerra. Il mare
è un tiranno, e mio nonno, per aver scelto di imbarcarsi
nonostante la guerra
lo rendesse pericoloso, fu imprigionato in un campo di lavoro americano
per
anni.
Eppure,
nonostante le brutte esperienze avute,
nonostante le difficoltà, lui non smise mai di amare il
mare, anzi, gli rimase
dentro per tutta la vita, e voleva che per tutti fosse lo stesso; non
poteva
nemmeno concepire che qualcuno non la pensasse come lui.
Nonostante
questo continuava a ripeterlo, a me e
soprattutto a mia madre, che del mare non ci si può fidare;
lei, la donna che
mi ha messa al mondo, mi racconta che un giorno lei e suo padre
rischiarono di
perdersi in mare, poiché erano andati a fare un giro al
largo su di una barca a
remi, e il tempo era improvvisamente cambiato, il vento si era alzato e
l’acqua
si era agitata, e persino mio nonno, esperto rematore, aveva avuto
difficoltà a
portare in salvo la barca. Nonostante il suo genetico amore per il
mare, mia
madre ricorda ancora oggi l’episodio con terrore.
«Il mare è un tiranno, ricordalo
sempre», le disse suo padre una volta in salvo sulla
terraferma.
Ed
è questo che penso, ogni volta che davanti agli
occhi mi si para una tragedia causata dalla natura.
La natura
è una madre crudele, e il mare è il
principale esecutore del suo maligno volere; non si può
fermare la forza
dell’acqua, fuggire è impossibile, arrendersi
sembra inevitabile. Ciò che
dapprima ci dà gioia, può in pochi secondi
diventare un feroce assassino, che
non guarda in faccia a nessuno; al mare non interessa se una persona
è bella o
brutta, buona o cattiva, ricca o povera, uccide tutti coloro che si
trovano nel
raggio d’azione della sua furia.
I marinai
sanno bene tutto questo, per questo, come
dei soldati, si rendono conto di rischiare di non tornare a casa, ogni
volta che
si imbarcano su di una nave, mettendosi in mare.
Il mare ha
permesso all’umanità di evolversi, alle
popolazioni di incontrarsi e comunicare tra di esse, facendoci
diventare quelli
che siamo, con tutti i nostri pregi e i nostri difetti, il mare ci ha
nutriti e
ci nutre.
E, alle
volte, ci uccide.
Perché
il mare, si sa, è un tiranno.